Buongiorno, ci provo. Come già detto altre volte io nasco con le matite, non con la penna e mi sento terribilmente insicura ma procedo.
Premessa 1: so che è una festa ma mi è uscito così, portate pazienza
Premessa 2: generalmente sono molto ligia nel seguire le regole ma mi è venuto un mix tra invito a sorpresa e festa a sorpresa, spero non sia un problema
Premessa 3: poi festeggiatelo voi con un po' più di spirito...
Festa a sorpresa
E alla fine mi sono lasciata coinvolgere.
In questo momento mi sto maledicendo, mi ero ripromessa di non espormi più. Io sono come “senza pelle”, o “senza palle”, dipende dai punti di vista, ma andiamo con ordine.
Ovvio che, ai tempi, anch'io avevo sentito la notizia sbalorditiva sulla reale esistenza del mondo magico.
Ovvio che dietro la mia maschera di ostentata indifferenza avevo sentito un tonfo al cuore.
Dopo che ho capito, e ci è voluto un po', che non era una metafora, uno scherzo, un modo di dire o un servizio creativo del TG molto ben fatto, ho deciso che non avrei avuto reazioni.
Niente manifestazioni di stupore, niente gioia, curiosità o condivisione, ho deciso di tirare su un muro, bello spesso, degno del castello di Hogwarts.
E non me la sono concessa nemmeno in solitudine un po' di emozione, no, lascia stare, tanto tu sei fuori, mi sono detta, non ti è mica arrivata la famosa lettera a undici anni.
E questo mi ha fatto un po’ male.
Mi sono fermata a pensare ai miei undici anni, a dov'ero, a cosa facevo e a quanto sarebbe stato incredibilmente meglio se, con un po' di sangue magico nelle vene, mi fossi trasferita a Hogwarts.
Avrei avuto un luogo caro, avrei potuto accumulare bei ricordi.
E come un pugno secco ritorno alla realtà. Non ho sangue magico, non appartengo a Hogwarts e non ci andrò mai.
Appunto.
Dev'essere così che ci si sente quando si usa una passaporta, smembrati e ricomposti altrove, solo che io sono ancora qui.
Emetto una specie di ringhio, caccio fuori sei o sette
vaffa e mi faccio un tè.
Mela e cannella perché sa di antico, di tradizione, di caldo abbraccio, perché mi piace pensare che anche a lui potrebbe piacere. O forse lui è più un tipo da tè verde amarognolo...
Mi calmo, tiro fuori le mie matite, entro nel mio mondo. Qui non ci sono inibizioni e non devo necessariamente condividere tutto quello che abitualmente ci riverso dentro: amore, lacrime, rabbia, emozione, dolore, piacere. Questo è solo mio.
La solitudine mi è amica da molto tempo ma mentirei se dicessi che mi basta. E così, per caso, smanettando sul web, mi imbatto nel forum del calderone.
Naturalmente mi sento fuori posto, come altro potrei percepire una qualunque realtà di gruppo?
Poi mi rendo conto delle infinite storie che sono state scritte e mi sento schiacciata, ma provo ad entrarci comunque, poco per volta.
E poi leggo della festa a sorpresa.
Cazzo, ma la fanno veramente?Ammesso poi che gli si possa fare una sorpresa, quell'uomo sa sempre tutto...
E qui inizia il tormento.
Sarebbe semplice dire: “vado,
chissenefrega, non sarò sola”.
Ma il morso del rammarico per la mia debolezza mi travolge inesorabile.
Io non sono andata.
Avevo ricevuto la lettera di Severus, la conservo ancora, come una reliquia, in una bellissima scatola ricoperta di carta coi gigli di Firenze, rigorosamente verdi. Ma non ho più avuto il coraggio di toccarla.
Ricordo bene com'è andata: mi sono svegliata una mattina e sono andata, come mio solito, a rivedere l'ultimo disegno incompleto della sera prima.
Sì perché è sempre così: ne inizio uno nuovo, lo porto a buon punto, esulto perché ci vedo tutta la bellezza che intendevo trasferirci. Poi ci dormo sopra, lo guardo la mattina dopo e comincio a trovare i difetti e passa da '
stupendo' a '
fa cagare' in tre minuti.
Ma quella mattina sul mio tavolo c'era una busta. Di Hogwarts. Inequivocabilmente di Hogwarts.
Mi tremavano le mani mentre l'aprivo, l'ho anche strappata un po' per la fretta che mi ha resa maldestra e l'ho letta in pochi istanti, trattenendo il respiro incredula e rimanendo poi a fissare a lungo quel '
Severus Snape' della firma.
Era per il giorno dopo, un invito a visitare la vera scuola di magia e stregoneria di Hogwarts.
E ho avuto paura.
Poi l'ho lasciata cadere sul tavolo e sono andata al lavoro.
E lì è rimasta per giorni, accanto al disegno che non ho mai più finito. Alla fine la lettera l'ho messa via e il disegno l’ho stracciato per la rabbia.
E quindi adesso cosa faccio?
Vado?
O mi perdo l'ennesima occasione da accumulare alle sventure che non posso controllare della mia vita?
E ho pensato a Severus.
Alla sua sofferenza, al suo silenzioso dolore che ha creato questo sentimento così forte in tutte quelle donne del forum, perché in fondo è facile identificarsi nel suo muto tormento, chi non ha provato un forte dolore anche una sola volta? La vita non è giusta, no?
Ma alla fine lui è stato coraggioso oltre ogni dire, non si è sottratto al suo dovere anche se gli è costato tutto.
E io sono qui a farmi le seghe mentali per una festa?
Che eroina...
Vado. Ho deciso.
Se mi conosco, una volta gettato il sasso non sono più capace di nascondere la mano, ma posso continuare a maledirmi (ed è da un po' che continuo a tirarmi accidenti, meno male che non sono una strega o mi sarei polverizzata da sola).
E quindi siamo al
qui e ora, la sala grande.
Inutile dire che tutto quello che avevo letto è vero, anzi riduttivo.
E' splendida, grandiosa, decorata in modo incredibile, ma la cosa che più amo è l'odore.
Sa di spezie, di muschio, di legna che arde, di cibi deliziosi e
...cazzo, eccolo...Sono impietrita.
E’ là in fondo, alto, elegante nei modi, come nei film vestito di nero. E’ tutto vero!
Sta chiacchierando con alcune donne, vedo i loro sorrisi, la cura con cui si sono preparate per questo evento, i loro occhi luccicanti che non si staccano da lui, percepisco le loro emozioni, quasi si possono sentire i loro cuori che battono forte, all’unisono… ah no, è il mio che picchia dannato.
Adesso mi viene un attacco.
Arretro e cerco la parete con le mani, mi piace quella pietra imponente, è rassicurante. Mi appoggio, nemmeno io riesco a staccare gli occhi da lui. Non so dire se è bello (sì, lo è, e parecchio) ma lo trovo magnetico.
Mi costringo a respirare o esplodo veramente e continuo a osservarlo.
Piano piano una gioia mi pervade, lui è lì, a qualche metro da me. Mi sto mangiucchiando un’unghia e mi accorgo che un sorriso, probabilmente ebete, mi si è allargato a dismisura sul viso. Sono felice. Com’è dolce essere felici!
Poi inizio a sperare di incrociare il suo sguardo. Avvicinarmi a lui e mischiarmi alle altre è un concetto troppo complicato, non sono così ardita.
Ma lui è qui per noi, è generoso e riesce a donarsi un pochino a tutte e quindi, ad un certo punto, mi vede.
I nostri sguardi si incrociano per un momento, molto breve in realtà, lunghissimo per me.
Magari mi ha vista per via dei miei capelli rossi ma, comunque, in quel piccolo lasso di tempo tutto si ovatta nella mia testa, come se i suoni e le risa composte delle altre donne si fossero abbassate di volume, come se una coltre di silenzio fosse scesa.
Temevo che potesse entrare nella mia mente e probabilmente ha intravisto qualcosa perché non ha sorriso. Quegli occhi neri si sono impercettibilmente socchiusi mentre leggeva nel mio orrore e solo quando ho visto che si distendevano ho sentito la sua comprensione.
Cedo e distolgo lo sguardo, mi scottano le guance per l’emozione.
Allora mi allontano, vedo un tavolo con del cibo e lo raggiungo, in effetti è da ieri sera che non mangio niente, mi si è annodato lo stomaco, ma vorrei evitare di svenire.
Metto in bocca un bignè, solo il cielo sa cosa contiene, ma è meraviglioso.
Ho trascorso il pomeriggio a prepararmi, mi ero anche comprata un vestitino color carta da zucchero che poi non ho messo e mi sono cambiata tre volte perché mi sentivo sempre a disagio. (Alla fine ho optato per il nero, l’unica cosa che mi fa sentire di non aver sbagliato).
Mentre mi preparavo pensavo a cosa avrei voluto dirgli, al fatto che la sua descrizione nei libri della Rowling mi aveva affascinato tantissimo, o al fatto che mi sarebbe piaciuto prendere lezioni di pozioni, che non mi avrebbero fatto impressione quelle schifezze nei vasetti, che avrei sezionato un arto di qualunque strana creatura senza batter ciglio e… mille altre cose, come che il gelo del sotterraneo non mi sarebbe stato nemico, anche se sa di cimitero, perché la morte è una vecchia conoscenza che ho imparato a comprendere fin troppo presto.
Chissà se ha visto tutti questi pensieri in quel breve momento, spero di no perché ho anche pensato a lui come uomo e questo è decisamente meglio che non lo veda…
“Perché non sei venuta?” sento alle mie spalle.
Per miracolo non tiro un urlo.
Ero talmente presa dalle mie elucubrazioni da non accorgermi che si era avvicinato.
“Pensavo ti avrebbe fatto piacere” continua.
Che bella voce, parla ancora… ti starei a sentire per ore. Attende un istante e aggiunge quasi tra sé:
"Siete ben strane voi Babbane".
Dì qualcosa,ti prego Anouk, parla! Io abbasso lo sguardo e mi sento Neville.
“Non ce l’ho fatta” dico piano.
“Peccato - fa lui dopo una pausa - avresti potuto visitare il castello e magari assaggiare qualcosa di caldo. Sono bravi i nostri elfi a preparare infusi”.
Sorrido amareggiata.
“A me piace quello con l’anice stellato. Magari un’altra volta puoi ritentare, non pensavo ma siete interessanti da osservare voi altre, un po’ tormentate, ma interessanti”.
Capisco che se ne sta per andare e mi ricordo perché sono lì.
Butto là un "Buon compleanno" anche se un po' pietoso.
Sorride garbatamente e accenna un inchino col capo.
E’ incredibilmente bello quando sorride.
Qualcuno reclama la sua presenza, il suo sguardo si sposta altrove.
La sua mano leggermente in tensione indica che non aveva concluso ma ormai la sua attenzione è persa.
Penso al ritratto che avevo fatto con cura e che avrei voluto regalargli (e che è rimasto a casa).
Ma poi mi soffermo sul momento in cui ho incrociato i suoi occhi e su quelle linee del viso dolcemente distese, a quanta gioia mi abbiano dato, molta più di quanto avessi osato immaginare.
Lui sa, lui adesso sa.
Improvvisamente mi accorgo che c'è la musica, gli altri professori e tanti sorrisi.
Guardo il soffitto ricoperto di infinite piccole candele che a mezz'aria diffondono una luce calda e viva e penso che ognuna di quelle candele è necessaria, non una di meno.
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