Il Calderone di Severus

Severus Ikari (Aprile)

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Ania DarkRed
view post Posted on 13/3/2014, 21:50 by: Ania DarkRed
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Dalle nebbie della Valacchia

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Abbiate un po' di pietà, è una storia strana, il mio modo semplice di vedere il Tempio e ciò che è, l'idea mi è venuta spolverando (il che è tutto dire XD) quindi è polverosa, dovrebbe essere un modo per mostrare al Signore del Tempio cos'è per noi e che cosa ha creato e che deve finalmente lasciarsi andare alla vita perché c'è speranza per tutti :D
Se c'è qualcosa che non va con la mia visione di voi vestali (soprattutto alcune) ditemelo pure che sistemo ;)
Se trovate errori non è un problema, devo ancora sistemarli come si deve, ma mi serviva prima sapere se possono andare.



Capitolo 1



Sotto una grossa luna che colorava d’argento la superficie del mare, una piuma graffiava una pergamena sporcata d’inchiostro, un rumore sgraziato che spezzava l’armonia della natura e il leggero chiacchiericcio di alcune donne poco lontane; la giovane strega che teneva la piuma sbuffava ripetutamente, aumentando il suo stesso fastidio.
«Posso disturbarti?» La sua voce era velluto.
La sua voce era una piuma che si posava leggiadra su un pezzo di carta e con dolcezza vergava parole eleganti, parole che come musica sarebbero arrivate agli angoli del mondo, nel cuore delle persone.
La giovane dagli scuri capelli, annuì e sorrise, mentre la lunga veste di un rosso cupo si muoveva appena, spostata dalla leggera brezza che veniva dal mare scintillante per quella luce che ne sfumava l’oscurità.
«Cosa scrivi?» le chiese in un sussurro.
«Provo a lasciarmi andare alla poesia.»
«Ed è difficile?» continuò il mago mentre fissava i suoi occhi neri alle pergamene già scritte che giacevano ai suoi piedi, spostate un poco dal lieve vento che accarezzava la lunga scalinata di marmo.
«La poesia no. Lo è scrivere con questa… questa cosa!» e lo sentì ridere appena, al buio e alla luna mentre le altre donne con i loro molteplici colori si voltarono incuriosite: non per la risata spontanea del mago alla quale ormai erano tutte abituate e tutte artefici per un motivo o per l’altro; ma per vedere quale fosse la ragione di quella gioia improvvisa poiché durante la cena erano stati entrambi silenziosi, persi nei loro pensieri, come spesso gli capitava di essere.
«Ilya ha provato ad insegnarmi ad usarla, ma rimango una frana. Una frana coperta d’inchiostro! E lei, invece, ci riesce benissimo!» voltarono entrambi lo sguardo verso la donna anch’essa vestita di rosso che si era sentita quell'improvviso brivido lungo la schiena di quando si è nominati da qualcuno.
Anche se in quel momento la voce della ragazza era talmente alta che sarebbe stato difficile non accorgersene.
«Nel mio paese usavamo direttamente la bacchetta per scrivere e la mia famiglia non mi ha mai incoraggiata a sporcarmi le mani. Su certe cose.» un lungo sospiro interruppe le sue parole, mentre il mago continuava ad osservarla con curiosità.
Quella stessa curiosità che lo assaliva ogni volta che vedeva tutte loro camminare una di fianco all’altra a passi nudi per le stanze del Tempio, loro così diverse sotto tanti aspetti, eppure spesso gli sembravano una sola persona che procedeva in una lenta processione.
Più volte gli avevano ripetuto che era lui stesso ciò che le accomunava tutte, non c’erano età, paesi, interessi e vissuti che tenevano di fronte ai suoi occhi di tenebra.
E continuavano a ripeterglielo perché lui sembrava non voler credere alle loro parole: era del tutto impossibile che una qualsiasi persona sana di mente avesse potuto provare affetto nei suoi confronti e aprirgli tutto il suo perdono e tutta la sua comprensione.
“E allora siamo tutte pazze!” gli aveva urlato quella stessa giovane donna seduta accanto a lui. “L’affetto e l’amore sono pur sempre una forma di pazzia, no?” aveva aggiunto come fossero le più semplici della parole, con quel suo sorriso sereno al quale era seguito il sorriso di ognuna di loro, diverso ma così simile nel profondo.
«È meglio se la poso, prima che la rompo. Ed è un regalo e non voglio romperlo» parlò mentre si alzava dal bianco gradino del Tempio, volgendo lo sguardo a quel mare che spesso l’aveva portata lontana nel tempo, lì dove c’erano i suoi ricordi e i suoi sentimenti più profondi.
«Tu perché sei qui?» le domandò all’improvviso interrompendo i suoi pensieri che sapeva le avrebbero di nuovo fatto male da un momento all’altro; scosse la testa e inspirò a fondò l’aroma salmastro del mare e tornò a guardarlo, a guardare quegli occhi che inconsapevolmente l’avevano strappata dalle tenebre in cui era caduta lei stessa, da quel buio che l’aveva inghiottita facendole tremare il cuore al solo volger la mente.
«Perché mi sono aggrappata a lei.» Faceva sempre fatica a parlare di se stessa, di ciò che era stata la sua vita; forse, là dentro, erano poche le persone che potevano affermare di conoscerla perfettamente, e si voltò appena ad osservare il volto sereno e felice di Ki che conversava con le altre; poteva dire con assoluta certezza che una di loro la conoscesse meglio di quanto potesse conoscersi essa stessa, e si perse nella risata cristallina di Kendra e nei suoi capelli turchesi sfumati del blu profondo del mare.
«Perché nella sua forza ho cercato di trovare la mia.»
«Cercato?» la interrogò ancora, curioso. Era sempre curioso quando si trattava della vita di quelle donne prima che giungessero lì solamente per lui, ma non era perché voleva impicciarsi, voleva soltanto sapere chi erano al di là dei loro veli colorati e dei passi silenziosi tra la fredda pietra.
Loro sembravano sapere ogni cosa di lui, ogni sfaccettatura del suo essere, e a lui sembrava quantomeno equo conoscere qualcosa di loro, sempre se fossero ben disposte a parlarne personalmente, non le avrebbe mai forzate a fare qualcosa contro la loro volontà.
E non sarebbe nemmeno entrato nella loro mente per sondarne ogni angolo buio, seppure sarebbe stato così semplice per lui.
«Beh… ci sto lavorando» e gli sorrise serenamente sfregandosi la nuca come se fosse una bambina appena beccata a rubare dei biscotti da uno scaffale della cucina.
«Io non sono un bell’esempio da cui prendere ispirazione» parlò ad un tratto, guardando una ad una quelle donne così diverse per età e per aspetto, guardando quelle donne che lo amavano senza porre alcuna condizione, che si prendevano cura di lui e che sembravano aver cancellato ogni oscura traccia del suo passato.
Lui, però, sapeva che era ancora lì, sotto quel Marchio ormai sbiadito, c’erano diverse e molteplici macchie che gli sporcavano l’anima stessa, e le sentiva, le sentiva giorno dopo giorno e notte dopo notte, e anche se quelle donne facevano di tutto per portare i suoi pensieri altrove, sapeva che loro erano lì.
E non poteva di certo biasimare quelle sensazioni perché erano solamente ciò che meritava, patimenti che avrebbe dovuto sopportare in eterno, anche se, doveva ammetterlo, era difficile non lasciarsi contagiare dalla loro serenità e dai loro volti felici che spesso lo facevano sorridere.
«Non è vero!» ma il mago aveva abbassato il volto, sospirando rassegnato a quella verità che cercavano di infondergli, alla quale non credeva affatto. «Ci osservi. Osservi ognuna di noi ed entri nelle nostre menti, se vuole, e vedrà quella realtà che ancora si ostina a non volersi imprimere nella sua, di mente. Sa che non le mentiremmo mai, nessuna di noi lo farebbe.»
«Voi siete molto gentili con me, ma io ho ucciso, persone sono morte per colpa mia, e questo non è proprio un modello da seguire.»
«Le sue sono state scelte sbagliate e azioni compiute perché non poteva fare altrimenti. L'intera esistenza di ogni persona è costellata da errori, io potrei fare dei trattati, ma questo non significa che lei sia una persona malvagia da evitare e che non può essere amata.»
Stasja gli sorrise, di nuovo, e mentre lo guardava con sguardo dolce colmo d'affetto, tornò a sedersi sugli scalini del Tempio, in quello stesso punto dove si era fermata a scrivere alla luce della luna che imponente la osservava, osservava tutti loro illuminando i loro sguardi dei molteplici colori che avevano addosso.
«Perché sei venuta qui, con loro?» ancora quella curiosità, quella voglia di conoscere quelle donne che lo stavano spingendo fuori dall'oscurità passo dopo passo – se mai fosse stato possibile. «Probabilmente non sono affari miei, quindi se non ne vuoi parlare va bene lo stesso.»
La giovane strega per un attimo fissò il mare poco distante, come se tra le sue acque potesse trovare le risposte che cercava, come se in quel profondo nero sporcato d'argento avesse potuto trovare il coraggio per dirgli quello che aveva chiesto.
La sua voce era sempre una piuma leggera, una delicata carezza che dissipava la più densa delle oscurità, e sorrise la strega mentre lo osservava appena, e sorrise ancora e ancora, amaramente e dolcemente.
«Non sono venuta qui con loro. Mi ero smarrita in quel bosco dove sono finita non so come, spinta da una forza che non conoscevo e da una voce. Da un nome. Mi sono persa e mi sono ritrovata qui.» La serenità sul suo volto scemò pian piano, come un vecchio maglione di lana impigliato ad un pezzo di legno rotto, che si sfilacciava pezzo dopo pezzo, centimetri che si perdevano sul terreno coperto di fango.
«Se vuole può vedere lei stesso. »
Gli stava davvero dando il permesso di entrarle nella mente? Di scoprire tutto ciò che si celava nella sua anima?
Si fidava di lui fino a quel punto?
“Osservi ognuna di noi ed entri nelle nostre menti, se vuole”, gli aveva detto poco prima: davvero avevano così tanta fiducia in lui? Nel mago che aveva ucciso e le cui mani erano sporche di sangue?
«Avanti, io sono qui e non mi muovo.»
«Però non darmi del “lei” che mi fai sentire vecchio e imbarazzato per tanta cortesia che mi riservate.»
A Stasja venne da ridere per quelle parole, e ad un tratto le si figurò il suo volto appena sfumato da un lieve rossore, e un sorriso ampio continuò a piegarle le labbra, mentre il mago la guardava con un misto di curiosità e contrarietà.
Poi, però, si fece di nuovo seria e
rimase immobile a guardarlo mentre lui entrava silenzioso e delicato come una bianca piuma nel suo io più profondo e intimo, per guardare ciò che tanto desiderava mostrargli.
Le labbra di Stasja si piegarono verso la luna quando la bacchetta si mosse leggera.

Edited by Severus Ikari - 31/3/2014, 19:21
 
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