Ho diviso anche il capitolo XXI. Ho diviso anche questo capitolo, questa volta in tre parti.Capitolo XXI
Das Wirsthaus
Sind denn in diesem Hause die Kammern all' besetzt?
Bin matt zum Niedersinken, bin tödlich schwer verletzt.
(Sono tutte occupate le camere, in questa casa?
Sono spossato, non mi reggo più, sono mortalmente ferito.)
Gran Bretagna 11 – 12 marzo 2002
Il treno verso Londra avanzava lentamente attraverso la campagna, ma Ygraine non riusciva a pensare ad altro che all’incontro che le aveva richiesto il fratello. Di fronte a lei, era seduto Severus che l’avrebbe accompagnata subito dopo a teatro e che aveva accettato con grazia il suo rifiuto a viaggiare ancora con quel metodo magico, a meno che non fosse assolutamente necessario.
Rebecca era rimasta nel Kent con i suoi genitori, per quanto avesse salutato l’uomo come se temesse di non vederlo più. Durante quei giorni, aveva notato come l’attaccamento della bambina per Severus era cresciuto a dismisura e Ygraine temeva quello che sarebbe accaduto quando Gawain e Margaret avrebbero deciso di avere di nuovo Rebecca a casa, per quanto non lo avessero fatto il giorno che avevano concordato di andarla a prendere, adducendo una motivazione quanto mai oscura.
Probabilmente, però, il fratello voleva parlare del ritorno di Rebecca a casa e credeva che avesse scelto una caffetteria per evitare scenate o qualsiasi riferimento alla magia.
«Rimarrai con me, mentre parlo con Gawain e Margaret?»
«Credi che sia saggio?»
Ygraine osservò il volto del mago e tentò di trarre forza dalla sua calma, di non sentirsi così tremendamente incerta di fronte alla prospettiva di incontrare il fratello. Era, altresì, certa che non sarebbe mai riuscita ad affrontare Gawain da sola, che avrebbe avuto bisogno di sentire accanto a sé la presenza dell’uomo che, in quei giorni, era riuscito a donare tranquillità a Rebecca.
E a lei.
«Non sono certa di riuscire a rimanere sola con Gawain e Margaret.»
L’uomo notò che il volto di Ygraine esprimeva incertezza, che la giovane donna era, forse, sconfortata di fronte a quello che sarebbe potuto accadere tra lei e il fratello e di certo non poteva darle torto, considerando quello che era accaduto a casa dell’uomo.
Osservò il cielo nuvoloso al di fuori del finestrino del treno, che pareva quasi voler preannunciare un incontro burrascoso.
Anche Rebecca stava osservando le nuvole al di là dei vetri del salotto dei nonni. Sapeva che avrebbe dovuto allontanarsi, che Severus e la zia sarebbe tornati soltanto nel tardo pomeriggio, ma non riusciva ad allontanarsi da lì. Forse sarebbe dovuta andare con loro, insistere affinché la portassero a Londra, ma aveva seguito il consiglio dei nonni ed era rimasta con loro nel Kent.
«Rebecca, ti andrebbe di venire con me alla libreria?»
La bambina scosse il capo. Se fosse andata con la nonna, quando Severus e la zia fossero tornati non avrebbero saputo dove trovarla.
«Forse potresti andare dal nonno. Sta studiando un nuovo manoscritto, che ha delle bellissime miniature.»
«Ma…»
«Rebecca, il signor Piton e Ygraine torneranno prima che tu te ne accorga.»
Mary Ainsworth aveva notato che la nipote non si era allontana dalla finestra da quando il mago e la figlia erano partiti mezz’ora prima. Doveva trovare il modo di parlare con entrambi di quello che stava accadendo. Sapeva perfettamente da sola che Rebecca aveva paura di essere abbandonata, che, dopo quello che avevano fatto Gawain e Margaret, temeva che anche altri adulti iniziassero a non amarla più.
Non credeva nemmeno che il figlio non volesse più bene a Rebecca, ma che non riuscisse ad accettarla, il che era anche peggio.
Aveva provato a parlare con lui e Margaret, ma entrambi parevano non voler ammettere in cosa avessero sbagliato e sembravano non riuscire nemmeno a comprendere che l’unico modo che avevano per non perdere definitivamente la figlia era accettare il fatto che fosse una strega. Era un concetto che anche lei trovava difficile da afferrare, ben più di quanto non lo fosse per Alfred o Ygraine, ma non poteva ignorare che era quella la natura di Rebecca e che, anche se avesse voluto, non avrebbe potuto far nulla per cambiare quella realtà.
«Lo so, nonna. È che se rimango qui, quando torneranno mi troveranno subito.»
Mary si mise accanto alla nipote, sperando che Gawain non facesse nulla di insensato, ma aveva paura che così non fosse. Il figlio odiava il signor Piton o, meglio, era geloso del rapporto che Rebecca aveva instaurato con il mago, un rapporto che era così profondo unicamente a causa del modo in cui Gawain si era comportato con la figlia.
Lo aveva notato perfettamente fin dalla sera in cui Ygraine era comparsa all’improvviso con quello sconosciuto. La bambina si affidava completamente a lui e lei era certa che quello che le aveva detto Gawain, circa un possibile passato criminale dell’uomo, fosse unicamente un’esagerazione per mettere in cattiva luce la nuova figura paterna della figlia.
«Possiamo mandare un messaggio a zia Ygraine e dirle che sei con il nonno e che poi sarai alla libreria, quando il nonno partirà per andare a Canterbury per parlare con dei colleghi filologi.»
«Hai ragione, nonna, però devi farlo tu. Non posso mandare Hoffmann a Londra, perché a teatro potrebbero chiedersi come mai un gufo sta portando un messaggio.»
Sul volto di Rebecca era comparso un sorriso e Mary si sentì felice per quello, per quanto non volesse veramente pensare al rapace notturno che si trovava in camera della nipote, probabilmente intento a dormire. Era arrivato il giorno del compleanno di Rebecca, per tramite del signor Piton che si era recato a Londra a prenderlo.
A voler essere sincera con sé stessa, non voleva nemmeno pensare troppo spesso che la nipote fosse in grado di compiere delle magie o, forse, a renderla più inquieta era la presenza di un intero mondo parallelo, dotato di un suo sistema politico e di sue particolari leggi. Il signor Piton sembrava una persona perfettamente ragionevole, ma non era certa che tutti i maghi fossero come lui.
Dopo aver salutato la nipote e il marito, rimase ad osservare i nuvoloni che coprivano il villaggio, quasi a voler comprendere cosa significasse realmente essere una delle poche persone non magiche ad essere a conoscenza dell’esistenza della magia. Forse avrebbe dovuto parlarne con Ygraine che pareva essere completamente a suo agio con il mago e doveva esserlo stata fin da subito, da prima di innamorarsi di lui.
Si incamminò a passo veloce verso la piccola libreria del paese, mentre le nuvole si facevano se possibili più cupe e così erano anche a Londra, pronte com’erano a far cadere una pioggia che si preannunciava gelida.
Anche i vetri della sala da tè scelta da Gawain e Margaret sembravano grigi, notò Ygraine, quando vi si avvicinò al fianco di Severus. Fu l’uomo ad aprire la porta e di questo gli fu grata perché non era per nulla certa di essere in grado di entrare nel locale, se fosse stata da sola. Il fratello e la cognata erano già seduti, notò subito, e si sentì sopraffare dall’insicurezza al punto che fu tentata di afferrare il braccio di Severus, per ricevere una parvenza del coraggio di cui l’uomo aveva dato silenziosamente prova per tutta la guerra magica.
Ma non lo fece.
Non credeva che il mago l’avrebbe respinta, non dopo la sera trascorsa nello studio di suo padre, ma era certa che non avrebbe fatto una buona impressione al fratello.
Trasse un respiro, prima di avvicinarsi al tavolo, mentre alcune gocce iniziavano a cadere contro i vetri della sala da tè.
«Credevamo venissi da sola.»
Ygraine non commentò la frase della cognata, che non l’aveva nemmeno salutata, così come non lo aveva fatto il fratello. Si sedette, insieme a Severus che era rimasto, come lei, in silenzio. Ordinarono entrambi un tè, mentre la tensione intorno al tavolo pareva aumentare a tal punto che Ygraine si stupì di non avere gli occhi di tutto il locale su di sé.
«Abbiamo preso una decisione», la voce di Gawain era stranamente professionale, quasi fosse intento a parlare con un cliente. «Margaret ed io ci trasferiremo negli Stati Uniti.»
«E Rebecca?»
Si era preparata a lottare per permettere alla nipote di avere almeno un contatto con il Mondo Magico, ma non si era aspettata nulla del genere. Se il fratello fosse andato al di là dell’Oceano, la bambina ne sarebbe stata distrutta. Si voltò per un attimo verso Severus, ma il volto dell’uomo sembrava totalmente impassibile. Non poteva però vederne gli occhi che stavano fissando Gawain e Margaret.
«Perché dovrebbe essere un problema?»
«Non hai pensato ai nostri genitori? È la loro unica nipote.»
«Ma tu vorresti dire qualcosa d’altro, non è vero Ygraine? O forse lo vorrebbe dire lei, Piton? Il vero problema non sono i nostri genitori, ma il fatto che, se Rebecca dovesse venire con noi, non avrebbe più nulla a che fare con nessuno di voi due», la voce di Gawain aveva perso la calma di prima e alla giovane donna non piaceva il modo in cui pronunciava il nome di Severus, con rabbia mista a qualcosa di molto simile alla gelosia. «Sono venuti a parlarci due di quei poliziotti ieri, un uomo e una donna, perché volevano parlare con te e, quando non ti hanno trovato, hanno voluto sapere se già vi conoscevate quando è morto Tristan.»
«Come si chiamavano?»
Ygraine si voltò verso Severus che aveva parlato per la prima volta. Il suo tono di voce e il suo volto tranquillo le diedero la speranza che forse sarebbe riuscita a far ragionare il fratello e la cognata.
«Thomson e Green. Ci hanno anche chiesto dove fossi andata, ma abbiamo detto loro che non lo sapevamo e non per te o per l’assassino con cui ti ostini ad accompagnarti, ma per rispetto verso i nostri genitori.»
Severus avrebbe riflettuto in seguito su quell’informazione, che sembrava circoscrivere a quei due Auror i possibili sospetti. In quel momento gli interessava di più comprendere pe quale motivo Gawain Ainsworth avesse cambiato improvvisamente argomento, invece di continuare a palare della possibile trasferta negli Stati Uniti.
Per Rebecca sarebbe stata una decisione orribile.
E lo sarebbe stata per Ygraine.
E per lui.
«Gawain, ti sono grata perché non hai detto loro nulla», disse la giovane donna. Severus notò il modo in cui tormentava il tovagliolo con una mano, mentre cercava di mostrarsi calma e forse poteva ingannare il fratello, ma nulla nel suo atteggiamento denotava reale tranquillità. «Però, non credo che portare Rebecca negli Stati Uniti sia una buona idea. La sradicheresti dalla vita che ha sempre conosciuto.»
«Questo lo sappiamo perfettamente, Ygraine», la voce di Margaret era poco più di un sussurro. «Per questo lei non verrà con noi.»
Ygraine sobbalzò alle parole della cognata, facendo oscillare la tazza da tè. Alcune gocce caddero sul tavolo, ma non ebbe nemmeno la forza di asciugarle con il tovagliolo.
«Margaret… cosa…?»
«Quello che hai sentito. Rebecca non verrà con noi. Dovresti esserne contenta.»
«La volete abbandonare?»
Severus sentì il panico nella voce di Ygraine. O, forse, non si era preparata per quella eventualità. Avevano immaginato altri scenari in cui Gawain e Margaret si sarebbero dimostrati inflessibili.
«Credevo che ti mostrassi contenta della nostra scelta o che lo facesse il tuo accompagnatore», la voce di Margaret era piatta.
«Pensate davvero che possa gioire per questo? Ho sempre e solo desiderato che tra voi e Rebecca non accadesse nulla di quello che è avvenuto.»
«E ti fa sentire meglio affermare qualcosa del genere?» Gawain non sapeva nemmeno perché si stesse comportando così con la sorella. Avevano deciso di lasciare l’Inghilterra e di affidare la bambina a Ygraine proprio per l’amore che ancora provavano per Rebecca, perché sapevano entrambi che non sarebbero mai riusciti ad accettare la magia e che così facendo avrebbero potuto distruggere la bambina. Eppure, non riusciva a togliersi dalla testa che tutto quel disastro fosse dovuto alla sorella e al mago che le sedeva silenzioso accanto. «Immagino che tu senta di avere la coscienza perfettamente a posto, che ti senta superiore a noi perché non provi alcun timore di fronte a quello che Rebecca potrebbe fare.»
«Gawain…»
«Credo che sia meglio attenerci ai fatti, signor Ainsworth», Severus interruppe bruscamente Ygraine. Non voleva che il fratello potesse, se possibile, ferirla più di quanto non avesse già fatto. «Avete detto che affiderete Rebecca a Ygraine. Ho sempre creduto che fosse impossibile rinunciare alla patria potestà.»
«Non vi dovete preoccupare del punto di vista legale», spiegò Gawain, con voce che a Severus parve più tranquilla del tono che aveva usato con la giovane donna pochi istanti prima. «Ho trovato un modo per mettere tutto nero su bianco in perfetta regola. Tra qualche giorno ti chiamerò, Ygraine, e non dovrai far altro che firmare delle carte.»
«Lo direte voi a Rebecca, non è vero?»
«No», disse Margaret con voce secca. «Sono certa che tu saprai spiegare la situazione meglio di noi. D’altronde sei stata così certa fin da subito circa cosa fosse meglio per nostra figlia.»
«Non credete che Rebecca…»
«Sai, Ygraine, credo che tu sia soltanto un’ipocrita», la voce di Gawain era di nuovo secca. Severus sentì la mano di Ygraine afferrargli il braccio, quasi come se avesse paura di cadere. O, forse, non voleva far nulla di avventato.
«E tu sei un vigliacco, Gawain.»
La voce di Ygraine era tesa, ma, dal modo in cui gli stava stringendo il braccio, era certo che fosse arrabbiata e ferita.
«Credi veramente che sia facile allontanarci da Rebecca?»
«Non ho mai detto questo, Gawain. Non riesco nemmeno ad immaginare che cosa tu stia provando in questo momento, ma ritengo che sarebbe più saggio se parlassi con tua figlia, che le spiegassi.»
«Non c’è nulla da spiegare», a parlare era stata Margaret. Ygraine sapeva soltanto che non stava urlando perché aveva accanto a sé Severus. Le parole del fratello l’avevano ferita ed era arrabbiata come non lo era stata da tempo. Credeva che la scelta di Gawain fosse dolorosa, ma non riusciva ad impedirsi di pensare che si stesse comportando come un vigliacco, lasciando a lei il compito di annunciare a Rebecca che i suoi genitori l’avrebbero abbandonata. «Abbiamo riflettuto a lungo e questa è l’unica soluzione possibile.»
Ygraine non ribatté nemmeno, chiedendosi se non dovesse andarsene. Lasciò andare il braccio di Severus, che sedeva al suo fianco e che stava fissando il fratello e la cognata. Si aspettò quasi che Gawain aggiungesse qualcosa alle parole di Margaret, che dicesse, almeno, che amava ancora Rebecca e che per questo era disposto a rinunciare a lei, ma il fratello non disse una parola. Si alzò dal tavolo ed uscì, ribadendo unicamente che l’avrebbe contattata quando sarebbe stato necessario firmare le carte.
«Come posso… Rebecca ne sarà ferita. So che mio fratello e mia cognata le hanno già procurato dolore, ma questo…»
La voce della donna era spezzata e Severus notò che sembrava quasi persa, mentre fissava il punto in cui erano stati seduti il fratello e la cognata. Le parole di Ygraine erano fin troppo vere, purtroppo, per quanto credesse che, in definitiva, Ainsworth avesse fatto la scelta migliore. Non riusciva a comprendere il motivo che l’aveva portato a prendere quella decisione, ma era certo che Rebecca sarebbe stata meglio cresciuta dalla giovane donna, per quanto il compito che spettava al soprano non sarebbe stato per nulla facile.
Al di fuori la pioggia cadeva più fitta, mentre dall’altra parte della strada un suonatore d’organetti osservava i vetri della sala da tè, chiedendosi cosa stesse accadendo. Aveva almeno fatto bene a decidere di seguire il fratello della Babbana, dato che questa sembrava essere improvvisamente scomparsa da Londra. Ma adesso l’aveva ritrovata ed era, come sempre, insieme a Piton.
Doveva unicamente riferire che Ygraine Ainsworth era ancora incredibilmente legata a quel maledetto assassino. Lo poteva vedere benissimo da dove si trovava quando uscirono insieme dal locale. Camminavano uno accanto all’altro e lui si chiese per quale motivo la giovane donna non fosse disgustata da Piton. Sapeva che era stata messa in guardia da lui, che le era stato detto che era un assassino, durante gli interrogatori, ma, invece di allontanarsi da lui, pareva farsi sempre più vicina.
E quel particolare non aveva affatto senso, si disse il suonatore di organetto, muovendosi in direzione opposta alla coppia. Avrebbe riferito quello che aveva appena visto, con la consapevolezza che presto avrebbero agito, per quanto lui non fosse del tutto convinto del piano messo a punto nelle settimane precedenti.
La pioggia continuò a cadere per tutta la giornata e ancora pioveva quando Ygraine tornò nel villaggio del Kent. Era certa di aver seguito le prove in maniera distratta, anche se nessuno le aveva fatto notare nulla e durante il viaggio di ritorno era stata silenziosa, per quanto si fosse sentita più tranquilla con la presenza rassicurante di Severus al suo fianco.
Ma, in quel momento, mentre si avvicinava alla porta della libreria della mamma, si sentiva incredibilmente nervosa. Non aveva idea di come procedere, di come parlare con Rebecca di quello che avevano deciso i suoi genitori.
«Nonna, sono tornati.»
Rebecca era seduta dietro al tavolo su cui era sistemata la cassa, ma non appena entrarono scese e corse loro incontro. Stava sorridendo e Ygraine temeva il momento in cui avrebbe spento quel sorriso perché, nonostante tutto quello che era accaduto a Londra, era certa che la bambina potesse rimanere ulteriormente ferita da dei genitori che l’abbandonavano senza nemmeno avere il coraggio di dirle le cose come stavano.
«Devo parlare con la nonna», decise di dire. «Perché intanto non vai a casa con Severus?»
Era una delle poche cose di cui aveva parlato in treno. Doveva discutere dell’accaduto con i suoi genitori e sapeva che mamma sarebbe stata la scelta ideale in un caso come quello, anche se papà non fosse stato impegnato con dei colleghi a Canterbury.
La bambina annuì e Ygraine rimase silenziosa mentre Rebecca indossava il cappottino e prendeva per mano Severus.
«Cos’è accaduto a Londra?»
Mamma la stava guardando con preoccupazione e aveva girato il cartellino su chiuso, per quanto mancassero ancora due ore alla chiusura del negozio. Ygraine trasse un respiro, prima di riferire ogni cosa alla madre. Non osò nemmeno guardarla in volto quando le disse che Gawain e Margaret avevano deciso di abbandonare la figlia a causa delle loro paure.
«Quando verranno a parlarne con Rebecca?»
«Non lo faranno, mamma. Mi chiameranno per firmare delle carte, ma hanno detto che devo essere io a parlare con mia nipote. Non so cosa dirle? Sai che abito in Francia e non sono riuscita a trovare una soluzione per rimanere in Inghilterra. I contratti sono già firmati da tempo e…»
«Sono certa che a Rebecca piacerà la Francia, che si adatterà dopo un primo momento di sconforto. Tu vuoi bene alla bambina e lei ti è affezionata e, forse, per quanto ritenga che Gawain dovrebbe parlare personalmente con lei, questa è la soluzione ideale.»
Mary osservò il volto pallido della figlia. Sapeva che era preoccupata, ma, da quando aveva parlato con il figlio, aveva riflettuto a lungo su quale potesse essere la soluzione migliore per Rebecca e aveva quasi sperato che Gawain rinunciasse a lei. Era un pensiero orribile, ma non era riuscita a riconoscere suo figlio in quell’uomo colmo di rancore. Sapeva che il figlio maggiore non aveva mai amato l’arte come Ygraine o la speculazione e la creatività come Tristan, ma aveva sempre creduto che Gawain assomigliasse di più a lei, che fosse semplicemente concreto. Invece, si era rivelato incapace di accettare la natura di Rebecca, non aveva nemmeno tentato di aiutarla ed aveva finito per nuocerle.
«Lo spero anch’io, mamma.»
«Vuoi che venga con te?»
«No. Credo che sia meglio che le parli da sola.»
Ygraine abbracciò la donna, prima di uscire dal negozio. Mentre la pioggia cadeva fitta sul suo ombrello tentò di fare tesoro delle parole della madre, ma temeva di ferire involontariamente la nipote. Quando raggiunse la casa dei genitori, rimase immobile per qualche istante, prima di entrare. Rebecca e Severus erano in salotto e la bambina stava raccontando all’uomo quello che aveva fatto, come faceva ogni giorno, quando il mago le raggiungeva, nel corso della giornata, dopo aver lasciato la casa di Spinner’s End. Ygraine sapeva che la nipote avrebbe voluto che Severus si fermasse ogni sera a dormire nella casa dei nonni, che rimanesse con loro ogni istante, ma l’uomo l’aveva convinta che non poteva imporsi sui nonni. D’altronde, Ygraine sapeva che quelle parole nascondevano unicamente la consapevolezza che occorreva abituare Rebecca all’assenza dell’uomo, che, anche con quella nuova soluzione, non sarebbe stato presente ogni ora del giorno e della notte nella vita della bambina.
E nella sua.
«Rebecca», mormorò, andando a sedersi su una delle poltrone del salotto. «Oggi, Severus ed io abbiamo parlato con i tuoi genitori.»
«Vogliono portarmi via?»
«No», disse la giovane donna, lanciando un’occhiata a Severus che era seduto accanto a Rebecca. «Gawain e Margaret hanno deciso di affidarti a me.»
Non riuscì a dire altro, né a dare altre informazioni. Non aveva alcuna intenzione di riferire ogni parola avessero detto il fratello e la cognata, né voleva mostrare la rabbia che ancora provava nei loro confronti, per come stavano scaricando ogni responsabilità su di lei, per come avevano trattato Rebecca da quando avevano scoperto che era una strega. Per un istante si chiese come avesse fatto Severus a non colpirli con la magia, ma l’uomo era una persona migliore di lei, probabilmente.
«E dove vivremo, zia?»
Severus aveva notato che Rebecca era diventata unicamente pensosa. Non sembrava sconvolta per quello che stava accadendo, ma, forse, era quello che aveva sperato mentre i giorni trascorrevano tranquilli nella casa degli Ainsworth. Oppure, non aveva ancora afferrato a pieno le parole della zia, per quanto l’uomo fosse convinto che Rebecca sapesse perfettamente cosa implicassero.
Ygraine era, invece, decisamente nervosa, ma sapeva perfettamente che cosa la rodesse. Ne avevano parlato brevemente, mentre andavano verso Covent Garden ed era consapevole che la giovane donna non sapeva come affrontare quella parte del discorso con la nipote. Gli era parso quasi che il soprano si sentisse in colpa, per quanto non ne avesse alcun motivo. La responsabilità di tutto gravava sulle spalle di Gawain e Margaret e non certo su di lei, né sulle sue scelte di carriera.
E nemmeno su di lui.
Gli unici colpevoli in quella triste vicenda erano i genitori della bambina e Severus credeva che perdere la figlia fosse la giusta punizione per come si erano comportati. Con il tempo avrebbero potuto accorgersi di essere rimasti completamente soli nel loro mondo asettico ed allora la loro esistenza sarebbe stata quasi peggiore di quella che avrebbero potuto vivere nella cella in cui avrebbero meritato di stare.
«Rebecca, so che sarà difficile, ma dovremo trasferirci in Francia. Non subito, ma verso i primi di maggio.»
«Non voglio andare via di qui.»
Severus notò che Ygraine era impallidita. Il tono di voce di Rebecca era improvvisamente prossimo alle lacrime, ma c’era anche qualcosa di molto simile alla rabbia che forse aveva ferito la giovane donna per quanto non lo desse a vedere.
«Rebecca… non ci sono altre soluzioni… io…»
«Non mi vuoi bene nemmeno tu», la bambina si era alzata in piedi e stava scuotendo il capo. «Non…»
Rebecca non finì la frase, ma corse fuori dalla stanza, ignara del volto pallido della zia e del modo in cui si stava tormentando le mani. Erano soli in salotto e, per diversi istanti, il silenzio li avvolse completamente.
«Avrei dovuto essere più delicata nel dare la notizia.»
«Non sarebbe cambiato nulla», l’uomo sentì lo sguardo di Ygraine su di sé. Gli occhi nocciola erano tristi e, per un motivo che non si sapeva spiegare, avrebbe voluto trovare il modo di eliminare quella tristezza, di evitare di leggervela ancora in futuro. «Andrò a parlare con lei.»
«Grazie.»
Severus annuì soltanto. Per quanto non fosse la prima volta che si trovava di fronte alla gratitudine di Ygraine, non sapeva ancora come reagire, né quali parole dire. Non gli fu difficile trovare Rebecca, rannicchiata sul suo letto, davanti al quale aveva voluto appendere il disegno che lui le aveva regalato per il suo compleanno. La bambina stava piangendo.
«Mi odia adesso?»
La voce era flebile e tremante. Rebecca lo stava guardando con gli occhi velati di lacrime, non ancora versate. Severus si sedette sul bordo del letto.
«No», non disse altro. Non credeva nemmeno che Ygraine potesse odiare qualcuno. Non aveva mai provato il ben che minimo disgusto nei suoi confronti e non pareva detestare nemmeno suo fratello. Era arrabbiata con lui, di questo si era reso conto quel giorno, ma aveva notato anche una certa tristezza, come se stesse rimpiangendo il Gawain che aveva conosciuto un tempo e che aveva amato.
«Perché mi vuole portare via?»
«Dove doveva andare tua zia dopo aver cantato a Londra?»
«In Italia, ma… ha rinunciato?»
L’uomo annuì soltanto. Severus ricordava perfettamente la telefonata della giovane donna al suo agente. Era stata la prima cosa che aveva fatto appena uscita dalla sala da tè. Aveva deciso di annullare il suo impegno a Bologna per non scombussolare la vita di Rebecca.
«L’ha fatto per me?»
«Tua zia è molto preoccupata per quello che è accaduto, Rebecca, e ha riflettuto molto su come riuscire a prendersi cura di te. Credo, d’altronde, che tu capisca che non può rinunciare al suo lavoro.»
«Non voglio che lo faccia, ma… non potrebbe rimanere in Inghilterra?»
Rebecca aveva paura di leggere la delusione negli occhi di Severus, che l’uomo pensasse che si stava comportando come una bambina piccola e ingrata. Era stata cattiva con zia Ygraine e adesso non sapeva cosa fare.
«Tutti i suoi prossimi contratti sono sul continente.»
La bambina cercò di cacciare indietro le lacrime, ma fallì miseramente. Non sapeva nemmeno perché stesse piangendo, forse perché temeva che la zia non l’avrebbe più voluta considerando come si era comportata o perché temeva di aver deluso Severus e non voleva che l’uomo fosse deluso da lei. Quando sentì la mano del mago posarsi lieve e incerta sulla sua spalla riuscì unicamente a piangere di più.
Si mosse appena e lo abbracciò. Non aveva nemmeno bisogno di dire nulla o che lui dicesse nulla. Le bastava che le tenesse le braccia attorno, come stava facendo in quel momento.
«Credi che la zia mi perdonerà?»
Severus sentì che le lacrime si stavano quietando e che la voce della bambina non era spezzata dai singhiozzi.
«Sono certo di sì.»
Ed era certo che quella non fosse una menzogna pietosa. Ygraine non avrebbe mai rifiutato il perdono a Rebecca, di questo era più che sicuro, considerando come fosse riuscita ad offrire il perdono anche a lui che aveva commesso crimini atroci. In quel momento la bambina gli ricordava quasi il sé stesso più giovane, nei momenti subito successivi all’insulto che aveva scagliato contro Lily in un momento di frustrazione e si sentì ancora più certo che la bambina avrebbe ricevuto il perdono che la Grifondoro gli aveva negato. Ygraine aveva un animo più pronto al perdono, più luminoso, forse, di quanto lo fosse mai stato quello di Lily e, improvvisamente, si chiese quante altre piccole cose Lily non gli avesse mai perdonato, quanto fosse stata realmente salda l’amicizia della ragazza per lui, quando avesse iniziato a vacillare.
«Mi accompagnerai dalla zia?»
«Certo.»
La bambina gli sorrise, quando si staccò da lui. Gli prese la mano, mentre tornavano al pianterreno della casa degli Ainsworth. Ygraine era ancora seduta dove l’avevano lasciata, il volto pallido, che le si illuminò di un sorriso non appena vide Rebecca.
«Mi dispiace, zia. Io non volevo…»
«Non ti devi preoccupare, Rebecca», disse la giovane donna, dopo essersi alzata e inginocchiata davanti alla nipote. «So che si tratta di un cambiamento difficile per te e che dovremo adattarci entrambe nei prossimi mesi.»
«Ma Severus potrà venirci a trovare, vero?»
«Naturalmente, Rebecca», mormorò la giovane donna, alzandosi in piedi e mettendo una mano sulla spalla della bambina, che non aveva lasciato andare l’uomo.
«Verrai, vero, Severus?»
L’uomo osservò gli occhi di Ygraine colmi di una fiducia che sembrava farsi ogni giorno più profonda e quelli pieni di affetto di Rebecca e annuì.
Quando Mary e Alfred Ainsworth rincasarono, trovarono la bambina e i due adulti intenti a parlare tranquillamente, per quanto la donna si accorse di una certa tensione nella figlia, che sembrò aumentare dopo che il signor Piton si congedò da loro, con la promessa di tornare il pomeriggio successivo.
Tutto sembrò tranquillo durante la cena e Rebecca non fece alcun cenno a quello che Ygraine doveva averle detto, ma la bambina era impaurita. Era terrorizzata dall’idea che anche la zia potesse abbandonarla un giorno o, forse, si disse, mentre cercava di prendere sonno, temeva che i genitori cambiassero idea, che decidessero di volerla portare con loro oltre l’Oceano.
Si alzò in piedi e andò nella camera dove dormiva la zia che stava ancora leggendo. Si intrufolò nel suo letto, rannicchiandosi contro di lei e si sentì più tranquilla quando la zia l’abbracciò.
Poco prima di addormentarsi la bambina si chiese se non potesse sperare che Severus e la zia decidessero di vivere insieme. In quel modo sarebbe rimasta sempre insieme alla sua nuova mamma e al suo nuovo papà.
Il giorno dopo il cielo era più sereno, per quanto fosse attraversato da nuvole bianche portatrici di vento.
E così era il cielo sopra Londra, ben visibile dall’appartamento di Jane Stanton, dove la pianista lasciò risuonare a lungo le ultime note.
«Sarai una splendida Elsa, Ygraine.»
La giovane donna chiuse lo spartito, mentre Jane rimase seduta al pianoforte, dopo che avevano rivisto alcuni passaggi, seguendo le indicazioni che il direttore aveva dato il giorno precedente e che la giovane donna sapeva di aver appuntato in maniera quasi automatica sullo spartito.
«Lo spero, Jane.»
Sapeva di aver risposto in maniera distratta, per quanto, mentre cantava fosse riuscita a ritrovare l’abituale passione. In quel momento, invece, riusciva unicamente a pensare a quello che sarebbe potuto accadere se l’uomo non fosse giunto in casa del fratello quel giorno e se non fosse riuscito a convincere Gawain e Margaret a farle andare dai suoi genitori. Era certa che erano state le parole che Severus aveva detto al fratello e alla cognata a dare il via alla riflessione che li aveva portati ad affidare Rebecca a lei.
«Vuoi rivedere qualche altro passo?»
«No, Jane. Se per te va bene tornerò prima dell’ante-generale.»
Passata la rabbia che aveva provato il giorno prima di fronte al rifiuto di Gawain di vedere nuovamente Rebecca, le pareva che il fratello avesse fatto la scelta migliore per la bambina. Non sapeva cosa stesse provando in quel momento Gawain, ma voleva sperare che fosse stata una scelta dettata dall’affetto per la bambina e non dall’odio che forse, con il passare dei giorni, se non avesse preso quella decisione, sarebbe giunto a provare per Rebecca.
«Le prove sono il 24, giusto?»
«Esatto. Forse potremmo vederci due giorni prima.»
«Hai già pensato se vuoi ripassare il ruolo di Mélisande prima della tua partenza per l’Italia?»
Ygraine osservò per qualche istante Jane, cercando di capire cosa dire alla pianista. Sapeva che non poteva spiegarle il motivo della scelta di Gawain e si chiese se fosse logico rivelarle che il fratello le aveva affidato Rebecca. Jane le avrebbe sicuramente chiesto la causa del comportamento di Gawain e lei non sarebbe mai riuscita ad inventare una buona motivazione.
«Ho annullato l’impegno a Bologna.»
«Per quale motivo?»
«Ho cantato troppo prima di questo Lohengrin e sento le corde vocali affaticate. Forse non avrei dovuto accettare di cantare quelle due recite di Otello.»
«Immagino che Olivier non sia per nulla contento della tua decisione.»
Ygraine annuì, sentendo nominare il suo agente. A quanto pareva Jane aveva creduto alle sue parole, ma non aveva nemmeno alcun motivo per non crederle, considerando che il suo foniatra le aveva sempre raccomandato di non sforzare troppo le corde vocali, se non voleva avere una carriera fulminea. Aveva sempre cercato di dosare con cura gli impegni, ma non sarebbero state due recite di Otello in mezzo ad una pausa tra Comtes e Lohengrin a causarle dei problemi seri.
«Gli ho promesso di fare qualche recital in più la prossima stagione.»
Non disse che gli aveva chiesto di rivoluzionare tutto il suo calendario, con l’eccezione dei tre titoli che aveva in programma in Francia per la stagione successiva. Si era ripromessa, quando aveva deciso di intraprendere quella professione, che, se mai avesse avuto una famiglia, non le avrebbe anteposto la sua carriera. Avrebbe semplicemente diminuito gli impegni, come aveva deciso di fare non appena aveva lasciato la sala da tè dove aveva incontrato Gawain e Margaret.
«Se vuoi possiamo concludere con un Lied, come facciamo sempre.»
Ygraine annuì, prima di frugare tra alcuni spartiti e consegnare a Jane una dolce mélodie di Debussy.
La voce della giovane donna era ben udibile in altre parti del palazzo dove abitava la pianista e la vicina del piano di sopra si era messa in ascolto, come le piaceva sempre fare.
E la voce di Ygraine era udibile anche nella strada, dove Severus era appena giunto per riaccompagnare la giovane donna nel Kent, ma alle parole in francese si sovrappose improvvisamente una melodia più stridente, proveniente dall’altra parte della strada. Dalla vetrina del negozio davanti a cui si era posizionato vide il suonatore di organetti che stava soffocando il canto luminoso di Ygraine con le sue note dissonanti, quelle note che sapevano di morte.
Il suonatore mise a tacere l’organetto prima che il soprano smettesse di cantare. Severus lo vide incamminarsi lungo la strada, tra l’indifferenza dei passanti. Forse avrebbe potuto seguirlo, ma aveva notato, l’unica volta che aveva tentato di farlo, che il suonatore di organetti sceglieva luoghi affollati di Babbani, rendendo impossibile avvicinarlo senza allertare gli Auror, tra i quali si celava l’assassino della Tate Britain.
Rimase quindi immobile, ad ascoltare la voce di Ygraine spegnersi dolcemente, come aveva fatto le altre volte in cui l’aveva aspettata fuori dall’appartamento della pianista. Eppure, quando il soprano lo raggiunse in strada e gli rivolse un lieve sorriso, non riuscì a togliersi dalla mente il suono dell’organetto che soffocava il canto della giovane donna.