Il Calderone di Severus


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Storia 7 - Dark Shadows2 [14.29%]
Storia 1 - Time before time1 [7.14%]
Storia 3 - Sogni0 [0.00%]
Storia 5 - Una notte d'estate0 [0.00%]
Storia 6 - Mudblood0 [0.00%]
Storia 8 - Un uomo diverso0 [0.00%]
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Sei personaggi in cerca d'autore - 1° Turno

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chiara53
view post Posted on 21/1/2017, 18:37 by: chiara53
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Pozionista sofisticato

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Una notte d'estate di Severia



“È stato Piton.” Dichiarò Harry con voce piatta, ma decisa.
Tutti i presenti rabbrividirono e l’infermeria si fece silenziosa. La morte di Silente era un tragedia sconvolgente, che faceva decisamente pendere l’ago della bilancia di quella guerra dalla parte di Voldemort e il tradimento di Severus Piton non faceva che peggiorare la situazione; ciascuno era turbato e, probabilmente, stava riflettendo sulle conseguenze che avrebbero avuto questi fatti sulla propria vita.
Mentre Harry proseguiva il suo drammatico racconto, Hermione spostava continuamente lo sguardo sui presenti, tremando impercettibilmente: la disperazione sul volto di Lupin, il viso sfigurato di Bill, gli occhi sbarrati per il terrore di Ron; probabilmente, pensò, anche lei doveva avere un’espressione simile.
Ascoltando le parole dell’amico, Hermione si chiese se Harry potesse essere vittima di un qualche incantesimo di memoria e stesse dando una versione alterata dei fatti: nonostante tutto, non riusciva a credere che Piton fosse colpevole di tradimento e omicidio; non dopo quello che era successo in una notte d’estate di due anni prima.

Estate 1995
La notte arrivava sempre tardi a Grimmauld Place: le riunioni dell’Ordine della Fenice si tenevano dopo cena e potevano durare anche ore. Chi passava la notte nella vecchia casa si coricava tardi e dormiva un sonno leggero e inquieto: il ritorno di Voldemort, la guerra e le ombre di quella casa non favorivano lieti sogni.
Hermione Granger divideva la stanza con Ginny Weasley al primo piano: era arrivata già da una settimana nella tenuta dei Black, su espresso ordine di Silente; il motivo per cui l’anziano preside l’avesse voluta al Quartier Generale dell’Ordine non era ben chiaro alla ragazza: temeva forse per la sua incolumità? Anche per Hermione non era facile prendere sonno in quel vecchio edificio infestato da piccoli mostri, scricchiolante e quanto mai lugubre; le pareva che quella casa non avesse mai conosciuto l’amore della famiglia che vi aveva abitato, sentimento così abbondante invece nella sua abitazione babbana.
Quella notte, si era svegliata all’improvviso, turbata da un sogno che ora non riusciva a ricordare. Il suo cuore batteva a ritmo incessante e ci vollero alcuni minuti perché si placasse. Accanto a lei, Ginny riposava, con una ruga che le solcava verticalmente la fronte corrucciata.
Con gli occhi spalancati, Hermione scrutava i contorni indistinti nell’oscurità della stanza, senza riuscire a riprendere sonno. Alzarsi e scendere di sotto non era consigliabile, ma era convinta che una tazza di latte caldo potesse aiutarla a riaddormentarsi. Facendo ricorso a tutto il proprio coraggio Grifondoro, scostò le coperte e posò i piedi nudi sulle assi traballanti del pavimento. Indossate le pantofole e una vestaglia, procedette a tentoni nel buio e uscì dalla sua stanza. Il corridoio era immerso nell’oscurità e si riuscivano a scorgere solamente i lugubri profili delle teste degli elfi domestici, appesi alla parete.
Hermione aveva appena appoggiato il piede sul primo scalino, quando avvertì un rumore indefinito. Trattenne il respiro, aspettandosi di veder comparire qualche strano essere volante; non accadde nulla e la ragazza si convinse che si fosse trattato solo di Fierobecco che si agitava inquieto al piano di sopra.
Arrivata al terzo scalino, sentì di nuovo quello strano verso e, questa volta, vi intuì un singhiozzo soffocato. Rimase in ascolto e il suono si ripeté più forte e distinto. Hermione risalì e ritornò velocemente verso la propria stanza, temendo che fosse Ginny a disperarsi in quel modo. Quando arrivò davanti alla porta, capì che i singhiozzi provenivano dal salotto di fronte. Si avvicinò in punta di piedi, in modo da fare meno rumore possibile. Un debole fascio di luce proveniva dalla porta socchiusa. Hermione la aprì: il salotto era immerso nella penombra e soltanto tre candele fissate su un candelabro d’argento illuminavano fiaccamente una parte della lunga stanza; il camino era spento. In un primo momento, Hermione riuscì a distinguere soltanto una massa nera appoggiata ad una poltrona. Guardando più attentamente, riconobbe in quel mucchio di abiti scuri, il suo insegnante di Pozioni.
Severus Piton sedeva su una poltrona foderata di velluto verde scuro; era piegato su se stesso e i lunghi capelli neri gli coprivano il viso. Le mani strette a pugno stringevano la veste nera all’altezza delle ginocchia. Il suo corpo era scosso dai singhiozzi e si muoveva ritmicamente avanti e indietro, come se volesse cullarsi da solo.
“Professor Piton?” sussurrò Hermione, rimanendo sulla soglia del salotto. L’insegnante non si mosse e non diede segno di averla sentita.
“Professor Piton, ha bisogno di aiuto?” chiese Hermione, alzando un poco la voce.
Questa volta, Severus la sentì e si girò di scatto; Hermione rimase senza fiato, guardando il suo volto trasfigurato: il viso era più pallido del solito e gli occhi sbarrati erano iniettati di sangue.
“Che cosa ci fai qui? Vattene!” esclamò Severus Piton, controllando a stento il volume della propria voce.
“Professore, ho sentito un rumore e ho pensato…”
“Tu non hai sentito niente! Torna a letto!”
Hermione non aveva mai visto il proprio insegnante in quelle condizioni: era sconvolto e le puntava contro l’indice della mano destra, minacciandola; si girò poi, portando le mani al volto.
La logica e la paura suggerivano ad Hermione di tornarsene di corsa nella propria stanza e di dimenticare l’accaduto, eppure l’istinto prese il sopravvento in lei: si avvicinò con cautela alla poltrona, trattenendo il respiro.
“Vattene!” gli sentì dire, attraverso le dita.
“Professore, cos’è accaduto?” domandò Hermione, non sapendo fino a che punto poteva spingersi, ma sentendo nel cuore un’infinità pietà nei confronti di quell’uomo.
La ragazza non ottenne risposta, tuttavia si avvicinò ulteriormente, raggiungendo la poltrona dove era accovacciato il suo insegnante. Si inginocchiò ai suoi piedi, chiuse gli occhi, fece un profondo respiro poi allungò la propria mano, appoggiandola sul ginocchio di Piton.
Con un gesto rapido e sprezzante, Severus allontanò la mano di Hermione, la quale si ritrasse, colta di sorpresa.
“Vuole che le chiami qualcuno?” chiese, con voce tentennante.
“Voglio che tu te ne vada!”
“Mi dica cos’è successo: perché piange? Perché si dispera in questo modo?”
“Vuoi sapere perché mi dispero?” ripeté Severus, con uno strano sorriso che gli increspava le labbra.
Hermione annuì e Severus Piton scoppiò in una risata isterica che le fece accapponare la pelle.
“E perché mai dovrei piangere? Non ne ho motivo.” Continuò il professore, senza smettere di sogghignare. “Ho solamente ucciso un uomo: una cosa normale per uno come me.”
Severus Piton sembrava completamente impazzito: si dondolava sulla poltrona, incapace di rimanere fermo e il suo corpo era scosso, ora da singhiozzi, ora da scoppi di risa; gli occhi erano spalancati e pieni di furore. Hermione aveva paura, eppure non riusciva a staccare lo sguardo dal proprio insegnante: il dolore, così evidente, calamitava la sua attenzione.
“Vattene!” urlò per l’ennesima volta Severus.
Hermione non si mosse.
“Perché?” sussurrò “Perché lo ha ucciso?”
Senza rendersene conto, aveva iniziato a piangere anche lei.
“Perché? Perché sono un assassino!” sogghignò Piton, quasi compiaciuto di quella risposta.
“No, non è vero: lei non è un assassino! È un insegnante.” Piagnucolò Hermione.
“Il Signore Oscuro me lo ha ordinato e io devo obbedire!” rispose Severus, spalancando gli occhi e ponendo l’accento su quel devo.
“Perché?”
“Perché è quello che ci si aspetta da me!” urlò Severus, alzandosi in piedi e rischiando di far cadere Hermione, ancora inginocchiata a terra.
La ragazza non si mosse e osservò l’uomo avvicinarsi ad una delle finestre e guardare fuori: stava riprendendo il controllo di sé. Hermione piangeva silenziosamente e non seppe dire quanto tempo trascorse prima che Piton le rivolgesse di nuovo la parola.
“C’è una qualche possibilità che tu dimentichi quello che hai visto e sentito stanotte?” chiese Piton, guardandola dall’alto. Hermione non rispose e si limitò a ricambiare lo sguardo.
“Il mio ruolo di spia comporta alcuni… inconvenienti.”
Piton sembrava un altro uomo: il suo sguardo era freddo e distante, i suoi gesti erano calmi e misurati, la sua voce perfettamente controllata.
Il clacson di un’automobile, giù nella strada, interruppe quel silenzio imbarazzante.
Un’unica domanda impegnava la mente di Hermione e la ragazza la pose a mezza voce:
“Perché?”
“Sei pedante e ripetitiva, Granger.” Rispose con un sospiro Severus Piton. “Sono una spia, devo fare il doppio gioco: le informazioni che passo all’Ordine e la mia vita dipendono molto da quanto l’Oscuro Signore si fida di me. Per questo motivo, devo essere molto convincente e ubbidire ad ogni suo ordine. È sufficientemente chiaro, Granger?”
“È… è…” Hermione sembrava non riuscire a trovare una parola adatta. “È terribile.”
“È quello che Silente si aspetta che io faccia.”
“Ma lei soffre molto, troppo. Non può continuare così.”
“Quello che provo io non ha importanza: questa sera ho perso il controllo perché pensavo che nessuno mi avrebbe importunato; tuttavia, la tua insolenza e la tua voglia di essere sempre al centro dell’attenzione ti hanno fatto pensare di potermi disturbare e magari di poter risolvere la mia penosa situazione con un semplice incantesimo imparato a memoria su un libro.”
Piton era ritornato il solito, freddo e sprezzante professore e stava cercando di ferirla perchè se ne andasse. Ma come poteva Hermione arrabbiarsi o provare risentimento verso un uomo che soffriva in quel modo?
Si alzò e, incurante del pericolo, si avvicinò a Piton.
“Quello che fa per noi, professore, è davvero lodevole; grazie.”
Severus lesse negli occhi della propria studentessa un rispetto e un’ammirazione che non vi aveva mai visto prima; poche persone lo avevano guardato in quel modo, eppure non poteva permetterle di avvicinarsi di un altro passo e di spingersi oltre: aveva scrutato fin troppo in profondità nella sua anima, leggendovi il dolore e la disperazione e questo non poteva continuare.
“Ora che me lo hai detto, Granger, mi sento davvero molto più sollevato!” disse, senza celare l’ironia della sua affermazione.
“E ora, a letto. Subito!” ringhiò con durezza.
Hermione si riscosse come da uno stato di trance: aveva davvero pensato di abbracciare il professore più odioso di tutta Hogwarts? Si ritrasse imbarazzata e dopo avergli augurato sommariamente una buona notte, ritornò nella sua stanza.
Rannicchiata sotto le coperte, Hermione rifletteva gli avvenimenti di poco prima: non aveva mai pensato a Piton come ad un uomo che potesse soffrire; in effetti, non aveva mai pensato a lui come ad un uomo: Severus Piton era semplicemente il suo arcigno professore di Pozioni che si divertiva particolarmente a denigrare i Grifondoro. Davvero Silente gli aveva chiesto un sacrificio di quel genere? Aveva così tanta fiducia? Hermione non dubitava affatto della sincerità del proprio insegnante: il dolore che aveva manifestato era autentico e travolgente. In quel momento, provava pietà per lui e (sì, doveva proprio ammetterlo) affetto. Lui, però, l’aveva respinta, l’aveva tenuta a distanza.
Questi pensieri la tennero sveglia fino alle prime luci dell’alba.
La mattina seguente, Piton non era in casa e la ragazza non ebbe mai più modo di parlare con lui, e con nessun altro, di quanto era accaduto.

“Tu dov’eri, Hermione, quando sono arrivati i Mangiamorte?” domandò Harry, all’amica.
Hermione si riscosse dai suoi ricordi e, con un’aria stordita, iniziò il suo racconto.
“Oh, Harry non abbiamo capito: abbiamo lasciato andare Piton.” Piagnucolò alla fine.
Lei e Luna si erano fidate del loro professore: avevano pensato che andasse a combattere i Mangiamorte e ad aiutare i compagni.
Hermione scosse la testa: possibile che avesse davvero ucciso Silente? Eppure, Harry era così sicuro. L’aveva dunque ingannata quella notte di due anni prima? Aveva solo finto di soffrire per le sue azioni? Non riusciva a crederlo. Tuttavia, come spiegare cos’era avvenuto nella Torre, proprio davanti agli occhi di Harry?
La sua mente analitica e razionale prese ad analizzare la situazione per ricercare una soluzione plausibile a quanto era accaduto. L’unica spiegazione possibile era tristemente manifesta: Severus Piton si era lasciato, infine, corrompere dal male, aveva reputato più conveniente schierarsi dalla parte di Voldemort, tradendo così la fiducia di tutti loro. Ancor più drammatica era l’idea che Piton fosse sempre stato dalla parte di Voldemort e avesse ingannato spietatamente Silente in tutti quegli anni. Eppure, Hermione ne era certa, il dolore di quella lontana notte d’estate era autentico e profondo. Come aveva potuto uccidere Silente? Ormai, aveva ben poca importanza.
Se solo quella notte le avesse permesso di avvicinarsi, di toccarlo: forse, a quel tempo, c’era ancora speranza di salvarlo, di sottrarlo all’influsso malefico di Voldemort; se le avesse concesso di aiutarlo, di stargli accanto, forse ora Silente sarebbe ancora vivo. Tuttavia, Piton l’aveva respinta, giudicandola una ragazzina insignificante e incapace di comprendere una trama di eventi, un gioco sottile, troppo grande per lei. Ora, non c’era più speranza: Severus Piton si era perso per sempre e avrebbero dovuto cominciare a considerarlo, non solo come l’antipatico insegnante di Pozioni, ma come un vero e proprio nemico. Se mai un giorno lo avessero incontrato di nuovo, avrebbero dovuto combattere per le proprie vite e, probabilmente, tentare di ucciderlo. Ne sarebbe stata davvero capace.
 
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