| Don Claudio, sprofondato in se stesso, non lo ascoltava più. Giacomo Charmolue, seguendo la direzione del suo sguardo, vide che si era macchinalmente fissato sulla grande ragnatela che decorava la finestrella. Proprio in quel momento, una stordita mosca, che cercava il sole di marzo, si andò a gettare attraverso quella rete e vi impigliò. Allo scotimento della tela, l’enorme ragno saettò bruscamente fuori dalla cella centrale, poi d’un balzo si precipitò sulla mosca, che piegò in due con le antenne anteriori, mentre la schifosa sua tromba le scavava la testa. - povera mosca! – esclamò il procuratore del Tribunale ecclesiastico, e alzò la mano per salvare l’insetto. L’arcidiacono, come svegliato di soprassalto, gli trattenne il braccio con convulsa violenza: - Maestro Giacomo – gridò – lasciate che il fato si compia! Il procuratore si volse verso di lui spaventato. Gli parve che una tenaglia di ferro lo avesse afferrato per un braccio. L’occhio del prete era fisso, smarrito, fiammeggiante, e rimaneva come agganciato dall’orribile gruppetto della mosca e del ragno. - Oh sì – continuò il prete con una voce che si sarebbe detto gli venisse su dalle viscere – quello è simbolo del tutto. Essa vola, è gioconda, non ha fatto che nascere; cerca la primavera, l’aria aperta, la libertà: oh sì! Ma provi a urtare nel fatale rosone! Povera ballerina! Povera mosca predestinata! Lasciate fare, maestro Giacomo, è la fatalità! Ahimè! Claudio, il ragno sei tu: tu sei anche la mosca…!Volavi alla scienza, alla luce, al sole, non ti curavi d’altro che di arrivare all’aria aperta, alla grande luce della verità eterna; ma precipitandoti verso l’abbagliante finestra che dà sull’altro mondo, sul mondo della chiarezza, della intelligenza e della scienza, cieca mosca , dottore insensato, non hai visto questa sottile ragnatela tesa dal destino tra la luce e te, ti ci sei gettato a corpo morto, miserabile pazzo, ed ora ti dibatti, la testa rotta e ali impigliate, tra le antenne di fero della fatalità!...Maestro Giacomo! Maestro Giacomo! Lasciate che il ragno faccia.
Naturalmente, è Notre Dame de Paris di Victor Hugo. È questo il mio dono per voi. Il protagonista è don Claudio Frollo che tanto, come scrissi più di un anno fa, mi ricorda il nostro Severus. Nel brano ci sono molti spunti gotici e dark: la scena è ambientata in una stanzetta di una delle torri di Notre Dame, dove don Claudio ha il suo studio. Una stanza buia, illuminata da candele, con manoscritti, alambicchi, teschi e strumenti da alchimista. C’è poi la scena del ragno, la ragnatela infernale, la scena di morte, il destino fatale che si compie. E poi la lettura feroce e bivalente, dell’essere ragno e mosca, allo stesso tempo vittima e carnefice. Fra i molti doni che avrei potuto consegnare per l’ingresso a questo club ho scelto Frollo per due ragioni: perché mi è molto, molto caro e perché Frollo è “storicamente” gotico. Lui è la Cattedrale gotica per eccellenza; lui è la magia e la superstizione, lui è l’abisso della perdizione; lui è il mostro nascosto, la tentazione, il desiderio di luce – ah, il sole di marzo!; lui è la gogna e la morte…la morte che segue una vita ambigua e che non gli consente, nemmeno da morto, la salvezza e la benedizione.
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