Il Calderone di Severus


Lotta all'ultimo inchiostro - VI turno
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#4 - Il fuoco brucia come una spira4 [30.77%]
#1 - Ancora una volta3 [23.08%]
#2 - Burattino3 [23.08%]
#3 - Il flusso dei pensieri1 [7.69%]
#5 - Marchio Nero1 [7.69%]
#6 - Nel sole1 [7.69%]
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Lotta all'ultimo inchiostro - VI turno, Il Marchio Nero

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view post Posted on 30/11/2010, 19:14
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Pozionista abile

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Ok aggiungerò l'avviso di OOC prima di inviare la storia. ;) Super complimenti Ania per la vittoria! :lol:
 
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view post Posted on 30/11/2010, 20:57
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CITAZIONE (Ele Snapey @ 30/11/2010, 19:14) 
Super complimenti Ania per la vittoria! :lol:

Grazie! :D
 
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kijoka
view post Posted on 30/11/2010, 20:59





Desideravo fare, anche se sempre in ritardo, solo un breve commiato, dopo aver passato la palla al nuovo giudice in corso.

Dovevo ancora svelare le identità!
E allora, a parte la vincitrice:

Severus Ikari - Il fuoco brucia come una spira

Le altre partecipanti erano (in ordine di consegna):

Severia - Flusso dei Pensieri
Ellyson - Burattino
Ida - Marchio Nero
Halfbloodprincess - Nel sole
Ele Snapey - Ancora una volta

Sono molto soddisfatta di questo turno del Concorso perchè ho letto davvero ciò che avrei voluto sul tema da me prescelto.
Non posso che fare ancora una volta i complimenti a tutte : per le sfumature raccontate e per i sentimenti che avete saputo far nascere in me e credo anche in tutti quelli che vi hanno lette.
Ho trovato le moltissime varianti sul tema davvero molto intense.

Ed ora, da bravo giudice...

ANCORA UNA VOLTA sono qui, davanti al grande camino dove IL FUOCO BRUCIA COME UNA SPIRA. Il FLUSSO DEI PENSIERI mi porta lontano, a quando la sua pelle candida non era ancora segnata dal MARCHIO NERO. Ma, dovunque si trovi ora, non voglio più immaginarlo come un BURATTINO tra le mani di padrone senza volto. Voglio credere che abbia finalmente un’esistenza colma di felicità. Questa certezza mi porterà domani, come ogni prossimo giorno, a fissare i miei occhi NEL SOLE limpido del primo mattino e a rivedere le iridi scure sorridermi gioiose.

A te Ikari!
Ki


Edited by Ida59 - 15/8/2015, 18:09
 
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view post Posted on 30/11/2010, 21:12
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I ♥ Severus


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Bellissima la tua chiosa finale, Ki!

Edited by Ida59 - 15/8/2015, 18:09
 
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view post Posted on 10/1/2017, 17:00
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Lotta all'Ultimo Inchiostro - Storie partecipanti al VI° Turno:

Il Marchio Nero





ANCORA UNA VOLTA di Ele Snapey
747 Parole

Il fuoco ardeva allegro nel camino e il silenzio era spezzato solo dal vivace crepitio delle braci.
Severus, fermo accanto alla porta, pensò a come tutto ciò fosse un fastidioso controsenso, in netto contrasto con l’atmosfera cupa dell’ambiente in cui si trovava
- Severus, finalmente! Vieni! Vieni pure avanti… - sibilò la voce insinuante e sottile, proveniente dalla penombra, in cui gli parve di cogliere una leggera sfumatura di sollecitudine.
Piton avanzò con passo fermo e leggero fino alla poltrona su cui sedeva L’Oscuro Signore.
Piegò il ginocchio, si curvò appena per prendere delicatamente un lembo della veste e lo portò alle labbra.
- Finalmente… - sussurrò Voldemort, di nuovo, osservandolo con aria compiaciuta e allo stesso tempo maligna.
Il giovane mago alzò gli occhi scuri e immobili, fissandoli in quelli rosso sangue dell’Oscuro; vide ardere l’inferno nella profondità del suo sguardo inquisitore, in cui danzavano sinistri i riflessi delle fiamme del camino, ma non abbassò il proprio.
- Mio Signore.- pronunciò con calma, in tono lievemente sottomesso.
Voldemort iniziò a perquisire, con sguardo indagatore, ogni segno e ruga impressi sul volto pallido dell’uomo che gli stava inginocchiato di fronte, dimenticando volutamente di dargli il permesso per rialzarsi.
- Adesso mi spiegherai… - attaccò lentamente, soppesando ogni singola parola e allungando la mano verso il viso immobile incorniciato dai capelli corvini. Severus resistette all’impulso di ritrarsi; avvertì un lungo brivido gelido, quando le dita bianche e scheletriche, che sembravano quelle di un Dissennatore, gli sfiorarono appena la pelle.
- Mi spiegherai, Severus… -
- Tutto quello che desiderate, mio Signore –
- …il perché della tua assenza, la notte del mio ritorno. Quale improrogabile impegno ti ha impedito di obbedire al mio ordine, contrariamente a tutti gli altri? – la voce si ridusse ad un sussurro carico di promesse di morte, mentre manteneva il volto da rettile a pochi centimetri da quello di Piton.
Voldemort stava penetrando nella sua mente, alla ricerca di qualche prova schiacciante che gli desse l’autorizzazione per punire crudelmente il servo infedele.
Riuscì ad occluderla con prontezza e freddezza incredibili, ma lo sentì nel proprio cervello continuare a frugare a lungo, rabbiosamente tra i suoi ricordi, senza però trovare nulla di ciò che gli serviva.
- Dammi il braccio! – ordinò secco, all’improvviso, frustrato dalla ricerca infruttuosa.
Severus obbedì con calma, porgendogli quello su cui era il Teschio con il Serpente.
- Ora, fammi vedere il tuo Marchio, Severus, – mormorò suadente, e un sorriso crudele si allargò sul volto da serpe: - voglio sincerarmi che sia tutto a posto. –
Piton slacciò lentamente i bottoni del polsino, continuando a reggere il contato visivo con l’Oscuro, e sollevò con la stessa calma la manica, fino a scoprire l’avambraccio.
L’Oscuro sorrideva ancora quando gli afferrò il polso e allungò l’artiglio verso il Marchio Nero che spiccava sulla pelle candida.
Posò le unghie sul Teschio. Severus sentì immediatamente una fitta lancinante, come se una lama affilata di pugnale gli fosse penetrata nella carne; irrigidì il braccio e strinse i denti, per impedirsi di urlare.
- Perché? Perché non eri assieme agli altri, Severus? – continuò soave l’Oscuro, percorrendo dolcemente con le dita i contorni del Marchio. Era evidente che godeva dell’espressione di sofferenza intensa che traspariva dal volto contratto dell’uomo inginocchiato di fronte a lui.
Severus si lasciò sfuggire un flebile lamento. Era come se cento lame lo stessero dilaniando dentro e fuori.
Socchiuse gli occhi e vide allargarsi, oltre il velo di lacrime trattenute, il ghigno osceno sulla bocca sottile di Voldemort.
- M-mio Signore… - ansimò, - quel giorno non ero solo, e se fossi sparito improvvisamente, per obbedire alla vostra chiamata… - fu costretto ad interrompersi suo malgrado, le mani strette a pugno e le unghie conficcate nei palmi.
- Sì, Severus? – Voldemort avvicinò di nuovo il volto a quello del proprio servo.
- S-Silente avrebbe sospettato di me… Voi… voi sapete perfettamente come basterebbe un niente per far saltare la mia copertura… -
Voldemort lasciò il braccio e Severus tornò a respirare.
Afferrò l’arto martoriato e iniziò a massaggiarlo per lenirne il bruciore persistente. Notò come attorno alla linea nera del Marchio Nero, ne fosse impressa un’altra a fuoco, da cui colavano sottili rivoli di sangue. L’Oscuro lo osservò senza alcuna espressione.
- Molto bene, Severus… il tuo Marchio funziona ancora. Adesso, puoi andare. – sentenziò in tono beffardo.
Piton si rialzò, senza vacillare e, indietreggiando con il capo leggermente chinato, si congedò, uscendo dalla stanza. Ce l’aveva fatta, ancora una volta… Ma fino a quando sarebbe durata?


BURATTINO di Ellyson
747 Parole


Karkaroff girò sui tacchi ed uscì a grandi passi dalla cantina.
Sembrava preoccupato e furioso insieme. Per nulla desideroso di restare da solo con Piton straordinariamente arrabbiato, Harry gettò i libri e gli ingredienti nella borsa, e uscì con la massima rapidità per andare a raccontare a Ron e Hermione la scena a cui aveva appena assistito.
*Harry Potter e il calice di fuoco
Cap. 27 - pag. 443*


La pelle formicolava.
Bruciava in quel punto che aveva imparato ad ignorare con gli anni.
Quella macchia scura sul braccio dalla pelle candida.
Voleva ignorarla.
Fingere che non esistesse.
Invece era lì.
Beffardo il suo segno del passato. Spregevole, a ricordargli quello che aveva fatto; quello che aveva sacrificato in nome del desiderio di potere.
Era rimasta nascosta per quattordici anni.
Una macchia pallida sul corpo spigoloso.
E ora stava tornando. Pulsava come un cuore infetto d’odio e di dolore. Lo sentiva strisciare sulla pelle. Il serpente che lo aveva marchiato.
La sua colpa.
La sua dannazione.
Chiuse gli occhi. Respirò piano, cercando di placare il desiderio di urlare o di sparire da quel mondo.
Stava ricominciando.
Lo sapeva; non era solo il Marchio a ricordarglielo.
Avrebbe rivisto il dolore. Altro sangue avrebbe sporcato le sue mani.
Avrebbe indossato quella pesante maschera d’argento.
Non voleva farlo.
Ma doveva.
Aveva un debito da pagare. Un debito di sangue che non avrebbe mai potuto ignorare.
Aiutami a proteggere il figlio di Lily…
Harry.
Quel ragazzo che non capiva quanto fosse grande il dolore che provava ogni qual volta che incrociava i suoi occhi.
Il ragazzo che lui maltrattava in continuazione solo per vedere dardeggiare pieno di odio quello sguardo che aveva amato, anelato sempre con più desiderio e disperazione. L’odio provocato riusciva ad offuscare la vitalità di quegli occhi che erano di Lily e con quella i ricordi dolorosi del suo amore mai confessato.
L’avrebbe protetto, l’aveva promesso, l’aveva giurato sulla sua stessa vita di difendere il figlio che aveva desiderato con tutto se stesso che fosse suo.
Il professore si slacciò i bottoncini sulla manica sinistra, arrotolò la nivea camicia liberando la carne che bruciava nel punto in cui quello che un tempo aveva chiamato Padrone l’aveva marchiato; come un bambino che scrive il proprio nome sui suoi giocattoli preferiti.
Burattini spauriti che si lasciavano manovrare sperando di trovare la giusta via per il potere.
Osservò i contorni nitidi del Marchio che spiccava sulla carne pallida.
Aveva desiderato quel Marchio, così come aveva desiderato vedere l’amore in quegl’occhi color smeraldo.
Aveva odiato quel segno, così come aveva odiato quella parola sfuggita dalle sue labbra, sibilata con odio e orgoglio ferito.
Aveva osservato il teschio durante le sue lunghe notti insonni con dolore e rammarico, così come aveva osservato di nascosto Lily e James che si innamoravano giorno dopo giorno.
Si era quasi strappato quel pezzo di carne dal braccio, così come aveva provato ad estirpare quel sentimento che bruciava il suo cuore.
Con un dito delineò il contorno delle spire del serpente, il teschio a ghignare maligno sulla sua pelle.
Gli bastava solo una parola per eliminarlo per sempre dal suo corpo. Un solo incantesimo che aveva creato da ragazzo quando credeva che i suoi nemici fossero altri. Prima di vedere il suo più grande nemico ogni giorno riflesso nello specchio.
Ci sarebbe stato del dolore. Ma nessun dolore era paragonabile alla sofferenza che pativa senza Lily.
Ci sarebbe stato sangue, ma oramai si era abituato alle macchie scarlatte che macchiavano le sue mani.
Afferrò al bacchetta e la puntò all’avambraccio.
- Severus?
Alzò la testa di scatto.
Silente era alla porta, la tunica dai bordi verdi era l’ennesima pugnalata al suo cuore già mortalmente ferito.
Il vecchio mago non disse nulla, si limitò ad entrare nell’aula chiudendosi la porta alle spalle.
Piton abbassò lo sguardo sul Marchio Nero, sollevò la bacchetta e tornò ad osservare Silente che sembrava più interessato al cuore di drago che galleggiava in un barattolo sulla mensola della dispensa.
Lo detestava quando mostrava quel fastidioso affetto paterno.
Velocemente abbassò la manica della camicia, riallacciò i bottoni della casacca e si alzò dalla sedia.
- Sei pronto? – gli domandò inclinando il capo per vederlo meglio al di sopra delle lenti a mezza luna.
Si perse in quello sguardo celeste, la vecchia mano dell’amico si posò sul suo avambraccio sinistro. Sapeva che Silente avvertiva il calore del Marchio anche attraverso i vestiti.
Era ancora un burattino, anche se ora si trovava tra le mani di un altro padrone.


IL FLUSSO DEI PENSIERI di Severia
561 Parole


Sta diventando più scuro: è un fatto ormai incontrovertibile. Sono giorni che l’osservo e ora posso distinguerne i contorni e le forme più chiaramente. Sta tornando, lo so. È inutile negarlo o farsi illusioni: presto, molto presto il Signore Oscuro riacquisterà il suo corpo e tutto il suo potere. Anche il marchio di Karkaroff è più evidente e ne è terrorizzato: sa che se l’Oscuro Signore dovesse ritornare, il suo destino sarebbe scritto a lettere di fuoco, indelebile. Troppo evidente è il suo tradimento per ottenere il perdono, troppo codardo il suo cuore per sostenere lo sguardo di Colui il cui nome non può neppure essere pronunciato. Io non ho paura: sono tredici anni che aspetto questo momento e mi sono preparato. Ho cancellato qualunque emozione dal mio cuore, ho rinunciato agli affetti per non offrire punti deboli al nemico; ho allenato la mia mente per sostenere le incursioni dell’Oscuro Signore; ho mantenuto un comportamento ambiguo per insinuare il dubbio in coloro che mi stanno accanto; ho imparato a controllare il mio corpo, ho aumentato la mia magia; ho perfezionato le mie pozioni e ne ho inventate di nuove. So quale sarà la richiesta di Silente nel momento in cui Lui tornerà e io non mi tirerò indietro: ho fatto una promessa tanti anni fa e onorerò il mio impegno fino in fondo. Anche se questo significherà essere odiato da tutti e guardato con sospetto; vorrà dire inchinarsi di nuovo davanti al Signore Oscuro e baciargli il mantello, guardare i suoi occhi di serpente e non tradire un’emozione, sopportare le sue torture e implorarne la pietà. Dovrò convincerlo della mia lealtà e so che non sarà facile; dovrò fornirgli informazioni, tenendo però nascosto l’essenziale; dovrò ubbidire di nuovo ai suoi ordini per quanto crudeli siano. Eppure, non sarò più un suo suddito, non sarò più uno schiavo o un burattino: glielo lascerò credere in nome della Causa, ma ora sono un uomo che ha capito gli errori commessi, un uomo che tenta di redimersi, un uomo che cerca di fare la cosa giusta, un uomo coraggioso. Questo marchio, inciso sulla mia pelle, un tempo è stato il simbolo del potere e del rispetto acquisito, poi, pian piano, si è rivelato l’emblema di una perfida schiavitù; ora è solo un monito che mi ricorda i miei compiti e i miei doveri. Non fuggirò davanti a Lui, davanti alla sua bacchetta, bensì gli starò dinnanzi con fierezza e chinerò la testa soltanto per sostenere la commedia. Gli offrirò il mio sapere, ma non la mia mente; gli lascerò torturare e martoriare il mio corpo, ma non potrà più dilaniare la mia anima. Penserà di possedermi, che io sia una sua proprietà da sfruttare come meglio crede, invece sarà solo un inganno, un’illusione, un pugno di sabbia che gli scivola tra le dita, un tarlo che divora le fondamenta del suo potere e prepara la sua disfatta. Il veleno che mi ha iniettato attraverso questo marchio non ha più effetto su di me: ne ho trovato l’antidoto da tempo, ormai. Sono pronto alla guerra e a tutto ciò che comporta; sono pronto a combattere in nome della giustizia, per Silente, per Lily e soprattutto per me stesso, per riscattarmi: perché qualunque sia il prezzo da pagare, anche la vita stessa, io possa di nuovo essere un uomo libero, che appartiene soltanto a se stesso.


IL FUOCO BRUCIA COME UNA SPIRA di Severus Ikari
678 Parole

Faceva freddo quella sera, la neve era caduta abbondante e la città si era tinta di bianco.
Nella sua stanza un uomo era seduto su di una poltrona consunta e fissava il fuoco che si muoveva creando un’ipnotica danza.
Solo, al buio, se ne stava lì cercando di non pensare, ma era complicato per lui non farlo: i pensieri gli vorticavano nella mente come le fiamme che ardevano nel camino.
La sua pelle era ancora bagnata e lacrime d’acqua gli scivolavano lungo il corpo cadendo a terra dove si raccoglievano in un piccolo specchio trasparente che rifletteva il suo viso pallido e stanco.
Ogni tanto qualche goccia scendeva lenta dai lunghi capelli neri increspando il piccolo specchio d’acqua.
Il suo volto spariva nel liquido incolore e forse Severus Piton era ben felice di non vedere la sua immagine riflessa.
I suoi occhi neri di dolore s’incatenarono a quella strana macchia che aveva sull’avambraccio sinistro.


Una macchia.
Una colpa.
Un rimorso che mi lacera dentro, un dolore che si è impresso sulla mia pelle ormai da tempo.
Un teschio di morte che sono costretto ad osservare ogni giorno della mia vita.
Un vile serpente che si avvolge alla mia anima, stringendola nelle sue spire fino a farmi mancare il respiro.
Un grido straziante fuoriesce dalla lurida macchia, è l’urlo del mio cuore ormai solo pietra inerme, la voce di ogni vita che ho spezzato per esso.



Tutt’intorno c’erano scaffali colmi di libri e pozioni, gli unici amici che aveva, l’unico svago che possedeva. La sua sete di conoscenza lo aveva portato a collezionare volumi su volumi e molti celavano incantesimi dei più oscuri mai esistiti.
Le fiamme del camino carezzavano quei testi polverosi rendendoli come d’oro: il suo unico tesoro.
Il vento gelido sibilava tra le imposte della casa, creando echi mortali che s’insinuavano nella mente di Severus.


La mia unica colpa è stata il desiderio di conoscenza.
Il sapere sopra ogni cosa.
A cosa mi è servito conoscere tutto questo?
A nient’altro che uccidere persone su persone, solo a distillare pozioni di morte.
Vedevo la morte che arrivava a prendere quelle vite, sentivo il loro ultimo respiro.
Non ho mai avuto niente in questa mia vita, nessun bene materiale, nessun affetto.
Avevo solo un cuore e un’anima e ho perso anche quelli, barattati per un teschio e un serpente.
Si muove sinuoso tra le mie vene lasciando che il suo veleno si mischi al mio sangue.
Un veleno che m’incatena al dolore, che mi costringe alla sofferenza e alla solitudine, che discioglie la purezza della mia anima.


Severus si alzò di scatto e andò vicino al camino, inginocchiato osservava le fiamme che ancora danzavano come i suoi pensieri.
Avrebbe voluto mettere l’avambraccio sopra quel fuoco e bruciare quel marchio, ma non sarebbe servito a nulla, perché quella non era una semplice macchia, ma era un dolore impresso nell’anima e quello era difficile da bruciare, nemmeno con il più potente degli incantesimi.



Chissà se alla mia morte continuerà a sporcarmi la pelle?
Se bruciassi completamente, rimarrebbe lì?


I suoi erano pensieri di chi sa che presto o tardi sarebbe giunto alla fine.
Il suo unico desiderio non era vivere, anzi, la morte la aspettava da tempo, ma era quello che il marchio sarebbe finalmente scomparso dalla sua pelle.


Vorrei solo non averti, non essere schiavo di un viscido serpente.
Vorrei morire, liberarmi da tutto questo dolore, da tutto questo male che ho contribuito a creare.
Vorrei essere soltanto schiavo di me stesso.
Ma in fondo mi merito di essere servo di queste mie colpe e per esse continuo a camminare portandomi dietro il peso di questo marchio.
L’impronta di quello che sono.



Soltanto un asciugamano lo copriva, vicino alle fiamme sentiva le gocce d’acqua disciogliersi nell’aria e il calore bruciargli il corpo.
Avrebbe voluto vedere un teschio ed un serpente dimenarsi tra le fiamme, consumarsi lentamente fino a diventare nient’altro che cenere.
A cosa sarebbe servito?
Il dolore e le colpe sarebbero rimasti dentro di lui, perché quello che portiamo nel cuore nessuna fiamma potrà mai bruciarlo.


MARCHIO NERO di Ida59
543 Parole


Bruciava, il Marchio Nero, nel gelo buio e silenzioso del sotterraneo.
Pulsava, schifosamente vivo, rosso di brace di iridi maledette.
E ardevano i rimorsi, sul rogo violento delle sue colpe.
Il serpente guizzò, beffardo sorriso di orrido teschio, e il mago strinse il pugno fino a far sbiancare le nocche delle dita sottili.
Cosa lo aspettava, quella notte? Nuove vittime, nuove torture, nuovi orrori nella notte di vittoria di un odiato padrone?
Fino a quando, Merlino, fino a quando avrebbe dovuto pagare il prezzo di quella scelta scellerata che continuava a bruciare, dopo tanti anni, il suo braccio e la sua anima?
O, finalmente, era la sua morte che lo attendeva, per liberarlo nell’oblio di un nulla che avrebbe infine spento anche il dolore di un amore per sempre rimpianto?
Il Marchio arse ancora, rosso sulla pelle bianca, e il mago chinò il capo, come vinto, i lunghi capelli neri a carezzargli piano le guance pallide e scavate, le labbra sottili serrate a trattenere un gemito d’angosciata disperazione.
Marchio di schiavitù, per chi aveva sbagliato cercando sapienza, potere e rivalsa contro un mondo che lo aveva umiliato e deriso.
Un sorriso cupo e amaro stirò appena le sue labbra: aveva cercato il potere credendo di ottenere tutto ciò che voleva, ed ora doveva chinarsi nella polvere a baciare l’orlo di tenebra della veste del Signore della Morte.
Chiuse gli occhi per non vedere, ma il sangue innocente colava dalle sue mani in gocce di densa sofferenza che gli straziavano l’anima.
Quale perdono, mai, era possibile per un assassino?
Fissò ancora l’avambraccio, mordendosi le labbra: vi era inciso il simbolo del dovere, ora, nel rispetto d’un sereno sorriso, nell’affetto della luce azzurra di occhi sinceri, spenti da un verde e crudele lampo di obbedienza.
Severus sospirò: era un uomo libero, adesso, nella coraggiosa decisione di rinnegare scelte sbagliate, un uomo che aveva intrapreso fiero la dolorosa strada che con un lungo cammino portava all’espiazione, verso la luce della redenzione, quella luce smarrita tanti anni prima tra le spire del serpente, alla ricerca di un perdono che potesse infine lenire il tormento d’aver ucciso il proprio d’amore.
Di nuovo il Marchio pulsò, orrenda ferita aperta nella carne e nell’anima: quante volte aveva cercato di strapparselo via, vanamente, con la potenza della magia o con la disperazione di unghie e denti?
Quante volte, nella notte solitaria e silenziosa, aveva gridato l’angoscia e il dolore d’un amore perduto e di una vita distrutta?
Quante volte, ancora, avrebbe dovuto farlo mentre le fiamme dell’inferno bruciavano il suo braccio di nuovo dannando la sua esistenza?
Il Marchio continuava dolorosamente ad ardere, imperioso richiamo d’un padrone che da troppi anni non era più tale.
Severus serrò di colpo i denti troncando il cupo sospiro della sua anima e si alzò risoluto appellando silenziosamente il mantello: lo schiavo avrebbe obbedito ancora un’ultima volta, ma solo per compiere un dovere liberamente scelto, per proteggere e combattere ancora e sempre per il figlio di Lily.
Avrebbe sacrificato la sua vita, quando ne fosse giunto il momento, per salvare quel figlio che non era mai stato suo.
Lo sapeva, lo aveva sempre saputo, e sapeva anche che quel momento, infine, era vicino.
Pose la mano sul Marchio e sorrise, gli occhi neri scintillanti d’amore.


NEL SOLE di Halfbloodprincess78
746 Parole



Il Marchio si stagliava minaccioso nel cielo, sopra la casa dei Potter e sopra la torre di Astronomia, di nuovo.
Ogni notte, quel maledetto marchio si presentava come un ospite indesiderato nei suoi incubi.
Severus Piton si alzò lentamente dal letto, per andare verso il bagno, aprì il rubinetto e fece scorrere l’acqua sulle mani , colme d’acqua le portò ripetutamente al volto, poi fissò se stesso nello specchio sopra al lavabo:
gocce d’acqua gli scendevano lente dalla nere ciglia quasi che sembrava piangesse.
Scese con lo sguardo sull’avambraccio dove al posto dell’orribile e contorto simbolo del suo errore c’era solo una cicatrice bianca, ma era indifferente, per lui il marchio era sempre al suo posto anche se ora non si vedeva più,.
Era scivolato sottopelle fermandosi in un luogo buio da cui nessuno poteva estirparlo, chiuse gli occhi, lo sentiva ancora bruciare.
Si sentì soffocare, gli capitava spesso da quando era tornato a Spinner’s End per l’estate, del resto non aveva altro posto dove andare, era comunque una casa, anche se sapeva di non poterla chiamare con quel nome.
Spense la luce e si avviò in silenzio verso l’angusto salotto, un tintinnio in strada lo fece distogliere dai suoi pensieri.
Si avvicinò piano alla finestra semiaperta senza accendere la luce e la scorse per la prima volta, ferma in piedi sotto un lampione, una donna con un lungo abito nero e i capelli di fuoco stava guardando esattamente nella sua direzione.
Aveva il volto di un pallore innaturale e sorrideva emanando quasi una luce.
Si chiese cosa ci facesse una strega in quel quartiere di Babbani, perché era chiaro cosa fosse, nel preciso momento in cui questo pensiero attraversò la sua mente, la donna alzò una mano verso l’alto, socchiuse gli occhi e poi con l’indice tracciò nel vuoto alcuni segni.
Piton si sporse un po’ di più per vedere meglio, la vide disegnare degli anelli concentrici luminescenti con la punta del dito che apparivano per dissolversi all’istante: era qualcosa che Piton non aveva mai visto fare.
La donna abbassò il braccio lentamente e si voltò allontanandosi lungo la strada deserta, e di nuovo il tintinnio, ad ogni passo della strega , come se avesse dei campanelli annodati alle caviglie.
Restò a fissarla seminascosto dietro la pesante tenda di velluto, finchè non girò l’angolo e scomparve.
Sentì le palpebre improvvisamente pesanti, si accasciò piano sulla vecchia poltrona del salotto e cadde in un sonno profondo.
Di nuovo il Marchio Nero si stagliava nel cielo, Piton era sdraiato in un ampia radura, e osservava senza muoversi l’orribile simbolo delle sue colpe.
Cercò di alzarsi senza riuscirci, di nuovo si sentì soffocare come se avesse la gola piena di polvere, poi sentì uno scampanellio e dei passi che si facevano sempre più vicini.
La sensazione di soffocamento lentamente si allontanò, lasciando che si riempisse i polmoni di una fresca brezza che aveva iniziato a spirare.
Volse gli occhi al cielo e il marchio era scomparso, quello che stava osservando era il nascere di un nuovo giorno in tutta la magnificenza dei colori pastello dell’alba.
I passi e lo scampanellio cessarono.
Vide sorgere il sole, l’erba di inondava di luce e finalmente riuscì di nuovo a muoversi, si alzò a sedere, e la vide… era seduta a un paio di metri da lui e sorrideva.
Indossava un mantello sopra l’abito e appena si mosse il cappuccio scese, rivelando i lunghi capelli, era la donna che aveva visto in strada; che cos’era questa specie di strano sogno?!
D’istinto portò la mano alla tasca dove teneva la bacchetta e la strinse intorno all’impugnatura.
La donna non si mosse, continuò a sorridere col volto pallido illuminato dal sole nascente…
‘’Ora torna alla vita!’’ disse piano al mago.
Piton si svegliò nel tetro salotto di Spinner’s End.
Era stato un sogno, fuori era ancora buio.
Dopo quella notte il marchio nero non comparve più nei suoi sogni, il suo sonno era sereno come non mai.
I giorni passarono e le chiome degli alberi iniziarono a vestirsi dei colori dell’autunno.
La notte prima dell’inizio della scuola di nuovo udì lo scampanellio in strada, uscì velocemente, doveva capire…
La strega stava in piedi vicino al lampione dove l’aveva vista la prima notte, si avviò a grandi passi verso di lei, che sembrava aspettarlo.
Le fu di fronte e affondò il suo sguardo inquisitore negli occhi color ambra di lei.
‘’Buon anno scolastico professor Piton’’
Poi una luce accecante e Piton si svegliò.
 
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34 replies since 26/11/2010, 20:13   499 views
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