Il Calderone di Severus

Ida59 - Sfumature di sorriso, Genere: Introspettivo, drammatico, suspense, commedia - Avvertimenti: Nessuno - Epoca: Post 7 anno - Pairing: Nessuno - Personaggi: Pers. Originale - Altri Personaggi: Silente

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Ida59
view post Posted on 4/4/2017, 11:10 by: Ida59
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I ♥ Severus


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Da un dolce sogno d'amore!

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Autore: Ida59 – 2 febbraio – 17 marzo 2007
Beta: Niky – Astry – Ale-chan - Elena
Tipologia: long-fic in 11 brevi capitoli
Rating: Per tutti
Genere: Introspettivo, drammatico, suspense, commedia
Epoca: Post HP a Hogwarts
Personaggi: Severus Piton, Personaggio Originale (Lys), Albus Silente
Pairing: Nessuno
Avvertimenti: Nessuno
Riassunto: Si tratta della continuazione di “L’ultima lacrima” e “Condannato a vivere”.
Un arrivo impossibile e argentei fili di pensiero intessono la speranza nella trama lisa di una sentenza annunciata.
Sfumature di sorriso ad illuminare occhi neri che non sapevano più vedere la luce.
Nota: Ci sono tante, diverse sfumature di sorriso, in questa storia: attendono il lettore alla fine di ogni capitolo
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. Il personaggio originale di Lys, i luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.

Questa storia conclude la raccolta “Dalle lacrime al sorriso” composta da:
“L’ultima lacrima”
“Condannato a vivere”
“Sfumature di sorriso”

Per il contenuto di interpretazione dei fatti del sesto libro, questa fiction appartiene di pieno diritto anche alla raccolta “In difesa di Severus Piton”, composta da:
“Solo il mio dovere”
“Un uomo che sa uccidere gli amici”
“Non era odio”
“Scelte”
“Maschere di sangue”
“Luci e ombre del cristallo – ovvero – La studentessa”
“Condannato a vivere”
“Brindisi per un amico”
“Sfumature di sorriso”
“Forza e resistenza del cristallo – ovvero – L’Innamorata.”



Sfumature di sorriso


1 - Atterraggio a Hogwarts
2 – Tra fantasia e magia
3 - Sentenza annunciata
4 – Tra la vita e la morte
5 - Fili d’argento
6 – L’incantesimo
7 – Colpevole o innocente?

8 – Dubbi assillanti
9 – Pensieri di un padre
10 - L’immagine della verità
11 – Dalle lacrime al sorriso







1 - Atterraggio a Hogwarts



Lo spettacolo davanti agli occhi di Gazza era pietoso e ridicolo insieme: una ragazza dai lunghi capelli neri e lisci, con grandi occhi verdi dilatati dalla paura, era saltata precipitosamente giù da un tappeto volante, che l’occhio esperto del magonò valutò subito essere d’importazione illegale e probabilmente difettoso, che si era repentinamente fermato appena a qualche millimetro dall’imponente portone di quercia del castello di Hogwarts.
Il vecchio Gazza l’aveva casualmente vista arrivare mentre si trovava nel parco e si stava dirigendo verso l’entrata della scuola; il tappeto l’aveva superato a gran velocità, facendogli rizzare sul capo quei pochi capelli che gli erano rimasti, da tanto gli era passato vicino rischiando quasi di atterrarlo: era evidente che la ragazza non aveva la più pallida idea di come manovrarlo. Non che lui lo sapesse fare, certo, ma aveva visto più volte maghi che si spostavano tranquillamente su docili tappeti volanti.
Ma quello non aveva l’aria mansueta, nemmeno un po’.
La ragazza dimostrava l’età delle studentesse dell’ultimo anno, o poco meno, ma gli abiti denotavano chiaramente la sua origine Babbana. Era scossa da leggeri tremiti, ancora chiaramente sconvolta dall’esperienza di volo sul tappeto, i folti capelli sciolti ingarbugliati dal vento che aveva incontrato nel corso di quello che aveva l’aria di essere stato un lungo, tribolato, e del tutto imprevisto, tragitto aereo.
Gazza affrettò il passo, mentre la ragazza cercava di allontanarsi dal tappeto che, docilissimo ora, si era arrotolato e disposto ai suoi piedi, in attesa di nuovi ordini. Lei si scansava bruscamente di lato ed il tappeto, con irruenza degna di un cucciolo insistente che vuole le coccole, di nuovo si strusciava contro le sue lunghe e magre gambe.
Infine, la ragazza si rassegnò a quell’inconsueta manifestazione d’affetto da parte di un oggetto che, dal suo razionale punto di vista Babbano, avrebbe dovuto essere rigorosamente inanimato, e pertanto immobile, e si abbandonò ad un lungo sospiro, che somigliava molto ad un gemito sconsolato.
Stringeva rigidamente al petto una piccola borsa rossa con le frange dorate, dalla quale spuntava un rotolo di pergamena: le sue dita corsero veloci a tastare il contenuto e sembrò soddisfatta dall’esito della frettolosa indagine.
Fece un altro sospiro e chiuse gli occhi, per un lungo istante. Poi li riaprì con cautela rivolgendo dapprima lo sguardo in basso e poi rialzandolo verso l’alto.
Il tappeto continuava a strusciarsi contro il suo polpaccio e quello splendido castello, certo uscito da una favola, con tutte quelle improbabili torri e torrette svettanti nel cielo limpido di giugno, si ostinava a riempire la sua visuale anche se, nemmeno due ore prima, si trovava ancora nella sua cameretta nei sobborghi di Londra.
Un uomo anziano, sdentato e con pochi capelli, si era avvicinato zoppicando: indossava stravaganti abiti di foggia antica e la stava guardando in modo sospettoso, come se la trovasse del tutto fuori posto davanti a quel portone.
Il problema era che lo sconosciuto aveva del tutto ragione: lei era tremendamente fuori posto davanti a quel singolare castello, soprattutto se quella era veramente la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Perché se era così, e c’erano buone probabilità che lo fosse, vista la grande H che troneggiava nello stemma inciso sulla porta, significava che quello che era scritto nella pergamena che stringeva spasmodicamente tra le dita era tutto vero e che non aveva per nulla sognato mentre sorvolava a velocità folle prati e valli in quello spericolato volo da Londra alle Highlands.
Significava che la magia esisteva veramente e che lei aveva un compito importantissimo da svolgere in quel mondo appena scoperto.
Ma che lei fosse una strega, no, questo era veramente troppo per poterlo credere!
- Allora, - l’apostrofò scortesemente l’uomo – cosa diavolo ci fai qui, proprio oggi?
La ragazza era sorpresa: l’uomo le stava parlando in inglese, e non in un’arcana lingua sconosciuta, come si era invece aspettata.
Innervosito dal silenzio di quella ragazza dall’aria profondamente smarrita, Gazza rincarò, petulante:
- Sono tutti a Londra, è ovvio no?! Sono rimasto solo io, come sempre, a mandare avanti la baracca!
Poi aggiunse bruscamente, forse intenerito dallo sguardo sperduto della ragazza, o in risposta alla muta domanda che campeggiava sul suo giovane viso:
- Sono tutti al processo, naturalmente, a veder condannare a morte il Professor Piton.  
S’interruppe un attimo per tirar su con il naso: sembrava inspiegabilmente commosso. Poi aggiunse, abbassando la voce sgraziata e modulandola in una stridente nota di dolcezza:
– Anche se ormai sono rimasto solo io a chiamarlo Professore… dopo che ha… bè, lo sanno tutti che cosa ha fatto!
La ragazza finalmente sembrò aver ritrovato il coraggio, e il fiato, per parlare. Con un filo di voce chiese:
- Anche la Professoressa Minerva McGranitt è a Londra?
- Sì, anche la Preside McGranitt è a Londra, si capisce! – sbuffò l’uomo, con voce stridula.
Si sentiva morire: aveva intrapreso quel folle viaggio per niente, poiché la persona che cercava si trovava esattamente dove era lei poche ore prima.
Ma la cosa peggiore era che il Professor Piton stava per essere condannato per un crimine che non aveva commesso.
Lei lo sapeva e ne aveva le prove, lì, in quella piccola borsa, di fattura assurda quasi quanto il suo contenuto.
Svuotata d’ogni energia, si accasciò lentamente a terra scrollando la testa: cosa avrebbe potuto fare, ora?
Il tappeto venne a solleticarle le mani con le sue lunghe e disordinate frange, regalandole anche la risposta al suo dilemma.
Si sollevò di scatto, mentre una frase letta sulla pergamena tornava nitida alla sua memoria.
“Il tappeto ti porterà ovunque tu voglia: devi solo definire in modo preciso il luogo di destinazione.”
La prima volta l’aveva fatto solo per gioco, pensando ad uno scherzo idiota, era saltata per sfida sul tappeto ed aveva ordinato, con divertita voce stentorea:
- Portami alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, presto!
Da quell’istante in poi la sua razionalità aveva cominciato progressivamente a vacillare, mentre il tappeto si alzava da terra sbilanciandola pericolosamente. Mentre recuperava a fatica l’equilibrio, aveva visto la finestra della sua camera spalancarsi da sola ed il tappeto si era slanciato in avanti, verso il davanzale: si era precipitosamente inginocchiata afferrandosi ai lati del tappeto, giusto in tempo per non sbattere la testa contro lo stipite della finestra.
Non aveva urlato, no, era stata troppo spaventata per farlo, all’inizio. Dopo, se anche c’era riuscita, il vento che le soffiava sul volto era così forte che lei stessa non sarebbe mai riuscita a sentire la propria voce, per quanto si sgolasse. Eppure, proprio dal male alla gola che ora avvertiva, doveva aver gridato aiuto per lungo tempo, finché il centro abitato si era trovato troppo lontano per sperare di poter essere anche solo vista. Avrebbe anche giurato che qualcuno l’aveva notata schizzare fuori dalla finestra: ma se lei stessa, che stava volando su quel tappeto, non riusciva a credere a quanto le stava accadendo, come poteva pretendere che un ignaro passante riuscisse a credere ai propri occhi vedendo un tappeto uscire in volo da una finestra trasportando una ragazza dai lunghi capelli neri e dall’aria terrorizzata?
Ora, però, davanti a quel portone di quercia, in pochi istanti aveva preso la sua decisione:
- Vieni qua, Zerbino! – ordinò, chiedendosi che tipo fosse mai stato l’uomo, no, il mago, che aveva deciso di assegnare un nome al tappeto; un nome che, oltretutto, al tappeto non piaceva per nulla, giacché ogni volta che lo pronunciava lui si ribellava e le frustava le caviglie con le lunghe frange scomposte.
Conosceva bene quella reazione perché si era divertita più volte a chiamarlo, quando era ancora a casa, cercando di capire secondo quale meccanismo nascosto lui reagiva a quel modo quando pronunciava il suo nome. Ora cominciava proprio a credere che non ci fosse alcun meccanismo nascosto e che si trattasse veramente solo di magia.
Lui… un tappeto: stava parlando con un tappeto, volante per di più! E anche antipatico!
Forse era solo un incubo dal quale non riusciva a svegliarsi, o forse era completamente impazzita. Ma se, invece, era tutto vero, in quest’ultimo, deprecabile caso, un uomo rischiava di morire se lei non arrivava a tempo.
Paura o no, doveva farlo, doveva saltare di nuovo su quel dannato tappeto e precipitarsi indietro a Londra.
- Portami a Londra, nel luogo in cui stanno processando il Professor Severus Piton: svelto, abbiamo poco tempo!
Saltò sul tappeto, decisa seppur tremante, già pentita d’avergli messo fretta; questa volta si distese e si aggrappò strettamente al bordo anteriore con entrambe le mani e sussurrò:
- Vai!
Il tappeto si arrotolò strettamente attorno a lei, quasi soffocandola, e schizzò via; ora capiva perché nella pergamena c’era scritto:
“E’ meglio se rimani sempre seduta o in ginocchio perché Zerbino è leggermente difettoso: sai com’è, quando si compra via Gufo, ogni tanto si prendono delle fregature!”
Chiuse gli occhi e si augurò che valesse veramente la pena di fare quello che stava facendo: precipitarsi a Londra per testimoniare a favore di un mago che non conosceva ma che, senza il suo intervento, sarebbe stato irrimediabilmente condannato, senza alcuna speranza.
Sorrise alla propria incoscienza, cominciando a dimenarsi all’interno del tappeto che la soffocava.
 


 

2 - Tra fantasia e magia


 Dopo una strenua lotta con Zerbino, era finalmente riuscita a farlo srotolare ed ora sedeva accovacciata sulle ginocchia, le mani saldamente aggrappate al bordo anteriore del tappeto, che aveva sollevato un po’ verso l’alto per schermarsi dal vento che le fischiava nelle orecchie per la velocità: evidentemente qualche magia impediva che il passeggero cadesse o morisse di freddo e le permetteva di respirare ugualmente in quel turbinio di vento, probabilmente pari a quello che incontravano gli aerei, giacché all’andata, in poco più di un’ora, aveva percorso quasi tutto il Regno Unito per la sua lunghezza.
Stava volando a bassa quota e il paesaggio sotto di lei scorreva veloce: dolci rilievi rivestiti d’erica che brillava al sole rincorrevano valli strette in cui s’insinuavano impetuosi torrenti, fino a raggiungere estesi pianori ricoperti di fitti boschi. I raggi del sole erano caldi, ma l’aria era gelida.
Si concentrò e ripercorse con la memoria gli avvenimenti delle ultime ore.
 
Se ne stava tranquillamente in camera sua a studiare, quando, poco dopo colazione, era successa una cosa stranissima: davanti alla sua finestra era comparso un grosso gufo grigio che portava una pergamena arrotolata e una piccola borsa rossa appese alle zampe. L’uccello picchiava insistentemente con il becco sui vetri della finestra, mentre due grassi barbagianni marroni, appena dietro di lui, sostenevano con le zampe, con evidente fatica, un pacco lungo e stretto.
Quasi senza rendersi conto di quello che faceva, aveva aperto la finestra ed i volatili erano entrati: i due barbagianni avevano lasciato cadere il lungo pacco ai suoi piedi ed erano volati via, mentre il gufo le aveva teso le zampe per essere liberato dal pacchetto.
Con una certa paura, i volatili non erano sicuramente tra i suoi animali preferiti e quello emetteva strani versi striduli e sbatteva disordinatamente le ali, aveva allungato una mano per allentare il nodo sulla zampa e l’animale, non appena resosi conto che si era liberato del pacchetto, aveva immediatamente ripreso il volo con un rauco grido.
Aveva afferrato al volo la strana borsa di pesante velluto rosso, bordata di frange d’oro, mentre il rotolo di pergamena era caduto ai suoi piedi. Quando aveva rialzato lo sguardo, i tre volatili erano già scomparsi dal suo campo visivo.
Aveva meccanicamente raccolto da terra la pergamena e l’aveva srotolata: nell’esatto istante in cui aveva posato lo sguardo sul foglio, la realtà aveva cominciato a confondersi ai suoi occhi, mischiandosi alle fantasie di bambina e riportando in vita sogni da tanto tempo dimenticati.
La lettera era indirizzata a lei: il suo breve nome sonoro, comprensivo del cognome, era inciso in cima, in grandi lettere dorate vergate con calligrafia accurata da qualcuno che sembrava conoscerla molto bene.
Ma anche lei conosceva il nome del mittente: Albus Silente!
Era un personaggio immaginario che aveva costellato la sua infanzia e poi era tornato spesso nei suoi sogni d’adolescente. Aveva inventato un mago potente e famoso, con le sembianze di un irridente vecchietto dalla lunga e candida barba e dai limpidi occhi azzurri che brillavano dietro a sottili lenti a mezzaluna. Si era divertita un sacco con lui, da bambina: giocava a fare la piccola strega che terrorizzava bambole e peluche compiendo fantastici sortilegi con l’aiuto del suo amico immaginario che poteva inventare ogni più sorprendente magia. Si sentiva irresistibilmente attratta dalla sua bacchetta magica, ma lui, con ferma gentilezza, non gliela aveva mai lasciata nemmeno toccare. Peccato!
Si era passata la mano sugli occhi scrollando il capo: Albus non le era mai parso così reale come in quei ricordi che erano tornati più che mai vividi nella sua mente leggendo quella strana pergamena.
Realtà, sogni e fantasie si rincorrevano nei suoi pensieri, vortici inafferrabili che si riflettevano nelle parole che stava leggendo e che le rivelavano un’incredibile verità: lei era una maga, ma, per evitare che un malvagio stregone, che le stava dando la caccia, potesse trovarla e ucciderla, un mago buono e che le voleva molto bene, Severus Piton, si era sacrificato e l’aveva portata via dal mondo magico quando era ancora in fasce; l’aveva portata lontana, oscurando con perizia la sua magia, affinchè Voldemort, lo stregone che voleva dominare il loro mondo, non potesse mai più trovarla e farle del male.
Lys si era guardata allo specchio: un bel viso, forse un po’ troppo pallido, lunghi capelli neri e lisci e grandi occhi verdi, luminosi e profondi. E in quelle iridi, solo un sogno, che era sempre stato suo, fin dai suoi primi ricordi di bimba, nascosto dentro di lei, fortemente radicato, intensamente desiderato: essere una maga in un mondo in cui, purtroppo, la magia non esisteva!
Era per questo motivo che aveva inventato Albus, il suo amico stregone, che deteneva l’immenso potere dell’immaginazione e della fantasia e sapeva aprirle le porte dell’arcano regno della magia.
Ed ora Albus le scriveva, per svelarle che quelli non erano i suoi sogni di bimba ma la sua vera realtà e che lei, a diciassette anni da poco compiuti, era tornata ad essere una strega perchè lui era riuscito ad annullare, con un sacrificio d’amore, l’antico e dimenticato sortilegio con cui, tanti anni prima, Severus Piton aveva cancellato la sua magia.
Aveva di nuovo scrollato la testa, incredula, ma con il cuore che le batteva sempre più forte.
Non poteva essere vero: no, quello era solo uno scherzo di cattivo gusto.
Eppure, nessuno sapeva, nessuno conosceva Albus ed i suoi segreti desideri di bimba!
Sempre più affascinata, era tornata a leggere ed aveva appreso l’importante compito che Albus le aveva affidato: salvare Severus Piton che, molto probabilmente, stava per essere condannato a morte per l’omicidio dello stesso Albus Silente. Ma Severus era completamente innocente, era grande amico di Albus e suo fedelissimo collaboratore; Severus aveva solo dolorosamente obbedito agli ordini di Silente stesso: l’aveva ucciso perchè era ciò che doveva fare, l’unica cosa giusta, non quella più facile, ma quella più giusta, anche se profondamente dolorosa per lo stesso Piton.
Piton.
Quel mago aveva il cognome uguale al suo: Lys Piton e Severus Piton.
Era forse un suo parente?
O, più probabilmente, le aveva assegnato proprio quel cognome quando l’aveva nascosta in un mondo diverso dal suo. Chissà, magari c’era un lontano legame di parentela, perso nei meandri del tempo, tra quel mago e la famiglia Piton in cui era cresciuta.
Quel mago da bambina l’aveva portata via dal suo mondo per salvarle la vita, privandola però della sua preziosa magia, e poi aveva ucciso il suo amico Silente, seppur obbedendo ai suoi ordini e soffrendo profondamente per il gesto che doveva compiere.
Chi era quello strano mago, segnato da così cupe e lancinanti contraddizioni, che portava il suo stesso cognome?
Ne era certa, certissima: nessuno nella sua famiglia era un mago, lei stessa non era una strega e non lo era mai stata, seppure l’avesse intensamente desiderato quando era bambina. Ma la magia non esisteva, purtroppo, era solo un sogno infantile che svaniva mentre crescevi e ti sfuggiva per sempre dalle mani.
Senonchè, la pergamena che stringeva tra le dita era stata scritta da un parto della sua immaginazione che conosceva il suo nome.
Aveva sollevato la mano scrollando il foglio: lo specchio lo rifletteva insieme alla sua espressione totalmente incredula.
La lettera raccontava altre incomprensibili cose: due ricordi di Silente, conservati sotto forma di fili d’argento e racchiusi in due ampolline, avrebbero potuto chiaramente testimoniare davanti al Wizengamot che il Professor Severus Piton era completamente innocente.
Wizengamot?
Cosa diavolo era?
Aveva cercato nella borsa di velluto rosso ed aveva estratto le due piccole ampolle: attraverso il trasparente cristallo vedeva due sottili fili d’argento, più volte arrotolati su se stessi. Quelli erano i pensieri di Albus che avrebbero potuto scagionare Piton dall’omicidio?
Era rimasta a lungo incerta se scoppiare a ridere di gusto per lo scherzo perfettamente architettato, oppure se chiudere gli occhi e lasciarsi cullare da un sogno mai sopito.
Infine aveva chiuso gli occhi, ma un movimento ai suoi piedi l’aveva riportata subito alla realtà: le era sembrato che il lungo pacco a terra si fosse mosso, ma, ovviamente, non era possibile.
Aveva ripreso la lettera cercando spiegazioni sul pacco.
Questa volta non era proprio riuscita a trattenere le risa: un tappeto volante, d’importazione illegale, leggermente difettoso ed acquistato via Gufo.
Aveva anche un nome: Zerbino.
No, questo era davvero troppo.
Aveva riso di gusto, fino ad avere le lacrime agli occhi, una risata liberatoria dalla tensione che aveva accumulato fino a quel momento, mentre la realtà era lentamente sommersa dai suoi sogni.
Poi aveva di nuovo notato il movimento: sì, era innegabile, il pacco si era mosso.
Le risa le erano morte in gola, mentre il cuore tornava a batterle forte: con mani tremanti aveva sciolto i due nodi e un vecchio tappeto, dai tenui colori ormai sfumati dall’uso, si era liberato energicamente dall’involucro di carta e si era allargato sul pavimento mostrando una chiara soddisfazione per la nuova e più comoda posizione conquistata.
Di nuovo si era guardata allo specchio: era sempre più pallida e, lo doveva ammettere, cominciava anche ad essere un po’ spaventata di quello che stava accadendo.
Ma quello era ancora nulla, in confronto al terrore che l’aveva attanagliata quando, più per sfida che altro, era saltata sul tappeto e quello era schizzato via, verso la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts!
 
Ora, stava ancora volando sul tappeto, ormai quasi sottomesso ai suoi voleri, di ritorno da una Hogwarts deserta e diretta ad un tribunale, quel Wizengamot citato nella pergamena, probabilmente, con i ricordi di Silente stretti al petto, per evitare una condanna a morte al mago che, per salvarle la vita, l’aveva estromessa dal mondo magico privandola della sua magia quando era ancora in fasce.
Era una pura, meravigliosa, splendida e magica follia; oppure un sogno, ma, in questo caso, non aveva alcuna intenzione di risvegliarsi.
Sollevò il capo scrollando i lunghi capelli neri nel vento, mentre il sole splendeva nei suoi occhi verdi: un brivido di freddo e di esaltante eccitazione le scese lungo la schiena mentre un sorriso felice le illuminava il viso.
La magia esisteva e lei apparteneva a quel mondo.
Proprio come aveva sempre sognato ed era stato il suo vecchio amico immaginario, Albus Silente, che ancora una volta, come quando era bambina, le aveva mostrato la strada: quella vera, finalmente!
 
 
 

 

3 - Sentenza annunciata


 L’aula del più importante tribunale magico è stipata come non mai: il momento della sentenza è vicino e tutti sanno che Severus Piton, il Mangiamorte traditore, il perfido assassino di Silente, sarà infine condannato senza appello.
All’improvviso il brusio aumenta d’intensità: i Giurati si sistemano rumorosamente tra le loro panche ed il Giudice, un mago tarchiato, dai grandi occhi sporgenti sormontati da sopracciglia grigie e cespugliose, s’installa sull’imponente scranno facendo il concordato cenno d’assenso al Cancelliere che gli ha appena consegnato la pergamena contenente il verdetto.
Una porta laterale sul fondo della sala si apre lentamente, cigolando fastidiosamente sui cardini, e il silenzio piomba repentino sull’aula: un inconsulto fremito di paura sembra passare tra la folla, dividendola in due ali che si fanno ordinatamente da parte per lasciar passare il crudele Mangiamorte, il traditore dell’Ordine, il gelido assassino, il pericoloso mago finalmente ridotto in catene.
Severus Piton esce dall’oscurità ed entra silenziosamente nell’aula in cui il suo destino è stato ormai deciso.
Cammina rigidamente lento, a testa alta, lo sguardo nero e vuoto fisso nel nulla davanti a sé, le labbra sottili serrate strette nel viso pallido, come sempre sono rimaste durante tutte le lunghe sedute del processo, mentre un’infinita schiera di testimoni raccontava tutti i suoi peggiori crimini, insultandolo senza avere mai il coraggio di guardarlo in faccia o di avvicinarsi troppo: un Mangiamorte in catene, un traditore che, come lui, aveva saputo diabolicamente ingannare tutti per tanti anni, faceva ancora troppa paura alla gente per bene.
L’imputato non aveva mai abbassato gli occhi davanti ai testimoni dell’accusa, non un muscolo del suo viso si era mosso in segno di pentimento, né aveva pronunciato una sola parola in propria difesa e il suo pallido viso era sempre rimasto indifferente e imperscrutabile, con lo sguardo fisso davanti a sé, quasi come perso in una visione lontana, in ricordi inafferrabili e dolorosi.
La Difesa aveva speso ben poche parole in una causa persa a priori e non aveva presentato alcun testimone a favore, rinunciando ad un inutile balletto d’ipocrisia davanti ad un reo confesso di tal fatta. 
Solo Draco Malfoy aveva provato a parlare, ma gli era stato da prima energicamente impedito e poi era stato definitivamente estromesso dall’aula. Nonostante le sue valorose gesta nella battaglia finale, il nome dei Malfoy aveva ormai perso tutto il suo potere.
Severus Pitonincede lento tra la folla silenziosa che si ritrae timorosa al suo passaggio, con il lungo mantello dai bordi laceri che gli cade ancora elegantemente alle spalle, sebbene appesantito dalla sporcizia, trascinando con faticosa dignità le catene che gli serrano polsi e caviglie, lasciandogli segni lividi sulla pelle bianca. Il severo abito nero gli pende addosso, sul corpo smagrito, la lunga fila di bottoni ormai scomposta da troppe assenze.
I suoi carcerieri lo spingono rudemente nell’ampia gabbia e lui rimane fermo, in piedi, le labbra sempre rigidamente serrate e gli occhi fissi sul Giudice, in altera attesa della lettura della sua preannunciata condanna.
Il viso bianco è tagliato verticalmente dalle sbarre nere della robusta grata che lo separa dal mondo per bene, così come le due sottili cicatrici parallele, dall’angolo del labbro fino al lato esterno dell’occhio sinistro e dal mento fino alla tempia, tagliano obliquamente la sua guancia, scavata da troppe sofferenze, a ricordare il suo ultimo crimine.
- Il Gran Giurì del Wizengamot, in seduta plenaria, ha reso il suo verdetto. – declama il Giudice con voce stentorea. – L’imputato, Severus Piton, ha qualcosa da dichiarare a sua discolpa?
Un lungo momento di silenzio, mentre tutti trattengono il fiato, poi, finalmente, l’imputato si dispone a parlare:
- No, Vostro Onore, non ho nulla da dire a mia discolpa. - afferma con voce freddamente ferma e il viso levato verso la Corte. – Ho ucciso Albus Silente, che aveva in me la più piena e completa fiducia. 
Un lampo negli occhi neri, una breve pausa, mentre le mascelle si serrano stette per un istante, poi un impercettibile sospiro che sputa fuori le sue ultime, dure e indifferenti parole:
- Sono colpevole e merito la peggiore delle condanne.
Di colpo l’aria è piena d’allibite esclamazioni, subito seguite da inorridite proteste: la folla chiede a gran voce la morte di un implacabile assassino che non ha mai mostrato il minimo pentimento, né ha fornito le ragioni, certo inesistenti, del suo inaccettabile ed imperdonabile gesto. Troppi giorni di udienza, con un imputato chiuso in uno sprezzante silenzio, troppo tempo dedicato a un criminale impenitente che ha ucciso un povero vecchio che implorava pietà, dopo averlo perfidamente ingannato per anni.
- Silenzio, silenzio o faccio sgombrare l’aula! – urla il Cancelliere, battendo nervoso il suo martelletto.
Lentamente torna il silenzio, mentre il Giudice srotola la pergamena e si appresta a leggere l’inappellabile sentenza.
- Il Gran Giurì del Wizengamot, all’unanimità, ha ritenuto che l’imputato, Severus Piton, si sia macchiato del più orrido crimine che un mago possa commettere. Infatti, quando il grande Albus Silente si è venuto a trovare, per le note vicissitudini, indifeso davanti a lui e non in grado di difendersi ulteriormente, nonostante la vittima avesse sempre riposto nell’imputato la più piena e incondizionata fiducia, e, all’ultimo istante, implorasse perfino pietà verso il suo impassibile carnefice…  
A queste ultime parole, Severus Piton, per un brevissimo istante, in un moto che sembra del tutto incontrollabile, solleva il viso in alto, spalanca gli occhi che scintillano pericolosamente, inspira profondamente e socchiude le labbra. Sembra che un inarrestabile fiume di parole stia per erompere da quella bocca, ma ne esce invece solo un breve sibilo che frusta l’aria.
Severus Piton serra di nuovo le labbra, i denti che stridono alla pressione delle mascelle, e stringe con forza i pugni sotto il mantello, fino a far sbiancare le nocche.
Solo un fugace istante, mentre il Giudice inspira a fondo prima di terminare la lettura della sentenza, alzando ancora un poco la voce:
- Severus Piton ha lucidamente, volontariamente e freddamente ucciso, tramite la Maledizione Senza Perdono dell’Avada Kedavra, il grande mago Albus Silente e questo Tribunale lo condanna, senza appello, al Bacio dei Dissennatori!
Un boato travolge la sala e tutti si volgono verso di lui, il traditore assassino che, sporco e lacero, ma dignitosamente ritto in piedi, non batte ciglio, mentre la sua sorte è definitivamente segnata e regge con fiero orgoglio lo sguardo di chiunque.
I suoi occhi neri scintillano, ora, e c’è uno strano sorriso sul suo viso pallidissimo: guarda fisso in alto, lontano, e sembra quasi felice.
 
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