| Abbagliante. Questa è la parola. Questo è il racconto. Abbagliante come potrebbe essere la tenebra dei suoi occhi, come felicemente e assurdamente esce da queste righe che quasi feriscono. Come quelle ali strappate, che Sirius cerca tra le scapole scarne, senza immaginare che il palpito bianco affiorerà altrove, tra quelle mani secche e impotenti, che pure arriveranno a soffocarlo. Non è una luce unica, monocroma, è un fulgore screziato, filtrato da quei rami immobili, da quelle ciocche di capelli ribelli che oscurano la vista del povero, prepotente, ignaro bastardello. Povero cucciolo disperato, che trova consolazione quando non credeva di cercarla, tra dita che spasimano per ucciderlo, e non per accarezzarlo. Ho amato ogni singola parola di questo racconto perfetto, il modo in cui il carnefice diventa vittima, lo spasmo pallido di quelle dita che, chi lo avrebbe detto, non sono poi così deboli e indifese. Quella mano che annaspa e si contrae ad afferrare aria e terra, e il mio cuore, insieme a quello del malcapitato Grifondoro. Quella stretta convulsa, rabbiosa, commovente, che non andrà più via. Straordinario. Nel significato, nel ritmo, nel suono tagliente e nella luce abbacinante che lo illumina tra lunghe ombre.
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