Il Calderone di Severus

Severus Ikari (Aprile)

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Ania DarkRed
view post Posted on 13/3/2014, 23:54 by: Ania DarkRed
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Dalle nebbie della Valacchia

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CITAZIONE (Ida59 @ 13/3/2014, 22:42) 
Finisco la mia storia (spero entro sabato) e poi leggo subito il tuo capitolo così ti so dire.

Non ti preoccupare, in tutta tranquillità, prima pensa alla tua storia ;)

Io intanto inserisco il secondo capitolo perché da qui si cambia un pochetto, come dire, "stile"?! Bah.



Capitolo 2



C'è il sole ad illuminare le vetrate di quella casa, ad illuminare il suo viso che sorride ad un punto lontano che fai fatica a scorgere, a delle sagome indistinte che non conosci e che ti sembrano appartenere ad un mondo così distante e diverso dal tuo.
Senti il suo sorriso come se fosse il tuo, come se ti appartenesse, ma all'improvviso tutto si fa nebbia e l'immagine che hai davanti agli occhi sbiadisce fino a scomparire.
Adesso vedi la pioggia, vedi due persone strette l'una nell'altra che ridono e si muovono creando cerchi, felici come se l'acqua non li sfiorasse; senti le loro voci e ne riconosci una, quella stessa risata che spesso hai sentito tra le altre, colorate dei loro stessi colori.
Vedi un anello scintillare sulla mano dell'uomo, una fede nuziale oseresti dire, e stringi lo sguardo per osservare meglio, ma sulle dita di lei non vedi nient'altro che pelle e carne, nient'altro che una spada con un rubino sull'elsa, sulla quale si stringono due dragoni argentati.
E senti il dolore, senti il dolore e la felicità che danzano insieme, allegri, che lottano e combattono in una battaglia eterna che non avrà mai fine e lo sai, sai perfettamente cosa si prova.
Sai che c'è un velo sottile che ti separa da lei e dal suo ricordo, da tutto ciò che è stata e da tutte le immagini che ti fanno male nel petto e potresti urlare a quei coltelli che ti si piantano sul cuore ogni volta che il suo viso si fa nitido davanti ai tuoi occhi e la osservi morente su un pavimento.
Poi, però, senti il suono di un'altalena, quel cigolio che ti pregava ogni volta di eliminare e tu sempre ti rifiutavi con una scusa diversa, perché in fondo ti piaceva quel rumore, ti piaceva perché quando lo sentivi, sapevi che lei c'era e ti aspettava.
Alla fine arrivò solamente il vento a muovere quelle catene, e quel cigolio si fece sofferenza.
Ed è lo stesso suono stridulo che senti nei pensieri di quella giovane donna al ricordo di quel volto in cui un po' di grigio sporcava il nero dei capelli e gli occhi erano di un blu intenso come il mare che guardi ogni giorno protetto da quell'abbraccio di marmo dove le ombre si confondono l'un l'altra.
Tutto svanisce di nuovo e senti due cuori battere veloci e vuoi uscire da quella testa, da quelle immagini così personali che non vorresti vedere, ma una mano ti trattiene e sai che quella è fuori dalla tua mente, senti la stretta reale su quelle dita che ancora tengono la bacchetta.
Vedi una strana veste, nero che si confonde col rosso, e quello stesso stemma che c'era sull'anello che lei portava al dito, quel piccolo insignificante oggetto che lei non voleva e che come un enorme peso era costretta a portare giorno dopo giorno, mentre sulla mano sinistra desiderava qualcos'altro.
Ritorna la pioggia e con essa le lacrime che scendono veloci e poi lente, e poi ancora veloci, come catene che ti ancorano a terra, ti legano alla disperazione che non puoi non sentire tua quando ti sembra per un attimo di tornare in quella casa dove ormai dimorava soltanto il respiro della morte.
Me l'avevano ucciso. Mio padre l'aveva ucciso perché si era innamorato di me ed era sposato.
Ed io non avevo più niente. Avevo il vuoto dentro di me.

E tutto così irreale quello che stai vedendo, e non capisci il motivo che l'ha spinta a mostrarti tutto quello, a mostrarti la sua vita, e lasceresti stare se solo non sentissi la pressione della sua mano sulla tua.
Le immagini scorrono una dopo l'altra e come il tempo passano senza sosta mentre quella sagoma immobile all'angolo di una stanza rimane al buio, a piangere per ore senza nemmeno avere la forza di alzarsi da terra o uscire da quella casa che ormai non è più sua, e anche se vuole andarsene lontano, il terrore è completamente padrone del suo corpo, e osservi ogni sua prova che finisce nel nulla, nel ricordo di un corpo senza vita.
Nella paura che la blocca tra quelle mura che non le appartengono più.
Poi è venuta la rabbia.
E con quella la paura è sparita.

Vedi le risate isteriche di un cuore vuoto, di un'anima disciolta in un veleno di malvagità e odio che cade dalle sue mani in incantesimi mortali.
E ti ritrovi in lei, ti ritrovi soggetto di quei quadri oscuri come un fantasma entrato nel suo corpo posseduto da una vita che non era la sua.
Dopo anni in cui le mie mani erano nient'altro che sangue, ho scoperto che non era morto, mio padre non lo aveva ucciso, ma me lo aveva fatto credere perché gli servivo, come dire... “assassina” è la parola giusta.
E lì mi è crollato nuovamente tutto il mondo addosso.
Non sapevo quale sorte gli fosse toccata, non sapevo che ne fosse stato di lui, probabilmente nemmeno si ricordava di me e non ha mai cercato di ritrovarmi.
Ero una persona buona e altruista, poi mi sono ritrovata ad essere niente.
Il vuoto è cresciuto e mi ha divorata, mi ha trascinata all'inferno.
E una piccola stanza nascosta da qualche parte in Europa si è trasformata nel mio tutto, nel mio guscio protettivo dal quale, nuovamente, non riuscivo ad uscire.

E di nuovo guardi ogni cosa, attentamente, come se stessi lì tu stesso, un invisibile e silenzioso osservatore che non poteva fare nient'altro che osservare e rimanere muto.
Ogni giorno osservavo la mia bacchetta e pensavo al modo migliore per farla finita, poi, però, per un motivo o per l'altro lasciavo perdere, forse semplicemente ero troppo codarda per farlo.
Sgrani gli occhi e lo vedi, vedi il suo volere e sai che è reale.
Sai che è un desiderio che l'ha afferrata davvero, e quante volte tu stesso avevi chiesto e sperato che la tua vita finisse, che il dolore cessasse e le tue colpe in un attimo sparissero come un incantesimo che cancella ogni minima traccia di qualsiasi cosa.
Avresti voluto che il destino si fosse preso te, inutile pezzo di legno, invece che le persone cui volevi bene e che si erano avvicinate troppo al mostro che eri; lo desideravi con forza, ma avevi quel dannato dovere da portare a termine.
I tuoi maledetti compiti.
E invece la sorte aveva deciso altro per te: ti eri salvato, eri rinato e adesso vivevi tra quelle donne che dicevano di amarti e che sembravano aver perdonato e cancellato ogni azione bieca che avevi commesso.
Forse potevi davvero essere finalmente felice.
Poi ho sentito una voce.
Un nome.

Forse c'era davvero speranza per te.
Sapevo chi fossi e la tua storia è giunta a me, il tuo passato colmo di luci e ombre.
Ed è stato questo a farmi alzare pian piano da terra.
Sono stati i tuoi occhi a farmi aprire le finestre alla vita.
Il tuo cuore e la tua anima a farmi spalancare la porta di casa e posare quei passi sul prato illuminato dal sole come se fossero i primi della mia vita.

Vorresti chiudere gli occhi, ma non ci riesci, non riesci a non guardare tutto il bello nascosto in quelle immagini e dentro di te senti che non può essere per merito di uno come te se lei è tornata a vivere e a sorridere.
Semplicemente non può essere.
Hai svegliato il sonno in cui era caduta la mia esistenza.
Non riesci a crederci, vero?
Perché ancora non credi a queste donne e ai loro sentimenti verso di te, al quel perdono che meriti sopra ogni cosa?
Così sono tornata ad essere una donna dedita alla bontà e all'altruismo, cercando di espiare anche solo in minima parte ciò che ho fatto, ma l'ho fatto con gioia, anche se questo mi è costato parecchie delusioni.
E te le mostra tutte, una dietro l'altra, ma non c'è dolore in lei, c'è una profonda tenerezza che diventa anche la tua in modo del tutto imprevedibile.
E senti che quelle delusioni sono ormai siepi da scavalcare che la rendono più forte, più padrona della sua vita e del suo essere, anche se osservi ancora molti ostacoli sul suo cammino, ancora molte ombre.
“Beh... ci sto lavorando”, ti ricordi quelle parole che ti ha detto appena pochi minuti prima e le sue labbra che si erano piegate all'insù.
Ho visto la speranza nei suoi occhi, l'abbiamo vista tutte noi.
Come una piuma leggera si è posata sui nostri volti, per questo ognuna di noi è legata a lei.
Per questo la amiamo.

Ognuna a suo modo, certo, ma pur sempre una forma d'amore.
Non lo vedi, ma senti il suo sorriso scaldarti l'anima, il sorriso di tutte loro: colori diversi di uno stesso tessuto.
E se c'è stata speranza per me, dopo quello che ho fatto e ciò che sono stata, allora di sicuro c'è anche per lei.
Scuoti la testa perdendo il contatto per un attimo, mentre la brezza si è fatta più insistente, ma Stasja ti afferra di nuovo le dita, con decisione, non con la delicatezza con la quale solitamente si prende cura delle tue mani, e ti stringe, in una muta richiesta di continuare a guardare.
E tu, silenzioso, continui ad osservare.

Edited by Ida59 - 1/12/2015, 22:10
 
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