Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Alaide
view post Posted on 6/11/2013, 12:00 by: Alaide
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Autore/data: Alaide – 4 – 12 settembre 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: La speranza invase il cuore di Melusine. Sapeva che Severus avrebbe rivelato fra pochi giorni che si trovava in carcere, ma sapeva anche che Judith non l’avrebbe mai odiato. Ne era sempre stata certa, ma in quel momento, di fronte al sorriso affettuoso che illuminava il volto della bambina, mentre rileggeva quello che aveva scritto, quella certezza aumentava ed immaginava un futuro in cui la bambina e l’uomo potessero essere uniti, come padre e figlia, come meritavano entrambi.
Nota: La storia è il continuo di Disvelamento.
So che al raduno avevo detto che in questo capitolo sarebbe avvenuto un fatto eclatante, ma ho dovuto rinviarne una parte al capitolo 21, proprio quella che conteneva il suddetto fatto.
Parole: 1670

Sinfonie.
20. Sinfonia in mi minore op. 2 n°5
Quarto movimento. Lettere


16 aprile 2004
Cara Judith,
spero che, nel leggere questa lettera, potrai perdonarmi. So che ti sentirai tradita, ma non ho potuto fare a meno di mentirti.
Il luogo in cui mi trovo non è adatto ad un bambino. Non so se ti sia vietato entrare, ma non vorrei mai che tu vedessi la stanza dove vivo dal giorno in cui ti ho lasciata.
Ho compiuto una scelta, poco prima che iniziassimo a scriverci, che mi ha portato lontana da te, per quanto sia più vicino di quel che ti ho fatto credere.
Sono un bugiardo, Judith, e forse non potrai mai perdonarmi per averti lasciata sola, quando più avevi bisogno di me.
Non puoi nemmeno immaginare quanto vorrei poterti vedere e poter parlare con te, ma non è possibile perché tu sei troppo innocente per poter venire nel luogo in cui mi trovo.
Ti prego di perdonarmi per aver convinto la signorina Fairchild a mentirti circa il luogo in cui mi trovo.
Se non potrai perdonarmi, non allontanarti da lei, perché se ti ha mentito, l’ha fatto unicamente a causa mia.
Con affetto,
Severus
Judith rilesse più volte la lettera dell’uomo, sotto lo sguardo attento di Melusine, che si trovava con lei nella stanza, dove di solito si esercitavano con il coro dell’orfanotrofio.
«Sai dove si trova? Dice che è in un luogo che è meglio che io non veda, ma non lo chiama mai per nome.» chiese infine la ragazzina, portando la sua attenzione sulla donna.
«Sì, lo so, ma non spetta a me dirti dove si trova Severus. Sono certa, però, che se glielo chiederai nella tua prossima lettera, sarà lui stesso a risponderti.» rispose la donna, con un lieve sorriso sulle labbra.
L’uomo aveva iniziato a svelare la verità alla bambina ed era certa che presto si sarebbe potuto rendere conto che Judith non l’avrebbe mai condannato. Forse, una volta che la ragazzina avesse compreso tutto, si sarebbe trovata una soluzione e Severus sarebbe stato scarcerato.
In quel momento avrebbe voluto poter completare le informazioni che l’uomo aveva dato a Judith, ma sapeva che non spettava a lei.
«Ma perché dice di avermi lasciata sola? Lui non mi ha mai lasciata sola. Mi ha dato tanti consigli ed ha risposto sempre alle mie lettere.» domandò Judith, la fronte leggermente corrugata.
Melusine avrebbe voluto che l’uomo fosse lì, per poter udire le parole della bambina. Forse allora avrebbe potuto comprendere pienamente che Judith l’avrebbe perdonato.
«Lo so. Per quanto tu non mi abbia parlato di tutte le lettere che Severus ti ha scritto, so che ti è stato vicino, per quanto ha potuto, nel migliore dei modi.» rispose Melusine. Era la semplice verità. Alle volte si era detta che senza le lettere dell’uomo, lei non sarebbe stata in grado di aiutare in maniera altrettanto efficace la bambina. «Vi sono casi in cui, però, quando si prova rimorso per una scelta compiuta, non si vede il bene che si è fatto.»
Avrebbe voluto aggiungere altro, ma non spettava a lei. Forse non aveva nemmeno dato la risposta migliore, ma ricordava quasi ogni parola di quello che Severus aveva scritto per rivelarle la verità su se stesso. Quanto era stato spietato, quasi volesse sottintendere che non v’era alcuna possibilità di perdono per lui.
Sorrise, come gli aveva sorriso nella cella pochi giorni prima, come se fosse stato davanti a lei. E pregò che quel sorriso potesse arrivare fino a lui, che, un giorno, potesse perdonarsi o, per lo meno, accettare il perdono altrui.
Aveva letto le parole che Severus aveva scritto e vi aveva pensato, una volta tornata all’orfanotrofio. La scoperta dell’esistenza della magia passava sempre in secondo piano. Quello che avrebbe voluto fare era andare nella cella dell’uomo e portargli il perdono che così tanto meritava, dargli il suo amore, per quanto avesse compreso – leggendo tra le righe di quello che aveva scritto l’uomo – che lui non l’avrebbe mai amata, perché il suo cuore era sempre appartenuto ad un’altra, a Lily.
«Però non capisco una cosa, Melusine. » disse Judith, dopo diversi minuti di silenzio. «Quello che non capisco è perché Severus pensi che io non possa perdonarlo. Quello che vorrei fare in questo momento è andare a trovarlo, soprattutto perché dice che si trova più vicino di quanto non mi abbia mai detto.»
Aveva riletto ancora una volta le parole di Severus. Non aveva capito, quale potesse essere questo luogo in cui lei non poteva andare, ma di una cosa era certa: amava l’uomo come un padre e nulla poteva cambiare la questione. Al di fuori dell’orfanotrofio e della scuola potevano esserci tanti luoghi brutti, luoghi da cui si poteva solo scrivere. Non riusciva ad immaginare quale potesse essere. L’unico che le era venuto in mente, era impensabile, perché Severus era buono, era l’uomo che le aveva salvato la vita e non poteva stare in prigione.
«Credi che possa scrivergli e chiamarlo padre?»
Melusine osservò il volto della bambina, un volto ancora infantile, ma con un’espressione matura, adulta quasi.
D’altronde l’infanzia di Judith era finita, quando quei due Mangiamorte avevano ucciso i suoi genitori. Non osava nemmeno immaginare a quello che sarebbe potuto accadere se Severus non fosse stato là, al modo orribile in cui quegli uomini avrebbe tolto la vita da una bambina che non aveva fatto loro nulla, così come nulla avevano fatto loro i suoi genitori.
«Sono certa che gli farebbe piacere.» disse Melusine, sorridendo, come se avesse davanti all’uomo, come se volesse dirgli con quel sorriso che Judith non aveva mai nemmeno pensato a fare qualcosa di diverso dal perdonarlo.
Ed il sorriso colmo d’affetto della donna era simile a quello che era apparso sul volto della bambina, mentre scriveva la sua risposta.
La speranza invase il cuore di Melusine. Sapeva che Severus avrebbe rivelato fra pochi giorni che si trovava in carcere, ma sapeva anche che Judith non l’avrebbe mai odiato. Ne era sempre stata certa, ma in quel momento, di fronte al sorriso affettuoso che illuminava il volto della bambina, mentre rileggeva quello che aveva scritto, quella certezza aumentava ed immaginava un futuro in cui la bambina e l’uomo potessero essere uniti, come padre e figlia, come meritavano entrambi.



19 aprile 2004
Caro Severus,
ho letto la tua lettera a lungo e più volte e non riesco a capire perché tu dica che non mi sei stato vicino. Se non fosse stato per i tuoi consigli, non sarei riuscita a non avere paura, quando sono a scuola, né ad aiutare Brian, quando gli altri bambini dicevano quelle cose orribili sui suoi genitori.
Tu mi sei stato vicinissimo e questo è quello che importa.
Non riesco ad immaginare dove tu ti possa trovare, ma sono certa che non sarà un problema. Magari potrò anche venire a trovarti. So che mi hai salvato la vita. E ti voglio tanto bene, come ad un padre. So che non sei il mio vero papà, ma è come se tu fossi il mio papà.
So che hai fatto tanto per me, anche se ti trovavi in un luogo brutto – perché un luogo dove non vuoi che io venga, deve essere brutto –, hai risposto a tutte le mie lettere.
Dimmi dove ti trovi, così Melusine mi potrà accompagnare e potrò stare un po’ con te.
Non riesco nemmeno a capire perché credi che io non possa perdonarti. Dopo tutto quello che hai fatto per me, non posso che continuare sempre a volerti bene.
Se mi hai mentito, come dici di aver fatto, sono certa che ci siano delle ragioni. Forse il luogo in cui ti trovi è veramente brutto e pericoloso. Spero solo che non sia troppo terribile, perché sei lì da solo e non è giusto.
Ti voglio bene,
Judith
Il sorriso della bambina emergeva come un raggio di luce dalla sua lettera.
Quando Severus aveva trovato la busta con sopra la grafia della signorina Fairchild, con la magra colazione che gli portavano e l’antidolorifico, aveva avuto timore d’aprirla.
Sapeva che Judith avrebbe risposto alla sua ultima lettera, dove, anche se non diceva ancora tutta la verità, iniziava a svelarle le sue menzogne. Era terrorizzato dall’idea di potervi trovar dentro la sua condanna, il suo odio.
Era consapevole che Melusine gli aveva ripetuto più volte che Judith l’avrebbe perdonato, che non avrebbe mai potuto odiarlo, ma non aveva mai voluto illudersi.
Invece, ogni singola parola della bambina, parole mature per una ragazzina di undici anni, era stato un raggio di luce, illuminato dal suo sorriso affettuoso, dal suo sorriso carico di perdono.
Non era arrabbiata con lui. Non lo odiava.
Al contrario, lo chiamava padre e ribadiva più volte che gli voleva bene, che amava lui, l’uomo che non era riuscito a salvare la vita ai suoi genitori, l’uomo che aveva tante morti sulla coscienza.
Severus sapeva che avrebbe dovuto compiere l’ultimo passo nella sua prossima lettera. Sapeva che avrebbe dovuto svelarle la verità, dirle che era in carcere, che si era denunciato perché non aveva visto nessuna altra possibilità allora, quando non il suo animo era troppo immerso nel senso di colpa, nella volontà di punirsi per non essere riuscito a salvare i genitori della bambina, per non essere riuscito a salvare altri innocenti durante la Guerra Magica, per aver ucciso Silente, per non essere riuscito ad impedire che gli studenti di Hogwarts patissero, sotto la sua presidenza.
La signorina Fairchild era a conoscenza di quante azioni terribili avesse commesso. Ne era a conoscenza e gli aveva sorriso.
Ed aveva pianto.
L’aveva, in un qualche modo, perdonato.
Judith gli offriva ancora una volta il suo sorriso.
Quel sorriso colmo d’affetto, il sorriso di una figlia.
Lo chiamava padre e forse, allora, non tutto era perduto. Sarebbe forse riuscita a perdonarlo anche quando avesse saputo fino a quanto era stato egoista, fino a che punto si fosse sbagliato.
E per un istante gli parve che fosse possibile sperare, che, forse, la pace, che aveva gettato al vento con la sua sciagurata scelta, non era perduta per sempre.
 
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