Il Calderone di Severus

Ida59 - Oscurità e silenzio, Genere: angst, introspettivo, sentimentale - Personaggi: Severus, Personaggio originale - Pairing: Severus/Personaggio originale - Epoca: 7° anno - Avvertimenti: AU

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view post Posted on 21/10/2017, 14:05
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I ♥ Severus


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Da un dolce sogno d'amore!

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Oscurità e silenzio



Autore/data: Ida59 – 13-20 febbraio 2014
Beta-reader: nessuno
Tipologia: song-fic
Rating: per tutti
Genere: angst, introspettivo, sentimentale
Personaggi: Severus, Personaggio originale.
Pairing: Severus/Personaggio originale
Epoca: 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Oscurità e silenzio, colpe e rimorsi, sofferenza e sacrificio. E quando il respiro manca…
Parole/pagine: 1753 (senza la canzone) / 5
Nota: Storia scritta per l’iniziativa “A ritmo di musica”, nell’ambito della Severus House Cup del Forum “Il Calderone di Severus”.
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. Il personaggio originale, ove presente, i luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

Beethoven: Fidelio – Atto II – scena prima


FLORESTAN

Gott! welch’ Dunkel hier! O grauenvolle Stille!
Öd’ ist es um mich her: Nichts lebet außer mir.
O schwere Prüfung! Doch gerecht ist Gottes Wille!
Ich murre nicht: das Maß der Leiden steht bei dir.

In des Lebens Frühlingstagen
ist das Glück von mir gefloh’n;
Wahrheit wagt’ ich kühn zu sagen,
und die Ketten sind mein Lohn.
Willig duld’ ich alle Schmerzen,
ende schmählich meine Bahn;
süßer Trost in meinem Herzen:
meine Pflicht hab’ ich getan!

Und spür’ ich nicht linde, sanft säuselnde Luft?
und ist nicht mein Grab mir erhellet?
Ich seh’, wie ein Engel im rosigen Duft
sich tröstend zur Seite mir stellet,
– ein Engel, Leonoren, der Gattin so gleich,
der führt mich zur Freiheit in’s himmlische Reich.


FLORESTAN

O Dio! Quale oscurità in questo luogo! Quale orribile silenzio!
Tutto è desolato intorno a me; oltre a me null'altro vive.
O severa prova! Ma la volontà di Dio è giusta.
Non mormoro! La misura delle sofferenze sta presso di te!

Nella primavera della vita
la felicità è volata lontana da me!
Osai dire con coraggio la verità,
e le catene sono la mia ricompensa.
Docilmente sopporto ogni dolore,
finisco miseramente il mio cammino;
dolce conforto nel mio cuore:
ho fatto il mio dovere.

Forse non sento un'aria soave che sussurra dolcemente?
E non si illumina la mia tomba?
Vedo come un angelo in rosea fragranza
posarsi consolatore al mio fianco,
un angelo così simile a Leonore, la mia sposa
che mi guida alla libertà nel regno dei cieli.




NOTE
Ho usato l’intera canzone salvo il verso "Osai dire con coraggio la verità" che ho alterato completamente nel significato legandolo invece alla scelta sbagliata di Severus di diventare Mangiamorte.
La volontà di Dio è invece diventata la volontà stessa di Severus.
Leonore è la donna che Severus ama e che ha invece dovuto lasciare per compiere il proprio dovere, mentre avrebbe solo voluto sposarla e vivere il suo amore per sempre con lei.


Link a youtube: www.youtube.com/embed/q407GBv3wjY




Oscurità e silenzio



 
O Dio! Quale oscurità in questo luogo! Quale orribile silenzio!
Tutto è desolato intorno a me; oltre a me null'altro vive.
O severa prova! Ma la volontà di Dio è giusta.
Non mormoro! La misura delle sofferenze sta presso di te!

L'oscurità era scesa come un velo pesante davanti ai suoi occhi neri ancora spalancati che, però, non distinguevano più nulla attorno a lui, la sua essenza vitale quasi del tutto disciolta nel lago di sangue - il suo sangue, questa volta! - in cui era immerso, disteso scomposto sul pavimento polveroso della Stamberga Strillante come una marionetta cui fossero stati tranciati tutti i fili.
Non vedeva più le squallide pareti intorno a sé, né le finestre inchiavardate dalle assi di legno che rendevano ancora più tetra l'oscurità; quell’oscurità che era dentro ai suoi occhi, ormai quasi spenti e ciechi alla vita che lo stava abbandonando goccia a goccia, insieme al suo sangue che sentiva fluire a fiotti caldi, sempre più deboli, dalla gola squarciata dalle zanne avvelenate di Nagini.
Stava lentamente morendo dissanguato, pienamente consapevole di ciò che gli stava accadendo, dopo aver adempiuto fino in fondo all’ultima missione che Albus gli aveva affidato: aveva rivelato tutto al ragazzo, al figlio di Lily, a quegli occhi verdi che un tempo aveva tanto amato e senza i quali aveva pensato di non poter vivere.
Invece aveva vissuto, fin troppo a lungo, e aveva compiuto il suo dovere fino in fondo, alla penosa ricerca della redenzione da quella sua folle scelta sbagliata e da tutti i crimini che aveva commesso dopo.
Non aveva più fiato per sospirare amaramente, ma lo avrebbe fatto, se solo avesse potuto. Un lungo sospiro amaro e rassegnato, carico di rimorsi e rimpianti. E tanta sofferenza, tutta quella della sua esistenza.
E avrebbe anche ironicamente sorriso, se gli fosse stato possibile, mentre il sangue continuava ad uscire, più lento ora che anche i battiti del suo cuore mano a mano rallentavano nella spossatezza della morte che si avvicinava in punta di piedi, quasi come un’amante che volesse sorprenderlo nell’alcova.
In fin dei conti riteneva che morire dissanguato fosse il giusto contrappasso dopo aver avuto per troppo tempo le proprie mani macchiate di sangue innocente. Sangue contro sangue, il suo contro tutto quello che aveva versato, che aveva visto versare, che non era riuscito ad impedire che fosse versato…
Ma non era solo l’oscurità che lo circondava.
C’era anche quell’orribile silenzio che pesava come un macigno su di lui, soffocandolo, ricordandogli che, di nuovo, era solo.
Solo,come sempre era stato in tutta la sua vita.
Solo,dopo aver perso Lily.
Solo,dopo aver ucciso Albus.
Solo,dopo aver perso anche lei, quel meraviglioso raggio di luce che per pochi mesi aveva squarciato oscurità e silenzio facendogli conoscere l’amore e la felicità che non credeva di potere meritare, anche lui.
I ragazzi se n’erano andati credendolo morto: aveva sentito le loro voci allontanarsi e poi lentamente spegnersi lungo il cunicolo che dalla Stamberga Strillante tornava al castello.
Ma il mago non era morto.
No, non ancora.
Non c’era alcuna traccia di vita intorno a lui, nell’opprimente oscurità della sua cecità, nell’assordante silenzio del sempre più lento fluire della sua esistenza che goccia dopo goccia se ne andava. Lasciandolo solo. Solo con se stesso e con i suoi pensieri.
Non era morto.
Anche se avrebbe già dovuto esserlo.
Aveva perso conoscenza, ma poi si era incredibilmente risvegliato, con quel lancinante dolore alla gola che gli impediva di respirare, che lo torturava a fondo, che lo straziava come la più crudele delle Cruciatus dell’Oscuro Signore, del padrone che da tanti anni non era più tale.
Quel falso idolo della sua gioventù, che ancora una volta aveva saputo ingannare fino in fondo tacendogli di non essere lui il padrone della Bacchetta di Sambuco. Così si era lasciato quasi uccidere, rimanendo in silenzio, l'unica sua preoccupazione non aver parlato con il ragazzo per rivelargli il segreto che Albus esigeva fosse tenuto in serbo fino all'ultimo istante.
Era stato disposto a morire inutilmente? Senza nemmeno combattere? Senza vendicarsi della serpe maledetta che aveva avvelenato e distrutto sua vita?
No, Severus non lo credeva.
Serbare il segreto sulla bacchetta era importante quasi come rivelare a Harry il vero significato della profezia; lasciare all'Oscuro Signore la falsa illusione di essere invincibile grazie ad una bacchetta che, invece, non gli apparteneva e non gli avrebbe dimostrato alcuna lealtà al momento cruciale, significava fare la differenza e concedere al ragazzo la possibilità di vincere l'ultimo, decisivo duello.
Inoltre, il suo silenzio aveva risparmiato la vita a Draco, il ragazzo cui un anno prima aveva salvato l'anima dannando la propria con quelle orribili parole di morte lanciate per obbedire al più tremendo degli ordini mai ricevuti. L'Oscuro non sapeva che Potter avesse disarmato il giovane Malfoy; adesso era il ragazzo sopravvissuto l'unico, vero padrone della bacchetta che aveva rubato profanando in modo ignobile la Tomba Bianca.
Non aveva potuto fare nulla per impedirglielo: era dovuto rimanere là, lontano e non visto, ad osservare impotente l'amico, il padre, violato anche nella pace della morte. Aveva stretto i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi e si era morso a sangue le labbra per soffocare l'urlo di dolore del suo cuore straziato; ed era rimasto immobile, un'altra severa prova da sostenere dopo quella insopportabile dell'assassinio dell'amico.
Ma era giusto così: le colpe commesse in gioventù esigevano ora quel prezzo tremendo alla ricerca di un'espiazione forse impossibile, inseguendo la redenzione che gli avrebbe infine permesso di vivere. L’atroce sofferenza di tutta la sua esistenza ripagava quella che aveva crudelmente inflitto in gioventù e tutta quella che, dopo il suo ravvedimento, non era riuscito ad impedire.

Nella primavera della vita
la felicità è volata lontana da me!
[Osai dire con coraggio la verità][1]
e le catene sono la mia ricompensa.
Docilmente sopporto ogni dolore,
finisco miseramente il mio cammino;
dolce conforto nel mio cuore:
ho fatto il mio dovere.

Il suo sangue adesso colava più lento e denso dallo squarcio nella gola, ma sempre bruciante, straziando a fondo ogni fibra del suo corpo che ne era progressivamente inaridita. Con un estenuante sforzo, con un’energia che non credeva più di avere, sollevò a fatica la mano e tastó piano la ferita. La sua esistenza stava scivolando via piano tra le sue dita sottili, così come era volata via la sua felicità, uccisa dalle sue avventate parole quando ancora era giovane e cercava spasmodico il potere della conoscenza per vendicarsi di tutti i torti che la vita gli aveva fatto. Ed alla fine, era proprio la vita che, implacabile, si vendicava di lui.
Aveva abdicato la sua umanità a quell’agghiacciante potere, credendo di potercela fare e di uscire indenne e vincente dall’abisso in cui era volontariamente sprofondato; aveva chiuso gli occhi davanti all’orrore della morte e della tortura lasciandosi guidare dal richiamo bruciante di quel Marchio che gli perforava la carne e gli dannava l’anima.
Si era incatenato all’Inferno, lasciando poi che la sua povera anima ridotta a brandelli ardesse per tutto il resto della sua esistenza nell’inesauribile rogo delle sue colpe, alimentato dalle fiamme roventi dei suoi rimorsi. Aveva sopportato con indomabile coraggio tutto quello straziante tormento, continuando sull’impervio cammino della sua redenzione, ogni giorno compiendo con coraggio il proprio dovere ed offrendo senza esitazione alcuna la sua vita, proprio come aveva fatto poco prima davanti a Voldemort, restando in silenzio, senza dire le poche parole che potevano salvarlo ma avrebbero invece condannato i due ragazzi.
Era stato disposto a morire miseramente in silenzio, come sempre aveva vissuto, e in totale sopitudine, nella stessa oscurità che lo aveva sempre circondato da quando aveva proteso il suo braccio, ancora candido d’innocenza, per farlo marchiare dalla macchia indelebile della colpa.
Aveva compiuto il suo dovere, fino all’ultimo. Aveva ucciso il suo unico amico. Aveva rinunciato all’amore ed alla felicità. Aveva ingannato ancora l’orrida serpe che gli aveva rubato l’innocenza e il futuro. Aveva obbedito all’ultimo ordine di Albus rivelando i ricordi della vita che non aveva mai vissuto.
Adesso non aveva più alcun motivo per vivere.
Se solo non ci fosse stata anche lei… l’angelo del perdono e dell’amore.
Era per lei che non voleva morire.
Era per lei che aveva combattuto fino all’ultimo.
Era per lei che aveva cercato di proteggere la propria vita.[2]
Era per regalarle un futuro che aveva mentito ancora una volta all’Oscuro Signore.
Era per rivederla ancora che aveva bevuto quel filtro potente, che solo la sua maestria di pozionista sapeva distillare.
Era per il suo amore che ancora rimaneva strettamente aggrappato alla vita…

Forse non sento un'aria soave che sussurra dolcemente?
E non si illumina la mia tomba?
Vedo come un angelo in rosea fragranza
posarsi consolatore al mio fianco,
un angelo così simile a Leonore, la mia sposa
che mi guida alla libertà nel regno dei cieli.

All’improvviso, nella silenziosa oscurità che lo avvolgeva, gli sembrò quasi di udire la voce del suo adorato angelo che sussurrava piano il suo nome severo rendendolo dolce come solo lei sapeva fare: con amore lo chiamava, insistente, impedendogli di allontanarsi da quell’esistenza terrena che tanto dolore gli aveva procurato.
Era come se i suoi occhi neri sbarrati nel nulla di nuovo vedessero, come se l’oscurità si ritraesse al pensiero del suo amore meraviglioso e la luce illuminasse quella lurida Stamberga in cui già tanti anni prima aveva rischiato di morire per lo stupido scherzo di un ragazzo cui la vita non aveva mai concesso di diventare uomo per davvero.
Gli sembrava di vederla, bellissima al suo fianco, gli occhi di cielo che gli sorridevano promettendogli il futuro per il quale con tanta abnegazione aveva combattuto. Gli pareva quasi di percepire il suo profumo intenso e inebriante, essenza di lei che rimaneva a lungo sulla sua pelle dopo averla amata con ardente passione. Voleva illudersi di avvertire il tocco delicato delle sue mani morbide e calde sfiorargli la pelle e respingere il gelo della morte che stava vincendo la resistenza del suo corpo.
Sì, era il suo angelo stupendo, la donna che l’aveva amato e gli aveva insegnato ad amare, la donna che aveva perdonato ogni sua colpa convincendolo che anche lui aveva il diritto di essere felice. La donna che amava immensamente, ma alla quale aveva dovuto rinunciare per compiere il proprio dovere e proseguire fino in fondo al suo crudo cammino di tormento e redenzione.
Era lei, ora, che veniva a liberarlo, a condurlo oltre la sofferenza: sentiva le sue dita fresche accarezzargli lo squarcio nel collo e spegnere quel tremendo rogo che gli bruciava il respiro.
Udiva la sua voce, sempre più bella, e limpida, e vicina. E il suo volto, radioso di luce, vicino al proprio, il respiro fresco che gli sfiorava le labbra sottili e gli regalava l’aria che gli mancava, riempiendo di nuovo del soffio vitale i suoi poveri polmoni che ne erano quasi privi.
Stremato, il mago chiuse infine gli occhi neri, mortalmente stanchi, il cuore che a fatica batteva ancora un ultimo colpo, alimentato da un amore che non voleva rassegnarsi a morire.
- Severus!
Il nome del mago risuonò nell’aria, colmo d’amore, e le braccia dell’amore lo strinsero forte, strappandolo all’oscurità della morte, guidandolo ad una nuova luce che ancora non conosceva.
 
 



[1] Il verso "Osai dire con coraggio la verità" è completamente alterato nel suo significato che diventa invece il riferimento alla sua scelta sbagliata di diventare Mangiamorte.
[2] Ringrazio Monica (Kijoka) per questo prezioso suggerimento tratto dalla sua fiction “Il libro della vita”.
 
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