Giacchè sono scaramantica pubblico oggi 16 la mia storia.
Buon Inverno!
Titolo: Il primo giorno d’inverno.
Autore/data: chiara53 – dicembre 2017
Beta-reader:
Tipologia: one-shot
Rating: per tutti
Genere: introspettivo, drammatico.
Personaggi: Severus Piton, Albus Silente.
Pairing: nessuno
Epoca: 6° anno.
Avvertimenti: Missing Moment.
Riassunto: Devi uscire a cercare la Pyracantha stellata, devi averla a tutti i costi e va raccolta oggi…
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Note:
Questa storia è stata scritta per la Sfida n. 7: Severus e le stagioni
Il primo giorno d’inverno
Davanti alla finestra guardi la tempesta di neve infuriare.
Fin da stamattina fiocchi turbinanti imbiancano il castello, gli alberi e ogni altra cosa nel raggio della tua visuale.
Hai sperato che smettesse o che diminuisse un po’ di intensità, ma sembra che anche il cielo e la stagione ti abbiano preso di mira.
Non basta il raffreddore che ti tormenta, non basta che Albus sia allegro e felice perché il Natale è alle porte: il tempo passa troppo veloce e la sua morte è sempre più vicina.
Lo odi per la leggerezza e per la solerzia con cui la esercita, anche con te.
Odi la sua tranquilla serenità, quando pensi al compito che ti ha riservato.
Stupido vecchio, caro e stupido vecchio. E’ l’amore per lui che ti condanna.
Devi uscire a cercare la Pyracantha stellata, devi averla a tutti i costi e va raccolta oggi, nel giorno del solstizio d’inverno: ti addentrerai nella foresta, sperando di trovarla al più presto.
Ti servono le sue bacche per tentare una nuova cura per la maledizione che imperversa dentro Silente.
Ti servono e non ne hai più. Maledizione!
Nell’andito del portone ti fermi, avvolgi la sciarpa intorno al collo e ti stringi al mantello più pesante che possiedi, illudendoti che riesca a tenerti caldo o per lo meno a ripararti.
Il primo passo è il peggiore e sprofondi.
La neve è tanta e immergi gli stivali nella coltre morbida e gelata; ogni passo è una fatica, così ti aiuti con la magia e crei un sentiero che ti permetta di muoverti più velocemente.
La foresta proibita è davvero
proibitiva, oggi, il vento quasi ti impedisce di vedere, ma quando sei tra gli alberi e gli arbusti, finalmente, trovi un po’ di riparo.
Ti appoggi stancamente ad un abete per difenderti dalle folate, ma sei già completamente coperto di fiocchi gelati, starnutisci e ancora e ancora.
Nemmeno le tue pozioni ti salveranno stavolta.
Senti brividi percorrerti la schiena e il fiato si fa nuvola e ti gela la gola.
Guardi intorno a te con attenzione e continui ad avanzare, tanto ormai sei completamente fradicio; tenti di asciugarti con la bacchetta lanciando un Arefacio, ma è del tutto inutile, dopo un attimo sei di nuovo una statua di gelo.
Non è un conforto nemmeno pensare ai tuoi alloggi, lo era, prima, ma ormai anche quella piccola, fragile pace si è disintegrata.
Rientrare significa rituffarti nello strazio, nell’ansia, nell’incerto futuro che odora di morte e sangue, di lacerazione e assassinio.
Significa rivedere Albus e la sua mano raggrinzita.
Questo pensiero ti ridà forza.
Non importa quanto ti ci vorrà, hai bisogno di quelle bacche, forse non serviranno, quasi certamente non ti serviranno, ma ti aiuteranno a tirare avanti. Ti concederanno ancora un filo di speranza, no, anzi, ti concederanno l’illusione di trovare una cura, un unguento: qualsiasi cosa che ti impedisca di obbedire all’ordine disgustoso con cui Silente ti ha maledetto.
Sorridendo.
Di nuovo ti fermi a contrastare le raffiche gelate.
Ti piacerebbe restare qui e farti coprire dalla neve, ti ritroverebbero a primavera,
in fondo non sarebbe male morire così. Pensi, mentre un ghigno si allarga sulle tue labbra gelate -
Addormentarsi e sparire. Essere finalmente libero.Ma tu non sei tanto vigliacco o forse sei solo un idiota.
Così continui la tua faticosa ricerca, mentre lasci che l’inverno e questa nevicata facciano il loro dovere: hai sopportato ben altro e in confronto alle notti nel cerchio dei Mangiamorte, questa ti sembra una passeggiata di salute.
Mentre le folate ti investono, finalmente, dietro un cespuglio vedi le bacche arancioni che hai tanto cercato.
Ti sfili i guanti e raccogli i rami spinosi, la Pyracantha è un pianta bella e terribile, ma tu sai come fare: sei abile tu. Conosci tutto di piante malvagie e benefiche.
Hai trovato un antico libro nel Reparto Proibito e hai scoperto che le proprietà di questo arbusto saranno potenziate se cogliendolo ci si punge con le spine: la Magia Nera è sempre rafforzata dal sangue, sai bene anche questo.
Quello che vuoi tentare è un unguento fatto con le sue bacche stellate .
Sangue, sempre e comunque sangue, sulle tue mani. Ti rinfili i guanti velocemente, la punta delle dita quasi non la senti più e le piccole stille rosse sono ormai cadute dove dovevano.
Speditamente ripercorri la strada che di nuovo si è coperta di neve profonda; entri nel portone quasi di corsa e ti dirigi verso l’aleatorio conforto delle tue stanze.
Stanotte devi lavorare, non importa se senti salire la febbre e il raffreddore si è trasformato sicuramente in qualcosa di più grave.
Accendi il fuoco nel camino e la fiamma, ravvivata dalla magia, scalda l’ambiente.
La giacca raggiunge il mantello su una poltrona; nell’armadio trovi e indossi un maglione pesante a collo alto: un lontano Natale te lo ha regalato Molly, e tu lo hai fatto sparire, non è un capo nel tuo stile, ma stai tremando di freddo e febbre.
La lana ti scalda, ti abbraccia, è morbida. Sorbisci immediatamente la pozione che abbassa la febbre, perché la testa ti scoppia e i brividi ti fanno battere i denti.
Infine, in attesa che faccia completamente effetto, ti siedi alla scrivania e appoggi la fronte sulle braccia con il voluminoso tomo per guanciale: stai male, molto male, lo sai.
Anche respirare ti dà dolore alla gola e tossisci: maledizione, non è questo il momento di perdere tempo!
Forse dovresti andare in infermeria, ma Madama Chips ne farebbe una tragedia; d’altra parte le pozioni per queste malattie di stagione sono tutte là, gliele prepari tu e servono agli studenti, ma non ne tieni nemmeno una per te. A te non servono mai: giusto?
Ti appunti mentalmente di distillarne alcune da conservare per un caso eccezionale, come questo e ti dai dell’idiota.
Ma adesso è troppo tardi, devi augurarti che almeno si abbassi la febbre.
La porta dei tuoi alloggi si apre quasi senza che tu te ne accorga.
- Severus?
Sollevi il capo e lo vedi: è paludato di azzurro, il suo sguardo penetrante ti esamina, ti trapassa e contemporaneamente ti rimprovera. La tua mente lo valuta implacabile,
così stanco e vecchio. Così malato. Non più il Silente rassicurante e consolatore, ma solo l’evanescente ombra di se stesso. Un fragile corpo in decomposizione, qualcosa di cui prendersi cura… con l’amore e la pena di un figlio. Hai il cuore stretto in una morsa.
- Albus, che cosa vuoi? – Esclami asciutto, ma le parole ti escono raschianti, roche.
- Dovevi proprio uscire oggi? Guardati, ragazzo, come ti sei ridotto. - Si avvicina e ti tocca la fronte con la mano buona in un gesto delicato che ti ricorda tua madre. – Hai la febbre! - Sentenzia.
- Ho già provveduto e in breve calerà, oggi è il ventuno dicembre e la pianta che mi serviva doveva essere colta proprio oggi. – Sollevi lo sguardo a trapassare quegli occhi chiari colore del cielo.
- Non vuoi arrenderti, Severus, non ti arrendi mai tu! Nemmeno all’ineluttabile! - Pronuncia con un tono che non gli è abituale, freddo, quasi tagliente.
Alzare di scatto la testa ti dà una lieve vertigine.
Senti montare la rabbia che covi dentro e lo guardi furibondo, i pugni stretti: lui che viene qui a compatirti, ma non ha alcuno scrupolo nel chiederti di ucciderlo.
Ma poi Albus sfodera il suo perenne sorriso, come niente fosse accaduto; scosta un po’ il mantello che hai gettato lì sulla poltrona e si siede.
Resta in silenzio, si liscia l’abito di quel colore assurdo e aspetta che la tempesta passi: che tu gli rivolga uno sguardo o una parola.
Nel tuo cuore c’è l’inferno: odio e amore, rimorso e pena, per tutto, per Albus e per la tua anima.
Che ne sarà della tua anima, Severus ? Ma di che stai parlando? La tua anima è solo un vuoto niente… pensi
Lo accontenti, se non fai qualcosa non se ne andrà e tu hai bisogno di restare da solo, un disperato, soffocante bisogno.
- Lasciami Albus. Vattene adesso, ho da fare! – Lo sguardo è amaro, la tua voce un patetico sussurro, quando implori - Per favore…
Lasciami almeno provare, lasciami almeno un barlume di speranza, vorresti dirgli, ma abbassi lo sguardo sull’antico libro che ti ha fatto da cuscino e resti immobile.
La tensione che ti ha sostenuto fino ad ora è calata, insieme alla febbre: ti senti spossato, privo di forze, inerme, indifeso.
Sei patetico, Severus. Sussurra la tua mente.
- E sia. – Ti concede il vecchio riluttante, alzandosi in piedi; poi si ferma, come soprappensiero e si avvicina alla scrivania dietro cui sei seduto; si aggiusta gli occhiali sul naso e parla:
- Quando ero ragazzo, mia madre aveva un rimedio formidabile per questi stati di malattia dovuti al freddo. Sai, Severus, Aberfort ed io ci rotolavamo nella neve fin dall’inizio dell’inverno e lei poi doveva rimediare. - lo vedi sorridere e gli occhi così chiari dietro le lenti scintillano perduti nel ricordo. - Ho pensato di portarti lo stesso rimedio. Più tardi, magari, puoi provarlo. Sappi che mia madre era una strega molto abile. - Ridacchia.
Solo adesso ti accorgi che gli è comparso un oggetto in mano, in quella buona: una tazza capiente.
L’appoggia sulla scrivania, mentre sbircia i tuoi movimenti.
Allunga la mano e ti scosta delicatamente i capelli dal volto, aggiustandoli dietro l’orecchio, poi ti accarezza la testa: anche tua madre lo faceva.
Ricordi, Severus ?Ti senti patetico e fragile e detesti sentirti così.
Mentre si volta per andare via, con un colpetto di bacchetta, riscalda il contenuto della tazza.
- E’ un rimedio fantastico, ma bisogna assumerlo molto caldo. – Aggiunge allegro.
Si allontana, la porta si apre e poi si richiude.
Sei solo.
Finalmente.
Ti alzi per cercare una pausa di conforto sulla poltrona davanti al fuoco; è in quell’istante che il profumo ti arriva dritto al cervello: profumo di casa, di dolci, d’inverno, di sogni e di infanzia.
Profumo di buono, profumo di cioccolata.
E’ un aroma intenso che ti scalda dentro e che richiama da lontano i ricordi e il passato, quando ancora la tua anima era integra e la cioccolata calda era un premio inatteso e sorseggiato di nascosto da tuo padre, insieme a tua madre.
Prendi la tazza tra le mani. È bollente e la bevanda al suo interno è densa e scura, come piace a te.
Un sorso, poi un altro, socchiudi le palpebre e il mondo riprende colore, avvicini al petto la tazza per godere del tepore che trasmette, poi abbandoni la testa comodamente sullo schienale della poltrona: le fiamme ardono vivaci, non trattieni un’ombra di sorriso, mentre bevi e guardi le scintille inseguirsi nel camino.
Forse domani andrà meglio, in fondo è questa la stagione che preferisci.
Forse domani il vento cambierà.
Forse domani ogni cosa avrà una soluzione.
Forse.
Perché, oggi, è il primo giorno d’inverno.
Edited by chiara53 - 19/12/2017, 19:05