Capitolo XX - Parte III
Der Wegweiser
Gran Bretagna, 5 marzo 2002
Il sole di quel giorno di marzo illuminava il salotto, dove Margaret e Gawain si trovavano, seduti sul divano, dopo che l’uomo aveva riportato le borse della sorella nella stanza degli ospiti. Era stato tentato di sbirciare nella camera della figlia, ma aveva avuto paura di quello che avrebbe visto.
Ed ora era seduto in silenzio in salotto, mentre cercava di trovare un senso ai suoi pensieri e alle sue sensazioni.
«Non avremmo dovuto acconsentire.»
Margaret si voltò verso il marito e notò che aveva il volto pallido e l’espressione incerta. Sapeva che Gawain aveva sbagliato a reagire come aveva fatto e che lei non avrebbe mai dovuto essere del suo stesso avviso, che non avrebbe mai dovuto dire, giorni prima, che la bambina aveva avuto quello che si meritava.
Ma era terrorizzata da quello che Rebecca era diventata e, per quanto non volesse ammetterlo, quella paura si stava trasformando in sentimenti ben più cupi.
«Lo so, Margaret, ma hai visto come… sono certo che sappia fare ben di peggio.»
La donna avrebbe voluto dire al marito che non avrebbero mai dovuto accettare di ospitare Ygraine. Lei non era stata d’accordo. Sapeva che sua cognata si era offerta di contribuire alle spese familiari durante il suo soggiorno, ma, per come la vedeva lei, avrebbe tranquillamente potuto prendere un appartamento in affitto, considerando che guadagnava fin troppo per esibirsi su un palcoscenico. Ma Gawain era stato felice di avere la sorella in casa. Avrebbe potuto aiutarli con Rebecca, aveva detto.
Ed il suo aiuto era stato quello di far entrare nella vita della figlia un uomo che non negava nemmeno di aver avuto un passato violento e suo padre le aveva sempre ripetuto che un criminale rimaneva sempre un criminale. Ed era stato felice quando aveva saputo che avrebbe sposato un rispettabile avvocato civile e che non avrebbe inseguito qualche stupida idea romantica, come aveva fatto sua zia, che si era sposata con un piccolo criminale da poco uscito dal carcere e che era finita ammazzata dal marito. Si chiese cosa avrebbe detto suo padre, se fosse stato ancora in vita, del modo in cui Ygraine guardava quel Piton.
«Quando la bambina tornerà dalla casa dei tuoi genitori, dobbiamo riprendere il controllo su di lei.»
«Come puoi essere così fredda, Margaret?»
La voce di Gawain era sconfortata. Tra loro due si stava rivelando il più impulsivo, ma lei non si sentiva affatto fredda come lui diceva. Rebecca si stava allontanando da loro, stava scivolando via, irretita da quel mago – ormai non aveva più alcuna possibilità di negare che la magia fosse ben reale – dalla voce tagliente.
Ed era terrorizzata per il modo in cui stavano perdendo la figlia.
E odiava con tutta sé stessa l’uomo che la cognata aveva fatto conoscere a Rebecca.
E provava una rabbia sorda nei confronti di Ygraine.
Ma voleva mostrarsi tranquilla, perché riteneva che Gawain ne avrebbe avuto bisogno nei prossimi giorni.
«Margaret…»
«Gawain, io…»
Ma non riuscì a proseguire quando sentì la porta della stanza di Rebecca e subito dopo i passi sul pavimento. La prima a entrare nel salotto fu Ygraine. La cognata era pallida e Margaret non riusciva a mostrarsi dispiaciuta per il livido che aveva sulla guancia. Dietro di lei avanzava il mago, il volto calmo, quasi inespressivo, mentre teneva in braccio Rebecca, che aveva il volto nascosto contro di lui.
La donna sentì di odiarlo ancora di più e di essere gelosa per come la figlia si stava affidando a lui.
Ma poteva, in tutta sincerità, darle torto dopo quello che lei e Gawain avevano fatto?
Anche un imbecille capirebbe che siete stati voi due a fare tutto.
Era come se l’uomo, che era appena uscito dall’appartamento, stesse ancora dicendo quelle parole e Margaret sapeva, al di là dell’odio, della paura e della rabbia, che quelle parole erano orrendamente vere.
Ed era certa che lo sapesse anche Gawain.
Eppure, non riusciva ad immaginare di comportarsi in maniera diversa.
Non era nemmeno in grado di afferrare completamente il fatto che Rebecca non fosse una bambina tranquilla e normale, com’era stata, prima. Era sempre stata orgogliosa della maturità della figlia, del suo modo tranquillo di fare. Era stata unicamente preoccupata dalla sua sensibilità dopo che Tristan si era suicidato.
Invece, aveva improvvisamente scoperto che Rebecca era una specie di scherzo della natura, capace di infrangere vetri e di ferire Gawain.
E non era riuscita ad accettarlo, come non l’aveva fatto il marito.
Si era rifugiata nell’idea che quella che sua cognata e la bambina chiamavano magia fosse una specie di malattia, aveva anche proposto a Gawain di mandarla da uno psicologo, ma il marito aveva fermamente rifiutato.
E, adesso, dopo quello che era accaduto non sapeva cosa fare, se non osservare, seduta in silenzio accanto al marito, il sole che tramontava, lasciando spazio al crepuscolo.
E il crepuscolo copriva le campagne del Kent, quando in un sentiero deserto, poco distante da una casa abbandonata da anni, si sentì il rumore sordo che un mago avrebbe identificato istintivamente.
Severus controllò immediatamente Rebecca e Ygraine, che si erano affidate, ancora una volta, a lui, quando aveva proposto loro quel modo per raggiungere il Kent, spiegando accuratamente tutti i rischi, ma la giovane donna gli aveva unicamente detto che si fidava del suo giudizio e che era certa che non sarebbe accaduto nessun incidente.
La bambina aveva ancora le mani strette attorto al suo collo e non sembrava nemmeno essersi accorta che si erano appena Materializzati. Non aveva nemmeno fatto una domanda quando lui aveva rimpicciolito la borsa con i vestiti suoi e della giovane donna, prima di lasciare Londra, forse perché non aveva mai sollevato il capo dalla sua spalla.
Ygraine si staccò lentamente da lui, dopo pochi istanti. Stava tremando ed era molto pallida, ma pareva non essere sul punto di vomitare.
«Hai viaggiato così ogni volta che sei tornato a casa da Londra?»
Annuì soltanto, prima di riportare, bilanciando il peso di Rebecca su un solo braccio, la borsa con i vestiti alle sue dimensioni normali. Ygraine era ancora un po’ instabile, mentre si chinava e prendeva in mano il borsone. La bambina era rimasta immobile, aumentando solo leggermente la presa.
«I miei genitori abitano a circa dieci minuti da qui.»
Accanto a loro c’era il sentiero che portava alla casa degli Hancock e che ricordava fin troppo bene, come ogni cosa che era accaduta quella notte di Natale di tanti anni prima. Ma quei pensieri non erano importanti in quel momento. Voleva concentrarsi unicamente sulla bambina che gli stava in braccio e sulla donna che gli stava accanto.
«Rebecca», la voce di Ygraine era quasi un dolce sussurro. «forse dovresti scendere per raggiungere la casa dei nonni.»
Ma la bambina scosse il capo alle parole gentili della zia. Non parlò nemmeno, non l’aveva più fatto da quando lo aveva chiamato per nome davanti ai suoi genitori. L’uomo annuì soltanto, rivolto alla giovane donna che prese a camminare lungo il sentiero, fino alle prime case del villaggio. Le mani di Rebecca gli stavano irritando la cicatrice lasciata dalla ferita di Nagini, ma non fece nulla per scostarla. Sperava che la bambina riuscisse – per quanto improbabile gli sembrasse – a trovare conforto, a superare quello che era accaduto. Quando era entrato nella camera della piccola aveva visto i lividi vistosi e aveva dovuto vincere la tentazione di andare nell’altra stanza e di farla pagare a Gawain e Margaret Ainsworth, che erano riusciti a distruggere il sorriso solare che era sempre presente sul volto di Rebecca, che l’avevano ammutolita, lei che gli poneva sempre delle domande sulla magia e, da qualche tempo, sul disegno e che gli raccontava anche con entusiasmo ogni piccolo fatto delle sue giornate.
Ma aveva saputo che sarebbe stato controproducente aggredire due Babbani e non sarebbe servito a nulla, se non a portare lui ad Azkaban, probabilmente a vita, considerando che si sarebbe aperta una revisione del processo che lo aveva assolto alla fine della guerra.
Non importava nemmeno che loro fossero convinti che lui li avrebbe colpiti con la magia, nel caso in cui si fosse accorto che avevano fatto nuovamente del male a Rebecca, per quanto credesse che fosse ormai tardi, che il male peggiore lo avessero già compiuto.
E lui non era riuscito ad evitarlo.
Sapeva che avrebbe dovuto escogitare un modo per riuscire a proteggere la bambina, per riuscire a starle vicino senza che i suoi genitori se ne accorgessero, soprattutto se i nonni non si fossero rivelati il supporto che Ygraine sperava.
«Siamo arrivati.»
La voce di Ygraine era poco più di un sussurro, quando si fermò davanti ad una casa circondata da un piccolo giardino. Le finestre spandevano una luce vivace sul prato ai lati del vialetto d’ingresso e sui cespugli di rose che sarebbero sbocciate di lì a qualche tempo.
La giovane donna suonò il campanello, poi rimase ferma, qualche passo davanti a lui e Rebecca, il corpo leggermente teso.
«Ygraine?»
«Mamma, possiamo entrare? Giuro che ti spiegherò tutto, ma Rebecca è stanca e…»
Severus sentì lo sguardo della donna su di sé per qualche istante, prima che li invitasse ad entrare. Rebecca, se possibile, si strinse maggiormente a lui, affondando involontariamente le dita nella cicatrice, ma non fece quasi caso al fastidio che gli provocava quel gesto, mentre la signora Ainsworth li faceva accomodare in un salotto dai colori vivaci.
«Cos’è successo, Ygraine?»
«Credo sia meglio che ci sia anche papà.»
La giovane donna osservò la mamma annuire comprensiva, prima di uscire dalla stanza. Fece segno a Severus di accomodarsi sul divano, sedendosi subito doppo accanto a lui. Rebecca non sembrava voler lasciare l’uomo, né parlare.
Ygraine si sentiva incredibilmente tesa e preoccupata. Non aveva nemmeno pensato di avvisare i suoi genitori del loro arrivo quando avevano lasciato l’appartamento di Gawain. Sperava che mamma e papà accettassero di ospitare lei e Rebecca per qualche giorno e che potessero parlare con il fratello e la cognata. Non sapeva cosa Severus avesse detto loro dopo averle mandate nella camera della bambina, ma, almeno, avevano acconsentito a fare allontanare per qualche giorno Rebecca e a non cacciare lei fuori di casa.
Osservò per qualche istante la stanza in cui aveva letto con Tristan durante i giorni di pioggia, cercando di trovare la calma necessaria per affrontare il discorso con la madre. Accanto a lei, Severus stava mormorando alcune parole alla bambina, che, poco dopo, gli lasciò andare il collo, per poi sedersi accanto a lui, dall’altra parte del divano. Ma appena si fu posizionata, nascose il volto contro il fianco dell’uomo.
E Ygraine poteva capirne tranquillamente il motivo. Rebecca voleva sentirsi al sicuro.
Quando mamma tornò, papà era con lei e fissò, per un breve istante, Severus con un’espressione indecifrabile, che però si trasformò ben presto nel suo abituale volto gioviale. Dopo che furono state fatte le presentazioni, la giovane donna tacque, senza riuscire a capire da dove potesse cominciare a raccontare quello che era accaduto.
«Cos’è successo, Ygraine?»
La voce del signor Ainsworth era preoccupata e Severus era certo che l’uomo avesse notato il livido sul volto della figlia e il modo in cui la bambina si stava aggrappando a lui. Rebecca non l’aveva più lasciato andare da quando era entrato in camera sua dopo aver parlato con Gawain e l’uomo temeva che quanto accaduto influisse per sempre sull’animo della bambina.
E lui si sentiva completamente inadeguato in quel momento. La sentiva tremare contro di lui e sotto la mano che le aveva posato sulla schiena.
«Gawain…», la voce di Ygraine si spezzò. Severus si voltò verso di lei e notò che sembrava sul punto di crollare, ma riuscì, in qualche modo, a mantenere la calma. «Devo spiegarvi tante cose e non so nemmeno se mi crederete…»
«Ygraine, è stato Gawain?»
Mary Ainsworth aveva notato il livido sul volto della figlia e il modo in cui Rebecca sembrava non voler lasciare l’uomo che era con lei. Ma aveva intravisto dei lividi anche sul volto della bambina e aveva notato che non aveva nemmeno salutato lei e Alfred. Chiunque fosse quel signor Piton, la nipote doveva aver instaurato un rapporto profondo con lui, al punto da affidarglisi totalmente.
«Sì, mamma, ma è… le motivazioni sono complicate.»
«Lo sai che puoi dirci tutto.»
Mary osservò la figlia deglutire a vuoto e la osservò mentre si voltava verso l’uomo che le aveva accompagnate. Li vide scambiarsi un’occhiata. Ygraine sembrava incerta e la donna avrebbe voluto che si fosse confidata con lei il giorno del compleanno di Alfred, che le avesse almeno parlato del signor Piton, che stava agendo nel migliore dei modi con Rebecca, confortandola in silenzio, senza spingerla a parlare o ad assumere un comportamento abituale. Vedere dei bambini in quelle condizioni era stato il motivo per cui, poco dopo essersi sposata, aveva deciso di lasciare il suo lavoro nei Servizi Sociali. E vedere quei segni sul volto della nipote la stava facendo interrogare su quanto fosse stata una buona madre per Gawain.
«Forse, sarebbe meglio se prima di parlare vi rinfreschiate e credo che la cosa migliore da fare sia discorrere mentre ceniamo», disse Alfred che, notò Mary, stava osservando la nipote preoccupato.
«Sì, è una buona idea», disse la donna. «Vado a prendere una pomata.»
Severus sentì Rebecca scostarsi leggermente da lui, non appena la nonna ebbe parlato, e tirargli la manica del cappotto. Quando si voltò vide che lo stava guardando, con gli occhi arrossati e i lividi sul volto. Eppure, nel suo sguardo era presente l’affetto e la fiducia, la fiducia in un uomo che aveva ucciso e che aveva le mani macchiate di sangue. Era la stessa fiducia di Ygraine, per quanto vi fosse qualcosa di diverso nei loro sguardi, come se quella fiducia le avesse condotte ad esprimere diversamente l’affetto e l’amicizia.
«Non puoi usare l’unguento che hai fatto tu?»
La voce della bambina era flebile, forse a malapena udibile, per quanto Ygraine e i suoi genitori non avessero detto nulla, né fatto un solo movimento.
«Dovrò andarlo a prendere.»
Rebecca scosse il capo e tornò a stringersi a lui, quasi che avesse paura di vederlo scomparire da un momento all’altro.
«Non andartene… Severus…»
La voce di Rebecca era ovattata dal suo cappotto, ma l’uomo poteva sentirne la disperazione e avvertiva chiaramente il modo in cui la bambina si stava aggrappando a lui. I genitori di Ygraine li stavano osservando e poteva leggere sui loro volti la sincera preoccupazione per la nipote.
«Rebecca…»
«Non puoi preparare qui l’unguento?»
La bambina continuava a tenere il volto nascosto nel suo cappotto e ad aggrapparsi a lui. Sentì Ygraine alzarsi da dov’era seduta e la vide avvicinarsi ai suoi genitori. Non udì cosa si dissero, ma la signora Ainsworth annuì e annunciò, con voce leggermente scossa, che sarebbe andata a preparare la cena e il marito aggiunse che sarebbe andato ad aiutarla. Fu grato a Ygraine per aver convinto i loro ospiti ad allontanarsi, per quanto non sapesse se la sua gratitudine fosse dovuta al fatto che avrebbe potuto parlare più apertamente o perché in questo modo i nonni della bambina non avrebbero notato il suo disagio.
«Occorre troppo tempo, Rebecca», disse, mentre, con delicatezza, scostava di poco la bambina da sé, in modo da guardarla in viso. Ygraine era andata a sedersi dall’altra parte della piccola e lo stava osservando con la sua sconfinata fiducia. «Mi assenterò soltanto il tempo di andare a casa e di prendere l’unguento.»
«Non voglio che tu vada via.»
Severus tentò di ignorare i lividi presenti sul volto di Rebecca e di concentrarsi sul suo sguardo, colmo della paura che lui potesse non tornare più.
E lui non sapeva come agire di fronte a quello sguardo.
«Ti prometto che tornerò, Rebecca.»
La bambina osservò il volto serio di Severus e i suoi occhi neri. C’era qualcosa nel tono di voce del mago che le fece credere che l’uomo non avrebbe mai tradito quella promessa, ma non riusciva a non avere paura.
Mamma e papà non le volevano più bene.
E sapeva che la zia doveva andare a lavorare all’estero.
E non voleva perdere di vista Severus, voleva stare al sicuro abbracciata a lui, perché lui l’avrebbe sempre difesa da mamma e papà.
«Mi… mi vuoi ancora bene?»
«Rebecca…», Severus si interruppe, deglutendo a vuoto. Sapeva cosa rispondere alla bambina, ma non era mai stato realmente capace di esprimere i suoi sentimenti. Da piccolo aveva tentato con i suoi genitori, ma in cambio aveva avuto soltanto botte e indifferenza. Allungò esitante una mano e sfiorò delicatamente la guancia della bambina, attento a non farle del male. «… sì, certo.»
«E me ne vorrai sempre?»
«Sì.»
Forse avrebbe dovuto aggiungere qualcosa, ma Rebecca gli sorrise appena, il primo sorriso di quel giorno.
«Tonerai subito con l’unguento?»
«Te lo prometto, Rebecca», la bambina si scostò del tutto da lui. «Resta qui con tua zia.»
Ygraine seguì con lo sguardo l’uomo, mentre si alzava dal divano e si chiese se si fosse accorto dell’unica lacrima che aveva versato quando Rebecca gli aveva chiesto se le volesse bene. Lo vide girarsi una sola volta verso di loro, prima di uscire.
«Quanto tempo impiegherà?»
«Non lo so, Rebecca», non aveva idea se Severus sarebbe dovuto andare nel punto in cui erano apparsi usando quell’orribile modo magico di viaggiare o se si trovasse già nella casa di Spinner’s End. «Ma sono certa che tornerà, prima che ce ne rendiamo conto.»
«Lo so. L’ha promesso.»
Ygraine annuì soltanto alle parole della nipote. Quella sera la sua stima per Severus e la sua fiducia in lui erano ulteriormente aumentate. Era riuscito a gestire nel migliore dei modi tutta quell’orribile situazione e si sentiva sollevata sapendo che tra poco sarebbe tornato e che le sarebbe stato accanto durante la cena, quando avrebbe dovuto parlare con mamma e papà.
Lanciò uno sguardo alla porta di casa, quasi si aspettasse di vederlo già di ritorno. Fuori era buio e l’oscurità della notte era ben visibile anche dalla finestra della cucina.
«Sono preoccupata, Alfred», mormorò Mary Ainsworth, mentre controllava le patate in forno.
Quando Ygraine li aveva pregati di andare in cucina, aveva pensato, per qualche istante, di protestare, ma aveva visto quanto fosse preoccupata la figlia e aveva creduto che fosse meglio lasciare soli il signor Piton e Rebecca, sperando di poter, d’altronde, presto capire per quale motivo Gawain si fosse accanito a quel modo contro la bambina.
«Anch’io, anche se credo che quell’uomo abbia la situazione sotto controllo. Mi sembra chiaro che Ygraine si fida completamente di lui.»
Mary annuì alle parole del marito. Aveva notato il modo con cui la figlia osservava l’uomo ed era certa che Ygraine dovesse avere le sue ragioni per nutrire quella fiducia così profonda nei suoi confronti.
«Chi pensi che sia?»
«Non lo so, ma nostra figlia non è una sprovveduta», affermò Alfred che, Mary lo sapeva perfettamente, aveva sempre avuto un rapporto particolarmente stretto con Ygraine. «Se si fida del signor Piton avrà degli ottimi motivi.»
Nessuno dei due fece cenno a quello che dovevano aver notato. La figlia cercava di nasconderlo, ma la conosceva da troppi anni per non comprendere che i sentimenti che Ygraine provava per quell’uomo erano profondi, ben più profondi di quelli che aveva dimostrato nei confronti di quel controtenore con cui si era fidanzata per qualche mese.
Il volto del signor Piton era invece illeggibile, per quanto fosse chiaro che tenesse a Rebecca, considerando il modo in cui l’aveva tenuta stretta a sé, fino a quando la bambina non aveva parlato, facendo riferimento ad un misterioso unguento. Forse l’uomo lavorava per qualche industria farmaceutica, anche se non credeva che la risposta fosse così banale.
Sentì dei passi nell’altra stanza, ma vinse la tentazione di aprire la porta e spiare cosa stesse accadendo. Preferì portare lo sguardo sul cielo notturno che si stava trapuntando di stelle.
E le stelle sembravano seguire i passi di Severus fino a quando non si trovò davanti alla porta della casa dei genitori di Ygraine. Non appena mise piede in salotto, Rebecca gli corse incontro e lo abbracciò con affetto.
La bambina si staccò quasi subito da lui, che prese l’unguento da una tasca. Senza dire una parola, Rebecca si sedette sul divano e attese che l’uomo si inginocchiasse davanti a lei. Fu un’operazione silenziosa e delicata. Gawain Ainsworth era stato più violento quel giorno ed i lividi erano più severi. Il mago sapeva che quell’unguento avrebbe permesso di riassorbirli più rapidamente, ma non sarebbe mai bastato per permettere a Rebecca di superare quello che era successo, soprattutto considerando che, un giorno, sarebbe dovuta tornare dai suoi genitori.
«Ti fa male anche da qualche altra parte?»
Rebecca scosse il capo, prima di rannicchiarsi sul divano. Dalla porta chiusa della cucina proveniva l’odore della cena che la madre di Ygraine stava preparando.
«Forse è meglio se andiamo di là.»
«Aspetta», la fermò l’uomo, tenendo ancora in mano l’unguento che aveva usato sulla bambina.
Ygraine si voltò verso la vetrina che conteneva il servizio da tè per le feste e notò solo allora la presenza di un livido, là dove Gawain l’aveva colpita. Severus le si era avvicinato, mentre Rebecca la stava osservando dal divano. Le dita dell’uomo erano gentili, mentre le applicava l’unguento. E le parve che quel gesto fosse lo specchio della gentilezza che l’uomo teneva nascosta, quella stessa gentilezza che l’aveva caratterizzato il giorno in cui aveva prestato il suo fazzoletto a Rebecca. Ed era uno specchio della sua nobiltà d’animo. Papà le aveva spiegato, un giorno, che nel Medioevo la parola gentilezza era utilizzata per designare la nobiltà d’animo e Severus, per quanto sembrasse pensare il peggio di sé, possedeva un animo nobile, reso tale da quelle stesse colpe che lo tormentavano e che aveva cercato di espiare in ogni modo possibile.
«Ti siederai di fianco a me, Severus?»
Rebecca si era avvicinata alla zia e all’uomo. Erano le uniche due persone di cui si fidasse completamente in quel momento. Forse anche dei nonni, ma temeva che facessero come mamma e papà, che appena avessero scoperto che lei era una strega non l’avrebbero amata più.
La zia però non aveva smesso di volerle bene e Severus le aveva appena detto che le avrebbe sempre voluto bene.
Prese la mano ad entrambi, mentre andavano in cucina.
I nonni stavano apparecchiando la tavola e sembravano tutti e due preoccupati, mentre si sedevano. Lei si mise tra Severus e zia Ygraine.
Era come se si fosse trovata tra mamma e papà.
E, per un attimo, sognò che fossero loro due i suoi genitori ed era certa che con loro sarebbe stata felice.
«Ygraine, cos’è successo?»
Mary Ainsworth aveva notato come la nipote non avesse ancora salutato né lei, né il marito e aveva visto il posto che aveva scelto per sedersi. Ma c’era qualcosa altro che aveva notato e che non riusciva a comprendere. I lividi sul volto di Rebecca erano molto meno evidenti in quel momento e allo stesso modo quello sul viso di Ygraine. Si chiese che unguento avesse utilizzato l’uomo che era giunto con loro.
«Mamma, papà», la voce di Ygraine era flebile. Mary notò che la mano che teneva la forchetta stava tremando leggermente. «Quello che sto per dirvi… avevo già pensato di farlo, dopo il compleanno, ma la situazione è precipitata e a Rebecca serve il vostro appoggio.»
«Quello che mi hai chiesto il mese scorso, quando hai voluto la chiave dell’appartamento di Tristan.»
Ygraine osservò i genitori, cercando di capire da dove cominciare. Forse avrebbe dovuto chiedere a Severus di spiegare tutto lui, ma credeva che fosse meglio che a iniziare il discorso fosse lei. Posò la forchetta sul piatto e portò le mani in grembo. Si voltò verso il mago e notò che la stava osservando ed il suo sguardo le diede il coraggio di continuare.
«Avete mai notato capitare delle cose strane a Rebecca?»
«Cosa intendi per strane, Ygraine?»
«Qualcosa di inspiegabile, papà… come dei fiori che cambiano colore senza alcun motivo.»
Non era certa che fosse la frase giusta da dire. Severus aveva fatto sembrare tutto così semplice e naturale quando aveva spiegato dell’esistenza del mondo magico a Rebecca, al punto che lei aveva creduto ad ognuna delle sue parole, senza nemmeno pensare a chiedergli di dimostrare che quello che stava dicendo fosse vero. Ma già allora si fidava istintivamente di lui.
«Ygraine, cosa stai cercando di dirci?» la voce della mamma era perplessa e la stava osservando con attenzione, com’era solita fare quando c’era un problema in famiglia.
«È complicato, mamma.»
«Forse dovresti cominciare dall’inizio e spiegarci come hai conosciuto il signor Piton.»
«L’ho incontrato alla Tate Britain, a dicembre dell’anno scorso. Ero con Rebecca e una donna ha manifestato il suo fastidio per qualcosa di inspiegabile. La donna diceva che la bambina aveva usato un pennarello per colorare i fiori sul suo vestito e Rebecca ha ammesso soltanto di aver pensato che il colore fosse brutto. Io non sapevo cosa fare, ma, alla fine ho convinto la donna ad uscire con me dalla sala e Rebecca ha preferito rimanere lì, sedendosi sul divanetto», Mary non commentò le parole della figlia, ma riteneva che Ygraine fosse stata irresponsabile a lasciare sola la nipote, per quanto potesse immaginare che non sapesse come comportarsi in quel momento. «Sul divanetto dove si è sistemata Rebecca, era già seduto Severus.»
«Ed è stato molto gentile, nonna. Mi ha prestato un fazzoletto.»
Severus scostò lo sguardo dai signori Ainsworth che stavano ascoltando con attenzione il racconto della figlia per portarlo su zia e nipote, in tempo per vedere Ygraine annuire in risposta alle parole di Rebecca. Nessuno nel Mondo Magico lo avrebbe definito in quel modo. Lui stesso non si sarebbe definito in quel modo ed era certo che Lily non lo avrebbe mai definito gentile, ma quell’ultimo pensiero lo mise a tacere. Non era quello il momento di analizzare la sua amicizia con la Grifondoro.
O, forse, non voleva ancora ammettere con sé stesso la verità.
«Ed è da allora che è entrato nella tua vita, Ygraine?»
«Non propriamente, papà», mentre Ygraine parlava, Severus si rese conto che era tutto accaduto rapidamente. In poche settimane era giunto a fidarsi della giovane Babbana, come non si era mai fidato di persone che aveva conosciuto per anni. E si era affezionato a tal punto a Rebecca, da iniziare a vederla come una sorta di figlia. «Abbiamo scambiato soltanto qualche fugace parola prima di un incidente a scuola. Ero andata a prendere Rebecca, perché la maestra aveva telefonato a casa. C’era stata una lite tra lei e un compagno di classe e quest’ultimo aveva accusato Rebecca di averlo graffiato, ma lei giurava di non averlo fatto. Non voleva nemmeno tornare a casa e mi ha chiesto di portarla al museo. Mi ha detto che le stavano accadendo delle cose strane, che aveva liberato una coccinella sciogliendo il ghiaccio, che quel giorno a scuola era impaurita e arrabbiata, ma che non ricordava di aver graffiato il bambino. Ci eravamo sedute accanto a Severus e gli ho chiesto, dato che lo avevamo disturbato altre volte, se gli avrebbe fatto piacere prendere un tè con noi. Ed è stato mentre eravamo nella caffetteria del museo che ha spiegato tutto a Rebecca.»
«Cos’ha spiegato, Ygraine?»
Mary si voltò verso Alfred, cercando la sua stessa perplessità e preoccupazione, ma il marito aveva sul volto la stessa espressione di quando aveva appena compreso quale lezione scegliere per l’edizione di un oscuro poema arturiano. Era come se avesse improvvisamente compreso cosa stava cercando di dire Ygraine, qualcosa che a lei sfuggiva completamente.
«Rebecca ha un dono, mamma, papà… possiede la magia.»
«Ygraine…»
«Mi vorrete ancora bene?»
La voce di Rebecca aveva interrotto la frase di sua madre. Ygraine si voltò verso la nipote e Severus e notò che l’uomo stava fissando con attenzione i suoi genitori, come se non volesse lasciarsi sfuggire nessuna sfumatura del loro sguardo. La bambina aveva spostato la sedia e si trovava più vicina al mago.
«Certo che ti vogliamo bene», la voce di papà era affettuosa e tranquilla, mentre mamma sembrava non sapere cosa dire, ma il suo volto era soltanto perplesso. Non c’era paura, né sospetto.
«Anche… anche se non sono come gli altri bambini?»
«Naturalmente, Rebecca, per quanto forse ci dovresti spiegare meglio quello che ci stava dicendo la zia.»
Mary invidiava il marito che appariva così tranquillo, ma lui passava le sue giornate immerso nella lettura delle avventurose imprese di cavalieri che incontravano ogni sorta di sortilegio. Ed era stato per quello che si era innamorata di lui. Tutti gli altri ragazzi del villaggio erano eccitati dall’uscita di un nuovo film o di una nuova canzone, mentre Alfred Ainsworth stava studiando filologia e non sembrava saper parlare d’altro che di Lancelot, Guenevere – guai a chiamarla Ginevra – o qualche cavaliere della Tavola Rotonda. E lei ne era rimasta affascinata, forse perché, con le sue storie la portava lontana dalla dura realtà che affrontava ogni giorno nel suo mestiere. Gli aveva anche lasciato scegliere i nomi dei loro figli, per quanto inusuali potessero essere.
«Lo farò io.»
Era la prima volta che il signor Piton interveniva da quando avevano iniziato a parlare, mentre la cena si stava raffreddando. Mary aveva notato come Rebecca si fosse mossa avvicinandosi a lui e si chiese quanto dovesse averla ferita Gawain perché la nipote giungesse ad affidarsi così tanto ad un uomo che conosceva da poco tempo.
E rimase ad ascoltarlo, mentre spiegava brevemente dell’esistenza di un mondo parallelo al loro fatto di maghi e di streghe, un mondo di cui sua nipote, a quanto pareva, faceva parte. E lei non riusciva a capire se fosse un pazzo o se stesse dicendo la verità. Alfred stava accogliendo con tranquillità quello che il signor Piton stava dicendo, come doveva averlo fatto Ygraine, che era più simile al padre di quanto lei non avesse mai creduto.
Più di Tristan, per quanto fosse certa che il figlio avrebbe abbracciato subito quello che era appena stato detto.
«Forse, signora Ainsworth, le risulterà più facile capirlo, se ne avrà una prova concreta.»
Mary annuì soltanto. La sua perplessità doveva essere incredibilmente visibile se quell’uomo aveva anticipato la sua domanda. Lo vide prendere in mano qualcosa di molto simile alla bacchetta di un direttore d’orchestra, anche se le sembrava più pericolosa. Poi lo sentì mormorare delle parole in quello che credeva essere latino e i bicchieri divennero tutti verdi. Se avesse fatto scomparire qualcosa avrebbe potuto credere in un trucco da prestigiatore, ma non avrebbe potuto in alcun modo sostituire tutti i bicchieri con bicchieri nuovi. Poco dopo mosse di nuovo la bacchetta e i bicchieri tornarono trasparenti com’erano prima.
«Ci credi adesso, mamma?»
«Non so come farei a non crederci… e, Rebecca, avrai tutto il mio appoggio e quello di Alfred. Non so come mi sento a sapere che esistono persone che possono fare quello che ha appena fatto il signor Piton, ma so che ti voglio bene e che ti appoggerò nel tuo futuro.»
Mary notò il sorriso sollevato sul volto della figlia e che la nipote sembrava più calma, anche se aveva ancora gli occhi tristi. Tagliò un pezzo di carne e se lo portò alla bocca. Era straordinariamente ancora caldo, come se fosse appena stato tolto dalla padella. Lanciò un’occhiata verso il signor Piton, ma l’uomo sembrava impegnato a rispondere ad una domanda della nipote.
Guardò per un istante fuori dalla finestra, decidendo di aspettare la fine della cena prima di chiedere alla figlia di Gawain, ma temeva di sapere cosa fosse accaduto. Al di là dei vetri la notte si era fatta cupa e le stelle sembravano aver abbandonato i cieli inglesi nel Kent, come a Londra.
Nell’appartamento degli Ainsworth, né Gawain né Margaret riuscivano a pensare ad altro se non a quello che era accaduto.
L’uomo si era avvicinato al telefono tre volte con l’idea di telefonare alla madre e per tre volte aveva rinunciato. Non avrebbe nemmeno saputo cosa dirle. Sapeva che quando Rebecca fosse arrivata avrebbe portato i segni della sua rabbia ed era cosciente che la mamma aveva lavorato per qualche anno nei Servizi Sociali.
Si disse che era tutta colpa di quel mago, ma sapeva che non era vero.
Quel pensiero era il peggiore di tutti.
E lo riempiva di nuova rabbia nei confronti di un criminale che si stava dimostrando migliore di lui.
Avrebbe potuto dire che quel Piton gli aveva rubato la figlia, ma sapeva che Rebecca si era allontanata da loro perché lui non era riuscito ad accettare il fatto che non fosse una bambina come tutti gli altri.
Si voltò verso Margaret e lesse nei suoi occhi i suoi stessi pensieri.
La stessa rabbia.
E la stessa paura.
E non riusciva nemmeno più a capire a chi fossero indirizzate quella rabbia e quella paura.