Il Calderone di Severus

L'affascinante e misterioso giardino di Severus!

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Alaide
view post Posted on 28/9/2016, 12:56 by: Alaide
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Eccomi con il primo capitolo.
Come noterete c'è un forte salto temporale. All'interno della storia, sarà presente la narrazione della costruzione del giardino, in alcuni interludi, che si inframmezzeranno nella linea temporale.


Capitolo I
Ruta graveolens [1]



Londra, San Mungo, 4 aprile 1999



Tutto sembrava ovattato, quasi stesse annegando.
O fosse immerso sotto una spessa coltre di coperte e cuscini.
Da qualche parte provenivano delle voci.
Da qualche altra l’aprirsi di una porta.
Gli parve quasi che qualcuno lo stesse chiamando.
Era quello forse l’anticamera della morte? A chiamarlo era forse il suo ultime giudice?
Avrebbe dovuto avere paura.
Ma non l’aveva. Forse nessun giudice sarebbe stato più severo di quanto non fosse lui stesso.
Oppure non gli importava.
E desiderava unicamente riposare.

***



Foresta di Brocelandia, Val sans retour, 4 aprile 1999



Erano anni che Aelwenn Quéméner non tornava nella Foresta di Brocelandia. Osservandola, mentre seguiva la strada che collegava le varie case del piccolo villaggio, le sembrava che non fosse cambiato nulla.
Eppure tutto era mutato.
O ad essere cambiata era unicamente lei.
Si rendeva conto, soltanto in quel momento, dopo anni, di quanto le fosse mancato quel luogo, che un tempo tanto aveva amato.
Ricordava perfettamente come si fosse divertita ad esplorarlo, insieme agli altri bambini, quand’era piccola.
Forse era per quello che aveva deciso di tornare nella casa dei suoi genitori. Desiderava che Riwal e Margaid potessero provare quelle stesse sensazioni.
Era sempre stata legata alla valle e, in quei momenti, si chiedeva come avesse potuto scordarsene.
Forse era semplicemente stata troppo presa dalla vita successiva alla nascita di Riwal prima e di Margaid poi. Eppure i suoi genitori avevano più volte accennato alla casa, rimasta vuota dopo la morte di zio Yannick.
Ricordò con un sorriso il primo anno di scuola magica.
Quando era andata a Beauxbatons, aveva atteso con gioia il momento in cui sarebbe ritornata a casa. Le era mancata la nonna che era solita raccontarle storie e leggende in bretone ed aveva temuto, per qualche strano motivo, di dimenticare la lingua dei suoi avi, stando lontana da loro.
Quando i suoi genitori si erano trasferiti a Parigi, all’inizio delle vacanze estive, dopo il suo primo anno di scuola, a causa del lavoro di suo padre, aveva sentito con forza nostalgia del luogo dove aveva sempre saputo di poter tornare. Le visite alla nonna, prima, e a zio Yannick, poi, non avevano mai potuto sostituire la sensazione di trovarsi a casa, che aveva provato durante la sua infanzia.
Poi si era sposata con Baptiste.
E le visite a zio Yannick si erano diradate.
E da quando il vecchio parente era morto, cinque anni prima, non vi aveva più fatto ritorno.
Forse era destino che le cose andassero in quel modo e che, alla fine, dovesse tornarvi quando tutto era precipitato in maniera brusca e inaspettata.
«Di chi è quella casa isolata?» domandò Riwal, indicando una dimora di pietra, isolata, poco discosta dalla strada principale.
«È la casa dei Le Du.»
Sapeva che era scorretto chiamarla in quel modo, ma in paese nessuno aveva mai pensato di riferirsi a quell’edificio come alla casa dello straniero.
Ricordava che se n’era discusso all’epoca, quando era giunta voce che Effie aveva un lontano cugino in Inghilterra e, alla fine, si era deciso di continuare a chiamare la dimora casa dei Le Du. Il ragionamento era stato semplice: il nuovo arrivato si sarebbe sentito il benvenuto in quel modo.
A dire il vero Aelwenn non sapeva come fossero finite le cose. Si era trasferita a Parigi il giorno prima dell’arrivo dell’uomo e non l’aveva visto che qualche volta di sfuggita, durante le visite alla nonna e allo zio.
«Sembra abbandonata.» commentò eccitata Margaid.
«Ed in effetti lo è, al momento.» intervenne una voce femminile alle loro spalle. «Sei la nipote di Yannick, giusto?»
Aelwenn annuì, sorridendo.
Non era la prima volta che si sentiva rivolgere quella domanda e non sarebbe nemmeno stata l’ultima. E la donna che le stava di fronte era una delle più care amiche di zio Yannick. La vecchia Gaëlle aveva sempre avuto un ottimo consiglio per lei, le volte in cui l’aveva vista.
«Siamo tutti in pensiero per lui. È quasi un anno che è in coma in quell’ospedale inglese.» le spiegò la donna, incamminandosi al suo fianco. «Sono certa che, se venisse qui, si rimetterebbe in un tempo ben minore. Ma forse non ti ricordi di lui. Avevi poco meno di dodici anni, quando sei andata a Parigi e poi sei venuta sempre più di rado. Magari non l’hai nemmeno mai visto, considerando che veniva in paese solo lo stretto necessario. Se solo avessi saputo cosa stava passando, avrei insistito maggiormente quella volta che l’ho invitato a bere una tazza di sidro. Sono certa che avrai letto di lui sui giornali. Si è fatto un gran parlare del coinvolgimento di Monsieur Piton nella guerra inglese.»
«Ma non abita in Inghilterra, Madame?» domandò Riwal, che aveva trascorso molto tempo a leggere Le Monde de la Magie, dopo quei fatti a cui non voleva pensare realmente. Gli era sembrato di certo preferibile saperne di più sulla guerra al di là della Manica, piuttosto che riflettere sulle ragioni di quanto era accaduto. «Sul giornale c’era scritto che la sua casa era stata distrutta, poco dopo la Battaglia di Hogwarts e l’ho trovato tremendo, considerando che è un eroe, quindi avrebbero dovuto custodirla con cura. Invece non hanno fatto nulla, nonostante Monsieur Piton non potesse fare nulla per proteggere le sue cose.»
«Credo che in Inghilterra non sappiano di questa casa.» commentò Gaëlle, mentre si fermava davanti all’uscio. «Nessuno è mai venuto a trovarlo da quando l’abbiamo visto arrivare per la prima volta. E sono certa che a Nolwenn non sarebbe sfuggita una cosa del genere.»
Aelwenn non commentò la notizia, ma notò una certa eccitazione nei ragazzi. Sapeva che Riwal aveva nutrito un forte interesse nel resoconto del dopo-guerra inglese ed era perfettamente cosciente del motivo. Era anche consapevole del fatto che il bambino – per quanto fosse certa che lui avrebbe odiato sentirsi chiamare così, considerando i suoi undici anni – si era interessato particolarmente alle vicende di Severus Piton. Ed anche Margaid aveva condiviso il medesimo interesse. Quanto a lei, era stata troppo impegnata a rimettere in sesto la sua vita per poter dedicare troppo tempo alla lettura dei giornali.
«Stiamo facendo del nostro meglio per tenere in ordine la casa.» continuò la donna più anziana. «Siamo tutti certi che tornerà e crediamo sia più che giusto che trovi ad attenderlo un luogo accogliente. Quello che ci preoccupa di più, al momento, è il giardino. Purtroppo Gwenole si è trasferito sulla costa, per poter portare avanti degli studi di Erbologia. Nolwenn sostiene che suo figlio è un genio nel campo.»
«Sono certa che lo sia. Era qualche anno avanti a me a scuola e tutti sapevano che aveva una dote per quella materia.» commentò Aelwenn, lanciando un’occhiata ai figli che stavano osservando la casa. «Se volete, Madame, posso dare una mano in giardino.»
Gaëlle le offrì uno dei suoi sorrisi materni, che dispensava a tutti i ragazzi del villaggio. Aelwenn non sapeva nemmeno perché avesse fatto quell’offerta. Forse si trattava unicamente del poter riprendere a fare qualcosa che aveva sempre amato e che avrebbe voluto rifinire, una volta terminata la scuola. Ma si era innamorata di Baptiste e la gravidanza, quando aveva da poco compiuto vent'anni, l’aveva portata verso altri interessi ed al suo attuale lavoro.

***


Foresta di Brocelandia, Val sans retour, 10 giugno 1999



«Che fiore è, mamma?» domandò Margaid, indicando degli arbusti dai piccoli fiori gialli.
«Ruta.» rispose la donna, avvicinandosi alla figlia, insieme a Riwal, con cui aveva tolto le erbacce intorno a della belladonna, in un’altra zona di quella parte del giardino.
La prima volta che l’aveva visto, era rimasta stupita da quanto assomigliasse ad un giardino medievale. Poi aveva osservato con attenzione le piante di due, delle quattro sezioni in cui era suddiviso, e non era le sembrato così casuale. Entrambe erano dei giardini dei semplici, colmi di piante medicinali o con proprietà utili per svariate pozioni. Anche le altre due parti del giardino le erano parse basate sul modo in cui si strutturavano i giardini nel medioevo: una più utilitaria era seminata con ortaggi e piante di uso domestico, l’altra appariva concepita per il piacere dei sensi, per quanto le piante presenti le sembrassero alquanto particolari per una tale scelta.
«È bella.» commentò Margaid, osservando con attenzione i piccoli fiori gialli, su cui si era posata un’ape.
Quel luogo le piaceva, si disse la bambina, mentre si alzava in piedi, imitando la mamma e il fratello. Era un luogo decisamente pacifico, ricolmo di bellissimi fiori e di piante che la mamma aveva detto essere utili per diversi scopi.
Quando fossero tornati a casa, avrebbe preso il libro che la mamma aveva illustrato, con disegni di piante e fiori presenti sia nel mondo Babbano che in quello magico, per capire a cosa potesse servire la ruta.
In quel momento le dispiaceva unicamente doversene andare. V’erano momenti in cui si chiedeva cosa sarebbe accaduto quando Monsieur Piton sarebbe tornato a casa, ma Riwal le aveva detto di aver letto che nell’ospedale magico inglese stavano pensando a trasferirlo da qualche altra parte, perché credevano che non vi fossero più speranze.
Margaid era certa che i giornali stessero raccontando una bugia.
O almeno lo sperava.
Da quel che le aveva detto Riwal, con quel suo fare da grande che alle volte la faceva arrabbiare – in fin dei conti aveva unicamente quattro anni in meno di lui –, Severus Piton si meritava di tornare nel suo giardino a vedere i suoi fuori e a poterli curare. La bambina era certa che gli avrebbe fatto bene, come lo stava facendo alla mamma che sembrava sorridere molto più di frequente da quando avevano lasciato Parigi per la Bretagna.
«E può essere molto utile, se utilizzata nella giusta maniera.» le spiegò Aelwenn. «Oppure può diventare un potente veleno. Però rimane un bel fiore.»
La donna non disse nulla circa il suo significato.
V’era stato un tempo in cui si era interessata al linguaggio nascosto nei fiori, ma gli anni erano trascorsi e soltanto alcuni di questi le erano rimasti impressi. La ruta era simbolo di rimpianto e ricordava che si era chiesta, durante il seminario di studi dove aveva conosciuto Baptiste, se quel significato fosse dovuto alla natura velenosa della pianta. Non era specificato di che rimpianto si trattasse, ma le era parso che potesse essere il rimpianto per la vita che si era tolta con il veleno.
Aelwenn scacciò rapidamente quel pensiero dalla mente, mentre osservava Margaid che lavorava con cura intorno agli arbusti, liberandoli dalle erbacce che si erano sviluppate durante i mesi di abbandono. Da quel poco che aveva letto sui giornali e dalle molte parole che le aveva rivolto Riwal circa la guerra in Inghilterra, sperava che il proprietario della casa non fosse a conoscenza del significato della ruta.
Eppure pareva esserci un che di ripetitivo se si osservava il significato dei fiori – almeno quelli che ricordava –, perché tutti parevano parlare di sentimenti dolorosi. Lanciò uno sguardo alla sezione di giardino che si trovava alla sua sinistra, appena oltre il vialetto che le separava.
Era quella che, in una costruzione medievale, avrebbe dovuto essere rivolta al piacere dei sensi, ma quello che vi lesse fu essenzialmente senso di colpa e pena.

***



Inghilterra, un ospedale Babbano, 19 luglio 1999



Da qualche parte si sentivano delle voci. Non riusciva a comprendere da dove provenissero.
Semplicemente esistevano.
Una di queste, una voce femminile, diceva di tanto in tanto il suo nome.
Ed un’altra voce, maschile, rispondeva.
Non riusciva a distinguere molte altre parole, ma gli sembrava che il tono della donna fosse particolarmente irritato. Anche il suo interlocutore pareva non essere affatto contento, dato che continuava a ripete la parola ingiustizia.
Improvvisamente gli parve di udire l’aprirsi di una porta, accompagnata da una voce sussurrata.
Poi le due voci tornarono a parlare tra di loro.
Soltanto in quel momento riconobbe una di loro, anche se per qualche istante la sua presenza lo disorientò.
Non riuscì a capire se fu l’aver compreso che quella donne fosse Minerva, a renderlo improvvisamente cosciente della realtà.
Ma tutto iniziò a sembrargli più chiaro e tangibile, decisamente meno soffocato e lontano delle altre volte in cui aveva avvertito delle voci, come in lontananza.
Sentì il letto su cui era coricato.
E sentì il dolore nel punto in cui Nagini lo aveva morso.
E comprese di essere ancora vivo.
Forse fu quell’improvvisa consapevolezza a farlo agire.
Oppure voleva unicamente essere certo che quella non fosse una qualche tortura, giunta come giusta punizione delle sue azioni.
Forse non importava, si disse, mentre apriva lentamente gli occhi.



[1] Si tratta del nome scientifico della ruta comune

Edited by Alaide - 8/2/2018, 14:15
 
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