Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Ania DarkRed
view post Posted on 15/11/2013, 17:55 by: Ania DarkRed
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Titolo: 8. Il regalo più importante
Autore/data: Severus_Ikari / febbraio 2013 (rivista in corso di pubblicazione)
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One shot
Rating: Per tutti
Genere: Commedia, Introspettivo
Personaggi: Severus Snape, Harry Potter, Minerva McGonagall
Pairing: Hermione/Severus
Epoca: 7 anni dopo la fine della II Guerra Magica
Avvertimenti: AU
Riassunto: “No, non sarebbe stato più il carnefice di nessuno, non sarebbe stato più colui che spandeva soltanto tristezza e dolore, no, Severus Snape voleva soltanto vivere e, perché no, voleva anche sorridere."
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.
La trama di questa storia è invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Nota 1: Questa è l'ottava storia di “Un anno per amare” (ricordo che prima si intitolava “È sufficiente un anno per innamorarsi?”) ed è il seguito di "Così, all'improvviso".
Parole/pagine: 2967/5



Un anno per amare

8. Il regalo più importante



26 agosto 2005



La mano scivolava lenta sul marmo bianco, percorrendo ogni singola crepa che sentiva sotto le dita, ma che non c’era, forse era soltanto dentro di sé che le sentiva, ne era pieno, colmo di squarci che ancora non smettevano di sanguinare.
Eppure quella mattina, quando Hermione lo aveva baciato così inaspettatamente, gli era parso che il sangue avesse smesso di scorrere da quelle ferite, ed era come se si fossero rimarginate pian piano, con quella stessa lentezza con cui la pallida mano avanzava su quella pietra così candida da accecare la vista.
Era strano trovarsi lì, in quel luogo solitario che, dopo tutto quel tempo, ancora amava e odiava, era la sua casa, gli aveva dato tutto, ma era riuscita anche a strappargli ogni cosa, o forse, semplicemente, era soltanto colpa sua e delle sue mani che avevano estirpato con forza ogni cosa bella gli fosse capitata.
Non era mai stato lì, neppure prima di finire in coma per sette lunghi anni, neppure quando si trovava a pochi passi e sarebbe bastato volgere lo sguardo su quelle pietre per osservare ciò che aveva fatto, il dolore che ancora si portava dentro.
Non aveva mai amato i compleanni, tantomeno festeggiarli, né i suoi né quelli degli altri, credeva che fosse una cosa ridicola festeggiare il tempo che inesorabile passava e ti staccava poco alla volta alla vita, anche se lui avrebbe voluto che il suo stelo fosse reciso dalla terra ben prima di quella notte alla Stamberga.
Eppure ancora era lì, a respirare a pieni polmoni quell’aria fresca d’agosto che veniva dal Lago poco distante, a compiere quei passi su una terra che lo aveva accolto per anni e aveva aspettato a lungo che la sua ombra tornasse a darle frescura.
Continuava a camminare intorno alla tomba, scrutandola a fondo come se fosse possibile vedere al suo interno, il volto sereno e sorridente di Dumbledore che giaceva lì; avrebbe pagato qualsiasi cosa pur di rivedere quel sorriso sulle labbra del vecchio preside, e invece i suoi ricordi erano tormentati da quel sorriso su quella Torre.
L’ultimo sorriso di chi vede la morte, di chi l’aspetta ormai da tempo, il sorriso con il quale lo aveva pregato di ucciderlo.
«Dannato vecchio pazzo!»
Il suo, però, era più un sussurro che un effettivo lamento di rabbia, ormai non era più il tempo della collera, dopo otto anni era del tutto inutile provare simili sentimenti, non avrebbero di certo cambiato le cose, Dumbledore sarebbe rimasto morto in quella bianca tomba, mentre lui avrebbe continuato a soffrire per ogni errore che aveva commesso.
Non è più tempo di pensare al passato, Severus. È ormai tempo di vivere pienamente la vita e costruirsi un futuro.
Non aveva portato niente con sé, un fiore, un piccolo stupido pensiero com’era consuetudine fare, come sempre si era presentato a mani vuote, quelle mani, che erano state a lungo ricoperte di sangue, adesso scorrevano lente sulla superficie della tomba.
Ripensò ad Hermione, allo sguardo di Minerva, ai volti felici di chi lo aveva visto di nuovo vivo, e l’unica cosa che si sentì di regalare al vecchio amico fu il suo sorriso, caldo e sincero come mai aveva fatto quand’era ancora in vita, silenzioso e nascosto dai lunghi capelli neri che fece scivolare ancora più a coprirgli il volto, perché quel gesto avrebbe dovuto essere soltanto per lui, soltanto per l’amico perduto.
Era strano per lui sorridere davanti alla tomba di Dumbledore, quel marmo bianco era il simbolo di tutto ciò che aveva sbagliato nella vita, di tutto il male che aveva fatto e di tutto il sangue che era scivolato sulle sue mani, pallide come quella pietra, che si confondevano ad ogni carezza che gli donava, profonda e lenta perché in cuor suo voleva che quel tocco arrivasse al corpo del vecchio preside, all’amico ucciso.
Voleva che sentisse tutto l’affetto che in vita non era mai stato in grado di dimostrargli.
Per un attimo gli ritornò alla mente quell’ultimo incubo che lo aveva riportato alla vita, le immagini di Dumbledore divorato da quel nero che veloce si espandeva dalla mano inghiottendo ogni brandello di pelle e ogni singolo pezzo di carne, ricordò sua madre e Lily e per un attimo si sentì di nuovo perso, come se ogni certezza si fosse fatta densa nebbia che un vento forte avrebbe spazzato via.
Poi, però, ricordò anche i loro sorrisi, quelle labbra felici che lo avevano guardato mentre pian piano si svegliava e riapriva nuovamente gli occhi al mondo.
Chi era lui per far soffrire tutti loro ancora una volta?
No, non sarebbe stato più il carnefice di nessuno, non sarebbe stato più colui che spandeva soltanto tristezza e dolore, no, Severus Snape voleva soltanto vivere e, perché no, voleva anche sorridere.
Sorridere a tutti coloro che gli avevano dimostrato affetto, a tutti coloro che gli volevano bene, sorridere a se stesso perché mai in vita sua si era concesso di farlo.
«Speravo di trovarla qui, professore.»
«Non ritengo che tale termine possa ancora essere accostato alla mia persona, signor Potter.»
«Harry.»
«Cosa?»
«Sono Harry, solo Harry, non sono un signore e da lei non merito affatto di essere chiamato tale.»
Severus si stupì di tali parole, anche perché non credeva di aver ben compreso il loro significato, o meglio, cosa il giovane Potter avesse voluto dirgli.
Harry camminò silenzioso intorno alla tomba come poco prima aveva fatto Snape e silenzioso la guardava mentre anche lui fece scorrere le dita sul liscio di quella pietra, come se quel tocco avrebbe potuto far tornare Dumbledore davanti ai suoi occhi.
«Non capisco cosa vuole dire.»
Harry si fermò lì, dove sotto la sua mano avrebbe dovuto esserci il volto di Albus e lo guardò per un attimo sorridendo prima di volgere nuovamente lo sguardo alla bianca tomba e riprendere a far scorrere le dita su di essa.
«Non merito tale rispetto da una persona che ho trattato come il peggiore dei criminali. Per me lei è stato per lungo tempo ben peggiore di Voldemort stesso, non ho mai cercato di capire, non volevo capire, sono stato uno stupido.»
«Si è comportato esattamente come tutti gli altri e non biasimo nessuno di voi per questo.»
«E invece dovrebbe, perché c’erano persone che la conoscevano da moltissimi anni e che hanno avuto sempre fiducia in lei, Dumbledore si è fidato di lei fino alla fine e si arrabbiava ogni volta che la mettevo in discussione con lui, quello avrebbe dovuto indurmi a fare delle domande, invece non l’ho mai fatto.»
«Harry… quella notte, su quella Torre, tu c’eri, mi hai visto levare la bacchetta contro Dumbledore e ucciderlo in un attimo, cosa pretendevi di pensare?»
Harry e Severus si guardarono negli occhi, nel profondo, come mai avevano fatto e, per la prima volta, Snape vide solamente il ragazzo in quello sguardo e di questo se ne stupì.
Non credevi sarebbe mai stato possibile, vero?
Anche il giovane mago era stupito di quel repentino cambio di tono nei suoi confronti, in realtà credeva che il suo ex professore non sarebbe mai stato capace di chiamarlo per nome, e invece adesso erano lì, entrambi con una mano sulla tomba di Dumbledore che li divideva, eppure li univa, profondamente, e con un’intensità che nessuno avrebbe mai potuto ritenere possibile.
«Era quello che tu dovevi pensare, che tutti dovevano pensare. Il mio compito era quello e dovevo portarlo avanti ad ogni costo e con ogni mezzo, ma non credere che mi sia piaciuto farlo, ho sofferto per ogni singola scelta sbagliata che ho fatto e le conseguenze per quelle scelte mi hanno portato soltanto dolore. Dolore e nient’altro, ma non meritavo che quello per tutto ciò che sono stato e per le mie azioni.»
Se Albus Dumbledore fosse stato lì, presente, a scrutarli entrambi, invece che dormiente in una tomba, avrebbe pensato che quelle parole e i due maghi che continuavano a toccare quella pietra come se avessero paura che potesse scomparire, fossero il miglior regalo che qualcuno avesse mai potuto fargli durante tutta la sua lunga vita.
«Non meritavo la comprensione e il perdono di nessuno.»
«Adesso la merita, però. Li merita entrambi» e Harry gli sorrise, un sorriso ampio che illuminò ancora di più quello sguardo di smeraldo in cui per anni si era perso e ne aveva sofferto, invece ora, non vedeva nient’altro che gli occhi verdi di Harry. Soltanto Harry.
Certo, il ricordo di Lily era ancora ben presente in lui come in quelle iridi, ma era soltanto una lieve carezza che ogni tanto sentiva sul viso, niente di più, e il suo cuore in quel momento seppe che avrebbe dovuto riporre quel ricordo in uno scrigno segreto, affinché fosse rimasto per sempre con lui, ma, nello stesso tempo, gli avrebbe permesso di vivere la sua vita, pienamente, e di cercare di trovare una felicità.
La felicità che quegli occhi e quel sorriso gli stavano mostrando fosse possibile.
«Sa che è nato il mio primogenito?» Harry continuava a sorridere e nel suo volto si poteva scorgere una felicità che scoppiava in mille fuochi alti e luminosi.
«E dovrebbe interessarmi?»
«Oh, sì, non è felice all’idea di avere un altro Potter tra i piedi?»
«Estasiato.»
In quel frangente e vedendo l’espressione di Snape, Harry non poté fare a meno di ridere, una risata fragorosa e indecente – come l’avrebbe definita Severus – che avrebbe risvegliato persino Dumbledore, se fosse mai stato possibile.
Lo vide piegarsi con le mani sullo stomaco e un sorriso mal trattenuto gli piegò le labbra.
«Mi raccomando, prosperi ancora e regali al mondo altri piccoli impertinenti e odiosi Potter alla scoperta – e distruzione – del mondo.»
«Veramente io pensavo di averlo salvato il mondo.» Sì, veramente impertinente e odioso.
«Certo, se tu e il tuo amico Weasley non aveste avuto il cervello di Hermione a disposizione, sareste finiti all’altro mondo ancora prima di prendere i G.U.F.O.»
«E lei?»
«Io cosa?»
«Se non ci fosse stato lei, sarei morto ben prima di concludere il mio primo anno.»
«Se non ci fossi stato io, adesso avresti una famiglia.»
Harry si avvicinò a quello che era stato il suo temuto insegnante di Pozioni e gli sorrise ancora una volta, sapeva a cosa si riferisse, ma non lo biasimava e non gli imputava alcuna colpa, semplicemente riteneva che fosse andata come doveva andare. Si stava ancora tormentando già abbastanza da solo per quello, che non aveva bisogno del suo odio e del suo rancore che, in ogni caso, ormai non provava più.
«Io ce l’ho una famiglia. Anche lei fa parte della mia famiglia. Lei ha sempre fatto parte della mia famiglia, solo che a quel tempo non lo sapevo. Lei c’è sempre stato per me, ha vegliato su di me come avrebbe fatto un padre.»
Severus poggiò la schiena sulla tomba, voleva sentire in qualche modo il sostegno di quell’amico ormai perduto, come se il marmo bianco che sentiva premergli sulla pelle, fosse proprio la stretta forte di Albus che lo teneva in piedi; guardò il cielo limpido sopra Hogwarts, quei raggi che scoppiavano in mille scintille dorate su quelle pietre candide, poi chiuse gli occhi e immaginò la mano di Dumbledore che delicata e vigorosa si posava sulla sua spalla, quel sorriso che sempre aveva saputo incoraggiarlo e spingerlo a non arrendersi mai, anche quando quell’espressione non faceva altro che irritarlo.
Eppure in un modo o nell’altro c’era sempre stato, gli bastava aprire la porta per trovare il suo sostegno e il suo sorriso, trovare un amico e un padre mai avuti, trovare l’uomo che aveva saputo renderlo migliore.
«Non ti conviene farmi entrare nella tua famiglia» e Snape riaprì gli occhi per guardarlo.
«Non venga a dirlo a me, dove si è mai sentito che uno studente e un insegnante che si odiavano, adesso diventano quasi padre e figlio? Per non parlare di quello che potrebbe fare ai miei figli una volta a Hogwarts,» Harry però rideva, rideva nuovamente a quel padre che non aveva mai avuto, a quel padre che era rimasto sempre nell’ombra eppure c’era sempre stato.
«È un’eventualità che non esiste minimamente. Primo perché non ho nessuna intenzione di fare da padre ad un Potter, secondo perché non ho nessuna intenzione di fare da insegnante ad un altro Potter e terzo: e se tu avessi a che fare con i miei, di figli?»
«Vorrebbe dei figli?»
Il giovane Potter camminò nuovamente intorno alla tomba, stavolta, però le sue mani erano strette intorno al petto e, sorridente, guardava Snape con molto interesse, chissà come sarebbe stato il suo vecchio insegnante alle prese con una moglie e dei figli.
Se fosse stata una donna come Ginny, col carattere di Snape, sarebbe finito divorziato o vedovo ancora prima di finire il trasloco, poi, però gli venne in mente Hermione e allora s’immaginò i due andare all’ospedale dove, messi in una stessa stanza, avrebbero finito per litigare anche lì.
Quella scena lo fece ridere così tanto che Snape lo fulminò con lo sguardo.
«Non lo so. Potrebbe essere. Non ci ho mai pensato.»
«Oh, wow, degli Snape per il mondo sarebbero un disastro, s’immagina dei Potter e degli Snape liberi di vagare? Una catastrofe!»
Harry e Severus erano uno accanto all’altro a scrutare l’azzurro di quel cielo che ad entrambi ricordò il colore degli occhi di Dumbledore, ormai chiusi da anni sotto quella pietra bianca. Stavano lì, con un passato doloroso alle spalle che li sorreggeva e li spingeva verso un futuro luminoso come la volta che stavano osservando, lucente come quel sole che splendeva sopra quell’angolo di mondo che per tutti e due era diventato casa.
«Sì, decisamente una catastrofe.» Immobili in quella posa che voleva cristallizzare quell’attimo per tutta una vita, un ricordo da farsi indelebile, sorrisero ognuno all’altro e sorrisero a loro stessi, a ciò che avevano e a ciò che avrebbero potuto avere.
«E comunque dovrebbe prima trovare la futura madre dei suoi figli, non crede?»
«E tu non credi che stai notevolmente andando oltre a quello che dovrebbe essere il nostro rapporto?»
«D’accordo, non è affar mio, ma, in quanto figlio, vorrei vedere mio padre felice. E sistemato.»
«Smettila.»
«Va bene, va bene, non m’intrometto più. C’è qualcuna che le interessa?»
C'era qualcuna che le interessava? No, a lui interessavano i libri e le pozioni, quei sentimenti erano tutt'altra cosa, andavano al di là del semplice interesse, erano qualcosa di più profondo, ma neppure lui sapeva definirli con esattezza.
In quel mese aveva pensato spesso a lei, a quel bacio rubato in un attimo, alcune volte la notte rimaneva sveglio nel suo letto e con le dita sfiorava le labbra, come se ancora, dopo tutto quel tempo, c'era rimasto qualcosa che gli ricordava il suo sapore, quell'essenza che avrebbe voluto assaporare ancora e ancora fino a non dimenticarsene più.
Un bacio soltanto non gli bastava più, avrebbe voluto consumare e consumarsi in un amore finalmente ricambiato.
E Lily?
Lily adesso era custodita in quello scrigno nel suo cuore, lì dove ci sarebbe sempre stata e dove sarebbe potuto andarla a guardare ogni volta che voleva, adesso, però era tempo di andare avanti, non aveva combattuto per niente, non era sfuggito alla morte per vedersi di nuovo incatenato, non si era svegliato dopo sette lunghi anni per rimettere a dormire quella vita che non aveva mai vissuto.
Lily sarebbe stata sempre in lui, ma era venuto il tempo di percorrere finalmente quella strada che sembrava il destino gli avesse spalancato.
«Dannati Grifondoro, perché non capite quand’è troppo?»
«Perché siamo dannati Grifondoro con sprezzo del pericolo,» rispose Harry alzando le spalle.
«Ho di nuovo la mia bacchetta, per tua informazione.»
«Io ho la mia. Ma se le faccio un graffio, il suo medico mi disintegra.»
«Quale medico? E comunque non riusciresti neppure a respirare.»
«Vogliamo provare?»
«Per Merlino, siete due bambini al Club dei Duellanti?» La voce di Minerva McGonagall l’avrebbero riconosciuta ad occhi chiusi, quella presenza così forte che negli anni non aveva mai fatto mancare a nessuno dei due il suo affetto e il suo sorriso che riusciva sempre a scaldare i loro cuori che avevano troppo a lungo sanguinato e sofferto. «Harry, Ron ti sta aspettando per portare a casa Ginny e il bambino.»
«Ok, vado subito, la ringrazio per avermi avvertito, professoressa McGonagall» e s’incamminò verso i confini di Hogwarts, dove avrebbe potuto Smaterializzarsi senza problemi, ma prima si voltò di nuovo verso Snape, «grazie per tutto ciò che ha fatto. Grazie… Severus» e, prima di sparire dalla loro visuale, gli sorrise.
Minerva guardò i suoi due ragazzi e capì, non c’era bisogno di dire nulla, lei aveva capito ogni cosa e non poteva che esserne felice, una felicità che le fece battere il cuore più forte e non riuscì a trattenere alcune lacrime di gioia, mentre regalava tutto il suo bene attraverso quel sorriso che le era nato spontaneo come quel pianto.
«Penso di essermi innamorato, Minerva. Non credevo fosse possibile una cosa del genere, ma è così, sono innamorato della vita e sono innamorato di una donna.»
Minerva McGonagall posò sulla tomba una mano dove le rughe scrivevano di una vita vissuta con coraggio e forza, con tutto l’amore che era stata in grado di provare, posò una mano sull’amico che non c’era più, mentre l’altra stringeva delicata la stoffa nera della veste di Snape.
Guardò il sepolcro che accoglieva Albus, guardò Severus finalmente felice che sorrideva a quel futuro che adesso vedeva così chiaro, limpido come il cielo che li osservava in silenzio.
«Vai da lei.» Lì, davanti alla tomba di Dumbledore, Minerva sorrise a Severus, alla sua vita ritrovata, alla sua gioia. Al suo futuro.
Sì, quello era decisamente il migliore dei regali che Severus Snape avrebbe potuto fare ad Albus Dumbledore e, da lassù, anche il vecchio preside se n'era accorto e gli stava sorridendo grato per quel dono.

Edited by Severus Ikari - 9/2/2014, 22:01
 
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