Il Calderone di Severus


Lotta all'Ultimo Inchiostro - XI° Turno
Poll choicesVotesStatistics
7 Perfume of Hope4 [33.33%]
5 Un cespuglio di violacciocche gialle3 [25.00%]
2 Il sapore dell'amore1 [8.33%]
4 Quando cade la pioggia1 [8.33%]
6 Ricordi perduti1 [8.33%]
8 Guardami1 [8.33%]
9 Contro ogni senso1 [8.33%]
1 Odio e amore0 [0.00%]
3 Night Flavor0 [0.00%]
Guests cannot vote (Voters: 12)

Lotta all'Ultimo Inchiostro - XI° Turno, Severus, un odore o un sapore e un ricordo

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Ekathle
view post Posted on 1/3/2011, 15:18




Io credevo che "Perfum of Hope" fosse di Ida, anche se la SeverusXHermione non le si addiceva, ma poi l'ha votata :)
Invece l'unica che ho riconosciuto è stata Helèna, perchè ho letto tutta la sua FF "Danza a spirale" (bellissima!) e mi sembrava che lo stile tragicomico fosse il suo! Il resto buio assoluto...
 
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Helèna Velena
view post Posted on 1/3/2011, 15:36




CITAZIONE (Ida59 @ 1/3/2011, 14:03) 
Helèna è stata così efficiente che ha già inserito la sua recensione mentre la storia non è ancora stata pubblicata! :o: ;)

Argh, non ci ho pensato. :cry:
Speriamo che Eka invii la storia a questo punto :) :)
e non smetto di sperticarmi su quanto mi è piaciuta!! :woot:

CITAZIONE (ellyson @ 28/2/2011, 10:04) 
Contro ogni senso.
Quest'ultima nonostante io non ami Sirius (ho esultato quando é morto... é partito un SIII nel mezzo della sala muta) quel cane nero era assolutamente spassoso e poi ho molto apprezzato l'utilizzo di un altro personaggio che non sia Lily.

Nemmeno io amo Sirius, ma proprio per niente (come Lily del resto).
Ho pensato però che davanti alla sua morte ci fosse un non-risolto fra Severus e lui, e che la morte possa cambiare alcune cose, e che i due "nemici" potessero dirsi addio come gli alleati che in realtà rappresentavano.
 
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Ekathle
view post Posted on 1/3/2011, 15:40




:sob: Helèna sono commossa davvero!! Mi fa tantissimo piacere! Ho scritto a Ida se posso metterla completa perchè avevo dovuto tagliare, appena mi risponde la metto subito!!
 
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view post Posted on 1/3/2011, 15:52
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CITAZIONE (Ida59 @ 1/3/2011, 14:03) 
Oooh... sì, in maniera contortissima, direi, se ti riferisci al fiore gettato nella scena iniziale

Mi riferisco proprio al fiore gettato, più che altro per quello che il fiore arriva a simboleggiare per don José. Però ammetto che è stata un'associazione d'idee contortissima.
 
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view post Posted on 17/1/2017, 17:07
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Lotta all'Ultimo Inchiostro - Storie partecipanti al XI° Turno: Severus, un odore o un sapore e un ricordo




1 Odio e amore (745 parole) di Misslegolas86

L’oscuro gli aveva intimato di seguirlo congedando tutti gli altri. Non ne fu sorpreso. Aveva già sondato la sua mente e quella dei suoi compagni di avventura per sapere la verità, per verificare ciò che era veramente accaduto sulla Torre. Scoperta e confermata la realtà aveva invitato i suoi seguaci a gioire e a festeggiare la morte del suo nemico; vi aveva partecipato sapendo che quella crudele notte per lui non era ancora finita.
Ora, solo con il suo Signore, avrebbe pagato per la sua insubordinazione.
Il servo e il padrone, l’uno in piedi, crudele e impassibile già con la bacchetta in pugno, l’altro in ginocchio, il capo chino.
“Severus, anche se mi hai reso un grande servizio, sai bene che hai violato i miei ordini: doveva essere Draco ad ucciderlo o a morire lui stesso. Non posso tollerare che gli ordini di Lord Voldemort non vengano rispettati.”
“Capisco, mio Signore” disse, ricacciando l’orgoglio quanto più a fondo possibile nel suo animo per non sentirne il grido lacerante.
“CRUCIO”
Il dolore esplose familiare in ogni parte del corpo.
Sapeva che sarebbe successo fin da quando aveva promesso a Silente di sostituirsi a Draco: l’Oscuro non conosceva perdono o pietà, quell’Avada Kedavra avrebbe avuto ai suoi piedi un prezzo doloroso.
Cercò di non urlare certo che sarebbe stato uno sforzo inutile. Il corpo non avrebbe potuto resistere alla maledizione che, come mille torturatori ben addestrati, lo straziava con perizia.
Alla prima ondata di dolore si morse con ferocia l’interno della guancia e immediatamente il sapore del sangue, dolciastro e nauseante, gli scese giù per la gola. Un sapore che riportò alla memoria ricordi dolorosi.
Aveva quattro anni e rannicchiato in un angolo aveva guardato suo padre sbattere la porta e uscire. Il sangue colava copioso dal naso bagnandogli le labbra e inondandogli la bocca con il suo sapore. Sua madre con un occhio pesto si avvicinò a lui cercando di tamponargli l’emorragia con uno straccio.
“Severus ti ho detto di non far volare le cose quando c’è tuo padre in casa.”
“Ma perché?” aveva risposto, incredulo e innocente, per un gioco che a lui sembrava divertente.
“A lui non piace”.

Aveva nove anni e per difendere la madre aveva scaraventato suo padre a terra senza nemmeno toccarlo
“Non ti permettere mai più di usare questi stramaledetti abracadabra su di me, mostro!!” Urlò l’uomo rialzandosi e colpendolo con un pugno che gli fece sanguinare il labbro.

Aveva venti anni. Le sue mani, macchiate dal sangue dell’ultima vittima che aveva dovuto uccidere per l’Oscuro Signore, tremavano e l’odore del sangue impregnava i suoi abiti. Silente era accanto a lui in piedi “A settembre sarai professore qui a Hogwarts,” disse posandogli una mano sulla spalla “cercherò di evitare che accada di nuovo.”

A contatto con il freddo pavimento di pietra alla sofferenza del corpo si aggiungeva lo strazio dell’anima. Eppure il dolore fisico era, in quel momento, benvenuto.
Aveva dovuto fingere odio, indifferenza e infine gioia per la morte che aveva elargito quella notte. Finalmente, celato dagli artigli della maledizione, poteva urlare il dolore del suo cuore spezzato. Una tregua di cui approfittare prima di rindossare l’impassibile maschera da Mangiamorte che da quella notte avrebbe dovuto portare a tempo pieno.
L’Oscuro Signore aveva lasciato la stanza; eppure la tortura non era ancora terminata: la sofferenza per la perdita di Silente era più intensa di qualunque Cruciatus.
Respirando a fatica, con la bocca ancora piena del dolciastro sapore del sangue, Severus Piton capì perché quei ricordi erano riaffiorati alla sua memoria: il sangue era il filo che li univa; sapore prima di umiliazione e poi di rimorso e doloroso riscatto. Grazie a quel sapore comprese che, quella notte, oltre ad aver perso un amico aveva perso l’unica persona nella vita che lo aveva rispettato, l’unico che si era preoccupato per lui e ne aveva ascoltato gli sfoghi, l’unico che lo aveva accettato per come era insegnandogli ad apprezzare le sue qualità, l’unico che si era fidato di lui, l’unico che gli aveva dato un’altra possibilità.
Severus Piton nella sua vita non aveva mai ricevuto tutto questo; ed ora, solo al mondo, non aveva nessuno che potesse spiegargli perché soffriva terribilmente. Se Silente fosse stato accanto a lui gli avrebbe semplicemente detto che era amore. Aveva ricevuto un tipo di amore che non aveva mai conosciuto: quello paterno.
Come Lily gli aveva insegnato l’amore e l’affetto dell’amicizia, Silente era stato il suo mentore per far scaturire dal suo cuore l’amore filiale.


2 Il sapore dell’amore (747 parole) di Kijoka

Il pugno si abbatté forte sul muro grigio, scabro e gelido.
La porta si era chiusa alle sue spalle da poco, ma sapeva di essere al sicuro.
Era in un luogo che lui solo conosceva e che lo difendeva sempre dal mondo.
Purtroppo non riusciva mai a difenderlo del suo sentire, dai sentimenti e dal dolore che sempre portava dentro di sé.
Non riusciva neanche a ricordare come ci fosse arrivato, perché il tragitto era stato lungo e quasi inconsapevole.
La rabbia era pari al dolore.
L'aveva promesso e aveva tradito la promessa! Ma in fondo cosa si poteva aspettare da un mostro senza scrupoli, senz’anima?
L'aveva uccisa. L'aveva davvero uccisa!
Lo stomaco era chiuso in un nodo serrato e bruciante che sembrava corrodere ogni sua resistenza e gli faceva perdere la ragione.
L'urlo, questa volta, non si spezzò in gola, ma proruppe dalle labbra sottili, sfuggendo al suo controllo, penetrante e senza fine.
Gli doleva il petto e i muscoli erano tesi in uno spasmo che sembrava potesse durare in eterno.
Dentro di lui si agitavano mille domande.
Cosa voleva nascondere? Le sue colpe che gli si stavano ritorcendo contro?
Cosa non voleva confessarsi? Il rimorso che gli logorava l'anima senza possibilità di perdono?
Cosa non voleva vedere? Le sue lacrime?
Gli occhi non distinguevano più i contorni e neanche le distanze, sapeva di essere accanto allo specchio e di non avere il coraggio di fissare la sua stessa immagine.
Una devastante marea salata già gli precludeva la visione di se stesso in quella superficie ampia e riflettente.
L’altro pugno sferrò un colpo potente e veloce, centrando e mandando in frantumi lo specchio, lì accanto.
Era successo senza neanche che se ne rendesse conto.
Non gli era mai capitato, ma non riusciva a gestire quel dolore così profondo, che coinvolgeva ogni parte del suo essere: non riusciva più a controllarsi.
I pensieri si accavallavano gli uni sugli altri e sprazzi di immagini di vita vissuta si rincorrevano nella mente, veloci come cavalloni ansiosi di raggiungere la riva.
Ci provò più volte, ma non riusciva a smettere di tremare.
D'improvviso ogni resistenza ebbe fine: calde lacrime salatissime si fecero strada tra le ciglia brune, gli rotolarono sul viso, raggiungendo velocemente le labbra e perdendosi in esse.
I singhiozzi, ormai liberi da ogni controllo razionale, scuotevano le ampie spalle.
La speranza volava via, lontano da lui.
Un triste sorriso gli si affacciò sulla bocca, tentò di asciugarsi il viso con l'avambraccio, senza rendersi conto di essersi tagliato, poco prima.
Il gesto lasciò scie di sangue sul viso magro, quasi una prova che il sacrificio che si era compiuto quel giorno avesse portato via la sua stessa vita, oltre che quella della donna che amava.
I lunghi capelli scuri gli coprirono lo sguardo, nere cortine come funerei sipari davanti agli occhi, mentre cadeva in ginocchio, tra i frammenti di vetro, piangendo come un bambino.
Gli sembrò di vederlo il lampo verde.
Verde come il baluginio furente che aveva visto negli occhi di smeraldo quella lontana notte nella quale l’aveva rifiutato e l’aveva lasciato solo, senza che fosse in grado di gestire tutto quel dolore.
Anche allora aveva pianto, aveva lasciato sfogo allo stesso dolore che, come un grumo scuro, gravava sul suo cuore da così tanto tempo!
Le lacrime continuavano a scorrere e quel sapore, salato ed amaro, gli fece nascere i ricordi.
La porta della Torre di Grifondoro che si richiudeva alle sue spalle.
Che atroce sofferenza di rivedere con gli occhi della mente l'immagine di Lily che si allontanava tra le braccia di Potter.
L’angoscia quando aveva capito che il Signore Oscuro, dietro suo stolto e lacunoso resoconto, volgeva le sue attenzioni proprio a lei!
Non era sua abitudine lasciarsi andare alla disperazione, ma ora non riusciva davvero più a trattenere tutto ciò che gli prorompeva dal cuore, come un fiume in piena.
Travolgeva ogni pensiero e ogni congettura, spazzava via ogni certezza e ogni speranza, lasciandolo stremato, annientato e solo.
L’aveva amata e l’amava, avrebbe continuato a farlo, anche senza averne alcun diritto.
Non riusciva, non poteva dimenticarla.
Dunque avrebbe potuto conoscere la profondità dei suoi sentimenti solo tramite la sofferenza più atroce?
Solo tramite situazioni ogni volta più terribili, ogni volta più drammatiche, ogni volta più dure?
Strano destino il suo: l'unico ricordo di lei che poteva conservare era il dolore che sempre associava all'amore che provava.
Destino assolutamente crudele quello per cui le lacrime sarebbero rimaste l'unico sapore dell'amore che avrebbe mai potuto gustare.



3 Night Flavor (750 parole) di Severus Ikari

Mi svegliai di soprassalto, fuori la luna era ancora alta e il buio circondava ogni cosa, potevo sentire alcuni rumori provenire dalla Foresta Proibita, ma c’erano altri suoni che destarono la mia attenzione.
Ero rimasto per alcuni giorni rinchiuso nelle mie stanze per riprendermi dalle torture che avevo subito, non avevo toccato cibo, e per quanto cercassi di quietare certi istinti, a volte erano più forti di qualsiasi volontà.
Maledizione, avevo fame.
Il mio stomaco stava protestando più del dovuto e non potevo non accontentarlo.
Scesi dal letto, infilati i pantaloni e la camicia, mi diressi alle cucine. Chissà se avrei trovato qualcosa da mangiare.
Faceva freddo, rimpiangevo quasi di essere sceso solamente con addosso la camicia, ma la fame che avevo non mi avrebbe permesso di tornare indietro a prendere la casacca.
Vicino alle cucine, un’intensa folata colpì il mio viso, un odore che avevo già sentito ma che non riuscivo a visualizzare bene nella mia mente.
Avevo già vissuto tutto questo, ma non ricordavo esattamente quando, l’unica immagine che mi balenò fu quella delle cucine di Hogwarts.
Entrai.
Non c’era nessuno, solamente la mia oscura presenza.
Sul tavolo c’era un grosso piatto ricoperto da un tela verde con dei ricami argentati. Vicino un calice riempito con del vino rosso che emanava un odore quasi dolciastro.
“Non dovrebbe dormire a quest’ora, signorina?”.
Una ragazza si girò di scatto guardando il suo insegnate quasi con paura, era visibilmente paonazza per essere stata scoperta.

Che stranezza, erano proprio i colori della mia casa, nasconderanno sicuramente qualcosa di buono. Un ghigno beffardo stirò le mie labbra.
Tolsi la tela e un forte profumo di cacao amaro invase i miei sensi, ma sentii dell’altro, un odore più speziato, era un dolce acre che avevo già gustato, ma non riuscivo a ricordare perfettamente quando.
“Lo so.” sospirò appena “Avevo nostalgia di casa.” aggiunse con una nota di profonda malinconia.
“Non importa, qui ci sono delle regole da rispettare, non stiamo a casa sua che può fare come le pare. Cinquanta punti in meno alla sua casa! Ora vada a dormire.”.

Nel piatto c’erano degli strani dolci disposti a formare un cinque e uno zero.
Sgranai gli occhi. Certo! Il giorno in cui avevo tolto dei punti alla mia casa. Maledizione, mi chiedevo ancora come avessi fatto a non trovare una scusa per non togliere punti a Serpeverde. Quell’aroma mi aveva annebbiato i sensi tant’era forte e lo stava facendo ancora.
“Se vuole può mangiarle” gli aveva detto la ragazza porgendogli il piatto.
“Non mangerò un bel niente. Se ne vada!” rispose duro il professore, la sua voce tradiva rabbia, ma quell’aroma…
Quando fu sicuro che la ragazza se ne fosse andata avvicinò le mani a quello strano cibo.
“Si mangiano con le mani, professore” lo interruppe una voce sorridente.
“Fuori!” le intimò ancora, uscendo anch’egli dalla stanza.

Come diavolo era possibile, erano passati alcuni anni da quella notte, non c’era nessun’altro nelle cucine, chi mai avrebbe potuto organizzare uno scherzo tanto idiota.
Chiunque fosse stato l’avrebbe pagata cara.
Non riuscivo a capire e quello mi faceva salire la rabbia, ma quell’intenso profumo riuscì nuovamente a calmarmi.
Avevo fame e decisi di mangiarne uno.
Presi un piattino da una mensola e una forchetta da un ripiano lì vicino, mi sedei deciso ad assecondare finalmente il mio stomaco che ancora protestava.
Afferrai uno di quei dolci e lo posai nel piatto, era una strana crêpe arrotolata con un ripieno di formaggio dolce aromatizzato con cannella e cacao amaro, e qualcos’altro che non riuscivo a distinguere, il profumo che emanava era delizioso e l’aspetto lo era altrettanto, ma con la fame che avevo avrei mangiato anche i biscotti di Hagrid.
Con la forchetta tra le dita cercai di prenderne un pezzo, “Si mangiano con le mani, professore”, quella frase esplose all’istante nella mia testa.
Maledetta ragazzina italiana e i suoi dolci stregati!
Non c’era nessuno nella stanza, soltanto io e quell’aroma che mi stava stringendo in una morsa quasi asfissiante, ma era una sensazione bellissima che non volevo finisse mai.
Presi quel rotolo tra le mani e lo addentai.
Delizioso! Quella ragazzina sapeva il fatto suo, era davvero delizioso, una mescolanza di sensazioni si diffuse nella mia bocca lasciandomi un sapore dolce-amaro sul palato.
Lo finii in pochi istanti.
- Vedo che ha seguito il mio consiglio, professore. - esordì una voce alle mie spalle.
Sorrisi appena osservando una donna poggiata al muro che mi guardava divertita, presi il calice di vino e brindai a quel consiglio.



4 Quando cade la pioggia. (747 parole)di Ale85LeoSign

Mentre percorreva il corridoio del castello, Severus si soffermò di fianco a una delle finestre. Guardando fuori vide la notte: un’anima scintillante di pioggia.
Appoggiò le dita contro il vetro umido, inspirando l’odore della pioggia, di quelle lacrime naturali che ricadevano sulla terra.
Avvertì il freddo della superficie e vi premette contro i palmi delle mani, come per assorbirlo.
Spostò la mano destra lateralmente come per sbirciare il futuro nel manto dell’oscurità scintillante, per cancellare tutto quel dolore che, come un rivolo di sangue trasparente, prese a scorrere lungo il palmo della mano pallida, insinuandosi sotto i polsini del vestito e della camicia, per scorrere lungo i polsi e le braccia dandogli un brivido lungo tutto il torace.
Lily non c’era più
Albus non c’era più.
Restava solo la pioggia a ricordargli un dolore inesauribile, a lavare via il sangue delle sue vittime e a mostrargli come cadono le lacrime.
Sentendola, Severus scrutava il proprio passato chiedendosi dove fosse morta tutta la felicità.
Ma non c’era bisogno di porsi domande. Gli bastava sollevare il mento, chiudere gli occhi e inspirare l’odore della pioggia, sempre uguale, sempre a ricordargli gli stessi sbagli.
“Dimmi perché sono sempre più solo.” Chiese alla notte che non poteva rispondere, abbandonando l’illusione con cui sempre si difendeva, che la propria non fosse una reale solitudine.
Che ci fosse ancora speranza.
Ma la risposta la sapeva, e nessuno, neanche la notte compagna di astri luminosi e nuvole sparse, poteva capire cosa voleva dire portare il fardello di qualcosa che ti fa sentire completamente solo al mondo.
Da quando la vita di Lily era minacciata, un incubo ricorrente si era fatto strada nelle sue notti.
Erano in una stanza, Lily pallida e fragile come non mai. Gli diceva che non le sembrava di essere più lì. E anche se lui la rassicurava, la voce della ragazza gli chiedeva:
“Non mi lascerai morire, vero?”
Allora si svegliava, il cuore impazzito a battergli furiosamente nel petto, la gola secca e il respiro corto.
E poi Albus lo aveva convocato.
Pioveva.
***

“Severus.”
Alzò gli occhi neri, sconvolti e tormentati come non erano mai stati.
“Ti senti bene?”
Non gli importava niente di sé. Voleva solo sapere se Lily stava bene! E l’espressione che aveva il vecchio preside era strana, diversa, anormale e gli ghiacciò il respiro.
“Albus…” aveva la bocca inaridita dalla paura “Perché mi hai… chiamato?”
“Voldemort è stato a casa dei Potter.”
“Cosa…” Non riconobbe la propria voce.
…“Non mi lascerai morire, vero?”…
Si dovette strappare la domanda dalla gola “Lily…”
E guardando il volto di Albus non ebbe bisogno che pronunciasse alcuna risposta.
Fuori continuava a piovere.
***

E quando seppe dov’era custodito il suo corpo, andò a trovarla e mai si scordò di lei: immobile per l’eternità, il bel viso pieno di sogni segreti e lontani.
Aveva visto tante volte quell’espressione, ma mai abbastanza, quando lei si stendeva sul prato fuori da scuola a prendere il sole, e Severus la contemplava segretamente, con uno sguardo così pieno di amore da togliere il fiato.
Alzò una mano per sfiorarla, ma il gelo del suo corpo lo fece sobbalzare.
Severus cercò di convincersi che quel pezzo di carne fredda non era la sua Lily ma che lei era altrove, calda e felice, al sicuro da quel freddo invadente.
Ma non ce la fece.
Ora il freddo ce l’aveva dentro. Mai più sarebbe stata calda. Quegli occhi vivaci non si sarebbero più riaperti, non sarebbe mai più comparso il sorriso sulle labbra, mai avrebbe riudito la sua voce.
Severus cominciò a tremare.
Era come se il freddo di Lily fosse penetrato dentro di lui, sotto la pelle, congelandolo fin nel profondo.
Anche quella notte pioveva: l’odore della pioggia permeava la stanza e il suo ticchettio era l’unico rumore che Severus sentiva, come in quel momento mentre, ancora, stava appoggiato al vetro.
Era difficile convivere con un ricordo del genere e con la capacità, così comune a pochi, di essere di ghiaccio, di chiudere la mente anche con un mago potente come l’oscuro. Ma, anche se era difficile, poteva salvare altre vite.
“Anche fingendo con me stesso non posso cambiare ciò che sono diventato. La mia colpa non mi permetterà mai di vivere la mia vita. Non sono degno di vivere ciò che non mi appartiene.”
Udì un eco lontano, come se il rumore della pioggia fosse una voce:
... “Non mi lascerai morire, vero?”...
“No, Lily.” Sospirò, mentre un tiepido sorriso gli compariva sulle labbra “Ti proteggerò sempre.”



5 Un cespuglio di violacciocche gialle (700 parole) di Alaide

Un profumo dolciastro, avvolgente.
Un profumo che passerebbe inosservato, ma che in quel momento assale le narici dell’uomo. V’è chi lo definirebbe un buon profumo, ma per l’uomo non è altro che una metafora della sua vita.
Come una sorta di strano messaggero, quel fiore è stato testimone della sua esistenza.
Da sempre.

La mano del bambino, rimasto ora solo, dopo che le due sorelle se ne sono andate, afferra il fiore lasciato cadere in terra.
Il profumo dolce arriva dritto alle sue narici.


Il profumo dolciastro pare all’uomo un profumo di morte.
Non v’è nulla di mortifero in un cespuglio sghembo di violacciocche gialle, nato e cresciuto, chissà perché, nelle vicinanze della Foresta Proibita.

«È curioso non trovi, Severus, che questo fiore cresca proprio qui? Proprio ora?»
L’uomo al suo fianco non dice nulla. Altri sono i pensieri che vagano nella sua mente. E altri dovrebbero vagare nella mente di Silente, se per questo.
Pochi istanti prima l’invito a raggiungerlo nel suo studio quella notte. Pochi istanti prima stavano per ritornare al castello.
Poi il Preside fa cenno a quel fiore. In un momento come quello.
E allora l’uomo ricorda che quel fiore l’ha già odorato diverse volte.
Ed ora porta con sé pensieri di morte.


Il profumo si fa più intenso, ora che l’uomo si è maggiormente avvicinato ai fiori gialli, simili ad un’inconsueta macchia di colore, che pare occhieggiarlo e dirgli con quell’odore dolciastro, al punto da apparirgli nauseabondo, Tu hai ucciso.
Severus inspira profondamente, quasi che voglia riempirsi i polmoni di quel profumo intenso, di quel profumo che pare evocare le sue colpe, di quel profumo che ha accompagnato per tanto tempo la sua vita.

I giorni passano lenti.
Il bambino tira fuori un fazzoletto spiegazzato ed ingrigito.
Il fiore appassito sprigiona il suo odore.
Gli anni passano lenti ed inesorabili.
Ma il fiore, ogni giorno più appassito e secco, conserva sempre il suo dolce profumo.


Il profumo del fiore che Lily aveva tenuto tra le mani quel giorno in cui era riuscito a rivolgerle la parola.
Da tempo quella piccola e raggrinzita violacciocca gialla giace avvolta nel fazzoletto.
Da alcuni mesi riposa accanto ad un pezzo di pergamena ed una foto strappata.
L’uomo si volta per tornare verso la scuola, mentre il sole d’aprile inizia ad abbassarsi lento all’orizzonte. Gli sembra che vi sia una qualche sottile e perfida ironia in quel piccolo fiore giallo, legato indissolubilmente a chi ha contato maggiormente nella sua vita, a chi egli, direttamente o indirettamente, ha ucciso.
La violacciocca che Lily ha preso in mano.
La violacciocca che Silente ha notato, pochi mesi prima che lui lo uccidesse.

«È curioso non trovi, Severus, che questo fiore cresca proprio qui? Proprio ora?»
L’uomo al suo fianco non dice nulla. Altri sono i pensieri che vagano nella sua mente. E altri dovrebbero vagare nella mente di Silente, se per questo.
«O forse non è affatto strano, considerando quale sia il suo significato.»


L’uomo rientra nel castello, dove gli sembra di sentire ancora l’odore di violacciocca.
Non importa cosa avesse voluto dire Silente quel giorno.
Non importa quale sia il significato di quel piccolo fiore giallo.
Il suo è soltanto il profumo della sua vita, una vita segnata da colpe e da rimorsi.
E l’odore di violacciocca lo segue, un profumo di morte, quella morte che presto sarebbe caduta sulla scuola, strappando all’esistenza altre vite che egli non avrebbe potuto salvare.



Una tomba in un banale cimitero, in mezzo a tante altre tombe.
«Mi sarebbe piaciuto poterlo ringraziare di persona, Hermione.» dice un ragazzo, gli occhi verdi fissi sul quel cumolo spoglio di terra.
«Lo so, Harry. Sarebbe piaciuto a tutti noi.» risponde la ragazza.
«Che strano quel fiore che cresce sulla sua tomba.» commenta il giovane.
«È una violacciocca gialla. Credo che sia giusto che questi fiori siano nati proprio qui. – dice Hermione, aspirando il profumo dolce che emanano i piccoli fiori gialli – Ho letto da qualche parte che la violacciocca gialla rappresenta la lealtà nelle circostanze più cupe e dolorose. E per chi altri poteva spuntare se non per lui che ha amato sempre tua madre? E, cosa più importante, che è stato leale a Silente al punto da ucciderlo?[1] .»



[1] Il significato della violacciocca gialla è stato dedotto da vari libri relativi alla simbologia dei fiori nel Medioevo



6 Ricordi perduti (498 parole) di Ida59

Stava per entrare nel suo studio nel sotterraneo quando il profumo colpì le sue narici. Sì fermò di colpo, quasi sconvolto, davanti alla porta.
Era assolutamente certo di aver già percepito quell’intensa fragranza, ma non riusciva a rammentare a chi appartenesse.
Chiuse gli occhi per cercare di afferrare ciò che gli sfuggiva e nella nebbia confusa dei ricordi emerse lancinante il dolore; una fitta tremenda trapassò la cicatrice sul collo: il profumo era lo stesso che aveva avvertito mentre il sangue gli gorgogliava in gola, soffocandolo e straziandolo, e la morte stava per ghermirlo.
Non aveva mai saputo chi gli aveva salvato la vita portandolo via dalla Stamberga Strillante e lo aveva curato per le lunghe settimane in cui era rimasto semi-incosciente.
Ricordava solo il profumo, intenso e inebriante, e la dolcezza delle mani che cambiavano con attenta e delicata cura la medicazione e gli facevano sorbire amare pozioni curative.
Insieme al profumo gli tornò alla mente anche la voce, sì, quella voce e… le parole d’amore sussurrate piano, forse anche tra le lacrime. Non era mai riuscito a ricordarlo, prima, ma quella voce, ora, l’avrebbe riconosciuta tra mille.
Si rese conto di stare tremando, ma sentiva ancora l’intenso sussurro lambirgli la pelle e implorarlo:
- Severus, ti prego, Severus, amore mio, resisti!
Poi il tocco lieve delle dita che lo accarezzavano, le labbra che sfioravano piano, tremanti, le sue, quasi immobili e senza vita, e l’alito tiepido, ricolmo d’amore:
- Severus, devi vivere, ti prego, ti prego!
Le lacrime scendevano una dopo l’altra, fresche e dolci, a lenire lo straziante dolore della ferita, a ridargli una speranza impossibile di vita.
Il mago si riscosse all’improvviso e spalancò gli occhi, neri di felice sorpresa: quella donna, chiunque fosse, lo amava e gli aveva salvato la vita.
Con mano incerta spinse la porta dello studio e, al tenue chiarore delle fiamme, la distinse appena mentre il suo profumo lo avvolgeva, intenso, accendendo un’estasi dimenticata.
- Severus…
La voce, dolcissima, vibrò appena per la sorpresa della silenziosa entrata del mago.
Il fuoco ardeva vivace dietro la minuta figura della donna: il viso era in ombra e non poteva vederlo, ma era lei, ne era certo.
Senza neppure rendersene conto, in un attimo le fu accanto e i ricordi tornarono all’improvviso, l’incantesimo di memoria annullato dalla luce che le brillava negli occhi, pieni di incertezza e timore di quel che sarebbe accaduto.
Fu così che il mago, oltre al profumo e alla voce, ricordò il sapore dei loro baci, gli ardenti abbracci e gli appassionati amplessi che li avevano a lungo avvinti.
Ricordò tutto, anche il motivo per cui aveva voluto dimenticare.
- Amore… - sussurrò piano, stringendola tremante a sé e cercando le sue labbra, – ti amo!
No, non aveva più paura di amare, non ora che l‘aveva finalmente ritrovata, ora che l’aveva di nuovo tra le braccia.
Chiuse gli occhi: non aveva bisogno di guardarla, ora che sapeva di amarla.
No, non voleva più dimenticare: ora voleva solo amare.



7 Perfume of Hope (742 parole) di Ellyson

Quello che avvertiva era un profumo nuovo.
Dolce, sconosciuto in grado di donargli quiete.
Era profumo di innocenza. Un delicato aroma che gli scaldava il cuore e che lo terrorizzava nello stesso istante.
Era il profumo di un nuovo inizio, di qualcosa di immacolato e puro.
Era una fragranza che risvegliava in lui istinti che non aveva mai creduto di possedere e, nello stesso tempo, lo faceva tremare dentro, spaventato dall’idea di quello che era stato un tempo, inadatto per affondare anche quel nuovo, inatteso, temuto percorso.
Era il profumo dei sogni, delle illusioni, quelle sensazione effimere che, quando credi di afferrarle, ti scivolano via come sabbia tra le dita. E lui le aveva rincorse per anni, inutilmente.
Era il profumo di una nuova responsabilità, di un’anima che non era ancora stata intaccata dalla realtà.
Era la fragranza delicata di un fiore non ancora sbocciato, di un libro nuovo dalla copertina rigida con i fogli ancora incollati.
Un profumo che conteneva amore, serenità e pace. Sentimenti che gli erano sempre stati negati.
Severus non credeva che avrebbe mai sentito un profumo del genere.
Il profumo della fragilità delle illusioni, delle scoperte infantili e dello stupore di fronte alle novità.
La fragranza del terrore di perdere tutta quella piccola, seppur enorme, gioia; di appestarla con la sua presenza e il suo olezzo di morte e magia nera.
La paura di intaccare quella purezza con le sue mani che odoravano di sangue e che non sapevano donare gesti affettuosi.
Severus respirò piano cercando di marchiarsi a fuoco quel profumo nella mente, di farselo diventare suo; perché sapeva che sarebbe durato poco. Sapeva che presto quell’aroma avrebbe lasciato posto ad un’altra fragranza, sempre dolce e delicata, ma diversa da quella perfetta e pura che scacciava il puzzo della sua anima.
Severus non credeva possibile che potesse esserci un momento di assoluta perfezione come quello che stava vivendo. C’erano stati momenti, notti insonni persi nella contemplazione di un corpo che mutava sotto il suo attento, innamorato sguardo, in cui si era chiesto come sarebbe stato il suo futuro.
Ed ora il suo futuro era lì. Stretto dalle sue grandi braccia segnate da un marchio che impallidiva con gli anni sulla pelle bianca.
Impallidiva senza sparire. E un giorno avrebbe dovuto spiegare cosa significava quel segno, cosa portava, che ricordi richiamava in lui e in tutte le persone che gli stavano attorno.
L’odore del sangue. L’odore della morte. L’odore della solitudine.
E lui avrebbe spiegato. Timoroso, incerto, magari cercando lo sguardo della sua donna; gli avrebbe stretto la mano donandogli un muto conforto come solo lei sapeva fare.
Un giorno.
Quando del profumo che gli riempiva i polmoni ci sarebbe stato solo un vago ricordo.
Ma ora non era il momento di ricordare gli olezzi della sua anima.
Ora contava solo quel profumo e il calore che avvertiva nel cuore insieme alla speranza di diradare le tenebre che a volte, a distanza di anni, avvolgevano ancora il suo profondo sguardo.
Il mago distese le labbra sottili in un tenue sorriso. La fragile creatura che teneva in braccio aveva gli occhi serrati sul mondo che ancora non poteva vedere, i piccoli pugni dalla pelle grinzosa stretti vicino al viso paffuto.
Diede un delicato bacio sulla fronte coperta da una sottile, morbida peluria.
Non credeva che un uomo segnato dalle ombre e tenebre come lui potesse donare la vita ad una creatura di luce come quella che stava stringendo.
Non avrebbe pianto. Nella sua vita le lacrime aveva segnato momenti dolorosi; ogni squarcio dell’anima.
La sua anima era stata ricucita dalle delicate mani della donna che aveva imparato ad amare; con pazienza e devozione aveva unito tutti i brandelli del suo essere donandogli la speranza. Non c’era più dolore e oscurità ma solo gioia e la forte luce dell’amore a diradare le tenebre del suo sguardo e del suo cuore.
Non avrebbe pianto.
“Severus?” la voce di Hermione riuscì a destarlo dal torpore che quel profumo donava portando via la sua vecchia vita, con i suoi odori malsani, risanando vecchie cicatrici “Dobbiamo scegliere un nome.”
Sollevò lo sguardo incontrando quello della moglie distesa sul letto, affaticata dal parto ma con un sorriso radioso.
“Hope.” disse a voce bassa, come se temesse di sporcarla con la sola voce.
Hermione annuì con un leggero cenno del capo prima di chiudere gli occhi vinta dalla stanchezza.
Severus sorrise poi tornò a guardare la bambina.
“Benvenuta Hope. Sono papà.”




8 Guardami (750 parole) di Ekathle

Il primo pensiero del defunto professor Piton, non appena ebbe attraversato la soglia, fu che essere un fantasma non era affatto divertente.
Dopo la morte, non era affatto sprofondato nel dolce, distaccato torpore che si aspettava. Anzi, le sue facoltà sensoriali, già molto sviluppate in vita, sembravano essersi acuite ancora di più, permettendogli di cogliere tutte le molteplici sfumature del nauseante odore di decomposizione proveniente da quella che, nella funerea luce delle candele nere, assomigliava ad una grossa bara.
I fantasmi di Hogwarts al gran completo gli rivolsero una lunga occhiata silenziosa.
“Buon Complemorte, professore!” ronzarono all’unisono le loro voci smorte.
“Cento di questi giorni, prof!” sghignazzò maligno Pix il Poltergeist, sbucando a tutta birra dal fantasma di fronte a Piton. Posò solennemente sulla testa del festeggiato, come una corona, un cappellino di carta spiegazzato, che rimase sospeso un attimo nell’aria prima di volteggiare giù, come una farfalla morta. Poi Pix scappò verso il soffitto a strappare la carta da parati.
Il Barone Sanguinario, capo non ufficiale della popolazione ultraterrena della scuola, scivolò verso Piton come sospinto dal vento.
“Prego, professore, assaggi la torta” disse con voce strascicata.
Ora che i fantasmi si erano avvicinati, spandendo la loro fredda luce argentata tutto attorno, Piton notò che quella che prima aveva creduto una bara altro non era che un tavolo apparecchiato. Sui piatti arrugginiti erano posati pesci putridi, frutta marcia, panini carbonizzati.
Tuttavia, quello verso cui tutti gli invitati volgevano gli occhi, e che evidentemente doveva essere il pezzo forte, era un grosso blocco della consistenza del cemento, a forma di tomba, su cui erano incise queste parole:
Severus Piton 1960-1998
Severus si guardò intorno alla ricerca di una via di fuga. Non aveva la più pallida idea di come si nutrisse un fantasma. Attorno a lui, i convitati attendevano immobili, come chi ha una gran voglia di finire ed andarsene.
Finalmente il Frate Grasso si decise a toglierlo dall’imbarazzo.
“Ci deve passare attraverso, professore. È stata preparata apposta per lei. La glassa è fatta con la muffa della Stamberga Strillante, proprio dov’è morto!” disse allegro. “Sentirà che bontà!”
Il volto tremulo e trasparente di Piton si curvò in un misterioso sorrisetto, e il festeggiato si tuffò nella torta, indugiandovi all’interno, lasciando che spirali di tanfo lo avvolgessero e lo riportassero indietro alla notte precedente.
Era di nuovo sul pavimento scheggiato e polveroso della Stamberga Strillante. Voldemort se n’era appena andato; nelle orecchie aveva ancora il fruscio del suo mantello.
Aveva chiuso gli occhi, senza lottare, lasciando che l’oblio lo avvolgesse.
Si può morire semplicemente scivolando via dalla vita?
Si, Severus la sentiva abbandonare il suo corpo spezzato, con delicatezza, come se temesse di fargli male, senza sapere che lasciandolo gli stava facendo il regalo più bello.
Poi, mentre il mondo attorno a lui lentamente sfumava, d’improvviso la Morte gli aveva lasciato la mano, e l’anima di Severus Piton era ricaduta dentro quel corpo agonizzante e dissanguato a cui ora si era avvicinato, silenzioso, Harry Potter.
La sua mente aveva gridato a quell’ultimo oltraggio, ma mentre raccoglieva le ultime briciole di forza, uno scatto improvviso del collo impazzito nell’agonia della morte lo aveva costretto a guardare in faccia il ragazzo.
Ed era stato allora che i suoi occhi avevano incontrato quelli di Lily.
I ricordi di ciò che era stato, del sangue che aveva versato, scivolavano via nelle mani di Potter, come gocce di pioggia sugli alberi. Severus, gli occhi fissi in quelli della sua Lily, lentamente si spegneva; ma mentre il sangue fluiva copioso dalla ferita, un’ondata di felicità illuminava il suo volto morente, facendolo rinascere a nuova vita.
Se quella era la morte, allora ne valeva davvero la pena.
Poi Potter aveva abbassato gli occhi, e l’incantesimo si era infranto. Lily, la luce eterea e accogliente che da lei si sprigionava, non c’erano più.
“Guar…da…mi” aveva mormorato, disperato.
Potter si era voltato, e Lily era di nuovo con lui. Ora, Severus si sentiva davvero pronto.
L’ultima sensazione terrena che aveva provato era quella di una dolce, soffice carezza. Poi, il nulla.

“Ovviamente non può partecipare alla Caccia Senza Testa, ma troveremo qualcosa, si potrebbe indire un torneo… Mi sta ascoltando?” sbottò quello che una volta era stato il Responsabile dei Giochi Magici.
Severus continuò a fissare il vuoto, immobile.
“Capisco – fece quello con fare cameratesco – sta ancora pensando alla sua morte. Ascolti me, un po’ di compagnia e passerà presto. Signori! Venite qui con noi!” disse rivolto agli altri.
“Basta!” pensò Severus “Non capite che io non voglio dimenticare?”



9 Contro ogni senso (669 parole)di Helena Velena


"Non sono certo uno che si crogiola nei ricordi... perchè se lo fossi, tu a quest'ora saresti morto."
Severus parlava con un grosso cane nero.
Voltò le spalle nella nebbia, e quello dietro.
Il mago sorrise amaramente, perché non c'era nessun avversario malevolo in quel mondo umidiccio, saturo della pioggia appena caduta. Nessun giovane sprezzante, crudele, irriverente, nessun uomo segnato come lui dal destino, e che l'odiasse apertamente.
Piton passò sotto un lampione, nella Londra deserta, seguito dal rumore ticchettante degli unghioli sul selciato.
Contro ogni senso lottava al margine delle proprie riflessioni, non voleva pensare, non voleva... perdonare.
Qualcosa però penetrava la coscienza.
Cos'era? Cos'era mai? Ah, hmmmmm... che tremendo disgusto!
Per quanto si sforzasse di ignorarlo, sentiva forte nelle narici l'odore pungente del cane bagnato.
Meditazioni, ricordi. Pensieri precisi, un solo... particolare... nemico.
Quante volte aveva spiato il suo avversario lungo le notti dominate dal rancore, percorrendo tracce di cane sulla scia di quello stesso odore.
I brutti tempi andati.
Poi, non ne vennero di migliori.
La costante della sua vita si era risolta nel farsi tanti nemici, senza scordare mai quello che probabilmente l'aveva odiato di più.
Uno fra i primi, comunque.
"Questa bestia puzza orribilmente...", pensava, tentando di scacciare per l'ennesima volta l'animale. "Ovviamente i Babbani non si organizzano... per togliere di mezzo questi patetici randagi..."
Un salto sulle zampe, quasi una capriola. Il cane l'aveva frainteso e invitava Piton al gioco, lo strattonava per il mantello, si alzava sulle zampe nell'impossibile tentativo di leccargli il viso, impregnando quegli abiti austeri del suo odore sgradevole.
E Piton aveva una missione, da quelle parti, una ricognizione. Doveva restare in quel vicolo senza Smaterializzarsi, e ormai puzzava di cane.
Nessuna speranza di tenere la bestia a bada, non poteva usare la Magia, lì. Ma la parte peggiore della strana situazione consisteva nei ricordi che quell'odore portava con sé.
"Non voglio certo... pensare a te!" protestava contro ogni senso. "Sei morto, e per quel che mi riguarda... non sei più un problema..."
Orgogliosi, indipendenti. A loro modo freddi, entrambi spietati.
I nemici di una vita si erano assomigliati parecchio, sotto sembianze così diverse. L'olfatto è un senso capace di penetrare nel profondo, di rendere attuale ogni trascorso, e stava portando la verità alla superficie.
"Non sono... come te. Tu eri... sfacciato, tu avevi... successo..."
Si fermò a valutare meglio quanto detto, mentre il cane gli mordicchiava festoso una mano.
Già... un meraviglioso successo... amici fedeli che l'avevano spedito ad Azkaban, a irrancidire, a rinchiudersi in sé stesso, forse a impazzire.
E... i nobili natali? Nascere già inscritto nelle alte sfere del mondo magico?
No, nessun diritto, soltanto una cupa ribellione.
Ripensandoci, la vita del nemico non era stata certo né splendida né luminosa. Anche lui si era trovato varie volte relegato nel ruolo del peggiore reietto, soltanto per aver mantenuto una coerenza, una diversa posizione.
Infine, era morto. Era morto molto presto, persino prima di lui.
Il mago ancora vivo sospirò contrariato.
Chi l'avrebbe mai detto? Quel personaggio deprecabile aveva dato la propria vita per uno scopo preciso, per uno scopo comune, anzi, lo stesso che aveva lui.
Scrutando l'orizzonte buio Piton era certo di una cosa: allo stesso modo avrebbe dato la propria vita, alla fine. Come lui.
Qualche rumore lontano, un fischio, forse un treno. Il cane nero si immobilizzò nervoso, distolse dall'uomo ogni affetto, ogni attenzione. Per chissà quale ragione, ispirato dallo stimolo remoto, corse via svelto e dinoccolato, nella stessa imprecisata direzione.
Lasciò a Piton soltanto il proprio lezzo, là dove si era strusciato, gli lasciò addosso una traccia incancellabile che penetrava contro ogni senso, contro ogni rancore; e percorrendo i sentimenti evocati in un'inevitabile elaborazione, Piton si ritrovò suo malgrado calato nel più profondo rimpianto, e in odore di perdono.
Il cane si voltò solo un attimo, esitando in un saluto dello sguardo sfacciato, come una figura d'ombra imprevedibile, fiera e istintiva, capace di ogni eccesso e tuttavia... solo alla fine di una vita, resa amica.
"Addio, Sirius", gli rispose di rimando Piton.
 
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