Ringrazio, prima di postare il sorriso per questa settimana, tutte per i commenti (quando avrò tempo, ringrazierò come si deve). Devo anche mettermi in pari con la lettura delle altre storie, cosa che spero di fare entro la fine della settimana!
Detto questo, vi lascio alla lettura, sperando di non aver sparso qua e là dei francesismi.
Autore/data: Alaide – 23-24 gennaio 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: flash-fic
Rating: per tutti
Genere: Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto:
Emma si sedette adagio, stando attenta a non disturbare quel signore, che alcuni chiamavano l’inglese. Per lei era soltanto l’uomo che era comparso tre mesi prima in giardino e che da allora precedeva sempre lei e la mamma.Nota: E' la continuazione di
Lento maestosoParole: 515
Trio in sei movimenti
2. Poco Adagio
Quel giorno il vento non spazzava la costa normanna ed il giardino pareva più silenzioso e tranquillo del solito.
Severus sedeva solo, sull’usuale panchina, in un angolo in ombra, con un libro in mano. La donna e la bambina non si vedevano da nessuna parte.
V’era qualcosa di strano nella loro assenza, per quanto l’uomo non potesse dire di provare alcun reale interesse per loro. Erano diventate, piuttosto, un momento fisso delle giornate senza pioggia, un segno che in quella casa dalle pareti candide – di un candore che non apparteneva di certo alla sua anima – viveva qualcuno.
Qualcuno che, con ogni probabilità, meritava più di lui di vivere.
Quel pensiero era ben fisso nella sua mente, mentre leggeva il libro. Era un pensiero fisso, che risuonava accanto alle parole vergate in un inglese arcaico, medievale.
Il sole di metà aprile fece capolino tra le mura del sanatorio, illuminando le pareti chiare, i fili d’erba ed i timidi fiori.
Era una visione tranquilla e silenziosa, che aveva in sé qualcosa che poteva ricordare un adagio sussurrato da un violoncello in sordina.
Dei passi timidi, lenti, ruppero il silenzio.
I passi di una bambina sola.
Severus, per l’abitudine d’alzare il capo al rumore di qualcuno che si avvicinava, notò la bambina e la sua solitudine.
V’era qualcosa di insolito in quello perché la donna non lasciava mai sola la bambina. E la bambina non si allontanava mai dalla donna.
Emma era silenziosa e si muoveva lentamente, quasi avesse paura di disturbare quella quieta silenziosa. Si avvicinò all’uomo, che aveva riportato da tempo lo sguardo sul libro.
«Monsieur, potrei sedermi qui?» domandò rapidamente la bambina, parlando un inglese zoppicante dal marcato accento francese.
Severus alzò il capo di scatto e notò che la bambina gli aveva rivolto un sorriso timido, fin troppo tranquillo per qualcuno di così giovane. Un sorriso accennato, il sorriso di chi sta crescendo troppo in fretta.
L’uomo annuì soltanto, tornando subito dopo a leggere, senza osservare nuovamente la bambina.
Emma si sedette adagio, stando attenta a non disturbare quel signore, che alcuni chiamavano l’inglese. Per lei era soltanto l’uomo che era comparso tre mesi prima in giardino e che da allora precedeva sempre lei e la mamma.
Una figura misteriosa e rassicurante, al tempo stesso, rassicurante nel suo essere lì, sempre, prima del loro arrivo.
Si voltò per un attimo verso di lui, il sorriso timido ancora sulle labbra, quasi a volerlo ringraziare per averle permesso di sedere lì.
Severus avvertì lo sguardo della bambina, ma non si voltò.
Ed Emma non si aspettò che lo facesse.
In fondo le bastava che le avesse permesso di sedersi lì, dove si sentiva più al sicuro. Emma credeva che la presenza di quell’uomo l’avrebbe fatta stare tranquilla. Nella sua mente infantile si era fatta strada l’idea che fino a quando l’uomo fosse stato in quel giardino, la mamma sarebbe rimasta con lei.
Quindi sedersi lì, mentre la mamma stava male, faceva credere alla bambina che tutto sarebbe andato bene, che anche quella crisi si sarebbe risolta.
E fu per quello che sorrise nuovamente all’uomo.
Con fiducia.