Il Calderone di Severus


Lotta all'Ultimo Inchiostro - Turno XIII
Poll choicesVotesStatistics
#2: Baciami, stupido3 [23.08%]
#5: Amico Serpeverde3 [23.08%]
#6: Verde3 [23.08%]
#7: Angelfire2 [15.38%]
#1: Nessuno può capire!1 [7.69%]
#4: Ritornare1 [7.69%]
#3: Anima Nera0 [0.00%]
Guests cannot vote (Voters: 13)

Lotta all'Ultimo Inchiostro - Turno XIII, Sala Comune Serpeverde

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Ale85LeoSign
view post Posted on 30/3/2011, 19:29




Complimenti alle due vincitrici! :woot:

:ola: :ola:
 
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Ekathle
view post Posted on 30/3/2011, 22:26




Grazie mille! :) complimenti a tutte quante, erano storie fantastiche! :applauso:
Bravissima a Helena, mi dispiace per la parità, meritavi di vincere perchè è davvero una storia bellissima!
Entro domani sera circa vi dirò il nuovo tema, così avrete tempo per sbizzarrirvi!
 
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Helèna Velena
view post Posted on 30/3/2011, 22:41




Ma no io son contenta lo stesso, anzi piuttosto meritavi tu e comunque cara parimerita ora sei il Giudice :))
:applauso: In bocca al loop e un Severus anche a te, anzi tre!!
:applauso: :applauso:
 
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Severia
view post Posted on 31/3/2011, 08:53




Complimenti alle vincitrici :)
 
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arcady
view post Posted on 31/3/2011, 13:58




:applauso: :applauso: :applauso: Alle vincitrici!!!
Ma anche a tutte le altre :D


Edited by Ida59 - 12/8/2015, 23:47
 
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misslegolas86
view post Posted on 31/3/2011, 19:55




Complimenti alle vincitrici e ....a tutte le altre!!
 
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view post Posted on 17/1/2017, 18:45
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Lotta all'Ultimo Inchiostro - Storie partecipanti al XIII° Turno: Sala Comune Serpeverde




#1: Nessuno può capire!(612 parole) di Ida59


La porta di pietra scorrevole si è appena chiusa alle mie spalle; cammino per il lungo sotterraneo, basso e cupo, i passi lenti che rimbombano sul pavimento di pietra e il mantello che mi ondeggia alle spalle: sono nella Sala Comune di Serpeverde e gli allievi mi salutano con un silenzioso cenno del capo.
Mi siedo sulla mia poltrona di pelle verde dall’alto schienale rigido, la scocca di legno scuro, quasi nero, scolpita con scene intricate di antichi duelli magici; è questo il mio posto, devo stare vicino ai miei ragazzi per impedire che, come me un tempo, cadano nelle spire del velenoso serpente che ha bruciato la mia anima. Non è un compito facile, il mio: devo stare attento a non tradirmi rivelando i miei veri pensieri, ma al contempo devo cercare d’impedire che diventino vittime dell’Oscurità, devo riuscire a individuare in tempo chi sta per cadere nel baratro e tendergli la mano, per salvarlo! Sono proprio gli studenti della mia Casa quelli più a rischio, quasi tutti figli di Mangiamorte o di Purosangue che già inneggiano l’Oscuro Signore quale vendicatore della purezza del sangue. Già, proprio lui, un Mezzosangue come me!
Ho sangue Babbano nelle vene, è vero, e ho odiato mio padre per questo, ma ho anche amato Lily e per lei sono stato l’orgoglioso Principe Mezzosangue, perché era proprio il nostro sangue Babbano che ci univa.
Ti osservo, Draco, seduto da solo su un divanetto, sempre più pallido e nervoso, gli occhi chiari cerchiati da occhiaie rese ancora più scure dai giochi d’ombre che le fiamme del camino disegnano sul tuo viso smunto, dove, a fatica, cerchi di mantenere l’aria altezzosa che hai appreso da tuo padre.
Da mesi mi occludi la mente e non posso scoprire i tuoi pensieri, ma scommetto che non sono quelli tronfi d’orgoglio per la missione che l’Oscuro Signore ti ha affidato, come vuoi fai credere a tua zia. I nostri sguardi s’incrociano e ti trovo impreparato: per un attimo riesco ad entrare nella tua mente e trovo il terrore, la paura di fallire e di morire, portando con te la tua famiglia.
Distolgo lo sguardo prima che tu possa accorgerti che sono penetrato nella tua mente e sospiro: non avere paura della morte, Draco, potrebbe essere una liberazione.
Osservo i globi verdastri delle lampade che pendono immobili dal soffitto di pietra, trattenuti da spesse catene: spero che tu non debba mai scoprire che vivere può rivelarsi la peggiore delle condanne.
Pansy cerca di distrarti, si siede sul divano accanto a te per fare le fusa; la respingi bruscamente ma lei insiste, parlate sottovoce, poi sbotti:
- Vattene, lasciami stare, non puoi capire!
Alzi lo sguardo irato e incroci il mio:
- Nessuno può capire! – gridi alzandoti di scatto e dirigendoti verso la porta.
Ti sbagli, Draco, io posso capire, nessuno più di me può comprenderti a fondo. E posso anche aiutarti, non vorrei altro, se solo tu ti confidassi…
- Draco…
Ti fermi davanti a me, solo un istante, le lampade ad illuminare con una sfumatura verdastra il pallore della tua disperazione, e sibili:
- Lei continui la sua recita… io penso alla mia!
Scuoto il capo e sospiro: ho sempre recitato così bene che anche tu mi credi dall’altra parte, Mangiamorte fedele ad un padrone esecrato. Eppure, sono sicuro che la maschera che indossiamo sia la stessa, che recitiamo la medesima scena e che tu, alla fine, non leverai la bacchetta contro Albus.
L’ho promesso, proprio a lui, e lo manterrò: non lascerò che la tua anima si laceri, com’è stato per la mia.
Così, se non ci sarà altro modo per salvarti, sarò io ad alzare la mia bacchetta, Draco.





#2: Baciami, stupido (750 parole) di Ekathle


“Hai perso. Adesso devi baciarmi”.
Melanie avanzava sempre di più verso Severus, stretto nell’angolo del divanetto. Gli occhi le brillavano della luce della vittoria.
“Lo hai promesso. Avanti!”
Severus si sforzò di assumere un atteggiamento intimidatorio.
“Hai barato, lo so. Ti sei fatta aiutare.”
“Non è vero!” strillò lei, serrando i pugni. “E comunque, cosa importa? Volevi il tuo stupido libro di Occlu-non-so-che, e l’hai avuto, per cui adesso devi rispettare il patto!” E si rimise in posizione di attesa con un sorrisetto malizioso.
Lo stesso che deve aver rivolto a quel babbeo di Lumacorno per avere il permesso! pensò Severus, irritato. Altrimenti, come avrebbe mai potuto riuscire ad entrare nel Reparto Proibito e a sottrarre un libro, mentre lui aveva fallito? Doveva aver ricevuto un aiuto. Non avrebbe mai fatto quella scommessa, se non fosse stato sicuro di vincerla.
Eppure, aveva perso, e adesso Melanie lo fissava impaziente dall’altro lato del divano.
Del resto, era pur sempre una Serpeverde anche lei. Aveva fatto male a sottovalutarla.
“Dobbiamo restare proprio qui?” disse Severus, con un tono che voleva essere noncurante.
A Melanie tuttavia non era sfuggito il lievissimo tremito che aveva incrinato la voce del ragazzino, e che tradiva l’imbarazzo celato dietro a quegli occhi impenetrabili.
“Perché, ti vergogni per caso?” sogghignò. “Se preferisci la Sala Grande…”.
“No, va benissimo” si affrettò a rispondere Severus.
“In effetti, non hai scelto un posto molto romantico”.
“Romantico?” ripeté Severus disgustato. “Ma cosa dici?”
Melanie non mostrò di averlo udito. Si era alzata, e stava gironzolando per la Sala deserta, sfiorando i divanetti, facendo scorrere le piccole dita sulle volute di pietra del caminetto. Sembrava assorta nei suoi pensieri.
Severus colse la palla al balzo: senza far rumore, si allontanò dal divanetto verso la grande porta scorrevole in pietra. Ancora pochi metri e avrebbe guadagnato l’uscita.
“Anzi, secondo me è davvero troppo lugubre”.
Severus imprecò mentalmente per essere caduto nel tranello. Si voltò con studiata lentezza, per incenerirla con uno sguardo, ma Melanie stava già camminando verso la parte opposta della stanza.
L’enorme libreria era così scura che sembrava ricavata da un unico blocco di onice. Era zeppa di volumi; alcuni, che giacevano aperti sugli scaffali, esibivano pagine ricoperte da simboli astrusi e appunti scritti a margine. Il tutto, unito alla luce verdastra che si spandeva dai lampadari, concorreva a dare alla stanza un’aria suggestiva e austera assieme.
Severus adorava quella libreria. Era ad Hogwarts solo da pochi mesi, ma la maggior parte degli appunti erano suoi. Per lui, quella libreria era come un forziere pieno di tesori.
Melanie invece non sembrava pensarla così.
“E’ tutto così cupo, così…verde!” disse afferrando un volume a caso e sbattendolo nuovamente giù con stizza.
Qualunque ragazzino nella posizione di Severus le avrebbe dato ragione Ma, ovviamente, non Severus.
“ Sono i colori della nostra Casa” disse con tono saccente. “Apparteniamo a Serpeverde, non a Farfallagialla o qualche altra assurdità”.
“Lo so bene, e casomai me lo dimenticassi ci sono tutte queste statuette a ricordarmelo!”. Agguantò un gargoyle di alabastro alto come mezzo braccio e lo sollevò in aria, come se volesse romperlo da un momento all’altro. Invece, lo appoggiò sul tavolino vicino a Severus.
“La sala di Corvonero ha delle finestre enormi; al tramonto la luce ci passa attraverso e diventa di mille colori…” disse sognante.
Severus si chiese se il Cappello Parlante fosse stato sobrio, quando aveva assegnato Melanie a Serpeverde.
“Una sala comune deve essere funzionale. Noi siamo qui per studiare, non per fare altro”.
Non appena ebbe finito la frase, seppe di essersi rovinato.
“Oh, ma noi siamo qui per fare altro, ricordi?” Melanie tornò a sedersi, a pochi centimetri da lui.
In quel momento, alcuni ragazzi varcarono la soglia e si fermarono incuriositi a guardarli. Persino gli antichi Serpeverde famosi, che avevano seguito la scena dalle loro cornici, si spostavano di ritratto in ritratto per vedere meglio.
“D’accordo, però…chiudi gli occhi!”
Melanie ridacchiò e obbedì.
Severus si guardò intorno nel tentativo di farsi venire in mente qualcosa. Poi, lo vide. La sua salvezza era posata sul tavolino accanto a lui.
Prese delicatamente il gargoyle di alabastro.
“Sei pronta?”

L’urlo della ragazzina, seguito da scoppi di risa degli altri studenti, fece tremare anche la vetrina delle coppe. Melanie scaraventò a terra il gargoyle che aveva baciato.
“Sei un mostro!” sibilò, gli occhi pieni di lacrime. Poi fuggì via.
Severus rimase seduto sul divanetto, immobile. I ritratti, dal muro, lo fissarono con disprezzo. Durante tutta la sua vita, non avrebbero più mutato quello sguardo.





#3:Anima Nera (750 parole) di arcady


Severus si svegliò bruscamente,dopo un paio d’ore di sonno tormentato.
L’eco di ciò che era accaduto, tutto il dolore e il rimorso che provava, si riversarono sul suo petto dandogli la sensazione di soffocare.
Tentò di scacciare il pensiero intollerabile affondando con forza il viso nel cuscino, ma fallì miseramente.
Si rigirò, supino, così da riuscire a respirare, ma il fiato lo tradì e dalla sua bocca uscì solo un suono simile ad un singhiozzo.
Era il primo giorno di Novembre, fuori albeggiava e, attraverso i tendaggi appena scostati del suo letto a baldacchino, poté osservare le ombre abbassarsi e i raggi inclinati del sole farsi strada sulla parte alta delle pareti umide.
C’era poco spazio per la luce nei sotterranei in cui si trovavano la stanza e lo studio che Silente gli aveva offerto, insieme al posto di insegnante di Pozioni. Ma a Severus non importava della luce: lo spettacolo del bagliore mattutino non faceva per lui, e non gli sembrava onesto tutto quello scintillio, soprattutto non dopo quella maledetta notte, quella in cui aveva perso il suo bene più grande.

Bisognoso di ombra più che mai, girò lievemente la testa di lato socchiudendo gli occhi, come a voler mettere a fuoco un pensiero indistinto, confuso.

-------------------


Aveva undici anni, era arrivato ad Hogwarts da poche ore e stava partecipando alla cerimonia di smistamento che lo avrebbe destinato alla casa di Serpeverde, a differenza di Lily che venne smistata a Grifondoro.
Fu grande la delusione provata nel vedersi separare da lei, l’unica amica che aveva. L’unica che avrebbe mai avuto.
Quella stessa sera, dopo il banchetto, entrò per la prima volta nel luogo dove avrebbe passato gran parte dei sette anni successivi a studiare, riflettere o sbollire la rabbia e l’umiliazione per l’ennesimo attacco da parte di Potter e seguito adorante.
La sala comune dei Serpeverde si estendeva soprattutto i n lunghezza, coerentemente con la struttura degli ambienti dei sotterranei che erano, perlopiù, un labirinto di corridoi.
Varcata la soglia nascosta dietro il muro bianco, si entrava nella sala scendendo tre lucidi scalini di marmo, dopo di che, i piedi trovavano ad attenderli sontuosi tappeti di colore verde scuro, con decorazioni a ghirigoro sulla tonalità più brillante dell’argento; al centro di ognuno di essi era ricamato lo stemma con il serpente, simbolo della casata.
Non vi era traccia dei quadri che ornavano il resto del castello e, ad abbellire le pareti, erano solo drappi verdi e argentati e una grande quantità di torce a distanza regolare l’una dall’altra.
Dal soffitto basso pendevano lunghe e molli ragnatele di catene scure e pesanti e, appese ad esse, almeno una dozzina di sfere di cristallo irradiavano una luce soffusa e verdastra.
Al centro della sala troneggiava un tavolo imponente, in legno massiccio intarsiato e gambe a sciabola. Sulla sinistra due divani di pelle nera trapuntata, morbidi e austeri al tempo stesso, creavano un angolo caldo intorno al grande camino di marmo bianco, sulla cui sommità faceva mostra di sé un bassorilievo realizzato con marmo screziato verde antico, che raffigurava un serpente attorcigliato ad uno scettro.
In fondo alla sala, una maestosa vetrata incorniciata da un arco a sesto acuto alto fino al soffitto, mostrava le acque torbide del lago nero.

Appena mise piede nella sala, Severus rimase incantato ad osservare il fasto che lo circondava: tutto, lì dentro, sembrava sussurrare “potere”.
Un sorriso obliquo gli attraversò il viso: faceva parte di qualcosa di grande, per la prima volta nella vita. Era stato smistato in quella casa per avere la possibilità di dimostrare, a tutto il mondo magico, il suo valore. Mosso dalla sete di conoscenza e dal desiderio di primeggiare, si impegnò duramente per questo; non aveva familiarità con sentimenti come lealtà e fiducia, non gli erano stati insegnati e non lo interessavano.
Anni dopo, quando decise di seguire il Signore Oscuro, si ritrovò a sostenere un ideale che non condivideva, nell’illusione di ottenere la considerazione tanto agognata e di compensare la totale mancanza di amore nella sua vita; ma, in tutto questo, dimenticò completamente il rispetto dovuto alla sua stessa anima, che si macchiò in modo irreversibile.
E il marchio impresso sul suo avambraccio glielo avrebbe ricordato. Per sempre.

-------------------


Si girò di fianco serrando le palpebre, tirò a sé il lenzuolo e strinse i pugni fino a tagliarsi i palmi delle mani con le unghie.
Poi pianse.
Quelle furono le sue ultime lacrime, e non seppe mai se furono per Lei o per se stesso e la sua anima lacerata.





#4:Ritornare (732 parole) di Severia


“Salazar” sussurrò Severus Piton.
La parete si aprì, rivelando lo stretto corridoio di pietra. Il mago lo attraversò e, al suo passaggio, le lampade si illuminarono, disegnando ombre cupe.
Severus si trovò in un’ampia sala rettangolare, completamente deserta e silenziosa. Lasciò che i piedi affondassero tra i fili verdi e argento di un grande tappeto e un brivido gli corse lungo la schiena, senza che il mago si scomponesse: non avrebbe mai pensato di ritornare ad Hogwarts, soprattutto nel ruolo di insegnante.
I ritratti alle pareti sonnecchiavano, godendosi le ultime ore di tranquillità; lo sguardo di Severus si soffermò sulla parete di destra, dove un grande dipinto raffigurante lo stemma di Serpeverde sovrastava un lungo tavolo di legno massiccio.
Ed ecco che i ricordi gli annebbiarono la vista.

Severus aveva undici anni e frequentava la scuola solo da qualche giorno. Quella sera, se ne stava chino sul tavolo della sala comune a svolgere i compiti di Incantesimi, quando uno studente alto e biondo si sedette accanto a lui e prese a fissarlo. Severus incrociò quegli occhi e rimase immobile: il ragazzo emanava una forza magnetica e un’autorevolezza straordinaria.
“Tu sei Severus Piton, vero?” chiese Lucius Malfoy, in tono pacato.
Severus si limitò ad annuire con la testa.
“Sei contento di essere finito nella prestigiosa Casa di Salazar Serpeverde?”
“Certo.”esclamò orgoglioso il mago più giovane.
“Bene, allora cerca di esserne degno. Mi aspetto grandi cose da te.” concluse Malfoy con un’espressione soddisfatta, poi si allontanò dal tavolo.


Severus ritornò in sé, ancora immobile al centro della stanza, mentre il serpente araldico lo guardava dal muro. Si voltò allora dall’altra parte ad esaminare il camino di marmo e i suoi lugubri teschi intagliati.

Severus aveva trovato posto su una delle poltrone verdi, vicino al camino e aveva immerso il lungo naso nelle pagine di un vecchio tomo dalle pagine ingiallite. Sul divano, Avery e Mulciber mettevano a punto un piano per sorprendere e divertirsi un po’ con Mary Macdonald. Severus non se ne meravigliò: in fondo la ragazza era una Sanguesporco.

“Ma guarda un po’ chi abbiamo qui: Severus Piton. O dovrei chiamarla Professor Piton.”
Il mago trasalì a quelle parole che sembravano provenire dal nulla, poi una figura madreperlacea attraversò la parete e gli si pose davanti, fluttuando a mezz’aria.
“Barone Sanguinario.” Severus chinò leggermente la testa in segno di saluto.
“Non pensavo di rivederla.” continuò il Barone.
“Nemmeno io.” rispose secco Severus, che non aveva gradito l’intrusione del fantasma.
Ci fu una pausa di silenzio durante la quale Severus si trovò a fissare il sangue argentato sugli abiti del fantasma, pensando a quello che di solito macchiava i suoi.
“Rammento ancora quando si aggirava in questa Sala Comune,” riprese il Barone. “Sempre con qualche libro sottobraccio: era uno studente brillante.”
“Una memoria eccezionale, Barone, visto che sono passati solo tre anni.” ribatté il futuro professore.
“Pungente e sarcastico: me ne compiaccio. Ricordo anche che inseguiva la grandezza e il potere: li ha raggiunti?”
Severus strinse i pugni e si chiese cosa in realtà sapesse di lui quel fantasma impertinente.
“Sì, credo di sì. Ma, come si dice, più in alto si sale più rovinosa è la caduta.”
“Tipico di molti Serpeverde: la nostra ambizione ci spinge sempre più in alto e faremmo qualunque cosa per arrivarvi, senza più distinguere ciò che è bene da ciò che è male. Dovrà stare attento d’ora in poi, professor Piton.”
E calcando l’accento su quel professor, il Barone si dileguò, attraversando il soffitto.
Severus, leggermente scosso dalle parole del fantasma, oltrepassò la stanza e si diresse verso i dormitori. Varcò la porta e raggiunse quello che per sette anni era stato il suo letto; scostò le tende verdi e vi si sedette sopra. Quante volte aveva sognato Lily, sdraiato su quel letto e, al pensiero della ragazza, il giovane mago iniziò a piangere: pianse le decisioni sbagliate, le colpe, il rimorso; pianse perché i suoi sogni si erano infranti; maledisse quella Sala Comune dove aveva fatto le amicizie sbagliate, dove aveva creduto che per essere felice avrebbe dovuto rincorrere il potere. Pianse per Lily, perché la sua sete di grandezza l’aveva condannata a morte.
Dopo alcuni minuti, Severus si ricompose: gli studenti sarebbero arrivati presto e lui non poteva mostrarsi debole. Si lasciò alle spalle la Sala Comune dei Serpeverde per rinchiudersi nel suo ufficio, mentre un’eco l’accompagnava:
“Dovrà stare attento d’ora in poi, professor Piton.”





#5:Amico Serpeverde (692 parole) di Helèna Velena


Miei, miei!
Dovrebbero essere miei, questi divani neri, questi due monumenti alla disputa, all'inimicizia fra privilegiati; contrapposti come sono, affacciati l'uno verso l'altro e troppo vicini, sembrano messi là per lungo calcolo, suggeriscono le regole non scritte di Serpeverde.
Come dire: non rilassarti, misero uomo, per quanto comodi e familiari possiamo sembrare, qui si preparano duelli, si ordiscono intricate macchinazioni, si consumano strategie di parole che prima o poi si riveleranno pericolose.
Sono io il Capo Casa, qui. E' la sala comune dei miei rampolli, e dei miei divani, e di tutti gli stendardi verde e argento alle pareti, e ne rispondo io, maledizione!
Ma si è seduto prima lui, senza nemmeno chiedere non dico il permesso, ma almeno esprimere un lievissimo indugio, una impercettibile esitazione.
Dritto e deciso come una pugnalata, perché si chiama Malfoy.
La stanza in penombra, piena di luci verdastre, si rischiara di una sfumatura ostile all'argento dorato dei suoi capelli. Serpeverde gli risponde, perché Lucius, più di tutti, si comporta come se fosse il proprietario definitivo del mondo.
Con la Magia accende il camino, poi una lampada verde che domina il tavolo più prossimo.
Rifulgono i serpenti color acciaio sugli imponenti stendardi, si illuminano di rimando i tre lampadari a ruota, che appaiono in tutta la loro gloria come arredi forgiati da strumenti di tortura.
L'antica sala sembra avermi messo da parte, finché c'è lui.
Non rifletto quella luce sinistra e quella breve gloria.
In fondo...
Quando Serpeverde attacca, lo fa dall'ombra.

Dopo tutti questi anni posso finalmente tenergli testa, ho percorso anch'io la mia strada, ho ottenuto a modo mio le più terribili conquiste.
Lucius sorride in quel suo modo freddo e io so... che ha qualcosa in mente, e che di sicuro ha già vinto.
Apro con la mia Magia un mobile scuro intagliato sul davanti, un altro strumento di tortura. Solo io conosco la formula, guai se lo sapessero i ragazzi!
Là dentro c'è il mio bar personale. Offro da bere a Lucius facendolo anche scegliere, l'ospitalità tra sfidanti non si discute.
Entrambi seduti sui divani, ora, contrapposti come certamente vuole l'ordine delle cose a Serpeverde, ci scambiamo i soliti convenevoli e poi le solite frecciate.
Entrambi sapremmo uccidere, dissimulare e fingere per ottenere con l'inganno ciò che vogliamo.
Che cosa vuole Lucius?
Siamo amici come possono esserlo solo due Serpeverde: accomunati da una temporanea convenienza che nel nostro caso si trascina negli anni, e che durerà solo finché l'uno non tradirà l'altro.
Chissà chi, dei due, per primo? E sarà oggi il momento decisivo?
E' anche vero che io sono diverso da lui; siamo diversi come potrebbero esserlo la cima che emerge in vetta da una voragine che sprofonda nell'abisso, e Lucius finalmente lo sa.
Ci ho messo tanto, affinché mi considerasse qualcosa di diverso da una sua appendice, ma proprio per questo il nostro rapporto si è fatto pericoloso. Io sono altro, ormai, il Severus che lui non riconosce più.

Odio questo tappeto antico con la M di Malfoy, mi ossessiona fin dagli anni che mi han visto studente, ed era stato un dono di suo padre alla Casa.
Lucius è abituato a comprarsi ogni cosa, ogni gloria, io no.
Un tempo mi sarebbe piaciuto essere come lui, per questo lo seguivo come un cane. Rappresentava lo splendore del potere, e il mio ruolo era un altro, ed era chiaro.
Ci siamo.
Appoggia il suo bastone ad un alare del camino decorato con serpenti, e finalmente si spiega.
Le parole di Lucius risuonano orgogliose, sprezzanti. Mentre le pronuncia schermo la mia mente: non si può sapere fino a che punto potrebbe arrivare, devo fare di tutto per non tradirmi, sul mio viso non si muoverà nemmeno un muscolo.
Che?
Tutto qui? Manici di scopa per la squadra di Quidditch?
Ha già ordinato delle... bah, Nimbus 2001, che costano un occhio di drago, ha disposto le cose perché suo figlio Draco possa entrare di prepotenza nella squadra.
Dunque non ho perso il mio amico Serpeverde, per ora...
Già, un amico fidato quanto una spina nel cuore, un compagno impagabile, naturalmente: familiare e bendisposto come...
Oh, sì. Come un dente di serpente alla gola.





#6:Verde (748 parole) di Misslegolas


“Mi lasci in pace!”
“Non urlare Draco o sveglierai tutto il dormitorio.”
Piton e Malfoy erano gli unici nel sotterraneo della sala comune dei Serpeverde.
“E’ inutile che insiste!Non le dirò niente!” urlò Draco e, liberando il polso dalla presa dell’insegnante, corse su per le scale verso il suo dormitorio.
Solo nella Sala Comune, Severus Piton si avvicinò all’enorme camino di pietra.
Tutto era immerso nella consueta luce verdastra delle lampade appese eppure quella visione lo fece sentire male. Sconvolto dal recente battibecco con il Preside ai suoi occhi quel chiarore verdastro sembrava un sinistro presagio del compito che lo aspettava. La promessa che aveva fatto a Silente gravava sulle sue spalle come un fardello ogni giorno più pesante.
Si abbandonò su una delle sedie disposte accanto al focolare.
“Non lascerò che ti lasci morire Severus.”
“Ma sono io che scelgo di non adempiere al Voto! Non puoi obbligarmi ad ucciderti” aveva ripetuto, disperato, per l’ennesima volta al Preside.
“Invece posso Severus. Ricordati che sei in debito con me, non puoi dirmi di no. Lo farai.”
Si era voltato di scatto per non dover dare sfogo alla sua rabbia e alla frustrazione contro Silente ed era già alla porta quando il Preside aveva continuato
“E Severus impegnati un po’ di più con Draco. Dubito che tu metta tutto il tuo impegno nella missione che ti ho affidato.”


La voce risuonava nella mente carica di delusione e questo gli faceva più male di ogni altra parola pronunciata da Silente. Ma come faceva il Preside a non capire che era un’impresa disperata? Malfoy era un ragazzino testardo e spaventato e non si sarebbe mai fidato di lui, non ora che suo padre era ad Azkaban. Eppure Silente dava tutto per scontato. Per lui quello era un compito facile così come quello di scegliere di vivere e tornare ad uccidere. Bisognava solo che si impegnasse un po’ di più: era così ovvio.
Osservò con sguardo assente le braci nel camino: si sentiva stanco, stremato e disgustato.
Anche quel sotterraneo soffuso di verde non gli procurava più alcuna gioia. Quella sala era stata la sua Casa per anni: un posto sicuro in cui innumerevoli ricordi trovavano la sua fonte. Ma ora che il suo animo era così spezzato e frustrato non trovava pace neanche lì. Con le sue scelte e le sue azioni era riuscito a rovinare anche il colore che amava di più: il verde di Serpeverde, il verde di quegli occhi d’angelo. Ora provava solo ribrezzo e odio per quel colore che bordava le divise degli studenti e l’emblema della sua Casa. Per lui ora il verde era indissolubilmente associato a quella Maledizione senza perdono che tante volte aveva pronunciato.
La realtà era che aveva scelto proprio in quella sala, frequentando coloro che in futuro sarebbero diventati Mangiamorte, di essere un assassino. E adesso Silente gli chiedeva di fare solo quello che lui stesso aveva scelto di diventare.
Per lui non c’erano più scelte.
Era in debito con il Preside doveva pagare.
Quando era un ragazzino sbandato dal potere come Draco avrebbe tanto voluto che qualcuno si fosse sacrificato per lui ma nessuno aveva lottato per la sua anima.
Persino adesso Silente, che gli aveva promesso di salvarlo quando si era messo al suo servizio, gli indicava la strada più dolorosa per perseguire il bene: uccidere un amico per salvare un innocente. Lo avrebbe fatto come sempre aveva fatto con ogni ordine del Preside ma sentiva di precipitare sempre di più in un abisso senza possibilità di risalita.
La sua anima non meritava di essere salvata, era quello il destino che con le sue stesse mani si era costruito, ora, però, perdendo se stesso avrebbe consentito ad un ragazzo di restare integro.
Si avviò con passo stanco verso la porta scorrevole della Sala; avrebbe pensato durante la notte ad un altro modo per convincere il giovane Malfoy a confidarsi e salvare così la vita di Silente. Questa speranza non era morta nella sua mente. Sapeva che era un tentativo vano ma quella speranza era l’unica cosa che lo spingeva ancora a vivere e lottare.

La scena era rischiarata dalla stessa luce verdastra ma non era più nel sotterraneo, era sulla cima di una torre.
Non c’erano più torce appese al soffitto ma il Marchio Nero nel cielo.
Non c’era più speranza nel suo cuore ma solo il peso della morte.
“Severus…please…”
Come hai potuto farmi questo Albus? Ma sia come vuoi “Avada Kedavra”
Tutto fu verde: il colore della morte.





#7:Angelfire (750 parole) di Ale85LeoSign


Avanzò sul pavimento scuro, un mare tempestato di luci di smeraldo riflesse dai lumi della sala, offuscate in parte dalle fiamme imprigionate nell’imponente camino di marmo.
Aloni verdi lo circondavano, come le spire di un serpente, eppure era lei ad attrarlo: quella fiamma rossastra, danzante nella purezza di quel marmo levigato, aveva ancora il potere di catturare l’oscurità del suo cuore.
Ma come poteva permettersi di profanare quel luogo?
Le ombre della stanza lo minacciavano, si muovevano contro la sua figura, il viso pallido dalla tesa severità, a indicare impietose il colpevole di quel sentimento impuro.
Abbassò il capo incontrando la copertina logora del libro che stringeva al petto.
-La mia speranza non è in questo stemma.- Pensò, sfiorando con le dita l’emblema argentato, rinnegato, della propria casa, -E’ racchiusa in quegli occhi.- Bisbigliò osservando le sognanti fattezze di una ragazza nei bagliori del fuoco -L’hanno divorata, impossessandosi per sempre di me.-
Le fiamme parvero protendersi verso di lui, guizzando vivide.
La ragazza tese una mano:
-Dammelo, Severus.- Disse con un sorriso brillante, accecante come una magnifica aurora intrisa di false speranze -Mi appartiene.- Un suono che ardentemente evocava il desiderio di cedere alle sue lusinghe.

E mentre gli occhi di lucido ebano si posavano sulla copertina, quel libro gli apparve come un oggetto malvagio, circondato da un’aura nera così accentuata che non irradiava ma sembrava emettere un potere insaziabile che consumava tutto ciò che le veniva vicino… tutta la luce, la vita, l’amore… doveva liberarsene!
Per un attimo la ragione non trovò più appiglio nel suo cuore innamorato. Sollevò il libro e lo scagliò nel caminetto: le fiamme esplosero, si sollevarono e, come l’onda scarmigliata di una rossa criniera, tentarono di distruggere quella parte di lui.
Invano.
Amava quel libro, così neanche il fuoco avrebbe potuto scalfire la solida barriera magica che da sempre avvolgeva carta e pelle.
Eppure aveva compiuto quel gesto incredibile lanciando tutto ciò in cui credeva nell’oblio di corallo di un sentimento inespresso.
Inespresso.
Spalancò gli occhi, come un cieco che riacquista la vista.
-Che… che cos’ho fatto!- Cadde in ginocchio, vedendosi circondato da quelle fiamme che stavano per distruggere tutto ciò per cui valeva la pena di lottare. Qualcosa che non poteva ferirlo: il sapere.
Ma si poteva sempre tornare indietro.
Strinse le labbra.
Sapeva cosa doveva fare.
Il libro era avvolto da un turbinio infuocato: avrebbe dovuto affrontarlo per riaverlo.
La mano sinistra fece per prendere la bacchetta, ma la fermò.
Perché domare le fiamme della propria punizione quando non aveva il coraggio di gettarsi nel caldo abbraccio della sua Lily? Di svelarle i suoi sentimenti?
Allungò la destra. Il calore lo raggiunse, immediatamente, primo monito di un dolore insopportabile.
Severus, non farlo…
Di nuovo quella voce, abbagliante oasi nel deserto sconfinato della sua anima solitaria.

Tremò e fu tentato di ritrarre la mano e lasciare che il fuoco facesse il suo dovere, ma il ricordo della madre che gli consegnava quel volume lo spinse a non ritrarsi.
-Mi stai chiedendo di lasciare che tutto ciò che ho rimanga in quel… quell’Inferno?- bisbigliò cupo -Di rinunciare alla memoria di mia madre, al mio futuro, alla mia stessa vita e sostituirla con lo spettro di un’amicizia… di un amo…- si zittì bruscamente.
Nell’oscurità di occhi determinati si accese la scintilla del dubbio che riarse dentro di lui, facendogli immaginare nuovamente lo sguardo di Lily, le sue labbra, il suo viso perfetto…
Ancora pochi attimi e l’incantesimo che proteggeva il libro… il suo più prezioso libro, si sarebbe dissolto, e il fuoco lo avrebbe annientato.
Lasciarlo bruciare voleva dire rimanere completamente solo.
E allora non avrebbe avuto scelta… avrebbe rincorso quelle parole che da sempre gli sfuggivano e avrebbe mostrato a Lily il proprio cuore.
Ma non ce la faceva, e per questo soffriva e il dolore che quel fuoco prometteva, non avrebbe mai compensato gli artigli che afferravano il suo cuore, lacerandolo ogni volta che lei lo guardava… solo come un amico!
Facendo appello a tutto il suo coraggio e alla sua risoluzione, e bandendo ogni sentimento d’amore, spinse la mano nel fuoco e afferrò il libro.
Furono istanti lunghissimi.
Spalancò gli occhi, incendiati dal gelo bruciante dell’abbandono della speranza, mentre le spire roventi sembravano trattenerlo in quella morsa lancinante.
Si sospinse all’indietro, e cadde sulla schiena, il volume fumante ritornato vicino al suo cuore.
-Ce l’ho fatta.- Mormorò, stringendolo al petto, le ustioni sulle mani calde, brucianti… mai quanto le ferite di quel cuore che, infine, aveva deciso di donare a un oggetto.
 
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