Il Calderone di Severus

ellyson - Il Re e la Regina di Coppe, Tipologia: long fic - Genere: generico - Rating: per tutti - Avvertimenti: AU - Epoca: Post settimo anno- Personaggi: Severus Piton/pers. Originale

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ellyson
view post Posted on 14/4/2024, 14:34 by: ellyson
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Pozionista sofisticato

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Capitolo 2

Era in piedi nel suo ufficio.
L’ufficio che aveva ereditato da Silente.
L'ufficio che, a voler essere onesti, aveva rubato a Silente.
Non importava quanti anni fossero passati da quella maledetta notte, non importava quanti articoli sulla sua innocenza uscivano sui giornali o a quante commemorazioni partecipasse a nome della scuola o solo come ombra nascosta.
Gli sguardi di Minerva non erano importanti; le scuse di Potter solo parole al vento.
Il dolore per quello che aveva fatto, per quello che era stato costretto a fare, era sempre presente.
Monito silenzioso di quella che era la sua natura.
Aveva pensato di andarsene dall'Inghilterra.
Sdraiato in quel letto d'ospedale, con solo i pensieri a fargli compagnia, fissando un muro fastidiosamente bianco; aveva pensato di lasciarsi tutto alle spalle.
Ricominciare tutto da capo. Nuova vita. Nuove opportunità. Nuova maschera.
Invece era rimasto.
Sentiva che aveva ancora un lavoro da portare a termine.
Non si trattava di riabilitare il suo nome, né di ricordare chi aveva perso la vita in guerra. Per quello c'erano persone più degne di lui.
Aveva promesso a Silente di prendersi cura della scuola e degli studenti: l'avrebbe fatto.
Sospirò osservando il parco deserto del castello; la mattina stava lasciando velocemente il posto al pomeriggio, aveva visto i raggi del sole accarezzare la superficie del lago facendolo brillare.
In quelle lunghe giornate oziose sentiva la solitudine avvolgerlo con la sua morsa fredda come una maschera argentata.
Di solito la solitudine non gli pesava, ne era assuefatto, ma negli ultimi anni sentiva che stava sprecando quella seconda inaspettata vita.
Un pop alle spalle che lo fece voltare.
Un elfo domestico era al centro della stanza, le mani intrecciate e lo sguardo spaesato mentre si guardava attorno.
Sulla fronte spiccava un bernoccolo grande quanto una noce.
Nella sua testa poteva sentire gli strilli indignati della futura signora Weasley.
- Spony si scusa se ha disturbato il Preside Piton. - squittì la creatura – Spony qui per avvisare Preside Piton che c'è un problema al quinto piano.
- Problema?
- La professoressa Shipton sta pulendo una vecchia aula.
- Le ho dato io il permesso di usarla per le lezioni di Divinazione.
La creatura intrecciò ancora di più le piccole dita sottili, Severus temette che potesse spezzarsele da un momento all'altro.
- La professoressa ha rifiutato il nostro aiuto... tre elfi si sono schiacciati le dita nei cassetti della cucina, Spony ha picchiato la testa contro lo sportello del forno.
Il mago si strinse la radice del naso tra l'indice e il medio.
- Lei... - prese un profondo respiro – ha le sue idee.
- Spony teme che il Preside Piton non sia soddisfatto del suo lavoro. Anche altri elfi credono questo. Noi preoccupati di essere… - l’elfo tremò visibilmente, il mago notò i suoi occhi scattare verso l’angolo della scrivania – liberati. – l’ultima parola su un debole sussurro tremolante.
La creatura scattò verso il tavolo, Severus lo bloccò con un movimento della bacchetta.
- Nessuno verrà liberato. – dichiarò fissando Spony negli acquosi occhi marroni – Dillo anche agli altri. Non punitevi più. Parlo io con la professoressa Shipton.
L’elfo domestico sparì con uno schiocco di dita e un altro pop.
- Mi è simpatica questa nuova professoressa. – disse Silente – Quando ce la porti qui per le presentazioni ufficiali?
- Presentazioni ufficiali? – domandò – Puoi andare indisturbato nei quadri del quinto piano e vederla da solo, Albus.
Gli altri Presidi borbottarono indignati per il suo atteggiamento. Era tipico, ormai ci aveva fatto l’abitudine ai borbottii dei vecchi dipinti, ma nessuno di loro avrebbe mai capito il legame tra lui e Albus, neppure quanto il quadro di Silente fosse diverso da loro.
Era pur sempre un quadro, una pallida imitazione dell’originale seppellito nel parco del castello, ma lo sentiva comunque lì.
A volte lo faceva sentire meno solo.
Altre volte era solo l’illusione di qualcosa che non avrebbe più avuto. Faceva maledettamente male.
C’erano state volte in cui avrebbe preferito distruggere quella tela, o affatturarla in modo che non potesse parlare mai più. Silente lo capiva, perfino il quadro riusciva a capirlo, e in quei momenti se ne stava in silenzio, seduto sul suo seggio a fingere di dormire.
Lui, d’altro canto, fingeva di non vederlo sparire tra un quadro e l’altro nei corridoi mentre camminava di notte per controllare che tutto fosse in ordine e per fuggire degli incubi che ancora venivano a tormentarlo nel sonno.
Un equilibrio costruito di anni di amicizia difficile da distruggere anche con la morte.
Era snervante e rassicurante nello stesso tempo.
Uscì dal suo ufficio e si incamminò a passo svelto verso il quinto piano.
La prima cosa che udì fu la musica, dalla porta dell’aula aperta usciva qualche nuvola di polvere, alcuni banchi erano stati postati nel corridoio, uno spazzolone e un secchio erano poco distanti dalla porta.
Si affacciò all’aula e sgranò gli occhi: Anathema stava ballando con la scopa in mano, una bandana a coprirle il caschetto, i pantaloni attillati neri mettevano in risalto il corpo giunonico, una t-shirt di almeno due taglie più grande la coprivano fino a metà coscia, ma il colletto largo era scivolato a lato; la spallina del reggiseno faceva capolino.
Si ritrovò a fissarla che lo volesse o meno, ipnotizzato da quella danza che non aveva nulla di armonioso o sensuale, immerso nella musica Babbana che non si sentiva spesso in quel castello.
La strega la vide sulla porta e si bloccò sorridendo per nulla imbarazzata.
Si domandò se ci fosse qualcosa che imbarazzasse Anathema Shipton.
Prese la bacchetta appoggiata alla cattedra e fece un gesto veloce: la musica si bloccò.
- Severus. – lo chiamò col fiatone. Della polvere le sporcava la guancia – Hai bisogno?
Il pozionista si guardò attorno: l’aula era quasi del tutto vuota se si escludeva la cattedra e il banco dove Anathema aveva appoggiato il giradischi.
Il soffitto era ancora pieno di ragnatele, sul pavimento c’erano alcuni mucchietti di polvere. Si intravedeva il pulviscolo illuminato dal sole di quel primo pomeriggio.
Tornò a fissarla, con quel sorriso sincero, la faccia sporca, la spallina del reggiseno che faceva capolino e la scopa in mano.
Deglutì.
- Stai ballando con una scopa?
Fu l’unica domanda che riuscì a porle.
- È una ballerina eccellente. – esclamò entusiasta sollevando l’oggetto incriminato – Ma non credo che tu sia venuto qui vedermi ballare.
Riprese a spazzare per terra sollevando polvere.
- Devi lasciar fare qualcosa agli elfi domestici, Anathema.
- Non mi servono, me la cavo da sola. – gli lanciò un’occhiata divertita - Hai mai pulito una stalla?
- No.
- Io sì. Quest’aula non mi spaventa.
- Non è per quello. – precisò – Gli elfi… vedi… hanno uno strano modo di vedere le cose. – sospirò massaggiandosi la radice del naso – Per favore, fatti aiutare. Non voglio ricevere un’altra lunghissima missiva dall’Ufficio controllo Creature Magiche sulla responsabilità di far capire agli elfi domestici che le punizioni fisiche autoinflitte vanno contro ogni regolamentazione sancita dalla nuova politica del Ministero della Magia.
Anathema fece una smorfia.
- Suona di gran seccatura.
- Credimi lo è.
- Va bene. – tagliò corto lei – Farò spostare i banchi in corridoio dagli elfi, ma l’aula la devo pulire io. Devo sentirne le vibrazioni e capire come sistemare ogni oggetto e ogni banco. Ci vorrà qualche giorno.
Annuì solamente e si allontanò dall’aula.
Svoltato l’angolo le note di Dolly Parton tornarono ad echeggiare nel corridoio.

* * * *



Era seduta sulla sua cattedra e guardava con orgoglio la classe che aveva pulito e sistemato.
C’era voluta più di una settimana per sentire tutte le vibrazioni dell’aula, per percepire le sensazioni dall’esterno e capire come posizionare ogni banco e oggetto per garantire il massimo passaggio delle energie.
Era stato un lavoro estenuante. Spesso si trascinava nella sua stanza e si buttava sul letto con i vestiti della giornata, ma aveva trovato un angolo per tutto.
Aveva trasfigurato alcuni banchi in credenze e le aveva messe lungo le pareti: contenevano sfere di cristallo, tarocchi, rune, pendoli, perfino qualche cristallo e le tazzine da tè.
Ne era particolarmente fiera.
Aveva visto la vecchia aula di Divinazione e l’aveva trovata inadatta, almeno per la sua concezione della materia.
Sospirò sodisfatta e prese la sfera di cristallo che aveva accanto sul tavolo.
La sollevò fino al volto, il suo peso era rassicurate.
Chiuse gli occhi e si concentrò portandola fino alla fronte.
- Dammi qualche notizia sul futuro. – sussurrò all’oggetto come se potesse udirla.
Allungò la mano, la palla si sollevò dal palmo volteggiando a mezz’aria davanti ai suoi occhi.
Un sorriso nostalgico le affiorò sulle labbra: era un trucchetto che aveva spesso usato al circo. Ammaliava i bambini con la sfera che fluttuava davanti a lei mostrando ai piccoli visitatori unicorni e sirene, maghi e creature misteriose.
I bambini erano meravigliati e se ne andavano con gli occhi sgranati e mille domande a cui spesso veniva risposto “È un trucco tesoro, la magia non esiste.”
Non ci sarebbero stati unicorni nella sua sfera quel giorno, né sirene o creature fantastiche.
La palla si riempì di un lieve fumo azzurrognolo.
Anathema si concentrò su quel fumo senza sentire quello che le accadeva intorno. Le spirali si separarono mostrando sé stessa: era seduta sulla cattedra esattamente come in quel momento, aveva uno sguardo perso verso un punto indefinito del pavimento.
Davanti a lei i banchi pronti per la lezione.
La classe era vuota.
La previsione finì di colpo riportandola alla realtà.
Allungò la mano e la sfera si adagiò deliacamente sul suo palmo.
- Beh… questo è deprimente. – mormorò accarezzando la palla con entrambe le mani – Grazie lo stesso.
La appoggiò con delicatezza al tavolo e scese dalla scrivania.
Sicuramente aveva un senso, ogni previsione aveva un senso, ma spesso lo si capiva solo a fatti compiuti.
L’avrebbe capito.
Si lisciò i jeans slavati.
- Servono dei bignè al cioccolato.
La cucina di Hogwarts era un altro dei suoi posti preferiti. Amava il cibo, il suo corpo di certo lo mostrava senza vergogna, e amava ancora di più i dolci.
Viaggiare per il mondo le aveva permesso di assaggiare di tutto, ma non aveva mai trovate dei bignè al cioccolato come quelli di Hogwarts. Neppure nella tanto rinomata e delicata pasticceria francese.
I bignè al cioccolato era una coccola per quando era particolarmente triste oppure un premio per aver preso un voto molto alto, specialmente se in una materia dove non era così afferrata.
Come Pozioni o Storia della Magia.
Aveva odiato Storia della Magia.
Trovare il corridoio che portava alle cucine non fu difficile, ma per trovare l’entrata ci aveva messo tutto il quarto anno.
Neppure la sua sfera di cristallo o le sue carte l’avevano aiutata.
Sollecitò la pera del quadro ed entrò nella cucina dove une decina di elfi domestici camminavano velocemente da una parte all’altra.
Uno notò la sua presenza. All’inizio non sembrava volersi avvicinare: effettivamente rifiutare il loro aiuto era stata una dura offesa da digerire.
Sperò di rimediare presto, facendo spostare a loro i banchi aveva guadagnato qualche punto in più.
L’elfo si avvicinò e la fece sedere su una poltrona davanti ad un camino con le braci morenti.
Alla prima fetta di torta che le servirono sorrise riconoscente.

* * * *



- Non puoi rifiutare i ragazzi del settimo anno. – disse Severus mentre leggeva il suo programma di studio.
- Mi hai promesso piena libertà. – protestò incrociando le braccia al petto come una bambina capricciosa.
- Potrai selezionare i ragazzi del quinto anno e del sesto. Per i ragazzi del sesto anno non sarà un grosso problema, spesso inseriscono Divinazione come materia aggiuntiva. – ignorò prontamente il suo sbuffo contrariato - Avranno tempo di recuperare l’anno perduto nell’anno in corso e in quello successivo. Sarà faticoso, ma possono farlo se vogliono aggiungere una materia. Non sarebbe la prima volta. I ragazzi del settimo anno non hanno questa possibilità. Devono impegnarsi per i M.A.G.O. e non potranno recuperare due anni di lezioni.
Assottigliò lo sguardo cercando di risultare minacciosa, ben sapendo di non sembrarlo affatto.
- Salazar… - sospirò l’altro – questo sarebbe il tuo sguardo minaccioso da professore?
- Cosa? No! Io non voglio essere minacciosa! Voglio creare un rapporto con i miei studenti.
- Alcuni ci hanno provato, non sono durati.
- Tipo?
- Remus Lupin.
- Se vogliamo essere onesti… - si intromise Silente nella conversazione – qualcuno si è lasciato sfuggire inavvertitamente la sua natura di Lupo Mannaro, per cui Remus si è sentito in dovere di andarsene prima che arrivassero le lettere di lamentela dei genitori.
- Albus…
- Molti insegnanti preferiscono creare un legame con gli studenti piuttosto che intimidirli il primo giorno con un discorso demotivazionale studiato apposta per deprimerli e per fargli credere che, comunque vada, non saranno mai bravi in quella materia. Io andavo molto d’accordo con i miei studenti e Minerva si occupa molto di loro.
- Minerva era severa quanto me in aula.
- Ma non quando non teneva lezione.
Anathema perse il filo a metà del discorso, si voltò verso Severus che non rispose al Preside dipinto, limitandosi a continuare la lettura della pergamena dove aveva scritto il suo dettagliato e molto studiato piano di studi.
- Ti eri preparato un discorso deprimente per quelli del primo anno?
- Perché non hai inserito i tuoi libri nell’elenco dei volumi da assegnare agli studenti?
- Rispondere con un’altra domanda per evitare la mia domanda non ti risparmierà dal rispondere alla mia prima domanda.
Corrugò la fronte ragionando su quello che aveva appena detto.
Probabilmente non aveva molto senso.
- Invece sì. – rispose però lui prendendo tutti i fogli del suo programma e picchiandoli contro la scrivana per metterli in perfetto ordine – E tu non hai risposto alla mia.
- L’autocelebrazione non fa per me. – rispose con orgoglio - Ci sono volumi migliori.
- Potevi usare lo stesso testo che usava Sibilla.
- Per le mutande di Merlino, Severus! Quel testo era vecchio quanto Nostradamus e anche poco affidabile come Nostradamus! Le spiegazioni sono a tratti lacunose, non lasciano libera interpretazione di un milione di varianti che possono influenzare una perfetta previsione; non apre la mente agli studenti e non permette loro di conoscere altro all’infuori delle foglie di tè e della sfera di cristallo.
Vide le labbra di lui tirarsi in un sottile sorriso.
Fu un attimo… per un attimo le sembrò fiero della sua risposta.
Forse lo aveva sognato.
Il loro inteso scambio di occhiate e silenzi fu interrotto da un lieve tocco sul vetro della finestra alle spalle del pozionista.
Anathema vide chiaramente Severus sospirare e tornare a leggere i fogli.
Bussarono di nuovo.
Si azzardò a guardare al di sopra della sua spalla e spalancò gli occhi incredula.
- Severus… c’è…
- Ignorala. – disse lui seccamente.
Non ne sarebbe stata in grado.
Ignorare quello che stava vedendo fuori dalla finestra era qualcosa che non si vedeva tutti i giorni.
Bussarono di nuovo, questa volta in po’ più forte.
- Non credo che voglia essere ignorata.
- Sì, invece. – risposte scocciato senza alzare lo sguardo dalla lettura del suo programma – Qualcuno…- questa volta urlò – dovrebbe capirlo. In fondo è una creatura intelligente.
La creatura bussò di nuovo.
- Severus… - tentò con calma – è una fenice.
- Ignorala. – ripeté.
La fenice bussò di nuovo, emise anche un leggero lamento che Anathema interpretò come dispiacere per essere ignorata in quel modo.
- Oh per amore delle profezie di Cassandra! – sbottò alzandosi dalla sedia.
Si avvicinò alla finestra e aprì i vetri. La fenice entrò leggiadra nella stanza, fece un veloce giro dell’ufficio circolare, poi si posò su un trespolo che non aveva visto quando era entrata.
La fenice sembrò guardarla, le si avvicinò piano.
- Posso avvicinarmi?
Lui, per risposta, grugnì qualcosa di incomprensibile sollevando i fogli nascondendo la faccia.
La strega alzò gli occhi al cielo e allungò una mano verso la creatura.
- Ehi… - disse piano per non spaventarla – va tutto bene. Sei la fenice di Silente, vero?
Fanny emise un dolce fischio inclinando il capo.
Con un dito le accarezzò la testolina: le piume rosse erano morbide e calde; emise un altro fischio e le sembrò che avesse chiuso gli occhi godendosi quelle inattese attenzioni.
- Le piaci. – sorrise Silente dalla sua cornice.
- Il sentimento è ricambiato. – rispose accarezzandola con più sicurezza. Allungò la mano su un’ala, le piume sembravano ancora più calde e morbide, eppure riusciva anche ad avvertire i forti muscoli sotto.
- Ha guidato Minerva fino a Severus nella Stamberga e ha pianto per far rimarginare le ferite in tempo per portarlo al San Mungo. – spiegò il vecchio Preside.
- Quindi anche tu sei un’eroina in questa storia. Perché ti ostini a tornare da questo mago brontolone? – domandò con un sorriso.
- Ti sento. – commentò Severus da dietro i fogli.
- Lo so che mi senti! – rimboccò lei.
Fanny emise un altro fischio, sembrava divertita.
Il Preside appoggiò i fogli sul tavolo con decisione e fissò la creatura.
- Ti avevo liberato da ogni vincolo. – mormorò a Fanny – Non sei costretta a stare qui. Non sono il tuo padrone. Io. Non. Sono. Albus.
Fanny si beccò un’ala ignorandolo.
- Le fenici sono animali molto intelligenti e testardi. – ridacchiò Silente dal quadro – Quasi quanto i loro padroni.
Severus sbuffò e tornò a leggere il programma di studio.

Immagini legate al capitolo 2

Anathema mentre pulisce l'aula



Fanny che bussa alla finestra della presidenza



Severus ormai rassegnato a Fanny



Edited by ellyson - 19/4/2024, 12:47
 
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