| Contrariamente a quanto avevo annunciato, il capitolo XXII sarà diviso non in due ma in tre parti. Nel rileggere, ho riscritto quasi totalmente una scena che stava contraddicendo, in parte, un'altra e, devo essermi fatta prendere la mano perché da due è passata a sei pagine. Vi lascio, quindi, con la seconda parte del capitolo.Capitolo XXII - Parte II
Mut Gran Bretagna, 22-23 marzo 2002 La luce del Patronus si dissolse, quando pose fine all’incantesimo. Rimase per qualche istante immobile, prima riprendere in mano il libro che aveva abbandonato pochi minuti prima, per quanto la mente non riuscisse realmente a fermarsi sulle lettere che aveva sotto gli occhi. Sapeva che sarebbe dovuto salire al piano di sopra per riposare in vista della giornata seguente; invece, rimase seduto quasi si aspettasse di vedere ricomparire Ygraine, ma dal piano di sopra non proveniva alcun rumore. Forse, la giovane donna sarebbe riuscita a riposare, nonostante il male che le era stato fatto, nonostante il dolore che aveva provato e che lui non era stato in grado di evitarle. Chiuse il libro e lo posò sul bracciolo della poltrona. Mentre i minuti scorrevano lenti, si chiese come avesse fatto a non comprendere, fino a quel giorno, quali sentimenti provasse per Ygraine. Quand’era stato un bambino si era accorto subito di amare Lily e, in seguito, il suo cuore aveva bruciato di quell’amore infantile prima e adolescenziale poi. Ed aveva continuato a nutrire quel sentimento anche quando la Evans era morta, mentre la Lily che aveva conosciuto si trasformava in un essere perfetto e privo del ben che minimo difetto. Il sentimento che aveva ammesso di provare per Ygraine era nato senza che lui se ne accorgesse, quasi con naturalezza, e si era radicato profondamente. In caso contrario, il suo Patronus non sarebbe mutato in quel modo. Riusciva anche ad immaginare perché fosse diventato un cigno. Da un lato, aveva avuto modo di associare Ygraine a Lohengrin dopo aver assistito a tutte le prove dell’opera che narrava la vicenda del cavaliere del cigno; dall’altro, il cigno era simbolo del canto. Ed era puro quanto era pura l’anima di Ygraine ed era simbolo di una fedeltà che, nel suo caso, rispecchiava la fiducia incrollabile della giovane donna nei suoi confronti. [1] Era il perfetto specchio della giovane donna. Di questo si rendeva perfettamente conto. Così come si rendeva conto che quell’amore era completamente diverso da quello che aveva provato per Lily. Non c’era nulla di ossessivo, come era invece stato il caso di quel sentimento che non era mai realmente maturato oltre la sua giovinezza. Mentre analizzava gli anni lontani della sua adolescenza, si rendeva conto di quanto quell’amore fosse diventato, con il tempo, incredibilmente possessivo, tanto più la possibilità di essere ricambiato svaniva. Dopo la morte di Lily, non gli era rimasto un amore adolescenziale mantenuto in vita da un adulto che voleva mantenere un brandello di umanità, che voleva trovare qualcosa di buono nel suo passato fatto, per lo più, di scelte terribilmente sbagliate. Non provava nulla del genere per Ygraine. Non sapeva se fosse perché era abbastanza realistico da capire che non avrebbe mai potuto sperare di vedere quei sentimenti ricambiati. La giovane donna gli era amica e si fidava completamente di lui, ma un giorno avrebbe trovato una brava persona da amare, un uomo con l’animo puro quanto il suo con cui sarebbe stata felice. Ygraine meritava di avere qualcuno del genere al suo fianco, un uomo degno di condividere la vita con lei, un uomo che non portava in dote notti popolate da incubi orribili, mani che avevano portato morte e un’anima spezzata dalle colpe commesse. Si alzò in piedi, spense le candele e salì lentamente le scale, mentre si rendeva conto che gli sarebbe bastato avere l’amicizia di Ygraine. Forse, quell’amore era così diverso perché la giovane donna lo aveva accolto senza alcun pregiudizio, perché gli aveva offerto il suo perdono. Oppure, era semplice un amore adulto e non quello adolescenziale che aveva provato per Lily. Si fermò per un istante davanti alla stanza dove dormiva Ygraine e da cui non giungeva alcun rumore e sperò che fosse un segno che la giovane donna stava riposando tranquilla. In fondo, comprese, mentre proseguiva oltre e apriva la porta della camera che aveva occupato durante la sua infanzia e la sua adolescenza, desiderava unicamente che la giovane donna potesse avere un futuro felice, come meritava un animo così puro e luminoso. E a lui sarebbe bastato rimanerle accanto per quanto gli era possibile. Si levò il maglione a collo alto che aveva indossato quel giorno. E mentre lo posava ordinatamente su una sedia, si rese conto di indossare unicamente abiti Babbani da qualche tempo a quella parte. D’altronde, passava molto più tempo fuori dal Mondo Magico che non al suo interno. Gli unici maghi con cui aveva contatti erano quelli che lavoravano nel centro di ricerca, che avrebbe abbandonato tra poco se la richiesta che aveva inviato alcuni giorni prima sarebbe stata accettata, e Potter. Stava per sbottonarsi la camicia quando udì un urlo provenire dall’altra stanza. Uscì rapidamente dalla camera e si avvicinò alla porta di quella accanto, aprendola lentamente. Ygraine stava respirando a fatica e sembrava sconvolta, il volto pallido, illuminato dalla luce della candela e da un raggio di luna. Si avvicinò di un passo, lentamente, quasi avesse paura di spaventarla. Non sapeva se fosse perfettamente cosciente di essersi appena destata da quello che doveva essere stato un incubo orribile. «Ygraine», mormorò, ma non proseguì la frase, quando la giovane donna si strinse a lui, dopo essersi alzata dal letto. La sentì piangere contro il suo petto, mentre le poneva le mani sulla schiena, senza esitare come aveva fatto in altre occasioni. Sperava di riuscire a donarle almeno una minima parte di conforto. Il corpo della giovane donna era scosso dai singhiozzi, mentre si stringeva maggiormente a lui. Portò una mano sulla nuca di Ygraine, chiedendosi se quel gesto le avrebbe dato un po’ di sollievo. Non seppe quanto tempo trascorse, prima che i singhiozzi si placassero e le lacrime smettessero di scorrere. Soltanto quando fu certo che avesse riacquistato la calma, la allontanò delicatamente da sé e la riaccompagnò verso il letto. «Mi dispiace di averti disturbato», mormorò Ygraine, mettendosi seduta, con la schiena appoggiata contro la testiera del letto. «Nessun disturbo.» La voce di Severus era confortante, mentre sistemava le coperte e si sedeva sul bordo del letto. Osservandolo, la giovane donna si rese conto che quelle erano state le prime parole che le aveva rivolto, il giorno in cui aveva prestato il suo fazzoletto a Rebecca. «Non… ho sognato che Jane ti uccideva», disse in un sussurro. Forse avrebbe dovuto tacere, ma quando lo aveva visto entrare, con la mente ancora preda di quell’incubo, aveva provato un senso di sollievo tale che era corsa ad abbracciarlo quasi volesse essere sicura che aveva davanti una persona in carne ed ossa e non un frammento della sua immaginazione. «È stato orribile. Dopo avermi dato la pozione, Jane si è nascosta ed io… io non potevo parlare, non potevo avvisarti e lei ti ha pugnalato alle spalle… e… per un istante ho pensato che quello che avevo sognato fosse vero…» Mentre parlava gli aveva afferrato una mano e sentì le lacrime tornare a bagnarle le guance. E attraverso gli occhi velati, vide, illuminata dalla luce pallida della luna, una cicatrice sul collo di Severus. Non l’aveva mai visto con il collo scoperto, com’era in quel momento, e, per quanto sapesse che era lì che l’aveva morso quel maledetto serpente, non aveva voluto pensare al fatto che, se il morso fosse stato più profondo, se lo avessero trovato qualche minuto dopo, non avrebbe mai potuto incontrare l’uomo di cui si era innamorata così profondamente. «Se potessi, ti darei una pozione che ti permette di dormire senza sognare nulla, ma è tossica per chi non possiede la magia», avrebbe voluto dirle che non valeva la pena piangere per lui, ma non lo fece, limitandosi a ricambiare la stretta della mano di Ygraine. «Immagino che tu abbia un metodo per calmarti prima di mettere piede sulla scena.» Vide Ygraine annuire e sorridergli appena, mentre le lacrime iniziarono a placarsi. «Prova a mettere in pratica quello che fai in quel frangente. Dovrebbe permetterti di svuotare la mente da quello che ti sta tormentando.» Mentre parlava, prese con la mano libera il fazzoletto pulito che teneva in tasca e asciugò delicatamente le guance di Ygraine dai residui delle lacrime che aveva versato. Sentì la mano della giovane donna stringere maggiormente la sua e ricordò di aver notato come il soprano stringesse le pieghe della gonna quando voleva calmarsi. Notò che il corpo della giovane donna si stava rilassando e, poco dopo, sentì la sua mano abbandonare la sua. «Cerca di riposare», disse in un mormorio, mentre si alzava dal letto e si allontanava da lei. La vide sistemarsi meglio e raggomitolarsi sotto le coperte, il volto orientato verso la porta. Rimase immobile accanto all’uscio fino a quando non sentì il respiro di Ygraine farsi più profondo. Quando uscì nell’atrio rimase per qualche istante immobile, poi scese al piano di sotto e, facendola levitare con cautela, in modo da non farla sbattere, portò di sopra una delle poltrone. Non sapeva nemmeno se fosse una scelta sensata, ma non riteneva saggio lasciare Ygraine da sola. Entrò nella stanza, di cui aveva lasciato aperto la porta, e posò con un movimento delicato la poltrona in un angolo della camera. Poi si sedette, apprestandosi a vegliare sul sonno della giovane donna, mentre un raggio di luna crescente illuminava pallido la stanza, sfiorando i capelli biondi di Ygraine. E la luna illuminava la cittadina, fino a quando l’aurora non iniziò a illuminare di rosa il cielo, in quel luogo e in altre zone d’Inghilterra. Anche il cielo di Londra appariva sereno, quando Harry si alzò da letto. Non aveva quasi chiuso occhio, ripensando agli interrogatori di quei due esseri orribili. Quando si avvicinò alla finestra notò che era ancora presto. Non sarebbe stato sensato andare al Ministero all’alba, né mandare a Piton il suo Patronus con l’ora in cui sarebbero andati a interrogare la signorina Ainsworth, per quanto non ce ne fosse nemmeno veramente bisogno, considerando che Taylor e la Stanton avevano confessato ogni cosa. Rabbrividì, ripensando al volto della Magonò, mentre parlava della giovane donna e della vendetta che aveva escogitato. Era stato orribile vedere una donna dall’aspetto così apparentemente innocuo esprimere tanto odio unicamente perché la signorina Ainsworth era stata capace di fare quello che nessuno nel Mondo Magico aveva fatto. L’aveva notato il giorno prima, quando l’aveva vista stringere la mano di Piton. La giovane donna si fidava completamente di un uomo di cui tutti loro avrebbero dovuto fidarsi. Invece, anche dopo la guerra, era stato dimenticato e gettato via come uno straccio vecchio. O, forse, c’erano altri che la pensavano come Taylor e credevano che fosse stato assolto ingiustamente. Harry non riusciva ad accettare quell’idea. E si sentì improvvisamente in colpa perché, nonostante l’avesse incontrato in più occasioni, non l’aveva ancora ringraziato per quello che aveva fatto. Si ripromise di farlo quel giorno. Sperava almeno di non perdere quel rapporto tranquillo che sembrava aver instaurato con l’uomo. Al di fuori della finestra, il sole illuminava la capitale e un raggio di luce entrava lieve nella camera dove Ygraine riposava, illuminandone i capelli biondi e il volto. La giovane donna sbatté appena le palpebre, prima di aprire gli occhi. Dalla casa non proveniva nessun rumore, si accorse, mentre si metteva a sedere. La candela continuava a spargere la sua luce baluginante e alcuni raggi di sole penetravano dai tendaggi, illuminando il letto e un angolo nella stanza. Severus stava dormendo su una delle poltrone del pianterreno e Ygraine sentì gli occhi farsi umidi per la gratitudine. Non si era nemmeno accorta che fosse rientrato nella stanza, dopo il suo secondo orribile incubo. Forse, però, in qualche modo, aveva compreso che era lì, vicino a lei, e per questo aveva dormito tranquillamente per il resto della notte. Oppure, a calmarla era stato il ricordo delle mani del mago sulla sua schiena e sulla sua nuca e del modo gentile con cui le aveva asciugato le lacrime. Si alzò in punta di piedi e recuperò la borsa che aveva portato Harry il giorno prima. Quando aprì la porta della stanza, si voltò per un istante verso il mago, timorosa di averlo disturbato, chiedendosi quando si fosse addormentato di preciso nel corso della notte. Da dove si trovava le parve che dormisse ancora. Lasciò la porta della stanza socchiusa, da cui un flebile raggio di sole illuminava lieve il corridoio. E quello stesso raggio continuava a rischiarare dolcemente la camera da cui Ygraine era appena uscita, crescendo di intensità man mano che i minuti scorrevano lenti. Severus aprì gli occhi di colpo, quando gli parve di udire un rumore provenire dal pianterreno. Il letto era vuoto e il sole filtrava dai tendaggi. Non avrebbe dovuto addormentarsi, si rimproverò, mentre si alzava in piedi. Ricordava di aver visto la luce rosata dell’aurora penetrare dolce nella stanza e di aver fissato per un istante i capelli di Ygraine, illuminati fiocamente. Aveva evitato di osservarla durante la notte, poiché credeva che, facendolo, avrebbe mancato di rispetto alla giovane donna. Aveva quindi preferito, durante la veglia, riflettere su ciò che poteva essere ancora rimasto sospeso di quella terribile vicenda. Sapeva che rimaneva aperta la questione del suonatore di organetto. Sperava che Potter gli portasse buone notizie in proposito, ma temeva che a vagare per le strade di Londra non fosse né Taylor, né la Stanton. Aveva sentito l’organetto risuonare, mentre Ygraine stava provando con una donna che aveva scaricato sul soprano il suo odio malato. L’Auror si trovava, con ogni probabilità, presso il Ministero della Magia, in quel momento. Il che lasciava unicamente presupporre che il suonatore di organetto si trovasse ancora là fuori, per quanto sperasse sinceramente di sbagliarsi, che Taylor avesse chiesto un giorno di permesso il dodici marzo e che avesse trascorso quel tempo libero suonando l’organetto sotto le finestre della casa della Stanton. Anche dopo che si fu lavato e vestito, temporeggiò per qualche istante nel corridoio del primo piano. Sperava di non aver, in qualche modo, offeso Ygraine, rimanendo in camera sua quella notte, a vegliarla, per quanto il suo corpo stanco avesse interrotto quella veglia sul far del mattino. Sapeva che era un’insicurezza priva di senso, che la giovane donna avrebbe compreso, come sembrava fare sempre. D’altronde – e lo aveva già notato, in altre occasioni – in lui era rimasta una traccia delle insicurezze infantili, quelle stesse insicurezze che aveva tentato di nascondere dietro la rabbia della sua adolescenza. Mentre scendeva le scale, ripensò alla sua esistenza solitaria, a quante volte fosse stato respinto e isolato, al fatto che aveva trascorso più tempo in una solitudine soffocante che in reale compagnia di altre persone. Anche dopo la fine della guerra, il Mondo Magico l’aveva posto ai margini e lui si era immerso in quella solitudine, centuplicandola, forse, fino a quando i suoi unici contatti umani erano stati gli addetti del piccolo supermercato Babbano dove faceva la spesa. Gli ingredienti che gli servivano, andava a raccoglierli da solo, se gli era possibile, oppure li ordinava da alcuni commercianti che operavano sul continente. E con il centro di ricerca, aveva unicamente scambi epistolari. Quando raggiunse la cucina, dove trovò Ygraine seduta con in mano il libro che aveva iniziato a leggere la sera prima, si rese conto di quanto fosse mutata la sua vita in quei pochi mesi, di quanto si fosse abituato a non essere più solo. «Buongiorno, Severus», lo salutò la giovane donna con un sorriso colmo di luminosa gratitudine. «Poco prima che scendessi è arrivato un… non ricordo più come si chiama, anche se Rebecca me ne ha parlato… un cervo con un messaggio da parte di Harry. Gli Auror saranno qui intorno alle due.» Ygraine si sentì incredibilmente sciocca, mentre Severus le diceva che quella particolare magia portava il nome di Patronus. Rebecca gliene aveva spiegato la funzione quando Severus aveva mandato la sua cerva a casa di Gawain. Vedere il cervo del figlio di Lily Potter le aveva fatto perdere qualsiasi speranza. Sapeva che un Patronus poteva cambiare forma e ne conosceva le motivazioni perché Rebecca le aveva spiegato tutto con entusiasmo, ma non riusciva a sperare che il Patronus di Severus potesse mutare con il tempo. L’uomo stava preparando la colazione, in quel momento, e l’animo le si riempì per un attimo di uno strano senso di rimpianto. Tutto era così naturale, al punto che una persona che non li conoscesse avrebbe potuto pensare che lei e Severus fossero una famiglia e quell’idea era terribilmente dolce e amara al tempo stesso. Mentre l’uomo posava sul tavolo una teiera, le tazze e qualcosa da mangiare, Ygraine scacciò quel pensiero. Aveva sempre saputo che non ci sarebbe stata nessuna speranza e, per quanto fosse un pensiero dolcemente doloroso, era più che disposta ad accontentarsi di quell’amicizia, di quella vicinanza e del silenzio confortevole che calava tra loro e che le diede in quel momento conforto, facendola sentire calma e in pace. «Vorrei ringraziarti per ieri notte.» Severus alzò il capo dal tè e notò come Ygraine apparisse tranquilla in quel momento, mentre sedevano insieme, uno di fronte all’altro, al tavolo della cucina. «Non ne hai motivo.» Ed era la semplice verità, si disse l’uomo. Vegliare su di lei era stato il minimo che potesse fare, un gesto che gli era risultato spontaneo, naturale, quasi. Bevve un altro sorso del tè speziato che aveva preparato quella mattina, osservando per qualche istante il volto di Ygraine illuminato dal sole e i suoi occhi nocciola sempre così fiduciosi. Solo in quel momento si rese conto di quanto fossero belli quegli occhi. Non era il colore a renderli tali, né la forma, ma la loro espressività e la luce che parevano emanare. Il sole bagnava la cucina della casa di Spinner’s End e buona parte dell’Inghilterra e illuminava il Kent e la casa degli Ainsworth. Mary stava osservando Rebecca parlare al telefono con Ygraine, che li aveva chiamati poco prima. La bambina stava parlando a voce talmente bassa che si chiese se la figlia stesse realmente sentendo quello che le stava dicendo. Ygraine aveva parlato anche con loro, scusandosi per non aver telefonato il giorno prima, ma le prove erano state massacranti ed era troppo stanca per poter viaggiare. Erano parole molto simili a quelle che aveva detto il ragazzo che aveva accompagnato a casa Rebecca. La voce di Ygraine era stata confortante, ma a Mary era apparsa piuttosto flebile e sperava che non avesse affaticato troppo le corde vocali. Sapeva che la figlia non poteva permettersi un’agenda piena come quella di altri cantanti, ma aveva sempre gestito bene la sua carriera, senza dover quasi mai cancellare una recita o una produzione. Eppure, nonostante le parole di Ygraine, le pareva che ci fosse qualcosa che non andava. Non era nemmeno il fatto che la figlia aveva affidato Rebecca a quel ragazzo – la bambina pareva conoscerlo, d’altronde – né che aveva preferito non tornare a casa quella sera. La prima cosa che aveva notato era che non era stato il signor Piton a riaccompagnare Rebecca a casa. Anche un cieco avrebbe notato che tra i due si era instaurato un rapporto profondo, che la nipote aveva sostituito completamente Gawain con l’uomo. Quindi il mago doveva essere rimasto con Ygraine, si disse Mary. La seconda cosa che aveva notato era la preoccupazione di Rebecca. La bambina non aveva detto nulla né a lei, né ad Alfred, ma qualcosa doveva essere accaduto il giorno prima. «La zia tornerà a casa oggi pomeriggio, anche se non sa l’orario», la voce della nipote era incredibilmente felice in quel momento e rilassata, ben diversa dalla sera prima, in cui era sembrata preda di un nervosismo ansioso. «Nonno, possiamo andare a imparare un po’ di francese? Quando arriveranno la zia e Severus, voglio fare vedere quello che ho imparato.» Mary notò Alfred sorridere alla nipote e accompagnarla al tavolo del salotto che fungeva da sala da pranzo quando si riuniva tutta la famiglia. Mentre rimaneva ferma, si chiese se dovesse porre delle domande a Ygraine quella sera o sperare che la figlia si confidasse con lei o con il padre. O, forse, non era nemmeno importante sapere cosa fosse accaduto, perché, in fondo, le bastava che la figlia stesse bene e, al telefono, le era sembrata tranquilla. Quando uscì di casa per andare a fare compere, notò che il sole era più luminoso del solito e che quella giornata di marzo sembrava quasi annunciare la fine della primavera e l’inizio dell’estate. E quel sole caldo illuminava anche la casa di Spinner’s End, quando Micheal Green, Emily Thomson e Harry Potter vi entrarono. Il ragazzo notò immediatamente che la signorina Ainsworth era nervosa, per quanto gli sembrasse più riposata di come se l’attendeva. Era vicinissima a Piton e, come già aveva fatto nell’appartamento della Stanton, pareva affidarsi completamente a lui. «Immagino sappia, signorina Ainsworth, perché desideriamo interrogarla.» Harry si chiese se Micheal non avrebbe dovuto usare un tono più tranquillo e rassicurante, ma l’uomo doveva essere ancora provato da quello che era accaduto nel corso della notte. Oppure si stava già preparando all’interrogatorio che aveva preparato con cura insieme a Emily. «Certamente, Auror Green», la voce della giovane donna era forse un po’ fioca, notò il ragazzo. «Posso però chiederle se Severus può restare ed assistere.» «Il protocollo lo impedisce, signorina Ainsworth, e questa è un’indagine in cui non si può sviare da esso.» Severus vide Ygraine impallidire di colpo. Tutta la calma che aveva mostrato fino a quel momento si stava disintegrando, al punto da sembrargli smarrita. «Mi chiedo, Green, in quanti verranno a sapere chi era effettivamente presente in questa stanza, se voi non lo scriverete su nessun documento ufficiale e sono certo che nessun membro del Wizengamot metterebbe in dubbio la veridicità della parola di tre Auror.» «Abbiamo già fatto un’eccezione al protocollo venendo qui, Piton», Harry si voltò verso Emily, che era, come sempre, ostile nei confronti dell’uomo, nonostante ieri avesse ammesso che il mago non avesse nulla a che fare con l’aggressione alla signorina Ainsworth. «Dovrebbe tenersi in un luogo scelto dal Ministero, considerando che questa deposizione sostituirà la testimonianza davanti al Wizengamot della signorina Ainsworth, evitando di dover organizzare una seduta speciale a cui possa assistere anche una Babbana.» «Immagino che anche voi siate in grado di capire che la signorina Ainsworth è ancora provata da quello che è accaduto ieri.» Harry si voltò verso Micheal sperando che fosse ragionevole, perché Piton aveva ragione. Nessuno avrebbe saputo che lui sarebbe stato presente all’interrogatorio della giovane donna, che si era fatta, se possibile, più vicina al mago. «Il protocollo è chiaro in proposito, Piton, e non prevede di certo la presenza di persone che hanno evitato il carcere con l’inganno.» «Non stiamo parlando di me, Thomson, e di quello che pensi di sapere sul mio conto», Severus si era reso conto che Ygraine si era irrigidita al suo fianco e che sembrava irritata dalle parole dell’Auror. «Si tratta unicamente del benessere della signorina Ainsworth, una Babbana, che è stata aggredita da un vostro collega e da una Magonò, le stesse due persone che hanno ucciso altri due Babbani in un museo a gennaio.» «Alla signorina Ainsworth non accadrà di certo nulla di male, Piton, rimanendo da sola con noi. Non si può dire lo stesso di quello che potrebbe accaderle rimanendo da sola con te. Da quel che ci è stato detto, se è stata aggredita, è unicamente perché si è associata con un Mangiamorte.» «Emily…» «Non potete…» «Vi ho già detto che non si tratta di me, ma del benessere della signorina Ainsworth», Severus alzò di poco la voce, interrompendo sia Potter che appariva indignato, sia Ygraine che era decisamente arrabbiata con la donna. Green, invece, osservava in silenzio quello che stava avvenendo, quasi si stesse godendo lo spettacolo. «Non potete farla parlare troppo a lungo. Ieri le ho somministrato l’antidoto, ma sta ancora agendo. Può parlare, ma deve fare delle pause e dovete permetterle di bere l’acqua dalla brocca che si trova sul tavolo.» «Abbiamo a cuore il benessere della signorina Ainsworth, Piton, ma non possiamo darle da bere nulla che non sia stato precedentemente testato. Ora dovresti andartene. Il Wizengamot tiene al rispetto del protocollo.» «Se avesse voluto essere certo del rispetto del protocollo, avrebbe mandato un suo rappresentante, non credete?» La voce di Piton era gelida, notò Harry, mentre pronunciava quelle parole, che gli sembravano perfettamente logiche e sperava che così fosse anche per Micheal ed Emily. «Non dovrai dire una parola, Piton, né interrompere in alcun modo la testimonianza della signorina Ainsworth», disse Green lanciando un’occhiata a Emily che annuì dopo qualche istante, prima di prendere la brocca d’acqua e spostarla sulla credenza. «Harry, spostati con Piton verso le poltrone, mentre noi e la signorina Ainsworth ci sederemo al tavolo.» Harry osservò Piton voltarsi per un attimo verso la signorina Ainsworth. Non riuscì a capire se stessero parlando perché, da dove si trovava, non riusciva a vedere bene la giovane donna, ma, dopo pochi istanti, il mago annuì ai due Auror e si portò verso le poltrone che si trovavano davanti alla biblioteca. «Si segga, signorina Ainsworth.» Ygraine si mosse verso la sedia che le aveva indicato l’Auror. Era certa che l’avessero fatta sedere lì perché non potesse vedere Severus, che si trovava alle sue spalle, ma non era importante. La sua presenza silenziosa e confortante le sarebbe bastata per tutta la durata di quello che sperava che sarebbe stato un breve interrogatorio. «Perché si trovava nell’appartamento della signorina Stanton?» Harry si sedette sulla poltrona, dopo averla girata verso il tavolo, come aveva già fatto Piton con l’altra. Il comportamento di Emily e Micheal gli sembrava ridicolo, nonostante quello che era accaduto all’alba, nonostante la lettera che sembrava pesare come un macigno nella sua tasca. Non sembrava nemmeno trattarsi di dover prendere delle precauzioni per poter presentare una testimonianza inattaccabile davanti al Wizengamot. Era come se temessero che Piton potesse in qualche modo influenzare la confessione della signorina Ainsworth, che stava spiegando con voce flebile, ma calma come si fosse trovata nell’appartamento della signorina Stanton. Emily poi aveva superato il segno, con le sue accuse a Piton. Eppure, il giorno prima era stata decisamente in gamba quando aveva interrogato la Stanton, ma sembrava non riuscire a capire che l’uomo che aveva appena insultato era un eroe, era colui che gli aveva permesso di sconfiggere Voldemort. «Quindi prima avete provato delle parti di un’opera?» «Sì, ma quando abbiamo finito, ha iniziato a parlare di Tristan, di uno dei miei fratelli che è morto suicida.» Severus notò che il corpo di Ygraine si irrigidì quando Green e la Thomson iniziarono a porle domande totalmente inutili su Tristan, prima di tornare su quello che avrebbe dovuto essere il loro scopo. Le chiesero un numero infinito di chiarimenti, senza nemmeno accorgersi che la voce della giovane donna iniziava ad affaticarsi, senza nemmeno concederle una pausa. Eppure, era stato chiaro in proposito e Green aveva anche sottolineato come avesse a cuore il benessere di Ygraine. Si voltò verso Potter, che stava fissando perplesso i suoi due colleghi. «Micheal, non dovreste fare una pausa?» «A tempo debito, Harry.» Poi Green riprese con le sue domande, soffermandosi in maniera quasi maniacale sul modo in cui Ygraine era riuscita a liberarsi dalla stretta di Taylor. «Quindi conferma, signorina Ainsworth, di aver dato una gomitata nel ventre di Cristopher Taylor e che, subito dopo, è corsa nella cucina dell’appartamento?» «Esattamente. Come vi ho detto, avevo provato una scena simile per giorni e credo di aver agito d’istinto.» Ygraine sentiva la voce farsi più debole e si sentiva inquieta di fronte al numero di domande che le avevano fatto finora, facendole ripetere più volte lo stesso particolare. Fece uno sforzo su sé stessa per non voltarsi, per non cercare lo sguardo di Severus. Strinse le pieghe della gonna, cercando di calmarsi, come faceva sempre prima di entrare in scena. E tentò di immaginare gli occhi neri dell’uomo e il conforto della sua voce e delle sue mani sulla sua schiena la sera prima, quando l’aveva abbracciata. «Cos’è accaduto subito dopo?» Harry si alzò lentamente in piedi, il pezzo spiegazzato di pergamena, che Piton gli aveva passato pochi istanti, sembrava bruciare nel suo pugno chiuso. Emily e Micheal erano intenti ad osservare la giovane donna che stava spiegando del modo in cui era corsa in un’altra stanza, dopo essersi liberata da Taylor. La cucina era incredibilmente ordinata notò e totalmente Babbana. Quel particolare lo fece improvvisamente riflettere sulle motivazioni che stavano portando, al di là di quello che gli avevano spiegato quella mattina, Emily e Micheal a tormentare in quel modo la vittima e dovette ammettere che forse non riuscivano a credere che una Babbana avesse potuto tener testa a un mago, fino a quando questi non aveva usato la magia. Mentre versava dell’acqua fredda in un bicchiere, si rendeva conto che la signorina Ainsworth stava dando prova di avere un animo forte, nonostante il modo in cui stavano analizzando ogni sua frase. Distrusse il pezzo di pergamena in cui Piton gli aveva quasi ordinato di andare a procurarsi dell’acqua per la giovane donna e ritornò nell’altra stanza. Posò il bicchiere sul tavolo. Emily gli lanciò un’occhiata che gli fece temere una ramanzina non appena si fossero trovati soli al Ministero, mentre Micheal non disse una sola parola. «Quando si è accorta che era entrato Piton?» Severus avrebbe voluto porre fine a quella farsa, in cui Green e la Thomson sembravano provare un sadico gusto nel tormentare Ygraine che aveva risposto con chiarezza ad ogni domanda, ripetendo alcuni eventi allo sfinimento, ottenendo unicamente di affaticarle la voce. Sentì Potter sedersi al suo fianco, mentre la giovane donna rispondeva come meglio poteva a quella domanda. «Cosa ha provato quando ha capito che era Piton?» «Sollievo», mormorò la giovane donna, dopo aver posato il bicchiere sul tavolo. La voce di Ygraine sembrava meno affaticata, notò Severus, ma il suo corpo stava cedendo. Per quanto fosse riuscita a dormire per buona parte della notte, per quanto la pozione avesse fatto il suo lavoro, doveva essere ormai stremata. Aveva subito una tortura orribile meno di ventiquattr’ore prima e la cura era stata dolorosa nei suoi primi minuti. Quella mattina aveva poi dovuto parlare con il teatro per spiegare che non avrebbe partecipato alle ultime due prove dell’opera e sapeva che non era stata una conversazione facile. L’unica consolazione era che le era stata evitata la telefonata al foniatra perché era stato il teatro a farsene carico e lunedì avevano organizzato tutte le visite del caso. Gli Auror avrebbero dovuto accorgersi che Ygraine stava per crollare; invece, erano unicamente degli imbecilli e continuavano a farle domande, chiedendole di chiarire ogni minimo particolare, per quanto la giovane donna avesse parlato in maniera chiara e coerente, esattamente come aveva fatto ieri quando aveva parlato con lui. Quando le chiesero di approfondire maggiormente quello che le era stato fatto, di spiegare con cura ogni dettaglio, dovette dar fondo a tutto il suo autocontrollo per non intervenire e chiedere loro cosa si aspettassero di scoprire da una persona che era stata immobilizzata in quel modo. La voce di Ygraine vacillò leggermente, la vide prendere il bicchiere e bere l’ultimo sorso d’acqua prima di rispondere. E andarono avanti così per altri lunghissimi minuti, continuando a porre domande a cui Ygraine non sapeva rispondere. Ricordava perfettamente il modo in cui si era aggrappata a lui, quando le si era avvicinato dopo aver schiantato Taylor, le sue lacrime e la sua fiducia, ma rammentava anche gli occhi offuscati dal dolore dovuto alla pozione e alla ferita alla gamba. «Dobbiamo porle altre domande per chiarire nel modo migliore quanto è accaduto», affermò Green, con voce che sembrava quasi dispiaciuta. «Ci sono però dei particolari che potrebbero tornare utili durante il processo. Perché ha difeso con tanta veemenza Piton?» «Mi fido completamente di lui.» «Ne è l’amante?» Ygraine scosse unicamente il capo, chiedendosi per quale motivo le stessero ponendo quella domanda. «Una risposta verbale, signorina Ainsworth.» «No.» «Quindi, ci assicura che non avete mai avuto nessun contatto di natura erotica?» «Nessuno.» «Sia Taylor che la Stanton hanno affermato, durante le loro deposizioni, il contrario. Nessuno la sta giudicando, ma ieri l’abbiamo vista stringergli una mano, signorina Ainsworth.» «Stavo unicamente cercando conforto in un amico.» «Non l’ha mai, nemmeno in un’occasione, toccata in maniera inappropriata?» «No. Ve l’ho già detto più volte, ormai.» Ygraine dovette sforzarsi per non voltarsi verso Severus, per non cercare conforto nel suo sguardo. Non riusciva nemmeno a capire per quale motivo le stessero ponendo quelle domande umilianti, che non avevano nessun reale legame con l’indagine in corso e che sembravano unicamente voler rendere il rapporto che aveva instaurato con Severus simile ad una tresca, priva di reali e profondi sentimenti. Era come se volessero far diventare tutto banale, cancellando la fiducia e l’amicizia che li legavano. Di certo, non avrebbero nemmeno capito che lei lo amava a tal punto da essere felice di avere quell’amicizia profonda, anche se era certa che non avrebbe mai potuto risvegliarsi tra le sue braccia. «Quindi, come definirebbe il rapporto con Piton?» «Di amicizia sincera.» Severus poteva vedere la tensione nelle spalle di Ygraine ed era in grado di immaginare il suo nervosismo, per quanto la voce risultasse ancora tranquilla. Era certo che stesse stringendo la gonna con una mano come faceva prima di andare in scena, come aveva fatto la sera prima con la sua mano, per riuscire a tranquillizzarsi dopo il suo secondo incubo. Quanto a lui, se non fosse stato controproducente, avrebbe voluto cacciare i due Auror da casa sua, impedendo loro di vedere, anche da lontano, Ygraine. La stavano umiliando inutilmente, nel tentativo, quasi, di trovare un gustoso pettegolezzo da vendere alla Gazzetta del Profeta. «Lei ha detto che sua nipote, Rebecca Ainsworth, si trovava con Piton mentre era nell’appartamento di Jane Stanton.» «Esattamente.» «Per quale motivo non era a scuola?» La voce della Thomson sembrava fastidiosamente acuta, mentre poneva altre domande perfettamente evitabili. Ygraine era, se possibile, più tesa di prima, perché avrebbe dovuto spiegare quello che era accaduto con suo fratello a dei perfetti sconosciuti che non avevano alcun motivo per farle domande del genere. «Mio fratello e mia cognata non possono più occuparsi di Rebecca e l’hanno affidata a me. Ho firmato pochi giorni fa un documento in cui sono diventata la sua tutrice. Sono andata ad abitare dai miei genitori, nel Kent, e, ieri, poiché mamma e papà erano impegnati, è venuta a Londra con me. Severus è stato tanto gentile da accettare di prendersi cura di lei mentre io stavo provando con la signorina Stanton.» «Affida spesso sua nipote a Piton?» «Di solito siamo insieme, ma non vedo alcun problema ad affidare Rebecca a una persona per cui nutro la più completa fiducia.» «Come si comporta Piton con sua nipote?» Harry si voltò verso l’uomo e notò che stava stringendo i braccioli della poltrona con forza, probabilmente per impedirsi di intervenire. Era furioso, ben più furioso di quanto fosse stato con lui quando aveva avuto la malaugurata idea di guardare nel suo Pensatoio. E il ragazzo poteva perfettamente comprendere la furia dell’uomo in quel momento. «Severus è sempre gentile con Rebecca e spesso parlano insieme del Mondo Magico e di pozioni. Mia nipote ama porgli domande in proposito. Come vi ho già detto, mi fido assolutamente di lui e so, con assoluta certezza, che Rebecca è completamente al sicuro in sua compagnia.» «Piton ha mai fatto del male a sua nipote?» «Credete veramente che mi fiderei così tanto di Severus se avesse nuociuto a Rebecca?» Harry notò che la signorina Ainsworth era decisamente irritata e non poteva darle torto. Emily e Micheal stavano passando il segno, non stavano più seguendo l’interrogatorio che avevano ideato quella mattina. Avevano ormai chiarito in ogni punto il contenuto della lettera di cui teneva una copia in tasca e conoscevano ogni minimo particolare di quello che era accaduto quella mattina. «Eppure, c’è chi sostiene che Piton abbia un’influenza negativa su sua nipote.» «Jane… è stata Jane a dirvelo? E voi le avete creduto?» «Non si tratta di credere o non credere, signorina Ainsworth, ma di accertare la verità.» «Pensa forse che sia una stupida, Auror Thomson?» Severus non aveva mai visto Ygraine così arrabbiata, nemmeno quando Gawain aveva deciso di non volere avere più nulla a che fare. «Ricordo perfettamente che durante gli interrogatori passati avete tentato accusare Severus degli omicidi avvenuti al museo, avete insistito perché io dicessi qualcosa di negativo sul suo conto. So che lei pensa il peggio di lui, che non è per niente oggettiva, ma forse pensava che non me ne fossi accorta.» «Lei è una Babbana, signorina Ainsworth, e non capisce appieno gli equilibri politici del nostro mondo», disse Green, con voce che, a Severus, parve condiscendente. «Quindi mi state ponendo queste domande, state prestando fede a una donna che ha provocato la morte di due innocenti, che mi ha torturata unicamente per mantenere degli equilibri politici? Oppure credete che perché non possiedo la magia, sia una povera sciocca?» La voce di Ygraine era ancora irritata di fronte alle parole dei due Auror e Severus era certo che avesse ragione. Il Mondo Magico si sentiva incredibilmente superiore nei confronti dei Babbani e anche quei maghi che sembravano interessarsi ai Babbani lo facevano più per curiosità che per tentare di comprenderne realmente il mondo. Lui stesso si era vergognato, un tempo, di avere un padre Babbano, aveva quasi nascosto quella parte della sua vita e soltanto troppo tardi aveva compreso che non c’era nulla di male, che non tutti i Babbani erano come suo padre. E anche se non lo avesse compreso allora, gli sarebbe stato ben chiaro dopo aver conosciuto Ygraine, dopo aver conosciuto la donna che era riuscita a fargli desiderare di vivere realmente, la donna che si fidava di lui, che non l’aveva mai guardato con sospetto, la donna che gli sembrava di amare, ogni minuto che passava, più profondamente. «Risponda alla nostra domanda, signorina Ainsworth. Piton ha mai fatto del male a sua nipote?» «Mai.» «Ne è sicura?» «Se cercate qualcuno che ha fatto del male a Rebecca, dovreste andare a parlare con Gawain e Margaret», Ygraine si pentì di aver detto quelle parole, non appena le pronunciò. Non era mai stata sua intenzione parlare di quello che era accaduto nell’appartamento del fratello, ma le parole degli Auror l’avevano irritata. «E se non fosse stato per Severus, non so fino a dove si sarebbe spinto mio fratello. Se io e mia nipote ci troviamo nel Kent, al sicuro, è soltanto per merito dell’uomo che voi state cercando di denigrare da quando avete messo piede in casa sua.» La voce di Ygraine si era quasi spezzata sulle ultime parole e Severus notò la spossatezza della giovane donna nel suo corpo e sperò che quei due imbecilli che la stavano interrogando capissero che non avevano altro da chiederle. «Ho ancora un’ultima domanda. Lei dice di avere una completa fiducia in Piton. Da dove nasce questa sua fede?» Severus notò che Ygraine stava cercando di nascondere la stanchezza che doveva provare, aggiustando la postura del corpo e l’ammirò per quello, così come l’aveva ammirata durante tutti i lunghissimi minuti in cui l’avevano sottoposta a quella tortura travestita da interrogatorio. «Dalla consapevolezza che non ha mai mentito, né a me, né a Rebecca.» Harry si voltò di scatto verso Piton, ma l’uomo stava osservando ogni singolo movimento della signorina Ainsworth. Non riusciva a leggerne l’espressione, ma forse non sarebbe servito a nulla perché l’uomo sapeva celare perfettamente quello che pensava e provava. Per un istante il ragazzo si chiese cosa celasse realmente quella frase della giovane donna, ma comprese subito che non erano affari suoi. «Credo che sia tutto. Emily, hai qualche altra domanda?» «No, nessuna. Signorina Ainsworth, se vuole essere così gentile da firmare qui in fondo.» Ygraine si sentì sollevata che quell’incubo fosse finalmente finito, che avessero terminato di porle domande personali in un contesto in cui non avevano motivo di esistere. Tentò di ignorare la spossatezza che la stava assalendo e il lieve dolore alle corde vocali. «Non sarebbe mio diritto leggere la mia deposizione, prima di firmarla?» «Sì, certo.» Ygraine iniziò a leggere ogni parola che la penna aveva scritto sul foglio. Non sapeva come funzionassero quelle penne magiche che scrivevano da sole, non aveva idea se si potessero manomettere per far scrivere loro quello che il proprietario voleva. D’altronde non riusciva a fidarsi di quei due Auror, dopo che avevano tentato di far passare, ancora una volta, Severus come il peggiore degli uomini. Invece, ogni parola corrispondeva alla lettera, incluse le infinite domande che le avevano posto. Prese in mano la penna che le avevano passato e la intinse nel calamaio. Ringraziò un regista particolarmente pignolo nel voler essere realistico che aveva preteso, quando aveva cantato Luisa Miller due anni prima, che lei scrivesse usando veramente penna e calamaio. Riuscì ad ignorare il lieve dolore che sentiva alle corde vocali, dovuto a tutto quel parlare, mentre firmava la deposizione. L’Auror Green la ringraziò con un sorriso quasi di scusa, mentre l’Auror Thomson la guardò scuotendo il capo con una strana espressione a metà tra l’incredulità e il compatimento. Ygraine si sentiva completamente sfinita, ora che gli Auror se n’erano andati, al punto che non ebbe nemmeno la forza di alzarsi in piedi. «Cosa fai ancora qui, Potter?» Ygraine tentò di voltarsi, per osservare il volto di Severus, ma non ci riuscì. Sentiva la testa pulsare e la gola dolerle. Sapeva di aver sforzato le corde vocali nel rispondere a tutte quelle domande, in quell’interrogatorio che doveva essere durato ore. La sera prima e quella mattina, quando aveva parlato con Severus c’erano sempre stati lunghi silenzi e il mago le aveva fatto bere, obbligandola quasi in alcuni frangenti, molti bicchieri d’acqua, in modo da rendere più efficace la pozione che aveva preparato il giorno prima. Ma quel pomeriggio aveva dovuto rispondere ad ogni singola domanda, senza che le dessero un attimo di tregua, nonostante quello che Severus aveva raccomandato loro, e l’acqua che le aveva portato Harry sembrava non essere bastata. «Ci sono delle questioni di cui dovrei parlarti, Piton. In privato.» Severus osservò il ragazzo, notando che Potter sembrava nervoso. Forse aveva una spiegazione al modo in cui i suoi colleghi si erano accaniti su Ygraine per più di due ore e mezzo. E, se così era, si aspettava che fosse inattaccabile. «Aspettami in cucina.» Non guardò nemmeno se Potter stesse facendo quello che gli aveva detto. Si avvicinò a Ygraine e si sedette sulla sedia vuota accanto a lei, quella su cui avrebbe potuto essere seduto lui, se gli Auror glielo avessero consentito. «Ygraine», la giovane donna si girò verso di lui e tentò di sorridergli, ma gli occhi erano sofferenti e il suo volto mostrava quanto fosse sfinita. Prese le mani del soprano tra le sue, incurante di quello che poteva pensare Potter, che forse non era nemmeno andato in cucina. «Non avrebbero dovuto farti parlare a quel modo.» «Il dolore è tornato, non forte come ieri, ma…» «Avrei dovuto farti avere prima l’acqua», aveva atteso che gli occhi della Thomson non fossero su di lui, per prendere la matita che aveva usato come segnalibro la sera precedente, strappare un angolo, senza alcuna parola stampata, da quello stesso libro, e allungarlo a Potter con sopra scritte poche chiare parole. «Non è colpa tua.» «Lo so, Ygraine», almeno di questo era certo, almeno quella volta aveva subito lasciato andare qualsiasi senso di colpa. Sentì le mani della giovane donna stringere maggiormente le sue e un lieve sorriso illuminarle il volto. «Mentre parlo con Potter, puoi riposare.» La giovane donna annuì soltanto, mentre si alzava in piedi, senza lasciare andare le mani del mago. Si appoggiò a lui, mentre salivano al piano superiore e mentre l’aiutava a sedersi sul letto. Si sentiva incredibilmente debole, in quel momento, al punto che quasi non si accorse che Severus era uscito dalla stanza se non per il fatto che l’aveva lasciata andare. Ritornò poco dopo, tenendo in mano una fiala e un bicchiere d’acqua. «Ritengo che sia meglio che tu prenda un’altra dose di antidoto. Non sarà doloroso come ieri e forse non sarà nemmeno efficace nel lenire il dolore. So però, con certezza che non ti sarà dannoso», mentre parlava si era seduto accanto alla giovane donna. Le porse la fiala che Ygraine bevve docilmente. Tornò ad afferrargli le mani, per quanto sul suo volto non vi fosse alcun segno di dolore. Severus staccò delicatamente le mani da quelle della giovane donna e, cercando di non mostrare l’incertezza per un gesto a cui non aveva mai dato inizio, l’abbracciò. Ygraine appoggiò il capo contro il suo petto, come aveva fatto le altre volte in cui aveva cercato conforto in lui. Rimase immobile. Ygraine non stava piangendo come le altre volte, ma aveva ricambiato l’abbraccio. Sentiva le mani pure della giovane donna sulla sua schiena e sentiva la sua fiducia nel modo in cui stava accettando il suo tentativo di confortarla, di farle, forse, dimenticare il male che le avevano fatto i due Auror. Era certo che il cuore puro della giovane donna non potesse mai ricambiare i suoi sentimenti, ma gli sarebbe bastato poterle stare accanto, poterle offrire, per quanto in maniera probabilmente inadeguata, il conforto che non aveva mai potuto, in passato, dare a nessuno. Gli sarebbe bastato poterle offrire la sua amicizia. Gli sarebbe bastato vederla felice. Gli sarebbe bastato amarla in silenzio.
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[1] Per la simbologia del cigno, ho consultato alcuni bestiari medievali, che sono piuttosto ambivalenti in proposito. A volte è figura di purezza (il bianco delle piume) e di fedeltà e amore (il cigno è essenzialmente monogamo); altre è simbolo del canto, ma anche di morte; infine, è anche simbolo d’ipocrisia (nasconde le piume nere sotto le piume bianche).
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