Il Calderone di Severus


Lotta All'ultimo Inchiostro Turno XVI
Poll choicesVotesStatistics
Portatore di morte4 [36.36%]
Paura in un riflesso2 [18.18%]
Aconito2 [18.18%]
Paura dal passato1 [9.09%]
Quella paura per tutta la vita1 [9.09%]
La paura che ti incatena1 [9.09%]
Zero0 [0.00%]
Guests cannot vote (Voters: 11)

Lotta All'ultimo Inchiostro Turno XVI, Severus e il Molliccio

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view post Posted on 31/5/2011, 11:02
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Pozionista provetto

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Dalle nebbie della Valacchia

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Complimenti a Elly per la vittoria, quella storia è veramente bellissima ;)
Un gran bel turno, con un giudice gaiardo :woot: e storie tutte belle :woot: ;)
Abbiamo concluso in bellezza :D
 
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Severia
view post Posted on 31/5/2011, 11:49




Complimenti alla vincitrice :D

Questo concorso mi manca già :'(

Edited by Ida59 - 7/7/2015, 11:21
 
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view post Posted on 31/5/2011, 14:31
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I ♥ Severus


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CITAZIONE (ellyson @ 31/5/2011, 11:57) 
Non me lo ricorderò mai a Dicembre di aprire il nuovo turno. U__U

Te lo ricorderò io (o, meglio, la discussione SCADENZE in congrega). ;)
Ad ogni modo, non è a dicembre, ma da gennaio in avanti che il concorso riprenderà.


Ricordo a tutte di inviare le storie a MSStorie (anche quelle che hanno in arretrato) e di inserire successivamente le proprie recensioni alle storie votate.


Edited by Ida59 - 7/7/2015, 11:21
 
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Swindle
view post Posted on 31/5/2011, 18:49




Uff, non sono riuscita a votare... :cry:
Complimentissimi Elly! :D :D :D
 
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misslegolas86
view post Posted on 31/5/2011, 19:23




Complimenti Elly! :applauso:

Edited by Ida59 - 7/7/2015, 11:21
 
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Ekathle
view post Posted on 31/5/2011, 19:51




O.O mi sono persa qualcosa, perchè il concorso non si fa più??
Complimentissimi Elly!!!!
 
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view post Posted on 31/5/2011, 20:48
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I ♥ Severus


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Da un dolce sogno d'amore!

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CITAZIONE (Ekathle @ 31/5/2011, 20:51) 
O.O mi sono persa qualcosa, perchè il concorso non si fa più??

Il concorso viene sospeso perchè sta partendo un nuovo concorso: La poesia ispira la prosa; riprenderà poi il prossimo gennaio.

Edited by Ida59 - 7/7/2015, 11:22
 
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view post Posted on 31/5/2011, 23:33

Buca-calderoni

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Complimenti Elly!!!

Sarà dura passare questi mesi senza "Lotta all'ultimo inchiostro" e lo dico da affezionata lettrice...
 
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view post Posted on 1/6/2011, 14:24
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Grazie a tutte!!!
A Gennaio non me lo ricorderò MAI! >.<
 
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view post Posted on 1/6/2011, 20:13
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I ♥ Severus


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CITAZIONE (ellyson @ 1/6/2011, 15:24) 
A Gennaio non me lo ricorderò MAI! >.<

Tranquilla, la discussione SCADENZE in Congrega telo ricorderà... con l'aiuto di un mio MP, se necessario...

Edited by Ida59 - 7/7/2015, 11:22
 
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view post Posted on 19/1/2017, 18:18
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Lotta all'ultimo Inchiostro - Turno XVI: Severus e il Molliccio



PAURA DAL PASSATO (743 parole)di Severia

Aveva trovato rifugio nella Foresta Amazzonica dopo la guerra, quando la testimonianza di Potter lo aveva scagionato e quando, dopo lunghi mesi, aveva potuto finalmente lasciare l’ospedale, con una brutta cicatrice sul collo, ma vivo. Si era aggregato ad una spedizione scientifica composta da erbiologi e pozionisti, decisi a scoprire gli effetti di piante ancora sconosciute in Europa. Era stato un modo per fuggire dal proprio passato, dai ricordi dolorosi e dagli incubi che lo tormentavano ogni notte: l’assoluzione del Wizengamot non era sufficiente perchè potesse perdonare se stesso.
Ora, dopo quasi tre anni dalla caduta di Voldemort, cominciava a sentirsi meglio e certi ricordi sembravano più lontani.

Quella notte, Severus Piton era inginocchiato vicino ad un cespuglio di Globus Purpureus: era da tempo che i suoi studi si concentravano sulle proprietà di quella pianta, tuttavia il lavoro procedeva lentamente perché poteva raccoglierne le foglie soltanto con la luna nuova. La luce di una fiammella, conservata all’interno di un barattolo, illuminava le sue mani che si muovevano con rapidità e precisione; il solco che gli attraversava la fronte sottolineava la sua concentrazione.
Accadde all’improvviso, cogliendolo completamente alla sprovvista: un intenso dolore gli colpì l’avambraccio sinistro, come se una lingua di fuoco si fosse insinuata sotto la sua pelle. In un momento, Severus Piton ricadde nell’incubo: si afferrò il braccio con la mano destra, nel tentativo di placare quel dolore; non aveva il coraggio di sollevare la manica, ma non ne aveva bisogno perchè sapeva bene cosa stava straziando la sua carne; cominciò a sudare e a respirare con difficoltà.
La sua più grande paura era diventata realtà: l’Oscuro Signore era ritornato e lo stava chiamando; il Marchio Nero, sua eterna maledizione, doveva essere ricomparso.
“No, non è possibile, non può essere vero.” mormorò il mago, stringendo i denti.
La sua mente stava già lavorando febbrilmente: doveva scappare? Doveva rispondere?
Intanto, la vista gli si era offuscata e gli alberi intorno a lui si erano messi a girare vorticosamente.
Severus crollò a terra, mentre continuava a stringersi il braccio. Cosa sarebbe successo se non avesse risposto alla chiamata? Voldemort lo avrebbe perseguitato, fino a quando non fosse riuscito ad ucciderlo.
Doveva essere rimasto ancora un Horcrux e Lui era riuscito a tornare; quella storia non sarebbe mai finita. Come aveva potuto illudersi di essere libero?
Erano poche le cose che lo spaventavano, eppure, in quel momento, era terrorizzato: aveva paura che l’incubo ricominciasse, la guerra, i morti, le torture. Questa volta però non avrebbe lottato, non si sarebbe opposto: sarebbe toccato ad altri affrontare l’Oscuro Signore.
Severus allentò la presa sul braccio, sentì il ronzio di un serpente e vide gli occhi rossi del suo aguzzino; non poté più resistere e si abbandonò all’oblio.
*
“Professor Piton, riesce a sentirmi?”
Severus sentiva delle voci lontane, ma le palpebre erano troppo pesanti perché riuscisse ad aprirle.
“La febbre sta calando: è un buon segno. Dovrebbe riprendere presto conoscenza.”
*
“Ben tornato tra noi, professore: ci ha fatto preoccupare.”
Severus aveva finalmente riaperto gli occhi, dopo due giorni in cui era rimasto privo di conoscenza. Chino su di lui, Andrew Cook, guaritore della spedizione, gli sorrideva.
Gli ci volle circa un minuto per capire dove si trovava e che cosa fosse successo. Quando ebbe finalmente chiara la situazione, cercò invano di alzarsi dal letto: il braccio sinistro faceva ancora male.
“Dove crede di andare, professore? È ancora troppo debole, deve rimanere a letto.”
“Devo andare,” biascicò. “Lui è tornato: devo andare via.”
“Chi è tornato?”
“Lui.”
“Professor Piton, lei è stato…”
“Lei non può capire: Lui verrà qui a cercarmi. Mi ucciderà e ucciderà anche voi.”
“Professore, nessuno la vuole uccidere.”
Severus fece un nuovo tentativo di alzarsi, ma fu trattenuto dal guaritore.
“Devo andare via. Lui è tornato e anche il Marchio.”
Il guaritore prese un respiro.
“Professore, lei è stato punto da una Ignis Culex, un insetto molto velenoso. Per fortuna, l’abbiamo trovata in tempo e l’antidoto ha fatto effetto.”
“Punto? Dove?”
“Sul braccio sinistro. Se le fa ancora male, non si preoccupi: ci vorranno ancora alcuni giorni perché il veleno sparisca del tutto.”
Severus si sollevò la manica e vide una fasciatura stretta intorno al suo braccio.
“Professore, rimanga tranquillo, per favore.”
*
Dopo appena una settimana dall’incidente, Severus era di nuovo al lavoro, freddo e misurato come sempre. Ogni tanto però, inquietanti pensieri gli si affacciavano alla mente e l’unico modo per scacciarli era quello di sollevarsi la manica e controllarsi l’avambraccio.



QUELLA PAURA PER TUTTA LA VITA (750 parole) di Misslegolas


Vagava per la stanza calpestando i frammenti di vetro sparsi sul pavimento, residui di una bottiglia di vino elfico e di qualche bicchiere che nella sua ansia aveva scagliato contro il muro. Si trovava in quello stato da giorni, nella vecchia casa di Spinner’s End ormai vuota. Aveva perso il sonno e non aveva toccato cibo. Un senso di panico gli attanagliava il petto. Lo aveva sentito nascere e crescere da quella notte come un’enorme bolla che gli serrava il cuore mozzandogli il respiro.
Doveva trovare una soluzione. Non poteva essere vero. Non poteva permettere che accadesse. Non lei.
Il vino versato sul pavimento formava un’enorme macchia rossa orrendamente simile ad una pozza di sangue vermiglio: il suo sangue. Sarebbe stato responsabile anche della sua morte.
Aveva torturato, ucciso e fatto cose terribili, ma nulla mai gli aveva procurato tanto rimorso e paura come quelle poche parole rivelate al suo Signore
“Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore… nascerà all’estinguersi del settimo mese…”
Con indifferenza aveva assistito alle congetture del suo Signore nell’identificare questo nemico: per quella rivelazione lui avrebbe ottenuto sicuramente una lauta ricompensa. E invece, arrivò ben presto, l’orrore della conclusione cui era giunto il padrone: doveva eliminare i Potter, tutti i Potter.
Si era impegnato nel cercare di dissuadere l’Oscuro, di spostare la sua attenzione omicida verso qualcun altro, magari sui Paciock, ma tutto era stato inutile. Alla fine, incapace di trattenersi, lo aveva persino supplicato.
“Severus, meriti molto di più. Ci sono tante donne dal sangue molto più puro di una lurida Mezzosangue.”
La risata dell’Oscuro Signore risuonava ancora nelle sue orecchie mentre lui, prostrato a terra, chiedeva la grazia per quella vita.
L’avrebbe uccisa, non c’erano dubbi.
Ora, solo in quel salotto, tremava come scosso da un freddo glaciale. La fronte era imperlata di sudore mentre i denti battevano tra di loro. Era come se fosse tornato bambino quando si rannicchiava sotto il letto non appena tornava a casa suo padre portando con sé l’inferno. Allora temeva per sua madre eppure crescendo aveva preferito fuggire da quella casa, assistendo da spettatore al suo destino. Era stato un codardo.
Ma ora era Lily in pericolo.
Non poteva affidarla solo alla misericordia del suo Signore. Lui non aveva cuore, non poteva capire. Lily era troppo importante. Era stata l’unica luce della sua oscura vita e anche se quella luce non brillava più per lui ma per qualcun altro, non avrebbe consentito che si spegnesse nel mondo.
Questa volta doveva intervenire, doveva fare qualcosa.
Scostò la lacera tendina dalla finestra e guardò fuori. Il sole dell’alba cominciava a sorgere rischiarando il cielo nero. Con la stessa chiarezza di quei raggi, nella sua mente si fece largo l’unica soluzione: avrebbe affidato Lily alla sola persona che il Signore Oscuro temeva, al suo più acerrimo nemico. Sapeva che questo significava firmare la propria condanna a morte. Era pronto a tradire il più potente mago del mondo: ne avrebbe ottenuto in cambio dolore, terribili torture e morte. Conosceva bene i metodi spietati del suo Signore.
Ma in quel momento nulla era importante tranne, la vita di Lily.
Respirando con il fiato corto come se avesse corso a perdifiato, la mente tornò lucida. Aveva già svenduto la sua dignità ai piedi dell’Oscuro Signore, si sarebbe ripetuto anche con Silente. Per lei era pronto a sacrificare tutto, anche la vita. Non aveva paura di morire. Il vero timore, che gli attanagliava il cuore accelerando i suoi battiti, era di veder morire Lily e di esserne il responsabile. Doveva evitare tutto questo a qualunque costo.

“Severus sai che cosa devo chiederti di fare. Se sei pronto… se sei in grado.”
Uscì dall’infermeria. Non aveva paura. Era pronto a ritornare come spia tra i Mangiamorte, ad essere nuovamente esaminato da quegli occhi di fuoco.
Aveva letto una volta in un libro “La paura nasce dal timore di perdere qualcosa cui si tiene”
Lui da quattordici anni aveva perso tutto, persino se stesso.
La paura non poteva più toccarlo.
Ma si sbagliava.
Quando aveva lasciato Hogwarts, dopo il Torneo Tre Maghi, aveva ancora molto da perdere.
Non così fuggendo dalla Torre di Astronomia.
Osservando Hogwarts alla luce verdastra del Marchio Nero, constatò amaramente che la paura di perdere le persone a lui care lo aveva portato fatalmente ad essere il materiale responsabile della loro fine: sua madre, Lily, Silente.
Ora con la morte del Preside, veramente non gli restava più nulla.
Anche la paura era scomparsa, lasciando spazio solo ad un inestinguibile rimorso.



PAURA IN UN RIFLESSO (552 parole) di Ida59

Camminava veloce nel corridoio, il lungo mantello nero che gli ondeggiava alle spalle, quando il riflesso attrasse fastidiosamente la sua attenzione.
Cercò di sfuggirgli, di non prestargli attenzione, ma il suo volto, spigoloso e pallido come un fantasma, riflesso nel vetro scuro della finestra, stagliato nelle tenebre incombenti della notte, lo seguiva con tetra ostinazione, foriero di nuove colpe e di altri crudeli rimorsi che si sarebbero sommati al fardello della sua già fin troppo oberata coscienza.
Trattenne il respiro e rallentò il passo, la paura a serrargli il cuore: il volto dell’assassino lo fissava, immobile di là del vetro, crudele nell’agghiacciante silenzio di un ordine di morte che ancora avrebbe lacerato la sua anima.
Severus Piton si arrese e si girò affrontando il rogo di dolore dei propri occhi neri, fronteggiando se stesso, l’oscurità del passato che tornava a macchiargli le mani di sangue, a rendere di nuovo vive le sue paure.
Era stato un assassino e sarebbe tornato ad esserlo, uccidendo proprio il suo unico amico.
Con un gesto veloce spalancò la finestra e il suo riflesso si dissolse sullo sfondo della Torre di Astronomia che svettava nella notte nera ammantata da nuvole cariche di tempesta; abbassò lo sguardo sul prato, dove neppure un’ora prima aveva visto Silente allontanarsi dal castello con il suo mantello da viaggio, e probabilmente Potter sotto il Mantello dell’Invisibilità.
Un cupo sospiro di rassegnata sconfitta aleggiò sulle labbra sottili del mago: per mesi aveva disperatamente cercato una soluzione per salvare la vita di Albus, ma non ci era riuscito e adesso il suo tempo era finito. Il passato, di nuovo, veniva a ghermirlo, a lordargli le mani di sangue, a lacerargli l’anima che solo la sofferenza di crudeli rimorsi aveva saputo col tempo rimarginare.
Aveva paura, paura di ciò che avrebbe dovuto fare, paura di tornare ad essere ciò che un tempo era stato, paura di sentire di nuovo quelle due terrificanti parole sibilare la morte tra le sue labbra.
Aveva paura, paura di se stesso, paura di quell’ordine cui avrebbe obbedito.
Deglutì a fatica: avrebbe perso tutto, l’amicizia di Albus e quel poco che era riuscito a costruire nella sua vita a Hogwarts; sarebbe tornato ad essere un Mangiamorte, un traditore ed un assassino odiato da tutti coloro per i quali stava sacrificando la propria anima.
Severus Piton chiuse gli occhi e serrò le labbra. Niente lacrime, niente gemiti disperati. Solo il suo dovere, solo la paura, solo se stesso. E il suo dolore.
Il passato tornava ad esigere il prezzo delle sue imperdonabili colpe.
Trasse un lungo respiro colmo d’amarezza e riaprì gli occhi, nere tenebre che si perdevano nell’aria scura oltre la Torre d’Astronomia.
Gli parve d’intuire un lampo nella notte, un tenue riverbero verde a colorare i suoi ricordi, riflessi d’amore e di morte inestricabilmente congiunti, nel passato come nel presente, amati occhi verdi che svanivano in una maledizione mortale.
Chiuse di scatto la finestra e ci fu solo il suo riflesso a fissarlo, penetranti occhi neri che bruciavano di dolore e di paura al ricordo del passato che stava tornando.
Si guardò le mani e vide che il sangue era sempre lì: da quella notte lontana non se n’era mai andato via.
Fissò i propri occhi neri, colmi della disperazione e del dolore di un assassino, e ne ebbe paura.



LA PAURA CHE TI INCATENA (748 parole) di Severus Ikari

Fermo.
Immobile.
Come se qualcuno ti avesse incatenato al suolo, alle pareti. Non ci sono, ma le vedi, lunghe e pesanti catene che non ti permettono di muoverti.
Intorno a te solo silenzio, ogni rumore svanisce, ovattato dalla paura che ti colpisce all’improvviso, senza nessun preavviso, come un vecchio amico che viene a trovarti dopo anni di lontananza.
Poi in un istante un forte battito ti getta a terra, ma sei ancora incatenato dall’invisibile.
Senti il cuore esploderti in petto e i polmoni espandersi per ricevere più aria possibile, li percepisci colpire le costole: ti fa male.
La paura è un animale che ti morde senza lasciarti scampo, più cerchi di divincolarti, più la stretta aumenta, e quell’animale non aspetta altro che l’ultima goccia di sangue svanisca dal tuo corpo, esanime pezzo di carne senza più scopo d’essere.
La paura, dolce sensazione che t’attanaglia, che ti fa cadere a terra sotto il peso di un’ancora che ti trascina a fondo, ne senti l’odore, così forte da darti la nausea.
Di cos’hai paura, Severus?
Sei un uomo costantemente a contatto con il pericolo, con la morte che ti segue come un’ombra, passo dopo passo. Ne senti la presenza, ne senti la fetida puzza che t’accompagna ogni giorno.
Ma non la temi.
La desideri come si desidera una donna o un uomo.
La tua strada è tracciata da tempo, il tuo destino si deve compiere in un modo o nell’altro, nessun fallimento è contemplato, non puoi assolutamente pensare ad un fallimento. Impossibile!
Di cos’hai paura, Severus?
Hai paura di fallire, vero?
La paura distilla ogni bene in veleno, e chi meglio di te può saperlo.
Ogni notte t’immagini davanti all’Oscuro Signore, le tue difese che crollano dopo pochi secondi come una casa di legno colpita da un colpo di cannone. Nella tua testa tutto si frantuma, e ogni cosa che cerchi di nascondere sarà per lui un’arma contro l’intero mondo, ogni parola una lama che si conficca in te, rendendoti inutile e morto. Ma non temi la morte.
Temi di non portare a compimento il tuo dovere.
«Sarai pronto?», due parole sferzate come un colpo di spada, ti avevano colpito al volto e in un rivolo di sangue era uscito un «Sì», potente come un martello su un’incudine.
Ma ogni notte la paura che la risposta a quella domanda fosse solamente un “No”, t’afferrava la gola senza lasciarti respirare. Avevi risposto sì perché sarebbe stato l’unico mezzo per cancellare ogni errore commesso, ma giorno dopo giorno ti accorgevi che le macchie dell’anima non si rimuovono nemmeno con il più potente degli incantesimi.
E ogni giornata la passavi allenandoti e preparandoti all’imminente ritorno del mostro che ti aveva avvolto tra le spire di un serpente. E ogni giornata la paura di non riuscire nel tuo compito si faceva sempre più forte e la notte ti spezzava ogni anelito di vita, lasciandoti come morto nel letto umido di sudore e disperazione.
«Sei pronto?», ancora quelle due parole, più inesorabili che mai, ti costringono a fare i conti con la realtà, l’Oscuro Signore è tornato e tu hai un compito da portare avanti, nessuna paura, nessun timore, solo con te stesso.
Sei pronto, Severus a fare i conti con ciò che sei stato e con ciò che potrai essere?
Hai paura, vero? Chiunque al posto tuo l’avrebbe, ma non c’è paura se non c’è coraggio, e il timore di fallire ti fa muovere quei passi ogni giorno, un lungo percorso sconnesso tra una foresta fitta e oscura, ma quando uscirai da lì, sarai pronto, pronto per fare ciò che devi.
Quando la paura ti colpisce all’improvviso non sai cosa fare, pensi di non riuscirci, che sei soltanto un inutile fantoccio nelle mani di diversi burattinai, poi, tra le catene che non ti fanno muovere, li vedi: due meravigliosi occhi verdi, due smeraldi il cui colore si affievolisce man mano che il tempo passa, cerchi di afferrarli allungando una mano, ma quello che ottieni è soltanto un solco sulla pelle lasciato da quei vincoli di ferro. Li vedi scomparire, allontanarsi per sempre da te, ancora e ancora, ma li ritrovi negli occhi di un figlio che non è tuo, un figlio che hai giurato di proteggere a costo della tua stessa vita.
E sai che lo farai, nessuna paura, nessun vincolo, soltanto un maledetto dovere, perché chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola1.
E, compiuto il tuo dovere, non aspetti altro che morire e rivedere quegli occhi.

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1. cit. Giovanni Falcone


ACONITO (673 parole) di ParanoidAndroid


Un lieve fruscìo.
Un fruscìo, e l’odore dell’aconito lasciato a bruciare nei calderoni appena arrivati da Diagon Alley per il nuovo semestre. Odore d’erba secca, andata.
Mangiane, e proverai fino a che punto il tuo corpo può mentire.
Bevine, e nell’indaco dei suoi petali ti sarà impossibile ritrovare la via.
Toccalo, e sulla tua pelle sentirai quella stessa febbre che ti attanaglia la gola.
Sfregalo fra le mani nude. Prendine un sorso dalla bottiglia della tua dispensa. Mangiane una foglia, no, meglio, un fiore.
È quello che volevi.
Perché le tue mani, i tuoi muscoli, la tua mente possano ancora una volta vibrare di rimorso e poi trovare, finalmente, pace.
Pensaci…
Sta bruciando nel fondo ancora immacolato di quei calderoni… Lo sai anche tu che quella cenere servirà a proteggere chi li userà. Lo sai…

In un movimento più brusco del solito il lungo mantello sferzò l’aria.
Della polvere si alzò dalle pagine di un libro aperto a caso, mischiandosi con l’odore della muffa tenacemente attaccata agli spessi muri, e gli occhi cercarono avidamente il dolce riparo offerto dalle parole note, rassicuranti, esatte, di un libro di pozioni.

Cosa imbottiglierai stavolta... Sev?

Ma non rise.
Le mani furono più rapide della mente, e l’uomo che aveva posto la domanda, un uomo alto, giallognolo, dai lunghi capelli neri, si trovò spalle al muro, con la bacchetta puntata contro.
Lui sì, lui rise. Non smise neanche quando l’altro, Piton, lo trafisse con uno sguardo carico di quello che sembrava il disprezzo di una vita intera.

La risata si fece più forte, e riecheggiò nei lunghi corridoi di quella parte dimenticata di Hogwards assumendo, via via che si faceva più alta , la sfumatura tipica della follia.

Fama? Ha ha ha ha ha!
Fortuna, forse?
O forse…


Improvvisamente, quello dei due che era stato sbattuto con le spalle al muro prese le sembianze di un uomo qualunque: non più vestito di nero, e con i capelli bellamente sistemati in un taglio sbarazzino, con un paio di occhi vivi, felici.
Una maliziosa espressione di sollievo si dipinse sul volto dell’altro, espressione che ben presto dovette lasciare il posto allo sgomento, nel vedere che il nuovo nemico si avvicinava lentamente a lui, sorridendo.

O forse… Perdono?

Mentre così diceva, si fermò. Lentamente si tolse la giacca variopinta, poi la camicia, e si puntò la propria bacchetta all’altezza esatta del cuore.
L’altro parve esitare un poco, ebbe un sussulto. Sul suo viso si dipinse il terrore.

- Fallo - disse l’altro – Dimentica…-


Fu un attimo. L’uomo che aveva appena parlato parve prendere le sembianze di un vecchio alto e barbuto, ma nessuno avrebbe potuto esserne certo poiché si tramutò repentinamente in una canuta ballerina di tip tap.

- Buonasera, Severus. Volevo comunicarti che d’ora in poi non dovrai più preoccuparti di insegnare Occlumanzia a Potter. –

Un fruscìo, stavolta ancora più rapido, e Piton immerse la sua faccia nel libro che aveva aperto poco prima.

- Vedo che finalmente ti sei arreso. Ci sarebbero più probabilità di insegnare a un Troll a lavarsi i denti. –


- Conosco Troll molto ben educati se vuoi saperlo…- sorrise Albus Silente, con i penetranti occhi azzurri che, da dietro gli occhiali a mezzaluna, si soffermavano bonari su ogni particolare della stanza. – Ah, vedo che stai inaugurando i nuovi calderoni… sai, credo che dal prossimo anno dovremmo lasciare che siano i ragazzi a bruciare l’aconito in segno di protezione –

- Buona idea, se vuoi che per colpa di qualche marmocchio alle prime armi finiscano tutti intossicati. Davvero, sarebbe un ottimo modo per fare una prima scrematura degli incapaci.-

Noncurante Silente si voltò, gettò una rapida occhiata al baule semiaperto che giaceva accanto al tavolo. Poi, incamminandosi verso l’uscita, disse:

- Quel baule è piuttosto malandato... Se può interessarti pare che Mundungus ne abbia sottomano di ottimi, mogano e noce… purtroppo per lui il fatto che siano infestati da Mollicci gli sta facendo guadagnare poco…-

Così dicendo, Silente si chiuse la porta alle spalle.
Piton si voltò, guardò il baule, e tornò alle sue pozioni.




Zero (750 parole) di di Swindle

zero.
Severus spalanca gli occhi. Uno sguardo di profonda ossidiana si fissa al soffitto.
Non è davvero arrabbiato con Paciock. Anzi, trova sia grottesco che la paura più grande del Grifondoro sia proprio lui.
Stupido ragazzino. Troppo giovane per sapere realmente cosa sia la paura.
È forse questo che lo fa arrabbiare: da quando ha scoperto l’umiliazione subita, non riesce a smettere di pensarci.
Si chiede quale sia la sua paura più intima.
E si irrita, nel rendersi conto di non avere una risposta.
E si sdegna, nel sapere che potrebbe avere l’occasione di scoprirlo, ma per qualche motivo non può.
E si adira, nel capire quanto sia importante.
Tanto quanto lo era riflettersi nello Specchio delle Brame.
Non si può conoscere l’altro, se prima non s’impara a comprendere se stessi.
E questo concerne i desideri così come le paure.
Tutto ciò che deve fare è alzarsi da quel maledettissimo letto e recarsi nell’aula di Difesa contro le Arti Oscure, prima che Lupin porti via il Molliccio.
Eppure non riesce, non può.
Con una smorfia amara si domanda se non sia proprio quella la risposta che sta cercando: ha timore di sapere quale sia la sua vera paura?
E forse è proprio questo pensiero che lo fa scattare.

uno.
Il primo passo fuori dalle sue stanze personali è terribilmente pesante.
Si ricorda ancora delle sue paure da ragazzino. Alcune erano infantili, altre non lo erano affatto.
Non essere un mago. Ma poi aveva compiuto la sua prima magia involontaria.
Ha indosso una veste da notte nera, lunga fino alle caviglie, con sfumature di un cupo verde che gli danzano addosso ad ogni movimento.
Non avere amici. Ma poi aveva incontrato Lily.
La ronda quella notte è di Gazza, e lui conosce i suoi tragitti. Non lo incontrerà.
Essere abbandonato dalla madre. E poi lei era morta.
Ogni passo che muove è più veloce, e allo stesso modo incalzano le memorie di timori passati.
Non diventare qualcuno. Ma poi era stato accolto dal Signore Oscuro.
Cammina speditamente, ma il suo corpo non produce nessun rumore.
Continuare ad essere sottomesso al suo odioso padre babbano. Ma poi si era vendicato. Da Mangiamorte.
Un corridoio, delle scale, un altro corridoio.
Avere commesso un terribile errore. Ma poi si era inginocchiato davanti a Silente, sperando che non fosse troppo tardi.
Si ferma un attimo, con il respiro accelerato.
Perdere Lily per sempre. E poi Voldemort l’aveva uccisa.

due.

Il corridoio del secondo piano fino all’aula è breve.
Venire scoperto; che qualcuno conoscesse il suo segreto. Ma Silente non l’ha mai tradito.
Cammina con più lentezza, e la sua andatura è impercettibilmente meno decisa.
Essere tormentato dal ricordo di Lily. E da tre anni è costretto a rivedere i suoi occhi accusatori in quelli del figlio.
Aggrotta le sopracciglia. E adesso? Quali sono le sue paure per il futuro, per il presente?
Il ritorno di Voldemort.
Di nuovo dolore, sofferenza; provocata o subita.
La morte delle persone a cui tiene; Silente. E se dovesse essere costretto a ucciderlo lui stesso?

Con un moto di sorpresa si rende conto di essere arrivato alla meta.
No, nessuna di queste cose gli fa davvero paura.
Perchè riprenderà il suo ruolo di spia. E farà ciò che dovrà essere fatto.
Quindi cosa?

Poggia una mano sul pomello della porta.
La morte?
Ecco, oramai è arrivato. L’armadio del Molliccio è lì, in fondo alla stanza. Non ha più scampo.
Si avvicina, la mente oramai vuota da qualsiasi pensiero.
Sfiora il legno con le dita, quindi la maniglia. Esita un attimo.
No, la morte non gli fa paura. Non più.
Se lui non riesce a capire quale sia la sua paura, il Molliccio lo farà per lui.

tre.
Due occhietti acquosi e slavati lo fissano in mezzo ad un’indefinibile massa oscura di materia.
Severus lo osserva confuso e basito, con un sopracciglio alzato, e l’esserino risponde al suo sguardo.
Può quasi vederci un’assurda domanda: cosa ti aspettavi?
E poi il Molliccio si volta, nella sua reale forma, e ritorna nel suo armadio.

zero.
Nemmeno il Mutaforma ha saputo dargli una risposta.
Si può forse ingannare, dicendo che la sua paura è la paura stessa. Sarebbe poetico, filosofico.
Ma non sarebbe la verità.
Nel suo letto, si chiede quale sia la sua paura più intima.
Non sa rispondersi. Ma non prova più nulla. È come se ormai non fosse più vivo.
Zero emozioni, zero desideri, zero paure.
Uno sguardo di profonda ossidiana si fissa al soffitto. Severus chiude gli occhi.
Zero.


PORTATORE DI MORTE (744 parole) di Ellyson


Si avvicinava a lui lentamente.
Un ossuto dito annerito lo puntava minaccioso.
Severus sapeva che era solo frutto delle sue paure. Sapeva che quello che vedeva non era reale, eppure dentro di lui qualcosa si era spezzato nel momento in cui si era aperto quel vecchio baule dove da qualche giorno si era annidato un molliccio.
Uno stupido molliccio.
Eppure quel ridicolo essere era stato in grado di paralizzare la sua mente analitica, di congelare ogni suo pensiero e la sua bacchetta restava inerme lungo il fianco, stretta da una mano fredda come quella di un cadavere.
Ma tu sei un morto che cammina…
Le iridi celesti del molliccio brillarono maligne dietro le lenti a mezzaluna.
Un incubo.
Solo un incubo. Un parto della sua mente ormai sull’orlo dell’oblio.
Mi hai ucciso…
Le labbra restavano immobili, sigillate sul volto allungato della sua ultima vittima.
Sono una tua vittima…
Eppure sentiva la sua voce nella mente, rimbombava nel suo animo lacerato, in quell’ultimo brandello di umanità che voleva – doveva – celare a tutti.
Fece un passo indietro mentre la creatura si avvicinava. Il dito nero lo indicava di nuovo. Accusatorio e maligno che lo putava come una vecchia bacchetta ringrinzita.
Assassino…
Una condanna nella sua mente stanca.
Un epiteto che rimbombava nelle vie di Londra, per i corridoi della scuola che l’aveva accolto quando il mondo lo aveva abbandonato; un’accusa sulle labbra dei maghi che proteggeva facendosi odiare.
Assassino…
Lo era davvero. Uno sporco assassino. Un orrendo essere che non aveva battuto ciglio sulla quella Torre.
Un mago che non si era fatto scrupoli ad uccidere l’unico che poteva salvarlo dalla sua stessa anima nera.
Solo una pedina che aveva risposto ad un ordine.
Debole…
Fece un altro passo indietro mentre quella mano annerita e raggrinzita come quella di un Dissennatore si avvicinava sempre di più fin quasi a sfiorargli la veste nera; drappo della notte che aveva rubato nella vana speranza di sparire, annullando la sua esistenza.
Portatore di morte…
Avrebbe voluto tapparsi le orecchie e urlare per far tacere quella voce, ma sapeva che nessun rumore poteva attutire lo stridio dei brandelli della sua anima.
La gente attorno a te muore…
Aumentò la presa attorno alla bacchetta fino a far diventare bianche le nocche della mano.
Muoiono tutti per causa tua…
Le iridi scintillarono e il celeste lasciò il posto allo smeraldo.
Indietreggiò ancora trattenendo a stento un gemito di dolore.
Per causa tua…
Chiuse gli occhi, cercò nella sua mente qualcosa a cui aggrapparsi con tutte le sue forze. Un’immagine, un ricordo, un momento felice per cercare di scacciare quella paura: la consapevolezza che chiunque lo amasse prima o poi moriva, la maggior parte delle volte per causa sua.
La sua vita non era costellata da momenti felici, i suoi ricordi più piacevoli erano ancora legati all’infanzia quando gli unici segni sul suo corpo erano i lividi che gli lasciava suo padre. Ma ogni livido corrispondeva ad una carezza di Lily, ogni delusione ad una sua parola di conforto; non era poi così doloroso rimembrare il passato.
La mano che stringeva la bacchetta si alzò mente il molliccio si avvicinava e i capelli argentei di Silente mutavano in lunghi fili ramati.
“Riddi…”
Severus… ti prego…
I vestiti di Albus mutarono in una nube di fumo per prendere poi le fattezze degli abiti che indossava Charity Burbage. Due lacrime rigarono il volto della creatura.
Non più Albus. Non più Lily. Non più Charity.
Ma solo morte.
Morti che lui non era stato in grado di evitare.
La tua mente brillante non è stata in grado di fermare la maledizione che mi stava consumando…
Sibilò la voce di Albus.
Il tuo amore mi ha ucciso…
Sussurrò la voce di Lily.
Sei rimasto a guardare…
Esalò Charity.
Velocemente le fattezze del molliccio iniziarono a mutare diventando i volti degli studenti che aveva giurato di proteggere; i colleghi da cui si era fatto odiare.
I membri dell’Ordine che si sentivano traditi.
Potter con il suo sguardo carico d’odio.
Tu ci hai ucciso…
Tutti sarebbero morti a causa sua. Tutte morti che non sarebbe stato in grado di fermare.
La mano che stringeva la bacchetta tremò appena.
“Expulso!”
Il molliccio esplose come una nuvola di polvere.
Severus osservò il punto dove pochi istanti prima c’era il molliccio. Uscì dall’aula prima che la creatura potesse ricomporsi e rintanarsi di nuovo nel baule.

Infelice il Paese che non ha eroi.
No, beato il Paese che non ha bisogno di eroi.*

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* citazione di Bertold Brecht – Vita di Galileo
 
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