Il Calderone di Severus

ellyson - Il Re e la Regina di Coppe, Tipologia: long fic - Genere: generico - Rating: per tutti - Avvertimenti: AU - Epoca: Post settimo anno- Personaggi: Severus Piton/pers. Originale

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ellyson
view post Posted on 21/4/2024, 11:33 by: ellyson
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Pozionista sofisticato

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Capitolo 3

Era ufficialmente un’insegnante.
Non che prima non lo fosse, ma sentire Severus – il Preside Piton – annunciarlo in Sala Grande al banchetto di apertura della scuola era come se rendesse tutto più reale.
La sua aula era pronta, il suo programma era pronto, mancavano solo gli studenti.
Certo c’era ancora quella visione nella sfera che la tormentava, ma aveva deciso di non darle un significato, se prima non avesse avuto un quadro generale completo.
Saltare subito alle conclusioni non era mai una scelta saggia nella divinazione.
Si concentrò sul banchetto: la sua parte preferita del primo giorno di scuola.
Aveva assistito allo smistamento con un misto di ansia e gioia.
Ricordava ancora il suo: impacciata undicenne paffutella che saliva intimorita gli scalini fino al Cappello Parlante.
C’erano voluti pochi istanti prima che urlasse la sua Casa per i futuri sette anni.
Aveva tirato un sospiro di sollievo quando era stata smistata a Corvonero; sua madre le aveva detto che, se fosse finita tra gli sgobboni di Tassorosso, poteva anche non tornare mai a casa.
Non aveva mai scoperto perché provasse così tanto astio verso la casa di Tosca, dato che lei per prima era stata una Tassorosso.
Restava una soddisfazione solo sua; sua madre, scoperta la Casa, le aveva scritto dicendole che il Cappello si era sbagliato: quella maledizione che chiamava figlia non poteva essere così intelligente.
Esatte parole sue.
Quando aveva scoperto la sua predisposizione per la divinazione era stato ancora peggio.
Una predisposizione inutile, che avrebbe portato solo ad un fallimento dietro l’altro.
Altra lettera della dolce mammina.
L’apice l’aveva toccato quando si era rifiutata di usare il suo dono per aiutarla col gioco d’azzardo.
I contatti li aveva quasi del tutto persi quando era scappata con la prima compagnia circense che aveva trovato.
Restava, comunque, sua madre e quando riusciva a contattarla per avere dei soldi, lei glieli faceva recapitare.
Non riusciva ad odiarla fino in fondo, aveva sempre desiderato un qualche tipo di rapporto normale con lei.
- Mi passi quel vassoio, cara?
Si destò dai ricordi. Minerva la fissava e indicava il vassoio di purè con un dito.
- Certo, scusi Professoressa.
La strega si versò un cucchiaio di purè e le ripassò il piatto per poterlo rimettere a posto.
- Te l’ho già detto, - le disse con un sorriso materno. Era invecchiata molto dall’ultima volta che l’aveva vista, eppure il suo sguardo restava lo stesso – puoi chiamarmi Minerva.
- Non ne sarei capace. – rispose versandosi del succo di zucca – Lei resta la professoressa McGranitt. Questo non cambierà.
- Il primo smistamento è il più emozionante. Fa ricordare il proprio. Hai bei ricordi del tuo, cara?
- Sì. – mentì concentrando l’attenzione sul piatto – Molto.
- Te l’hanno mai detto che sei una pessima bugiarda?
Alzò la testa di scatto guardando l’anziana insegnante, aprì la bocca per ribattere che non stava mentendo, che ricordava davvero con gioia il suo smistamento, ma desistette.
Sospirò e fece un lieve sorriso lanciando un’occhiata furtiva al Preside tre sedie più in là che mangiava con calma.
- Sì, me l’hanno già detto.

* * * *



Tagliava la carne nel piatto con poco appetito, fissava i fagiolini abbandonati lì accanto indeciso se finirli o lasciarli nel piatto.
Il primo banchetto era sempre una festa, per tutti. Studenti e professori.
Eppure, non riusciva a distogliere l’attenzione da chi era seduta a qualche sedia accanto a lui.
Tre sedie alla sua sinistra, la stessa occupata per anni da Sibilla ed ora occupata dalla nuova professoressa di Divinazione.
Annunciarla davanti a tutti, pronunciare il suo nome ad alta voce era stato… soddisfacente… non capiva neppure lui bene il perché.
In quelle settimane, soli nel castello – Gazza, depresso, escluso – avevano passato del tempo insieme.
Poi era arrivata Minerva e sembrava aver deciso di rapire Anathema fino al bacchetto di inizio anno. Parlavano in continuazione. La vecchia collega sembrava particolarmente interessata alla nuova professoressa; lei che aveva sempre disprezzato Divinazione come materia.
Invece ora le faceva un sacco di domande su quello che avrebbe insegnato e sulla sua vita al circo.
Lui era rimasto a guardare, spesso da lontano, infastidito, come se Minerva gli avesse rubato il tempo con Anathema.
Era ridicolo.
Ora, però, vedeva la strega silenziosa, incupita, come se non fosse con loro in quel momento.
Si domandò se stesse avendo una visione o se ci fosse altro a distrarla. Minerva aveva provato a parlarle, ma non sembrava avesse avuto molta fortuna.
La osservò mangiare con poco entusiasmo una porzione di tacchino farcito, senza alzare gli occhi dal piatto. Aveva allungato una mano, bloccando il bicchiere di Filius che sarebbe caduto da un momento all’altro.
Tornò a concentrarsi sul piatto e finì la sua cena.
Alla fine del banchetto gli studenti si alzarono tutti insieme in una cacofonia di vocette stridule, passi pesanti e fantasmi che accompagnavano il loro cammino verso le Sale Comuni.
Come da prassi, usciti i ragazzi, i professori passarono ancora qualche minuto per confrontarsi su nuovi arrivati; una prima impressione a caldo prima di incontrali in aula.
Anathema stava in silenzio, con lo sguardo fisso dentro il bicchiere, come se cercasse una risposta ad una domanda nella sua testa.
- Anathema…- la chiamò. La sua voce sovrastò quella di tutti – quali sono le tue impressioni?
La veggente restò ferma, come se non lo avesse sentito. Fissava l’interno del calice facendo ruotare la bevanda al suo interno.
- Anathema?
Le sollevò il capo e si voltò a guardarlo, mettendolo a fuoco in un secondo momento.
Sorrise, ma non era il solito sorriso che aveva avuto nei giorni precedenti, non era il sorriso radioso che le illuminava lo sguardo. Era un sorriso di circostanza che si fermava alle labbra.
- È stato… interessante vedere lo smistamento dalla parte di un professore. – rispose fingendosi entusiasta – Non posso credere che un tempo ero proprio come quei ragazzini.
- Hai già qualche intuizione legata alla tua materia? La tua aula sarà piena di giovani menti pronte ad essere esaminate?
La vide sussultare e irrigidire le spalle.
- Oh… i ragazzi erano troppi… tutti insieme. – spiegò frettolosamente – Immagini confuse che non portano a nulla di concreto. Le darò le mie impressioni più dettagliate dopo le prime lezioni. Non si preoccupi, Preside Piton, -la voce era diventata fredda all’improvviso, usando una formalità che tra di loro non c’era mai stata - la mia aula sarà presto piena di giovani promesse della divinazione.
Gli sembrò arrabbiata e si domandò cosa avesse fatto per farla adirare.
Quella donna lo confondeva.
Restò ancora a parlare in Sala Grande, legato al suo ruolo di Preside.
Quando riuscì a liberarsi si guardò attorno, ma Anathema era sparita.
Poteva bussare alla sua camera, ma avrebbe significato ammettere di aver fatto qualcosa per farla arrabbiare, ed era fuori questione.
Aveva fatto solo una domanda.
Si diresse alla sua stanza; aveva abbandonato i sotterranei durante la guerra occupando la stanza che un tempo era stata di Silente. Proprio accanto alla Presidenza.
Entrò, usando l’entrata diretta dell’ufficio circolare, e lasciò il mantello appeso su uno degli appendiabiti a muro.
Prese un libro dalla libreria e tornò nell’ufficio per leggere.
Si posizionò sul piccolo divanetto nascosto in quella specie di soppalco dove c’era la biblioteca personale del Preside. Tomi vecchi di secoli che passavano da Preside a Preside.
Alcuni erano diari scritti direttamente dai fondatori.
Fanny volò fino a lui, si piazzò sull’altra metà del divano e si appollaiò sul cuscino.
La guardò indeciso se riprenderla o meno. Sapeva, comunque, che qualsiasi cosa avrebbe detto alla creatura non si sarebbe mossa da lì.
Animale testardo.
Aveva chiesto a Silente se fosse qualcosa che faceva abitualmente anche con lui, ma era stato categorico nel dirgli che Fanny era sempre stata solitaria, a differenza sua che era sempre circondato da persone o, per lo meno, da Minerva.
Sospirò e accarezzò la testa della fenice, come se fosse un gatto.
- Non mi sento solo. – cercò di tranquillizzarla – Puoi tornare sul tuo trespolo. Ti ho messo del mangime.
Come aveva immaginato la creatura non si mosse.
Aprì il librò e lesse qualche pagina. Sospirò rendendosi conto che non aveva davvero letto quella pagina, ma solo scorso le parole senza capirne il senso nonostante fosse un libro che aveva già letto. Liberò la mente, ci provò almeno e tornò a leggere; dopo qualche minuto chiuse il tomo con un colpo deciso.
Questa volta Fanny alzò la testa per guardalo.
- Non riesco a concentrami. – le spiegò – Voglio capire perché si è arrabbiata.
La creatura emise un basso fischio.
- Sto parlando di Anathema. – si alzò dal divanetto e abbandonò il libro – Perché, poi, lo sto dicendo a te?
Uscì dalla presidenza e si diresse con passo deciso al quinto piano.
Arrivato davanti alla porta della stanza della strega restò fermò, indeciso su cosa fare.
Era sera tardi, l’avrebbe svegliata e poi cosa avrebbe detto? Cosa avrebbe fatto?
- Salazar è assurdo! – sbottò passandosi una mano tra i lunghi capelli neri.
Lasciò perdere, ma ormai era del tutto sveglio: decise di fare un giro di ronda del castello.
Camminò per i corridoi in penombra e deserti, svegliando alcuni personaggi dei quadri con la luce della bacchetta. Ignorò ogni protesta e anche Pix che galleggiava pigramente vicino alla statua della strega orba.
Arrivato alla porta che dava alla Torre di Astronomia si bloccò: era aperta.
Nessuno saliva su quella Torre senza l’autorizzazione sua o della professoressa di Astronomia.
Intenzionato a punire i trasgressori salì silenziosamente gli scalini che portavano in cima.
Ripercorse il giorno in cui aveva salito quegli stessi gradini con intenzioni ben diverse.
Gli era impossibile non collegare quella scala con quella notte: per quanti anni fossero passati, ogni volta che arrivava in cima – e ci andava più spesso di quanto volesse ammetterlo - si aspettava di vedere Silente in piedi ad attenderlo.
Ad attendere il suo assassino.
Ma non c’era mai.
C’era sempre e solo lui, il vento che soffiava e i sensi di colpa che non se ne andavano mai del tutto.
Si bloccò all’entrata: questa volta c’era qualcuno sulla torre.
Non un fantasma dalla lunga barba bianca e gli occhi ceruli, ma una strega che conosceva bene. Seduta su una sedia da campeggio pieghevole, un’altra vuota accanto.
Una brocca e due bicchieri appoggiati sul pavimento.
Indossava ancora i vestiti che aveva durante il bacchetto, nulla di insolito, ma una normale veste da strega blu notte con ricami argento che mettevano in risalto le curve, come tutto quello che indossava.
Forse era solo lui che lo notava.
Sulle gambe aveva una coperta di lana gialla.
- Juju.
Il soprannome gli era scivolato dalle labbra senza volerlo.
Lei si voltò. Questa volta il sorriso le illuminava anche agli occhi e tutto gli sembrò tornare al suo posto.
- Allora sei tu. – mormorò la strega.
- Aspettavi qualcun’altro?
Chi altri poteva aspettare sulla Torre di Astronomia?
- Sapevo che sarebbe arrivato qualcuno. – precisò – Ma non sapevo chi.
Si sedette sulla sedia accanto, Anathema aprì di più la coperta e la posizionò sulle sue gambe.
- Fa freddo.
Si allungò per prendere la brocca dal pavimento di pietra e un bicchiere.
- Non è limonata, vero?
- Margarita di mezzanotte. – iniziò a versare il liquido giallo nel bicchiere – Succo di lime. Triple Sec. Tequila. – gli offrì il drink – Probabilmente ho esagerato con la tequila.
Prese il bicchiere e ci guardò dentro indeciso se berlo o no: non si negava un buon bicchiere di vino o di liquore, ma non aveva mai bevuto nulla del genere. Gli sembrava quel genere di drink che i Babbani bevevano in bicchieri dalle forme strane, con ombrellini di carta colorata o spicchi di frutta incastrati nel bordo.
Anathema riempì l’altro bicchiere e li fece tintinnare, quindi bevve un lungo sorso senza aspettarlo.
La osservò con fin troppo interesse.
La strega appoggiò la testa all’indietro e chiuse gli occhi.
- Ci voleva. – gli disse rilassata.
Si decise a bere il margarita.
Trattene una smorfia: decisamente troppa tequila.
Era quasi sicuro che determinati drink dovessero essere equilibrati nel gusto; lui sentiva solo tequila con un retrogusto di lime.
Non disse nulla, comunque. Il suo stomaco si scaldò immediatamente e il calore si stava propagando per tutto il corpo.
Bevve un altro sorso.
Piccolo. Non voleva esagerare.
- Vuoi ubriacarti già il primo giorno di scuola?
Lei rise.
- Il margarita di mezzanotte è una tradizione. – gli spiegò - Si beve sempre prima di una grande tournée. È di buon auspicio.
- È una tradizione circense? – domandò curioso bevendo un altro sorso questa volta un pochino – solo un pochino – più lungo.
- No, – rispose lei aprendo gli occhi e voltandosi per guardarlo – di Madame Juju.
Fecero tintinnare di nuovo i bicchieri.
Bevvero.
- Sei nervosa?
- Una volta ho provato a lanciare i coltelli su una piattaforma girevole. Avevo messo un manichino per esercitarmi. L’ho decapitato al primo lancio.
La fissò cercando di capire il nesso.
- Mi sento come quel manichino. – precisò Anathema con un sussurro, come se qualcuno al di fuori di lui potesse udirla – E gli studenti… tutti quelli in Sala Grande questa sera, - continuò puntando un pollice alle spalle - hanno un coltello puntato su di me.
Lei bevve di nuovo, il suo bicchiere si era già svuotato.
- Andrà bene. – tentò di rassicurarla bevendo un sorso. Il sapore forte della tequila non lo disturbava più e iniziava a sentire caldo ovunque – Te la caverai.
Lei fece una smorfia, versandosi il secondo bicchiere.
- C’è quella stupida visione… - gemette – ho deciso di non pensarci, ma continuo a farlo.
- Quale visione?
Gli raccontò quello che aveva visto nella sfera di cristallo qualche giorno prima. Nonostante continuasse a dirgli che poteva non significare nulla, vedeva che nel profondo era qualcosa che la spaventava. Ora capiva perché in Sala Grande si era messa sulla difensiva all’improvviso.
I bicchieri venivano riempiti in fretta e altrettanto in fretta svuotati, ma la caraffa sembrava non finire mai.
Tentò di tranquillizzarla. Ci provò almeno, al quarto – forse il quinto o il sesto aveva perso il conto - bicchiere non era del tutto certo di quello che stava dicendo.
Sentiva la testa leggera, il corpo caldo.
- I ragazzini sono terribili… - biascicò facendo ruotare il drink nel bicchiere – non farti vedere debole o ti schiacceranno.
- Se stai cercando di rassicurarmi, - farfugliò lei posandogli una mano sul braccio – stai facendo un pessimo lavoro.
- Sono onesto.
- È fastidiosamente… - gli puntò un dito corrugando la fronte cercando la parola giusta – fastidioso.
Il pozionista finì di bere e guardò la caraffa: vuota.
- Siamo brilli. Molto brilli.
Anche lei guardò la caraffa con uno sguardo vagamente deluso.
- Temo di sì.
Si alzarono constatando di avere entrambi le gambe molli, ma lui riusciva a stare dritto senza troppi problemi; Anathema aveva decisamente bisogno di sorreggersi a lui per arrivare alle sue stanze.
- Meno tequila. – borbottava mentre faceva sparire le sedie da campeggio con gesti impacciati della bacchetta – Decisamente meno tequila.
Si mise la coperta gialla sulle spalle come se fosse un mantello e alzò la testa.
Quella notte il cielo era limpido, era ancora una di quelle notti dove si potevano vedere gli astri senza difficoltà. Presto sarebbe arrivato l’autunno e le nubi avrebbero coperto molte notti fredde.
- Credi nell’aldilà, Severus?
Era una domanda strana, non era certo di avere una risposta da sobrio, figuriamoci ora.
- Non saprei. – rispose sinceramente – Tecnicamente sono morto qualche minuto in quella stamberga puzzolente, ma non ricordo né cori angelici né odore di zolfo. Forse lassù… laggiù… da qualche parte… stanno ancora litigando per capire dove dovrei finire una volta morto. Veramente morto. – precisò dopo un attimo di esitazione - Quindi non lo so.
- Mi piace pensare che da morti andiamo sulle stelle ad osservare la vita delle persone che abbiamo lasciato indietro. – puntò il dito in alto – Lassù, da qualche parte, c’è mia madre… - ghignò - che ride e scommette sul mio fallimento.
Si sentì investire da un’ondata di tristezza, si avvicinò e le mise una mano sulla spalla.
- Non fallirai, Anathema.
- Puoi chiamarmi Juju. Mi piace.
Scesero la scala a chiocciola un gradino alla volta, reggendosi l’un l’altro, Anathema ridacchiava come un’adolescente, lui tentava di essere serio per entrambi… e di camminare dritto per entrambi.
- Noi due balleremo… - mugugnò all’improvviso a pochi passi dalla porta dei suoi alloggi, con lo sguardo leggermente velato dall’alcool, avvolta da una coperta di lana gialla, mentre si reggeva a lui tenendolo per la vita con un braccio – saremo abbracciati… sotto un cielo di stelle colorate. – socchiuse gli occhi cercando di mettere a fuoco un’immagine che poteva vedere solo lei – Credo che proverai a baciarmi… ma ti respingerò.
- La storia della mia vita. - borbottò per nulla lucido, concentrato solo a mettere un piede davanti l’altro – Sei ubriaca, Juju.
- Sì, - ammise portando una mano alla testa facendo una smorfia – decisamente ho messo troppa tequila.
La salutò con un lieve cenno del capo e tornò a passo lento verso la sua stanza.
L’alcool gli offuscava i pensieri, ma riuscì ad arrivare in camera, cambiarsi per la notte – ma non ricordava dove avesse messo i vestiti – e infilarsi sotto le lenzuola.
La testa iniziava a pesare, sulle labbra il sapore della tequila, sul corpo ancora il suo calore mentre lo abbracciava.


Immagi legate al capitolo 3

Anathema sulla Torre di Astronima a bere margarita




Anathema che guarda le stelle con la sua coperta gialla sulle spalle. (si é meno... formosa di quello che dovrebbe essere, ma la IA fa fatica a capire il temine cury, o qualsiasi suo sinonimo. :lol: )

 
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