Sempre sul filo di lana...
Titolo: Vento di primavera
Autore: Ele Snapey
Data: marzo 2021
Tipologia: one-shot
Rating: per tutti
Genere: introspettivo.
Personaggi: Severus, Platano Picchiatore.
Pairing: nessuno
Epoca: pre HP
Avvertimenti: nessuno.
Riassunto: Da sempre, passando davanti al Platano Picchiatore che si ergeva nella radura poco distante dal sentiero, provava una maledetta sensazione di disgusto che rasentava la nausea. Una sorta di stretta allo stomaco che lo costringeva ad accelerare il passo…
Disclaimer: I personaggi e i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà e occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Vento di Primavera
Da sempre, passando davanti al Platano Picchiatore che si ergeva nella radura poco distante dal sentiero, provava una maledetta sensazione di disgusto che rasentava la nausea. Una sorta di stretta allo stomaco che lo costringeva ad accelerare il passo.
Perciò cercava quanto più spesso di evitare quel percorso quando doveva raggiungere il cancello d’ingresso.
Era passata una sufficiente quantità di anni dalla notte in cui si era trovato chiuso là sotto assieme a un Lupo Mannaro; eppure ogni volta, sfilando davanti al grosso albero gli sembrava di avvertire ancora il tanfo di quella stanza impregnata di polvere, muffa e odore selvatico.
D’inverno i suoi rami nodosi e spogli si stagliavano come inquietanti artigli contro il cielo plumbeo e carico di neve delle Highlands.
D’estate e d’autunno quegli stessi rami erano pieni di foglie che cambiavano colore, appagando la vista grazie al loro straordinario turbinio di sfumature, ma, nonostante ciò, trovava che continuassero lo stesso a stagliarsi inquietanti contro il cielo mutevole delle Highlands.
Gli capitava sempre di percepire, contro la propria volontà, sprazzi di ricordi relativi al brutto episodio: un fastidioso deja vu che ricorreva puntuale ogni volta che si avvicinava all’albero. E la cosa influiva invariabilmente sul suo umore per il resto della giornata, rendendolo intrattabile. Più intrattabile del solito, insomma.
Quando proprio non poteva evitare di transitargli nei pressi cercava di non prestarvi attenzione e di allargare il giro, benché il cigolio delle fronde scosse dal vento provasse costantemente ad attirare il suo sguardo con una sorta di maligno compiacimento.
Era certo che il platano vivesse di vita propria: pareva quasi in grado di rendersi conto come la sua imponente presenza seguitasse a metterlo a disagio a dispetto del trascorrere del tempo.
Gli dava i brividi. E questa era la cosa che più gli seccava. Non voleva accettare che quel dannato albero gli desse i brividi, ma era così…
Una cosa che lo mandava ai pazzi, dal momento che aveva determinato di non manifestare più alcuna reazione emotiva, positiva o negativa che fosse, anche e soprattutto davanti agli altri.
Figuriamoci, quindi, come gli risultasse ancor più inaccettabile il dover ammettere di andare in crisi davanti a una pianta!
Si era perfino imposto di passargli davanti di proposito per cercare di esorcizzare quella puerile sensazione di raccapriccio che lo assaliva puntualmente. Ma, con altrettanta puntualità, il platano seguitava a procurargli uno spiacevole malessere: ogni volta sembrava sussurrargli che tanto là sotto sarebbe stato costretto a tornarci, prima o poi, anche se non avrebbe mai più voluto farlo.
Quel giorno di fine marzo era appunto uno di quei giorni in cui avrebbe dovuto per forza percorrere il sentiero verso i cancelli, passando davanti al nefando vegetale.
La primavera aveva già iniziato ad annunciarsi, disseminando nel parco del castello boccioli e tenere foglioline sui rami degli alberi ancora sonnecchianti; mentre scendeva il sentiero a passo sicuro, avvolto nel mantello da viaggio, non riusciva a staccare gli occhi dal platano piazzato nella radura, poco più in giù, inerme come un gigante solo apparentemente privo di vita.
Folate di vento gelido sferzavano il prato di un bel verde brillante punteggiato dai cespugli di erica appena fiorita, su cui scivolavano le ombre delle grosse nuvole che solcavano veloci il cielo terso.
E lui era lì, che lo stava aspettando.
Ma c’era qualcosa di diverso, quel giorno, qualcosa che lo faceva sembrare meno inquietante del solito.
Ne ebbe la certezza quando fu costretto a fermarsi ad osservare con attenzione, forse per la prima volta, i rami contorti e bitorzoluti che le raffiche riuscivano appena a muovere, sui quali la primavera aveva iniziato a posare piccole gemme verdi e delicate che si sarebbero trasformate presto in nuove foglie.
Appariva ancora spoglio e minaccioso, eppure percepì una nuova essenza, come se il delicato refolo di vita che incominciava a manifestarsi sulle possenti braccia legnose alle quali era sconsigliato avvicinarsi, ne avesse lievemente smussato l’inflessibilità e il rigore.
Trascorse qualche secondo in attenta osservazione, le mani affondate nelle tasche, i lunghi capelli corvini sollevati e arruffati dal vento; rimase così guardandosi bene dall’avvicinarsi, incredulo del fatto che anche a un rozzo, malvagio Platano Picchiatore potesse accadere di risvegliarsi dolcemente dal lungo torpore invernale.
Scosse il capo e proseguì nel suo percorso, ma ne rimase così colpito che qualche giorno dopo decise di dedicarsi una breve passeggiata lungo il sentiero che scendeva ai cancelli.
Mise da parte i compiti che stava correggendo e uscì nel parco. Ufficialmente perché aveva voglia di prendere una boccata d’aria fresca e staccare dal lavoro, in realtà perché era curioso di vedere a che punto fosse arrivata la fase di trasformazione del nemico.
Quando raggiunse la radura in cui svettava l’albero si bloccò, attonito, perchè gli parve di averlo sentito bisbigliare. Rimase per un po' ad osservare stupito l’infinità di foglioline novelle che stavano iniziando a spuntare ovunque e che frusciando delicatamente, mosse dalla fredda brezza, sembravano proprio aver pronunciato un timido benvenuto rivolto al suo indirizzo.
Come colpito da una piccola scintilla benefica di calore azzardò qualche passo verso il platano.
– Buon pomeriggio, vecchio mio… - mormorò, sforzandosi di smorzare l’acido sarcasmo contenuto nel tono di voce che gli veniva sempre così spontaneo.
Subito dopo si rese conto che stava parlando a una pianta, ma non provò alcun imbarazzo. Le fronde stormirono di nuovo; pensò razionalmente che l’albero non avesse certo potuto replicare al suo saluto, ma gli piacque immaginare come fra loro si fosse potuto finalmente instaurare una sorta di primo tentativo di comunicazione non verbale.
Osservò a lungo l’insieme intricato dei rami, la cui vista gli aveva sempre procurato disagio: ora che le giovani foglie li avevano ingentiliti, grazie alle fresche pennellate di verde brillante sapientemente distribuite dalla natura con cura casuale, gli sembrarono perfino belli.
Così come gli sembrò bello e solenne anche il vecchio tronco tortuoso alla cui base si trovava l’entrata che conduceva alla Stamberga Strillante.
Aveva riacquistato una dignità, e in esso pareva non esserci più nulla di inquietante e disperato. All’improvviso, senza quasi rendersene conto, vi si vide riflesso ed ebbe la singolare sensazione di avere molte cose in comune con lui.
Ne rimase alquanto turbato, tanto che nei giorni successivi si sentì spinto come da una bizzarra forza interiore a fare altre visite al suo antico avversario. Con la scusa di dover staccare dal lavoro di catalogazione degli ingredienti o di correzione dei compiti per prendere una boccata d’aria, prese a percorrere il sentiero fino alla radura quasi tutti i pomeriggi.
Nel frattempo le foglie nascevano, si moltiplicavano e crescevano, andando ad infoltire i rami sempre meno tristi e sempre più rigogliosi del grosso albero, mentre lui amava perdersi molto più a lungo nella contemplazione del piccolo miracolo primaverile che stava avvenendo sotto i propri occhi.
Il rituale era sempre quello, ormai consolidato.
- Buona sera, vecchio mio… - soleva esordire. E, immancabilmente, dal fogliame tornava quel delicato brusio provocato dalla carezza del vento che tanto bastava a scaldargli il cuore.
Trascorsero così una ventina di giorni. Le piccole escursioni alla radura erano diventate una gradevole consuetudine quotidiana e rigenerante.
Non si era accorto di come ormai percorresse il sentiero che conduceva al platano con un altro spirito, più propositivo e leggero; sapeva solo che da qualche giorno a quella parte si sentiva meglio, soprattutto quando era lì, al cospetto del grande albero dove intuiva di essere finalmente compreso e protetto.
Non aveva bisogno di aggiungere null’altro al breve saluto iniziale. Era sufficiente lasciar andare ricordi, emozioni, tormenti, rimpianti senza dover più erigere barriere.
Tutto fluiva con straordinaria naturalezza liberandolo da ogni fardello, mentre le fronde ondeggiavano placide e fruscianti, permettendo ai raggi del sole di giocare tra le chiome verdeggianti, e assorbivano ogni malinconia, ogni incertezza, ogni amarezza del piccolo uomo ritto sul sentiero a poca distanza dalle sue possenti radici.
In un giorno luminoso di aprile il vecchio platano vide il piccolo uomo avanzare verso di lui, correndo il pericolo di arrivargli troppo vicino, a tiro dei rami.
Lo aveva percepito così simile a sé nei giorni passati, in quei pomeriggi vicini al calar del sole in cui egli si era soffermato ad osservarlo da lontano avvolto nel proprio mantello nero ( conscio del rischio che sfidare l’indole burbera e scontrosa che scorreva nella linfa dell’albero avrebbe potuto costargli molto in termini fisici) che fargli del male non rientrava proprio più nelle sue intenzioni.
Era stato piantato lì per assolvere a un compito preciso, per proteggere l’entrata, e non per causare volutamente sofferenza. Ed era ciò a cui aveva adempiuto in tutti quegli anni, era ciò che avrebbe continuato a svolgere negli anni a venire.
Proprio per quel motivo era stato abbandonato in mezzo a quella radura, isolato e condannato alla solitudine.
L’uomo nel frattempo era arrivato a pochi metri dal suo tronco, tanto che potè percepire il battito veloce del suo cuore e captarne la vera essenza di immenso valore. Quindi scelse uno dei rami più lunghi e verdi e lo distese con solenne lentezza, per poi abbassarlo garbatamente verso di lui.
Severus sobbalzò e d'istinto fece un passo indietro. Poi capì che il platano non aveva alcuna intenzione di colpirlo: si riavvicinò con cautela al ramo che, allungandosi pian piano, aveva ormai finito per raggiungerlo.
Tese la mano, dapprima con una certa titubanza, poi con fiducia. Sfiorò le foglie con le dita, ne saggiò la fragrante freschezza con il palmo accarezzando a lungo il legno robusto ma gentile, inalò a fondo il loro profumo che sapeva di rinascita.
Infine chiuse gli occhi e si abbandonò al suono della natura.
Udì il sottile spirare del vento, il canto gentile degli uccellini e si lasciò avvolgere dall'intensa sensazione di benessere che gli stava regalando la meravigliosa esplosione di fragranze e colori orchestrata dalla primavera delle Highlands.
Fu allora che si sentì pervadere da qualcosa di profondo, mai sperimentato prima: era come se nelle proprie vene stesse scorrendo una linfa nuova, vigorosa, vitale e comprese come tra lui e il platano si fosse stabilito un contatto prodigioso, permettendo uno straordinario passaggio di energia che da quell’istante in poi avrebbe fortificato reciprocamente il loro spirito.
– Grazie, vecchio mio… - mormorò, staccandosi da lui con il cuore traboccante di riconoscenza.
Le fronde stormirono delicatamente e un sorriso sereno increspò le labbra sottili dell’uomo ammorbidendone i tratti duri.
Quindi alzò la mano in segno di saluto e riprese il sentiero per rientrare al castello.
Sentiva finalmente di aver fatto pace con l’orribile ricordo di quella notte dove, grazie a una banda di decerebrati, aveva seriamente rischiato di morire. Ma prima di tutto e, forse per la prima volta nella vita, sentiva di aver fatto pace anche un po’ con se stesso.
Edited by Ele Snapey - 22/3/2021, 18:44