Autore/data: Alaide. 23-24 gennaio 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-shot
Rating: per tutti
Genere: Introspettivo, drammatico
Personaggi: Severus, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7 anno
Avvertimenti: AU
Riassunto:
Gli parve per un istante che quelle persone stessero pagando il prezzo della sua sopravvivenza. Gli innocenti morivano e soffrivano ed egli, il colpevole, viveva, perdonato dalla giustizia, solo per trovare altre vittime sulla sua strada.Note: Le sei storie sono dei piccoli "quadri" il cui sfondo è nato durante l'ascolto del Trio per violino, violoncello e pianoforte n° 4 di Dvorak. Da qui i titoli dei vari capitoli e la costruzione su sei movimenti (che nell'opera musicale sono piuttosto delle sezioni, ma trio in sei sezioni suonava veramente male come titolo)
Parole: 710
Trio in sei movimenti
1. Lento maestoso
L’aria era immobile nel giardino, una piccola oasi verde, fra le spesse mura del sanatorio o, come la chiamavano i pochi Maghi di Fécamp, la Maison sur la Mer.
Ma del mare si sentiva solo il lamento ed il suo sbatacchiare continuo contro le scogliere di alabastro, sopra le quali, nascosta agli occhi Babbani, stava la casa.
Eppure v’era un che di maestoso nell’immobilità del giardino. Di tanto in tanto il vento, proveniente dall’Atlantico, smuoveva appena i fiori, testimoni di una scena usuale, solenne a suo modo.
Un uomo sedeva in disparte, intento a leggere un libro, dalle pagine antiche. Dall’altra parte del giardino una donna ed una bambina giocavano quietamente. Ogni giorno senza pioggia, l’uomo arrivava per primo e partiva per ultimo. Ogni giorno senza pioggia, la donna e la bambina gli passavano accanto. Gli occhi celesti della donna si posavano sull’uomo, per un istante, poi lo salutava appena con un cenno del capo.
V’era una calma maestosa in quei gesti quasi quotidiani, così abitudinari che, quel giorno d’aprile, la risata della bambina parve scuotere la quiete.
L’uomo alzò per poco tempo gli occhi dal libro, poi tornò a leggere, mentre il giardino cadeva ancora nel silenzio.
Severus Piton si era abituato da tempo alla presenza della donna e della bambina. Dalla prima volta che era uscito dalla sua stanza, dopo settimane di immobilità.
Per qualche strano scherzo del destino era sopravvissuto al morso di Nagini. Il suo corpo – e forse anche la sua anima – era rimasto ancorato alla vita, nonostante tutto il sangue che aveva perso. Ed il serpente aveva morso meno in profondità di quanto sembrasse.
O almeno così gli avevano detto.
Non che gli importasse veramente.
Non in quel momento, in cui la sua vita era vuota e senza scopo, né speranza, in quel sanatorio, silenzioso e colmo del dolore di chi non aveva futuro.
Con ogni probabilità quella bambina e quella donna erano vittime di un male incurabile.
Quanto a lui, un giorno, avrebbe lasciato quel luogo, dove l’avevano mandato dal San Mungo, perché potesse rimettersi del tutto nella quiete e nel riposo.
V’era un che di maledettamente ironico in tutto quello.
Egli, che aveva desiderato la morte, sarebbe uscito da quelle mura chiare, scosse dal vento. Altri sarebbero rimasti lì, per sempre, in preda al dolore, fino a quando la morte non li avrebbe rapiti troppo presto.
Un breve sorriso, appena abbozzato, colmo di amarezza – l’amarezza di chi era sopravvissuto al giorno in cui era certo di aver incontrato la morte – si disegnò per un istante sulle sue labbra.
Poi, quel sorriso si spense rapidamente, così com’era venuto. Chiunque l’avesse osservato non l’avrebbe notato.
Non lo notò la bambina che stava rincorrendo una farfalla, la quale, svolazzando, si era avvicinata all’uomo.
Allo stesso modo, Severus non notò la bambina, se non quando sentì la voce fioca della donna.
Sembrava quasi che qualcosa fosse giunto all’improvviso a rompere la solennità di quella quiete sbattuta dal vento. Mai, prima di quel giorno, Severus aveva udito la voce della donna. Mai, prima di allora, la bambina aveva riso o corso.
Alzò per un istante gli occhi dal libro ed incontrò quelli della donna che aveva raggiunto la bambina. Un sorriso di scuse, quasi che la donna, più giovane di quanto Severus avesse immaginato, volesse il suo perdono perché la bambina aveva rotto il silenzio solenne del giardino, attraversò per un istante il volto della giovane.
«Mi dispiace, mamma.» mormorò la bambina, prendendo la mano della donna.
«Lo so, Emma, e ti assicuro che non sono arrabbiata con te. Quella farfalla avrebbe attirato chiunque.»
Poi le voci tacquero ed il giardino tornò al silenzio, mentre madre e figlia si allontanavano lentamente. Severus rimase immobile, con il libro aperto sulle ginocchia.
E l’amara ironia della situazione tornò a presentarsi nella sua mente.
Gli parve per un istante che quelle persone stessero pagando il prezzo della sua sopravvivenza. Gli innocenti morivano e soffrivano ed egli, il colpevole, viveva, perdonato dalla giustizia, solo per trovare altre vittime sulla sua strada.
Erano pensieri privi di fondamento logico, lo sapeva, ma, mentre si alza a fatica in piedi, non poté far altro che lasciare che un sorriso colmo di amarezza si facesse strada, per un battito d’ali di una farfalla, sulle sue labbra.