Vi propongo la seconda parte del capitolo XXIII (pensavo di postarla nel corso della settimana prossima, ma, considerando che sarà zeppa di impegni, ho preferito proporla oggi, onde non dimenticarmi). La prima parte del capitolo la trovate QUI.
Dopo questo capitolo, ne rimane ancora uno e l'epilogo.Capitolo XXIII - Parte II
Die Nebensonnen
Gran Bretagna, 28 marzo – 6 aprile 2002
Harry stava quasi correndo attraverso i corridoi del Ministero della Magia, per riuscire a raggiungere Piton. Il processo era appena terminato e Taylor era stato condannato al carcere a vita, ma il Wizengamot aveva deciso di non concedere nessun risarcimento alla signorina Ainsworth, nonostante le azioni dell’ex Auror l’avessero costretta a interrompere la sua carriera per due mesi e, forse, avrebbero potuto comprometterne il futuro.
Una decisione che chiunque avrebbe dovuto trovare ingiusta, come altri aspetti di quello che era appena accaduto nell’aula.
Riuscì a raggiungere l’altro mago unicamente all’esterno dell’edificio, quando Piton rallentò di poco il passo.
«Vorrei parlarti», disse, quando riuscì ad affiancarlo.
«Lo so, Potter», rispose l’altro, continuando a camminare e addentrandosi nella Londra Babbana.
Harry non disse nemmeno che avrebbe potuto almeno aspettarlo, invece di farlo quasi scontrare con un mago dall’espressione austera poco prima di uscire dall’edificio. Ripensò con attenzione al percorso che lo aveva portato sulle tracce di Piton che era uscito rapidamente dall’aula del Wizengamot. Fu solo, mentre l’uomo apriva la porta di un caffè, dai tavolini occupati per lo più da studenti universitari, che si rese conto del numero di giornalisti presenti durante il processo e poi nei corridoi del Ministero.
«Hai inviato la lettera?»
«Sì, è la prima cosa che ho fatto lunedì mattina.»
Piton annuì soltanto, mentre ordinava un tè, prontamente imitato da Harry, che si prese qualche tempo per guardarsi intorno. Nessuno aveva guardato in direzione sua e dell’altro mago, ma, nel mondo Babbano nessuno aveva idea di chi lui fosse o di chi fosse l’uomo seduto davanti a lui.
«Cosa farai se la lettera di risposta confermerà l’identità del suonatore di organetto?»
«Quello che ti ho già detto, Potter. Troverò il modo di parlare con lui, senza alcuna interferenza esterna.»
Severus aveva riflettuto a lungo sulla questione dopo aver intuito l’identità del suonatore di organetto e poteva perfettamente capire la rabbia che doveva averlo spinto ad essere coinvolto in quel piano criminale. E sapeva perfettamente che denunciarlo agli Auror sarebbe stato controproducente.
«Senza nemmeno un appoggio?»
«Non ho detto che l’incontrerò in un luogo deserto nel cuore della notte, Potter, né che sarò completamente solo. La cosa importante è che lui creda che non ci sia nessuno con me.»
Prima di conoscere Ygraine e Rebecca non gli sarebbe importato di morire. Anzi, forse avrebbe accolto con gioia la morte che lo aveva fuggito nella Stamberga Strillante. In quel momento, invece, voleva vivere, anche se questo avesse significato poter amare da lontano Ygraine e non poter essere pienamente un padre per Rebecca. Sapeva, d’altronde, che zia e nipote tenevano a lui e non desiderava infliggere loro un altro dolore.
«Quindi, come faremo?»
«L’ideale è portarlo in un luogo frequentato. Se avesse voluto nuocere a Ygraine avrebbe potuto farlo in più di un’occasione e avrebbe potuto anche coinvolgere i Babbani che camminavano ignari per le strade di Londra. Ritengo che il suo solo interesse sia colpire chi lo ha privato di tutto.»
Harry annuì, impedendosi di ribattere a quell’ultima affermazione, per quanto fosse consapevole, e sperava che lo fosse anche l’altro mago, che erano ben altre le persone che avevano privato di tutto il suonatore di organetto. Preferì immergersi nella pianificazione di quello che sarebbe potuto accadere una volta che gli fosse arrivata la lettera di risposta. Doveva ammettere che il piano escogitato da Piton era ben più sottile di qualsiasi idea fosse mai venuta in mente a lui e credeva che l’uomo potesse riuscire nel suo intento. Con ogni probabilità aveva ragione a non voler coinvolgere l’intera squadra, considerando soprattutto quello che era accaduto quel giorno al processo.
«Mi dispiace per come siano andate le cose, oggi», affermò, quando ebbero analizzato ogni minima variabile. Harry si chiese come dovesse essere lavorare insieme a Piton, se l’uomo avesse mai avuto l’idea di cambiare vita e diventare un Auror. Sarebbe stato uno dei loro migliori elementi, se non il migliore. «Ad un certo punto ho avuto l’impressione che non stessero più processando Taylor, ma che stessero accusandoti per quello che è avvenuto.»
«Non è accaduto nulla che io non mi aspettassi», la voce dell’uomo era straordinariamente calma, mentre Harry aveva ribollito per l’intera durata della testimonianza di Piton. Un membro del Wizengamot sembrava voler credere ad ogni parola della lettera di Jane e aveva insinuato alcune cose molto sgradevoli sulla signorina Ainsworth a cui l’altro mago aveva replicato con una freddezza che Harry aveva invidiato. «Credevi veramente che non avrebbero avuto dubbi su di me?»
«Non avrebbero dovuto. Quando ti hanno processato, dopo la battaglia finale, sembravano essere tutti incredibilmente ben disposti. Credevo che ti avrebbero dato un Ordine di Merlino.»
«Perché avrebbero dovuto? La maggior parte delle famiglie ha visto soffrire uno dei suoi figli a Hogwarts, troppe persone hanno visto morire un loro caro durante la guerra. Credi che non ci sarebbero state proteste? Il Ministero ha fatto quello che doveva.»
La voce di Piton era assolutamente ragionevole e Harry sapeva che aveva ragione, così come si rendeva conto che anche il ragionamento di Hermione sul fatto che l’uomo non fosse un eroe rassicurante aveva senso, ma non poteva impedirsi di pensare che fosse ingiusto che l’uomo che aveva permesso a tutti loro di vincere non vedesse riconosciuti i suoi sacrifici.
«Questo posso capirlo, anche se non mi sembra giusto, ma, oggi, non avrebbero dovuto porti quelle domande, né offendere in quel modo la signorina Ainsworth.»
Severus fissò per qualche istante il ragazzo, che sembrava essere particolarmente scosso da quello che era accaduto al processo. Quanto a lui, si era aspettato che lo attaccassero, che non si fidassero della sua parola, che gli ponessero molte più domande di quanto fosse necessario per il caso in questione.
Dopo sabato, aveva anche messo in conto che qualcuno avrebbe potuto avere in serbo delle parole offensive su Ygraine. Eppure, questo non gli aveva impedito di sentire la furia montare in lui per come alcuni membri del Wizengamot mostrassero fin troppi pregiudizi nei confronti dei Babbani e di come altri non fossero riusciti a non infangare il nome di una persona ben più meritevole di tutti loro. Era riuscito a non lasciar trapelare la sua rabbia, a mantenere la stessa calma che aveva manifestato davanti all’Oscuro Signore, ogni volta che aveva mentito o che aveva manipolato delle informazioni. Eppure, in alcuni momenti del processo, si era accorto di faticare a fingere che quelle parole non gli facessero nessun effetto.
«Taylor ha ricevuto la condanna che meritava», disse soltanto, decidendo di mettere fine al discorso. «Non sarà nemmeno la prima volta che vedrai qualcosa del genere, durante la tua carriera da Auror.»
Le parole di Piton si spensero nel silenzio del caffè, mentre il cielo si faceva improvvisamente scuro e alcune gocce di pioggia iniziavano a cadere sulla capitale.
Il maltempo parve colpire tutta l’isola e Ygraine si ritrovò a fissare la pioggia bagnare insistente il giardino dei genitori. Rebecca era con papà che le stava insegnando il francese. Avrebbe potuto farlo lei, ma il padre sembrava felice di poterlo fare e lei poteva comprendere che l’uomo volesse trascorrere più tempo possibile con la nipote, prima del loro trasferimento in Francia.
Dopo averne parlato con la mamma, Ygraine aveva deciso di trasferirsi oltremanica già a maggio. Quella mattina, dopo che Severus era partito per Londra, aveva iniziato a cercare, sul vecchio computer dei genitori, il luogo migliore in cui andare a vivere. Aveva già pensato di scegliere un piccolo villaggio dotato di scuola elementare. Rebecca sarebbe poi andata a Hogwarts o nella scuola magica presente in Francia; quindi, non era particolarmente utile avere a portata di mano una scuola media. Credeva, anche, che la bambina sarebbe riuscita a integrarsi meglio in una piccola comunità.
In quel momento, mentre osservava le gocce cadere insistenti, si chiedeva se non dovesse chiedere consiglio a Severus, ma non le sembrava l’idea migliore. Prima di fare un passo del genere, avrebbe dovuto parlargli dell’idea che aveva iniziato ad accarezzare da tempo, da prima di quello che era avvenuto nell’appartamento di Jane.
Sapeva di doverlo fare quanto prima, di non poter procrastinare troppo a lungo, ma, quando l’uomo tornò da Londra non disse nulla in proposito. Parlarono brevemente del processo e Ygraine si sentì sollevata nell’apprendere che Taylor era stato condannato, che non avrebbe più avuto a che fare con gli Auror.
Si sentiva decisamente più tranquilla, dopo aver acquisito la consapevolezza che l’unico sopravvissuto dei due complici che avevano ucciso quelle due povere persone e aggredito lei si sarebbe trovato dietro le sbarre della prigione magica, un luogo su cui non aveva osato fare nemmeno una domanda a Severus.
Quel senso di tranquillità si estese alle successive che portarono alla fine di marzo e all’inizio di aprile. Ygraine si era lasciata cullare da quella calma e aveva continuato ad evitare di parlare con Severus dell’idea che le frullava nella testa da tempo. Aveva continuato ad attende al punto che era giunto l’ultima sera, quella di Pasqua [1], in cui era rimasto a dormire a casa dei suoi genitori, e anche quel giorno era trascorso, senza che lei dicesse una parola sulla questione.
Era stato strano, il giorno dopo, non saperlo nella stanza degli ospiti, non poter parlare con lui dopo cena, quando tutti gli altri si erano ritirati per riposare e la cosa doveva essere sembrata strana anche a Rebecca, dato che la nipote era riuscito a convincerlo a fermarsi a cena il tre.
Eppure, nonostante quella prospettiva, si rendeva conto che le mancava quella quieta presenza, che doveva trovare il coraggio di chiedergli se avesse voluto andare a vivere in Francia con loro. Le aveva detto che il nuovo centro di ricerca per cui lavorava si trovava oltremare e Ygraine credeva che quella fosse un’ottima motivazione per tentare di convincerlo ad accettare. Tuttavia, continuò ad esitare.
E sapeva perfettamente perché stesse continuando a posticipare.
Era semplicemente timorosa che quella richiesta gli sembrasse inaudita, che potesse allontanarlo da sé, invece di avvicinarlo.
La mattina del tre aiutò mamma in cucina, per quanto la giovane donna sapesse di essere una pessima cuoca, prima di salutare la donna che stava andando ad aprire il negozio e di attendere insieme a Rebecca l’arrivo di Severus. Per un istante avrebbe voluto essere spontanea come la nipote che era corsa ad abbracciarlo come faceva ogni volta che l’uomo varcava la soglia della casa dei genitori, ma, per quanto avesse cercato un contatto fisico con Severus nei giorni subito successivi al ventidue marzo, non riusciva a farlo così casualmente, quando non era palese che stesse cercando il conforto che soltanto lui sapeva darle.
Rimasero per qualche tempo in salotto, prima che Rebecca trascinasse quasi Severus in giardino per farsi spiegare se alcuni dei fiori della nonna fossero utili per qualche pozione. Ygraine preferì rimanere dentro, perché voleva permettere all’uomo e alla bambina di godersi quei momenti in cui si erano, a tutti gli effetti, un padre e una figlia. Rimase per qualche istante davanti alla finestra, mentre osservava Severus e Rebecca intorno ad un cespuglio di lavanda, di cui sua madre andava particolarmente orgogliosa.
«Ygraine, possiamo parlare?»
La giovane donna si voltò verso il padre che aveva il volto stranamente serio. Non l’aveva nemmeno sentito avvicinarsi e, in quel momento, stava osservando Severus con un’espressione dubbiosa che non gli aveva mai visto prima. Si chiese se avesse scoperto quello che era accaduto veramente a casa di Jane. Forse uno degli Auror, per quanto non ne avesse nessun motivo, era andato a casa loro certo di trovarla lì e aveva parlato con i genitori. Era già un miracolo che mamma e papà avessero accettato le sue vaghe parole e che Rebecca non avesse mai detto nulla, ma la bambina non era a conoscenza di tutto quello che era accaduto.
«Certo, papà.»
«Andiamo nel mio studio.»
Ygraine seguì il padre, chiedendosi che cosa dovesse dirle. Mamma era ancora in negozio e la casa era silenziosa e vuota.
«Cosa sai di preciso del signor Piton?»
«Perché mi stai ponendo questa domanda?»
Ygraine osservò il padre farsi pensieroso mentre si avvicinava alla finestra dello studio osservando il giardino, dove si trovavano Severus e Rebecca.
«Credo di averlo già visto prima del giorno in cui l’hai portato qui. Immagino che ricorderai della morte degli Hancock.»
La giovane donna annuì soltanto. Sperava sinceramente di non essere impallidita. Non riusciva nemmeno a comprendere come fosse possibile che suo padre potesse collegare Severus a quello che era avvenuto agli Hancock, quella notte di Natale.
«Era il 1982, la notte di Natale ed io non riuscivo a dormire. Sai che a volte mi accade e, come faccio sempre, sono andato a piedi fino alla chiesa ed è là che ho visto qualcuno sulla tomba degli Hancock. Era una notte stranamente luminosa ed io mi sono fermato ad osservare. Non credo che lui mi abbia visto, quando si è allontanato dalla lapide. Era giovane, ma devi ammettere che il signor Piton ha un volto particolare», Ygraine non disse una parola, ma poteva immaginare che andare sulla tomba degli Hancock fosse una sorta di tortura autoinflitta. «Ho pensato che fosse un qualche parente di quella povera famiglia e, forse, avrei continuato a pensarlo, se l’anno successivo non mi fossi accorto che intorno al giorno di Natale erano comparsi dei fiori freschi. Non so nemmeno perché l’ho fatto, ma nell’ottantaquattro sono andato fino alla chiesa e ho visto di nuovo quell’uomo, fermo sulla tomba degli Hancock e così tutti gli anni successivi fino al Natale del novantasei. Il Natale dopo non si è presentato e nemmeno quello del novantotto. Ma da quello seguente, per quanto non mi sia mai recato ad osservare, sono ricomparsi i fiori freschi il giorno di Natale sulla tomba degli Hancock. E questo mi ha dato da pensare. Ci sono stati momenti in cui ho creduto che fosse saggio andare alla polizia.»
«Non è un reato portare fiori su una tomba.»
Ygraine sperava che la voce non le fosse uscita strozzata e che, se così fosse, papà pensasse che fosse legato a quello che le era accaduto, per quanto, negli ultimi giorni, le sembrava che la voce stesse sempre più migliorando, che stesse tornando come prima.
«Lo so, Ygraine, ma quei fiori e quelle piante avevano tutte un unico significato: il rimorso e la colpa. E tuo fratello ha detto a tua madre qualcosa sul signor Piton, che Mary ha ritenuto un’esagerazione, ma adesso… ho avuto la certezza che fosse lui l’uomo sulla tomba degli Hancock due giorni fa, quando è tornato dal giardino con Rebecca che faceva già buio. Il modo di muoversi, il volto illuminato dalle luci stradali e dalla luna erano esattamente gli stessi. Cosa sai veramente di lui?»
«Papà, non devi preoccuparti, davvero. Forse…»
«Forse, signor Ainsworth, dovrebbe porre le sue domande direttamente a me.»
Severus vide il padre di Ygraine sobbalzare e la giovane donna voltarsi verso di lui. Nessuno dei due si era accorto del suo arrivo e lui non si sarebbe nemmeno avvicinato allo studio dell’uomo se la signora Ainsworth non fosse tornata poco prima e non gli avesse chiesto il favore di andare a chiamare il marito.
«Quanto ha sentito?»
«Non molto, ma da quel che ho potuto intuire, mi ha visto portare dei fiori sulla tomba degli Hancock.»
Sapeva che avrebbe potuto mentire facilmente, ma non l’avrebbe fatto. Non gli importava del giudizio del signor Ainsworth, per quanto stimasse quell’uomo, ma non voleva deludere Ygraine, non voleva che lei credesse che fosse un vigliacco che fuggiva dalle sue responsabilità. O, forse, come uno sciocco, sperava che, un giorno, potesse ricambiare i suoi sentimenti, che potesse desiderare di illuminare ogni singola ora le sue giornate.
«Severus, non…»
«Devo a tuo padre una risposta, Ygraine.»
Alfred Ainsworth avrebbe voluto non aver parlato con la figlia, ma era preoccupato per lei e, forse, voleva sentirsi dire che l’uomo che aveva visto non era il signor Piton, che non era l’uomo con cui parlava di letteratura medievale, che non era l’uomo di cui sua figlia si era innamorata e che sua nipote considerava un padre.
«Cosa vuole sapere, signor Ainsworth?» la voce del mago era sorda, notò l’uomo e Ygraine gli si era fatta più vicina.
«Quei fiori… immagino lei sappia quale sia il loro significato.»
«Li ho scelti per il loro significato», Alfred non commentò quella frase, mentre osservava il volto di Piton che pareva nascondere con cura ogni possibile emozioni e quello espressivo della figlia che sembrava incredibilmente preoccupata. Ygraine posò la mano sul braccio dell’uomo, un gesto lieve, un gesto di vicinanza. «Li ho scelti perché ero presente la notte in cui la famiglia Hancock è stata uccisa.»
Il silenzio si posò soffocante sulla stanza. Ygraine avrebbe voluto dire a Severus che non era necessario parlare, che avrebbe potuto inventare una bugia plausibile e avrebbe voluto dirgli che lo ammirava per quello che stava facendo, perché non stava mentendo, perché stava mostrando ancora una volta la sua forza d’animo e il suo silenzioso e doloroso coraggio.
E avrebbe voluto dirgli che lo amava ancor di più per come si stava mettendo a nudo di fronte a suo padre.
«Sono… è stata la magia a ucciderli?»
«La magia può uccidere, signor Ainsworth. Noi maghi siamo unicamente degli uomini, così come lo siete voi Babbani. Ed entrambi abbiamo trovato il modo per fare del male», la voce di Severus era quasi inespressiva, ma Ygraine era certa che i suoi occhi fossero colmi del rimpianto e della colpa. «Ed io ho tolto una vita quella notte. Non ero solo, ma questo non diminuisce la mia responsabilità.»
Alfred Ainsworth osservò il volto dell’uomo e i suoi occhi neri, cupi e imperscrutabili. Ygraine gli si era fatta più vicina, quasi lo volesse sorreggere, quasi lo volesse proteggere da qualsiasi cosa lui avesse detto dopo quella confessione. Osservandola meglio, notò che la figlia doveva già essere a conoscenza di quel fatto, che la sua bambina sapeva e che, nonostante quella consapevolezza, rimaneva vicina al signor Piton.
Riportò la mente a quei fatti lontani. La signora Hancock era stata una donna gentile che aveva gestito il negozio di fiori del villaggio e suo marito aveva insegnato matematica in un liceo di Canterbury. Ricordava l’orgoglio di entrambi quando avevano detto che il figlio maggiore era stato accettato in una scuola esclusiva in Scozia.
«Il figlio maggiore, Robert, era come Rebecca?»
«Sì. Era un Nato Babbano.»
Alfred tentò di non rabbrividire, ma rammentava il giorno della morte degli Hancock. Il villaggio era stato colto dalla paura, mentre i giornalisti avevano iniziato a porre domande a tutti, in cerca di qualche oscuro segreto o di una storia perversa, ma i colpevoli non erano mai stati trovati e l’interesse della stampa era scemato di colpo. Non credeva, però, che gli abitanti del villaggio si fossero mai del tutto ripresi. O, almeno, lui non si era mai del tutto ripreso da quello che era accaduto quella notte. Aveva dovuto parlarne con i bambini e aveva dovuto consolare Ygraine che, pur essendo la minore, era quella che sembrava aver compreso meglio cosa fosse accaduto. Le aveva anche parlato dell’altro grande mistero di quella notte e, in quel momento, mentre osservava il signor Piton, si chiese quanti anni dovesse aver avuto all’epoca. Doveva essere poco più di un ragazzo.
«Qualcuno chiamò la polizia quella notte, la stessa persona che sistemò i cadaveri. Immagino sia stato lei, signor Piton.»
Ygraine notò che il padre sembrava solamente stanco in quel momento, ma non aveva fatto più cenno all’idea di recarsi alla polizia. E sperava che non ci pensasse più, perché avrebbe fatto di tutto per impedirglielo, anche fuggire in una terra lontana, con Severus e Rebecca. Avrebbe anche abbandonato il canto pur di impedire che il mago pagasse ancora per qualcosa per cui aveva già immensamente pagato.
«Sono stato io, signor Ainsworth, ma nessun gesto io abbia compiuto potrà mai ripagare il male che ho fatto.»
«Dovrei fare il mio dovere e denunciarla alla polizia», Severus annuì soltanto, interrompendo qualsiasi parola stesse per uscire dalle labbra di Ygraine. Si era illuso, aveva sfiorato la pace, ma era stato uno sciocco a pensare che il suo passato non venisse a chiedere il conto. «Ma se lo facessi, perderei il rispetto di mia figlia e, probabilmente, anche quello di mia nipote. Forse non avrei nemmeno dovuto dire nulla, ma ero preoccupato per Ygraine. Temevo che non sapesse nulla, che non avesse idea... Invece, mi pare chiaro che il mio piccolo usignolo sia a conoscenza di quello che deve essere accaduto quella notte di Natale.»
Alfred Ainsworth vide la figlia rilassarsi e il signor Piton osservarlo con attenzione. Non sapeva nemmeno lui come spiegarlo, ma erano state le parole del mago stesso a farlo desistere da qualsiasi volontà di rivolgersi alla giustizia.
E non erano state solo le parole, ma anche qualcosa nella sua voce, quando aveva ammesso di aver telefonato alla polizia, quando aveva ammesso di aver dato una qualche dignità ai cadaveri, che lo aveva fatto desistere da qualsiasi pensiero di andare dalla polizia, come avrebbe dovuto fare, come si era ripromesso di fare se i suoi sospetti fossero stati veri.
Il signor Piton gli era parso quasi rassegnato, mentre Ygraine sembrava pronta a combattere, a difendere il mago a qualunque costo. Sua figlia non aveva detto una parola, ma la conosceva troppo bene per non saper leggere ogni suo movimento.
Alfred era felice di aver deciso di non dire nulla a Mary prima di parlare con Ygraine. La moglie sarebbe stata meno comprensiva o, forse, non avrebbe compreso come la figlia potesse rimanere accanto ad un uomo che aveva ucciso in passato.
«Papà…»
«Non dire nulla, Ygraine, e perdonatemi entrambi se ho rivangato quella vecchia storia.»
La voce di Alfred Ainsworth era sincera, notò Severus, e l’uomo era certo che il filologo avesse agito spinto unicamente dalla preoccupazione per la figlia ed era sempre per la figlia che gli permetteva di rimanere in casa sua. Avrebbe potuto cacciarlo, anche se era giunto alla conclusione di non denunciarlo, ma non lo aveva fatto e di questo gli era grato.
«Non ha nulla di cui farsi perdonare, signor Ainsworth.»
L’uomo osservò per qualche istante il signor Piton, prima di annuire, senza commentare oltre, senza dare l’impressione di aver notato le parole che non erano state pronunciate.
In quel momento, si rese conto di essersi lasciato accecare dalla preoccupazione per Ygraine, di non aver considerato appieno il significato di quei fiori, che esprimevano il rimorso e la colpa.
E capì perché la sua bambina fosse rimasta accanto al mago, perché gli si fosse fatta così vicina poco prima.
E mentre usciva, non poté far altro che dirsi orgoglioso del suo piccolo usignolo.
«Severus, mi dispiace», mormorò Ygraine, dopo che il padre chiuse la porta dello studio alle sue spalle. «Non credevo che papà…»
«Era una possibilità. Chiunque nel villaggio avrebbe potuto vedermi quelle notti.»
«Hai portato i fiori anche questo Natale?»
Rebecca gli aveva già parlato pe la prima volta e aveva già saputo quale fosse il nome dell’uomo che era stato così gentile con la nipote. Era stato poco prima di Natale, quando aveva cantato, accompagnata da Jane, un concerto al museo.
Per un istante si chiese se la pianista si fosse accorta allora che aveva parlato con Severus, ma scacciò quel pensiero dalla mente.
«Sì, come ogni anno, tranne quello in cui ho usurpato la presidenza di Hogwarts e l’anno successivo perché mi stavo ancora riprendendo dalle ferite di Nagini», Ygraine strinse entrambe le mani di Severus tra le sue, mentre cercava di immaginarlo ogni notte di Natale in piedi, solitario, davanti a quella tomba. «So che non serve a cancellare quello che ho fatto, ma è un modo per mostrare almeno il mio rispetto.»
«Andrai anche il prossimo Natale?»
L’uomo annuì soltanto. Quella degli Hancock era l’unica tomba che visitava. Non era mai stato sulla lapide di Lily, né era mai andato su quella di Silente. Non sapeva se fosse la gravità di quello che aveva fatto, di come fosse giunto ad uccidere un bambino oppure se vi andava perché quella era stata la prima volta in cui si era reso conto del baratro in cui era precipitato, in cui si era reso conto di che razza di mostro fosse diventato.
«Mi permetterai di accompagnarti, Severus?»
«Ygraine, tu non hai commesso alcuna colpa.»
Avrebbe voluto dirle che aveva un animo troppo puro per poter condividere quel momento con lui, che era troppo luminosa per poter rimanere accanto alle sue tenebre.
«Vorrei soltanto che tu non fossi solo quella notte.»
Le parole di Ygraine erano quasi un lieve sussurro, ma gli parve che riuscissero, in parte, a donare sollievo al suo animo. Tentò di immaginarsi in piedi davanti alla tomba degli Hancock, mentre depositava quei fiori, con la giovane donna al fianco. Forse sarebbe crollato, ma non temeva di perdere il controllo delle sue emozioni davanti a Ygraine. Oppure, sarebbe riuscito a fare i conti con quell’evento del suo passato, perché la giovane donna sarebbe stata lì con lui.
C’era un altro modo per affrontare direttamente quello che aveva compiuto quella notte di Natale e sapeva che quello doveva farlo da solo.
«Se, quando sarà il momento, vorrai ancora venire con me, potremo andare insieme.»
Ygraine gli sorrise e forse avrebbe aggiunto qualche altra parola, se Rebecca non fosse entrata nella stanza per annunciare che la cena era pronta. Durante il pasto, il signor Ainsworth fu sorprendentemente amichevole con lui, ma forse, si disse Severus, l’uomo era decisamente simile alla figlia. Era certo che Mary non sarebbe stata altrettanto tranquilla intorno a lui, dopo quello che aveva scoperto quel pomeriggio.
Quando l’uomo lasciò la casa, quella notte, spirava un vento furioso, che parve quietarsi durante le giornate successive, che parevano aver trovato uno strano schema fisso. Ogni giorno Severus andava a casa loro, spesso nel primo pomeriggio e vi rimaneva fino all’ora di cena. A volte si fermava a mangiare; altre preferiva rincasare prima.
Anche quel sabato, l’uomo era giunto nel primo pomeriggio ed era rimasto con lei e Rebecca per diverso tempo, fino a quando non era stato consultato da papà su un manoscritto che stava studiando e che portava una versione particolare della storia della fata Melusina. Severus le aveva confidato che, con ogni probabilità, era un testo scritto da un mago del XII secolo, ma era un’informazione che suo padre non avrebbe mai potuto conoscere, per evitare il rischio che nell’eccitazione di spiegare una variante testuale non rivelasse l’esistenza del Mondo Magico a tutti i suoi colleghi.
Ygraine approfittò dell’assenza di Severus per far vedere a Rebecca alcuni villaggi francesi dove avrebbero potuto andare ad abitare, ma quando tornò in salotto, da sola, dato che la bambina aveva deciso di fare alcuni esercizi che le aveva dato il nonno per imparare la nuova lingua, del mago non c’era traccia.
Suo padre non aveva idea di dove fosse, ma le disse che l’uomo aveva accettato l’invito a cena che lui stesso gli aveva fatto. Fu la mamma a indicarle la strada per cui l’aveva visto andarsene, uscendo dalla porta sul retro e dal cancello del giardino. Ygraine indossò rapidamente un soprabito, prima di uscire e ripercorrere la via indicatale dalla madre.
Il vento soffiava lieve, simile ad una brezza, sulla campagna inglese, ma lei parve non farci quasi caso. Il suo unico scopo era raggiungere Severus ed avere il coraggio di fare quello che si era riproposta giorni prima. Avrebbe dovuto farlo da tempo, soprattutto considerando che non aveva nulla da fare in quei giorni, se non capire dove volesse stabilirsi e poi iniziare a contattare alcune agenzie immobiliari. Avrebbe potuto parlargli dopo quella conversazione dolorosa che Severus aveva avuto con suo padre.
Invece, aveva continuato a rimandare.
Ma, ormai, non aveva più molto tempo.
Aveva fissato un recital il 29 giugno a Tours, un primo appuntamento, alcune settimane prima del Lohengrin ad Aix-en-Provence, in modo da capire se la voce avrebbe retto un’intera opera, in modo da capire se sarebbe riuscita a salire su un palcoscenico senza essere colta dal terrore di non riuscire ad emettere un solo suono.
Per allora, sarebbe già stata in Francia da alcune settimane, perché voleva che Rebecca si ambientasse, che iniziasse a parlare la lingua che papà le stava insegnando. Avrebbe anche tentato di comprendere se iscrivere Rebecca sul finire dell’anno scolastico o se fosse meglio aspettare direttamente l’anno successivo. Sarebbe dovuta andare a parlare con le maestre e spiegare loro in parte la situazione, senza scendere nei particolari, inventando un’altra motivazione alla scelta del fratello, di cui nemmeno mamma e papà avevano molte notizie. Sapevano soltanto che lui e Margaret si trovavano a New York, dove Gawain aveva trovato da lavorare come avvocato, ma i contatti erano pochi e scarsi.
Si fermò soltanto un attimo, quando raggiunse la casa degli Hancock. I vetri erano rotti e alcune scritte erano comparse sulle pareti. Appariva chiaro che nessuno vi avesse abitato da anni. La porta era aperta, come si era aspettata, quando mamma le aveva indicato per quale strada Severus si fosse allontanato.
E lo trovò in quello che doveva essere stato il salotto.
La stanza era vuota – papà le aveva detto che alcuni parenti degli Hancock si erano portati via i mobili – se non per una sedia rimasta lì, probabilmente dimenticata.
L’uomo era immobile, una macchia nera nella stanza illuminata dal sole di quel giorno di aprile.
«Severus», lo chiamò piano, quasi temesse di spaventare i ricordi che dovevano agitarsi nella sua mente.
L’uomo si voltò verso di lei, il volto una maschera di fredda quiete. Ygraine gli si avvicinò di qualche passo, osservando gli occhi neri vuoti e allo stesso tempo colmi della colpa.
«Erano qui, riuniti. Stavano ridendo prima che entrassimo. Erano…»
«Usciamo, Severus.»
L’uomo scosse il capo, tornando a voltarsi verso la stanza spoglia. Sentì la mano di Ygraine posarsi lieve sull’avambraccio sinistro, dove rimaneva il segno sbiadito del Marchio Nero, dove la giovane donna aveva visto il grumo nero della sua orribile scelta.
E anche quella volta gli parve che la sua innocenza potesse mettere a tacere il senso di colpa per il male che aveva portato, che potesse lavare le sue colpe e purificare quel simbolo di magia oscura.
Sapeva di non aver alcun motivo per andare alla casa degli Hancock, ma aveva creduto che rivedere quel luogo potesse in qualche modo portarlo a lasciar andare, almeno in parte, il peso di quella colpa, della colpa più orribile che avesse mai commesso.
Invece, gli era solo sembrato di rivedere la famiglia intorno al tavolo del salotto, mentre ridevano felici ed ignari dei tre mostri che sarebbero entrati in casa loro. Rivedeva davanti agli occhi il volto del ragazzino che aveva ucciso e rivedeva i suoi compagni assassinare e torturare gli altri membri della famiglia, mentre lui rimaneva fermo, immobile e sconvolto da quello che era diventato.
«Severus…»
La voce di Ygraine era poco più di un sussurro gentile e puro, come i raggi del sole che accarezzavano il pavimento impolverato della stanza.
«Credevo che venendo qui sarei riuscito a fare realmente i conti con il mio passato, ma ho trovato unicamente il senso di colpa e il ricordo di quella notte di Natale.»
«Forse hai trovato soltanto ciò che volevi trovare», la voce di Ygraine era sempre gentile. Si era fatta più vicina a lui e la mano era scivolata a stringere la sua. «Stai ancora cercando di pagare per quello che hai fatto, anche quando hai già pagato così duramente.»
«Non abbastanza, Ygraine. Ho causato troppo dolore nella mia vita. Ho distrutto troppe famiglie, a partire dagli Hancock… so che tu non me ne fai una colpa e credimi se ti dico che sono consapevole che non ho alcuna responsabilità diretta in quello che ti è accaduto, ma non sono riuscito a salvare i Berenger, non ho potuto far altro che vederli morire, che vederli torturare. Ho ucciso io stesso uno di loro ed era l’unica cosa che potessi fare, l’unico modo per fermare la tortura a cui era sottoposto.»
Severus si aspettò quasi che la giovane donna togliesse la mano dalla sua, invece la strinse con più forza, con la stessa forza con cui i raggi del sole entravano dalle finestre rotte della casa degli Hancock. O forse era Ygraine stessa ad illuminare la stanza con la sua purezza.
«Hai solo compiuto un gesto pietoso, l’unico che tu potessi compiere in quel momento», Ygraine avrebbe voluto andare a chiedere ai maghi e alle streghe che avevano conosciuto Severus e che dicevano di essere dalla parte del bene, come avessero potuto non capire, come avessero potuto non dubitare nemmeno per un attimo dopo che aveva ucciso il Preside, come avessero potuto lasciarlo solo ad affrontare tutto quel dolore. Sapeva che Severus era in grado di fingere alla perfezione, ma se qualcuno avesse provato per lui anche solo un barlume di amicizia, avrebbe dovuto porsi almeno qualche domanda. «Hai però salvato la vita ad uno dei figli di Hugh e Mathilde Berenger. So che per te non è abbastanza, ma quel ragazzo può vivere con i suoi nonni unicamente grazie a te.»
L’uomo strinse a sua volta la mano di Ygraine, quella mano che gli offriva lo stesso perdono delle sue parole, cercando di ignorare la convinzione di aver salvato e, al tempo stesso, distrutto la vita di William Berenger. Chiuse per un breve istante gli occhi, concentrandosi unicamente su quanto la giovane donna gli stava donando.
E quella volta non fuggì dal perdono come aveva fatto quella mattina ventosa in casa di Gawain Ainsworth, ma lo accettò, perché rifiutarlo avrebbe voluto dire far tramontare uno dei soli che illuminavano la sua vita, uno dei due soli che stavano lentamente sciogliendo il ghiaccio dell’inverno del suo animo.
Quando riaprì gli occhi, la stanza gli parve meno carica di fantasmi. I ricordi, il senso di colpa e il peso di quello che aveva compiuto rimanevano, ma sembravano meno opprimenti.
E per qualche breve istante si permise di sperare in un futuro che non sarebbe stato privo della consapevolezza di ciò che era stato, ma che avrebbe potuto essere almeno rasserenato.
«Usciamo.»
Avrebbe potuto dire altro, ringraziarla, confessarle financo il suo amore, ma non riuscì a dire altro, per quanto avesse già espresso malamente, in un’altra occasione, la propria gratitudine alla giovane donna. Ciononostante, Ygraine gli sorrise, quasi le fosse bastato che lui ricambiasse la sua stretta di mano.
La lasciò andare soltanto quando furono all’aperto.
Il sole pomeridiano illuminava la tranquilla campagna di quell’angolo di Inghilterra. Da dove si trovavano si vedevano alcuni alberi solitari e in lontananza il campanile della chiesa del villaggio.
«Ti andrebbe di fare una passeggiata?»
Annuì soltanto, osservando il volto della giovane donna, incorniciato dai capelli che aveva raccolto in una crocchia, quel giorno. La seguì lungo un sentiero laterale che non aveva visto, mentre camminava da solo verso la casa degli Hancock.
Non parlarono mentre si addentravano per il sentiero, fino a fermarsi ai piedi di un vecchio ciliegio che si trovava solitario in mezzo alla campagna.
«C’è una cosa di cui vorrei parlarti», la voce di Ygraine era tranquilla, per quanto gli sembrasse di sentire una lieve incertezza. «Ci ho riflettuto a lungo da quando Gawain ha affidato a me la custodia di Rebecca. Avrei dovuto parlartene da tempo, ma ho sempre rinviato… non so nemmeno perché l’abbia fatto. So che Rebecca ti ha detto che stiamo cercando casa.»
La voce della giovane donna si spense nella lieve brezza, che pareva voler giocare con i capelli, raccolti in una crocchia. Severus non disse nulla, attendendo che proseguisse e impedendosi di formulare qualsiasi ipotesi.
Ygraine stava evitando di guardarlo, preferendo fissare un punto indeterminato nella campagna.
«Io… vorrei chiederti se vuoi venire a vivere con noi in Francia.»
La giovane donna lanciò un’occhiata a Severus, ma l’uomo non la stava guardando. Forse era stata precipitosa o una sciocca.
«Non è una scelta saggia, Ygraine», affermò l’uomo continuando ad evitare il suo sguardo.
«Invece, è logica. Mi hai detto che lavorerai per un centro di ricerca in Francia e possiamo cercare una casa abbastanza grande lì vicino. So che può sembrare una richiesta insolita, ma…»
«Può sembrarti logica adesso, Ygraine», la interruppe Severus, posando lo sguardo sul volto della giovane donna, che almeno non sembrava ferita da quel rifiuto che faticava financo a pronunciare. Il suo cuore e il suo animo lacerato avrebbero voluto accettare, ma la ragione imponeva di intraprendere un’altra strada. «Ma non hai alcuna idea di quello che ti riserverà il futuro, né puoi dirti certa che riusciremmo a vivere nella stessa casa per più di qualche giorno.»
«Nulla mi fa pensare che non sia possibile», la voce di Ygraine si era fatta incerta, in quel momento.
«E anche se fosse possibile, cosa accadrà, quando incontrerai una brava persona con cui dividere per sempre la tua vita, non solo spinta dall’amicizia, ma da sentimenti più profondi?»
Severus distolse nuovamente lo sguardo da Ygraine e dai suoi occhi luminosi. Sapeva che lei avrebbe ribattuto e che il suo sguardo avrebbe potuto portarlo a cedere, perché, in fondo, l’unica risposta che avrebbe voluto dare era di accettare, di lasciare la casa di Spinner’s End e i suoi tristi ricordi e di andare a vivere in Francia con lei e Rebecca, ma non voleva condannarsi a vedere costantemente Ygraine felice con un altro, né condannare lei alla sua miserevole presenza. Sarebbe andato in Francia più volte all’anno e in quelle occasioni avrebbe potuto vedere la giovane donna, avrebbe potuto scriverle anche e sarebbe stato contento della sua futura felicità, ma non sarebbe mai riuscito a vederla ogni giorno insieme ad un altro.
«Severus… quello… non accadrà mai.»
Ygraine avrebbe voluto aggiungere altro, avrebbe voluto dirgli che non sarebbe mai accaduto perché esisteva già una brava persona con cui avrebbe voluto dividere per sempre la sua vita, ma non ci riuscì, non quando non riusciva a togliersi dalla mente il quadro davanti a cui aveva incontrato Severus e la cerva che le aveva mandato e che, lo sapeva, rappresentava la madre di Harry.
«Come puoi esserne certa, Ygraine?» la voce di Severus era incredibilmente sorda in quel momento, ma il volto era ancora rivolto verso il suolo, nascosto dai capelli neri. «Non puoi sapere quale sarà il tuo futuro, ma so che meriti di incontrare un uomo buono, che possa renderti felice, e dubito che quest’uomo potrà essere contento delle mia… e anche se lui sopportasse la mia presenza, io non potrei mai riuscire a vivere…»
Severus si interruppe di colpo, deglutendo a vuoto. Si sentiva incredibilmente incerto, in quel momento, ma sapeva che doveva a Ygraine la più assoluta sincerità, che doveva farle comprendere il motivo per cui non avrebbe potuto accettare la sua proposta, anche se questo avrebbe significato perdere la sua amicizia.
«Severus…»
«Ygraine, lasciami finire, ti prego», la giovane donna fece un passo verso l’uomo che le apparve in quel momento incredibilmente vulnerabile. «Vorrei accettare il tuo invito, credimi, ma non posso agire come un egoista… so che tu credi in quello che hai detto, ma, un giorno potrebbe accadere… e ne sarei felice, perché tu meriti ogni felicità, ma, Ygraine, non potrei mai vivere accanto a te, non potrei mai farti il torto di accettare il tuo invito per vivere come un parassita vicino a te, per impedirti, forse, in futuro di essere felice, perché sono stato così egoista da non saper rinunciare a vivere accanto alla donna che amo.»
Le sue parole parvero perdersi nella brezza di quel giorno di primavera, illuminato dal sole. Nella quiete di quell’angolo di campagna inglese si sentiva unicamente il cinguettio di alcuni uccelli e il lieve stormire dei rami.
E il fruscio dell’erba sotto i piedi di Ygraine, che si era fatta più vicina a lui.
«Severus, quando ti ho detto che non ci sarebbe mai stato il rischio che io potessi incontrare una brava persona in Francia con cui dividere per sempre la mia vita, non ho mentito, né ho esagerato», il mago non osò alzare lo sguardo, nonostante la voce di Ygraine fosse dolce, nonostante non vi fosse nulla che lasciasse presagire un rifiuto. «Ho già incontrato quella persona, ma credevo di non avere alcuna speranza, che l’unico modo per starti vicino fosse chiederti di venire con me e Rebecca in Francia, di accontentarmi della tua amicizia e di vederti ogni giorno, di vivere, in qualche modo, accanto all’uomo che amo.»
«Ygraine…», la voce gli si spezzò, mentre sollevava lo sguardo dal suolo per posarlo sugli occhi della giovane donna.
E vi lesse l’incrollabile fiducia.
E vi lesse la gioia.
E vi lesse l’amore.
«Avrei voluto dirti quello che provo da giorni», riuscì a dire con una facilità che non si aspettava. Non aveva nemmeno osato sperare, quando Ygraine aveva cominciato a parlare che lei potesse amarlo. Allungò una mano e le sfiorò delicatamente una guancia, scostandole una ciocca di capelli, che si era liberata dalla crocchia con cui li aveva raccolti. «Ma non volevo che tu… eri vulnerabile, dopo quello che ti era stato fatto e temevo che potessi agire spinta da una riconoscenza che sapevo di non meritare.»
«Non sarebbe accaduto, Severus», mormorò Ygraine, osservando gli occhi neri dell’uomo, che parevano fissarla con una dolcezza che non aveva mai notato prima sul suo volto. «Mi ero accorta di amarti da tempo, da prima che Gawain agisse in quella maniera sconsiderata. Ed ero certa che il tuo cuore appartenesse a un’altra, che non sarei mai riuscita a competere con una donna morta. So che non mi hai mai detto nulla, in proposito, ma… prima del giorno in cui hai dato il fazzoletto a Rebecca, ti avevo visto altre volte sempre davanti a Sancta Lilias ed io…»
«Quella di cui ero infatuato non era nemmeno più Lily», affermò l’uomo. Avrebbe voluto unicamente baciare Ygraine, ma credeva di doverla rassicurare in proposito, di non lasciare spazio a malintesi futuri. «Era la donna che io avrei voluto incontrare, ma che non avevo realmente incontrato. E più ti conoscevo, più avevo a che fare con te o con Rebecca, più il fantasma che avevo costruito nella mia mente, ha iniziato a mostrare la sua evanescenza. L’ultima volta che ho parlato con Lily non avevo nemmeno finito la scuola e per anni ho creduto che…»
«Severus, non…»
«È giusto che tu sappia, Ygraine», la giovane donna annuì soltanto, quando Severus la interruppe. «Per anni ho alimentato quello che era stato l’amore di un ragazzo perché era l’unica cosa che mi facesse sentire la mia umanità. Tu sai quello che ho fatto per scelta e quello che ho dovuto e voluto fare per porre rimedio a quella scelta. Credo che mi servisse un simbolo, qualcosa a cui appigliarmi… e quel simbolo poteva essere soltanto Lily che per qualche anno mi era stata amica.»
Ygraine allungò una mano e strinse quella di Severus. Sentì l’uomo ricambiare subito la stretta, senza nessuna esitazione, senza nessuna titubanza. Non fece altro, non lo abbracciò come avrebbe voluto fare, né disse nulla, per quanto avrebbe voluto dargli conforto. Sapeva già che aveva condotto una vita solitaria, ma sentirgli dire quelle parole sembravano unicamente centuplicare quella solitudine.
«Per anni ho creduto… ho voluto credere che l’amicizia con Lily fosse finita a causa mia, che avessi oltrepassato il segno e che quello che aveva detto fosse imperdonabile.»
Ygraine strinse maggiormente la mano di Severus, mentre parlava di quel giorno lontano. Avrebbe voluto dirgli di smettere e avrebbe voluto prendere a schiaffi la madre di Harry per come si era comportata, per come era stata cieca, per come non avesse voluto capire perché Severus avesse detto quella parola.
Avrebbe voluto piangere e avrebbe voluto abbracciarlo e abbracciare il ragazzo che era stato. E mentre le rivelava anche quella parte della sua vita, si rese conto di quanta forza di carattere possedesse e in quale solitudine avesse vissuto e avesse maturato le sue scelte. In quella solitudine era caduto, ma sempre in quella solitudine era riuscito a trovare il coraggio di rivolgersi a Silente, di sopportare, poi, il dolore che il cammino che aveva scelto per espiare gli aveva posto davanti.
«Prima che Rebecca mi chiedesse quel fazzoletto, prima che tu mi invitassi a bere quel tè, non avevo mai incontrato qualcuno che non mi avesse già giudicato prima ancora di parlarmi», Severus si interruppe per qualche breve istante, prima di riprendere, la voce esitante, mentre metteva ancora più a nudo il suo animo. «Quando ho accettato il tuo invito… e ti prego di perdonarmi, Ygraine, l’ho fatto perché volevo provare a capire cosa volesse dire essere una persona come tutte le altre. Volevo unicamente trovare un attimo di tregua ai miei pensieri che fuggivano sempre verso il passato.»
«Non hai nulla di cui farti perdonare, Severus», disse la giovane donna, la voce dolce e colma di affetto. «Ero una sconosciuta, allora.»
«Vi stavo usando, Ygraine, stavo…»
«Non credo che tu lo stessi facendo veramente, Severus», lo interruppe, prima che potesse denigrarsi. «Hai spiegato a Rebecca perché le accadevano quelle strane cose ed io, anche se non sapevo nulla di te, se non il tuo nome, mi sono accorta che mi fidavo istintivamente di te.»
«Sei… siete state…», Ygraine strinse anche l’altra mano di Severus che, come quando le aveva dichiarato il suo amore, appariva vulnerabile e insicuro. «Quella fiducia, Ygraine… non so se mi sono innamorato di te per quello, non so nemmeno quando sia accaduto… ma so che quella fiducia che non crollava mai, quando mi aspettavo che accadesse, ha distrutto l’immagine fittizia a cui mi ero aggrappato, quell’immagine che avevo cercato in un quadro Babbano per rimanere aggrappato al passato, per cercare un perdono che per primo non riuscivo a concedermi. Ero certo che tu mi avresti disprezzato quando ti ho svelato il mio passato, che mi avresti odiato… e quando non l’hai fatto, sono cominciate a comparire le prime crepe e più tu mi offrivi il tuo perdono, più tu mi spronavi a perdonarmi, più mi rendevo conto di non amare più Lily da tempo, forse da prima della fine della guerra. E, quando ho compreso questa verità, ho capito di amarti, Ygraine.»
«Sei ben più coraggioso di me, Severus. Se tu non avessi detto nulla, io non avrei mai osato rivelarti i miei sentimenti…», mormorò la giovane donna. «Ogni volta che avrei voluto farlo, ero intimorita… e pensavo al tuo Patronus, alla tua cerva e a quello che Rebecca mi aveva spiegato su quell’incantesimo.»
«Immagino che Rebecca ti abbia anche spiegato che i Patronus possono cambiare forma.»
Severus lasciò andare una mano di Ygraine per afferrare la bacchetta, quando la giovane donna annuì alle sue parole. L’uomo si rese conto che si sentiva finalmente in pace, che, per quanto la strada del perdono fosse ancora lunga, gli pareva di intravedere una speranza. Mentre evocava il Patronus, gli parve, quasi che il sole brillasse più luminoso e che gli occhi di Ygraine esprimessero ancora più profondamente i suoi sentimenti.
«Un cigno…»
Ygraine non riusciva a staccare gli occhi dal Patronus, che le sembrò incredibilmente luminoso ed elegante, mentre volteggiava intorno a loro. Lo seguì per qualche istante con lo sguardo, prima di tornare ad osservare il volto di Severus e i suoi occhi neri.
«Ygraine…», le parole gli morirono in gola, mentre allungava una mano e sfiorava una guancia della giovane donna.
Sentì una mano di Ygraine scostargli i capelli dal volto, con la sua delicata purezza, mentre il sole sembrava farsi più luminoso e i rami del ciliegio ondeggiavano leggermente.
Rimasero entrambi immobili per qualche istante, silenziosi, illuminati dalla luce dorata del sole e da quella argentea del Patronus.
Severus posò le mani sulla vita di Ygraine, prima di chinare il capo e sfiorare le labbra della giovane donna con le sue.
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[1] Nel 2002 Pasqua era il 31 marzo