Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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pingui79
view post Posted on 3/2/2013, 11:01 by: pingui79

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Metto subito le mani avanti: ho il leggero terrore di aver fatto un piccolo scivolone nell'OOC nel finale. Secondo la mia personale visione di Severus non credo di esserci cascata. In ogni caso sono certa che, se ci sarà, mi verrà notificato senza indugio ed allora vedrò di modificarlo un po'. :)

***



Autore/data: pingui79 / 19 gennaio - 3 febbraio 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: one-shot
Rating: per tutti
Genere: introspettivo, triste
Personaggi: Severus Piton, Minerva McGranitt
Pairing: nessuno
Epoca: post 7 anno
Avvertimenti: What if
Riassunto: Un breve incontro accompagnato da luminosi raggi d'argento
Parole/pagine: 1497/4
Note: questa storia è divisa in due parti, ognuna dedicata al POV di uno dei due personaggi


Carezze di luna - prima parte



Penombra, profondo silenzio, fruscio di una veste color verde smeraldo e russare in lontananza di qualche ritratto. La notte fonda avvolgeva il castello e cullava nel sonno i suoi abitanti, dai sotterranei alle torri.
Tranne lei.
Si guardò attorno ancora una volta, fissando lo sguardo nel lungo corridoio, fin dove la vista riusciva ad arrivare penetrando nella semioscurità. Dalle alte finestre giungeva la luce argentata d’una falce di luna calante ed illuminava un leggero pulviscolo che volteggiava nell’aria con grazia ed armonia. Quella danza era uno spettacolo privato, solamente per lei.
E così anche il quinto piano era deserto, come i precedenti, ma in fin dei conti se lo aspettava. Quell’anno gli studenti erano proprio disciplinati, ne andava fiera.
Salì lentamente lungo la scalinata ed avvolse lo scialle un po’ più stretto, cercando di tenere saldo un nodo che non ne voleva sapere di assolvere al suo compito. Rabbrividì e trattenne a malapena uno sbuffo di disagio. L’inverno con i suoi gelidi spifferi riusciva ad infiltrarsi oltre le robuste mura di pietra di quel millenario castello, giungendo fino alle sue ossa non più giovani.
Ad una prima occhiata il sesto piano non sembrò diverso dagli altri. Avrebbe potuto anche lasciarlo inesplorato e ne fu davvero tentata, ma… no, decise di proseguire e percorrere qualche tratto di corridoio per essere del tutto certa. La vigilanza non era mai troppa: il buon vecchio Malocchio avrebbe approvato senza dubbio, pensò con un sorriso.
Il Frate Grasso sbucò da una porta, fluttuando silenzioso e leggiadro alle sue spalle. Sotto i raggi della luna la sua diafana essenza si tinse di madreperla, spiccando nel grigiore che il velo della notte aveva steso su ogni cosa. Non disse una parola. Lasciò che la strega continuasse il proprio giro e si diresse nella direzione opposta, tuffandosi poi oltre il muro e scomparendo in un batter di ciglia. Silenzio nel silenzio, lei non si accorse nemmeno di quella fugace presenza.
A corridoio inoltrato trattenne a stento uno sbadiglio, arrendendosi all’evidenza che non ci fosse anima viva nemmeno lì. Tanto meglio, il momento di andare a dormire si era fatto ancora più vicino ed avrebbe finalmente concluso quella giornata talmente funesta che sarebbe dovuta finire il prima possibile nel dimenticatoio. Cosa impossibile, purtroppo, non occorreva avere le doti di Sibilla per immaginare perfettamente le punzecchiature che sarebbero ben presto arrivate. Sospirò. Oltre l’ultima scalinata c’era una buona tazza di tè ad aspettarla ed un caldo letto che non vedeva l’ora di incontrare per un necessario sonno ristoratore. Ai dileggi avrebbe pensato l’indomani… anzi no, quel giorno stesso, visto che la mezzanotte era passata da una manciata di minuti.
Accelerò il passo, provando un senso di gioia quando si rese conto che la mèta era sempre più prossima. La stanchezza cominciava a pesarle anche sugli occhi.
Eppure non le impedì di sentire un fruscio sospetto. Era debole ma ben distinto ed avanzava sicuro verso di lei.
«Chi c’è?» domandò alzando la bacchetta, pronta a recitare una sonora ramanzina al malcapitato studente che si trovava fuori dai dormitori ben oltre il coprifuoco. E meno male che qualche attimo prima si era proclamata orgogliosa di quei ragazzi!
«Sono io.» la voce che le rispose era bassa ed inconfondibile.
Severus sbucò da dietro un’armatura, calmo e tranquillo, venendole incontro a grandi passi. Lo accompagnava l’immancabile volteggio elegante del nero mantello: lambito dai raggi di luna le sembrò ancora più sinuoso e vellutato.
Non represse un sospiro di sollievo, rilassandosi e sorridendo senza timore. Il braccio tornò lungo il fianco, lo scialle invece le scivolò lentamente dalla spalla destra, finendo per penzolarle scompostamente di lato.
Non ebbe la forza di rimetterlo a posto.
Non ci provò nemmeno.
Non in quel momento in cui un ricordo nemmeno troppo lontano la assalì senza che lei riuscisse a fermarne l’impeto, dopo che questo ebbe valicato la linea del passato per farsi nuovamente presente.
Fu come un’ondata di marea, dapprima lieve e tranquilla, piccola cosa da sembrare un nonnulla. Invece la sentì crescere e con essa il fragore, la vide avanzare spumeggiante e veloce verso gli scogli che, immobili, non poterono fare altro che subire la forza di quello schiaffo salato che s’abbatteva con violenza su di loro.
Lo scoglio era lei e magari lo fosse stata veramente quand’era il momento giusto per esserlo. Invece no, non aveva compreso. Non aveva creduto. Ed in quel frangente, quando il ricordo di una notte – di quella notte – era ritornato prepotente a ferirla e a farle sanguinare il cuore, non esitò a ripetersi ancora una volta “me lo merito”.
Aveva alzato la bacchetta contro l’uomo che le stava di fronte.
Contro l’uomo che li aveva sempre protetti tutti, insegnanti e studenti.
Contro colui che in silenzio e da solo aveva combattuto e sofferto.
Le labbra, che avrebbero dovuto offrirgli parole di conforto, si erano invece aperte all’insulto, lo avevano chiamato vigliacco, parola urlata al vento da una finestra rotta quanto il suo cuore spezzato da una fiducia calpestata.
Gli occhi, quei suoi occhi sempre severi, che avrebbero dovuto lanciargli occhiate di amicizia ed affetto, gli avevano offerto al contrario solo sguardi carichi d’odio e disgusto.
Cosa aveva saputo dargli, di buono, quando più ne aveva bisogno?
Fu riportata al presente da un tocco gentile che la fece sussultare e sgranare gli occhi.
Severus si era fatto più vicino e gentilmente le stava riavvolgendo lo scialle. La luce della luna illuminò le sue mani che, sapienti, seppero allacciare alla perfezione il nodo per tenerlo fermo.
Mani che avevano dovuto uccidere.
Mani che qualcuno avrebbe dovuto stringere per donargli affetto, calore ed amore.
«È tardi, Minerva.» La voce setosa del mago ruppe il silenzio. «Va’ a riposare, finisco io di controllare i corridoi.»
Qualche attimo prima avrebbe dato qualsiasi cosa pur di correre a dormire. Invece in quel momento non riuscì a fare altro che starsene immobile come una statua a fissare il Preside che continuava a guardarla dolcemente.
Con dolcezza, sì, non si stava sbagliando. Ogni istante in cui quell’uomo riusciva ad aprirsi al mondo senza riserve era da incorniciare.
Minerva declinò l’invito con un cenno del capo. Non voleva parlare, Severus avrebbe notato immediatamente la sua voce incrinata dal pianto.
«Lascia che ci pensi io.» Riprese pacato. « Le vecchie abitudini sono dure a morire.»
Il tono era leggero, quanto il tocco con cui la accompagnò per le scale fino al settimo piano. I raggi di luna che piovevano senza sosta dalle finestre illuminarono il cammino restante. L’imbarazzo e l’emozione non vollero andarsene, giocarono a tenerle il cuore in tumulto.
«E comunque…» la sua voce spezzò nuovamente il silenzio. C’era però qualcosa di diverso, ora, qualcosa che la strega conosceva fin troppo bene. Il sarcasmo pungente aleggiò nell’aria, rapido e guizzante. «Dubito che stanotte ci siano studenti fuori dai dormitori, Minerva. Gli unici che hanno ragione ad essere svegli sono i Serpeverde, ma poco fa erano ancora tutti nella loro Sala Comune a festeggiare. Quanto agli altri, forse dovresti consolarli per la sconfitta, non credi?»
Era a quel punto del dialogo che lei di solito si scostava con aria indignata e stizzita, vero?
Magari con una risposta a tono che avrebbe rispedito la battuta al mittente.
Aprì la bocca per ribattere, per non lasciare che il mago avesse l’ultima parola, per continuare quel motteggio scherzoso che andava avanti da anni.
Severus era giusto nel cono di luce soffusa dell’astro notturno. Aveva un’aria adorabilmente divertita e sorniona, molto più di quella di qualche ora prima, quando il Cercatore di Serpeverde aveva soffiato il Boccino da sotto il naso ai Grifondoro. Gli occhi, inondati da riflessi d’argento, gli brillavano di gioia innocente. Vividi e scuri oltre ogni immaginazione, spiccavano come nere perle lucenti sul viso dolcemente lambito dai raggi lunari.
Merlino, quell’uomo era vivo per puro miracolo e solo grazie ad una Fenice.
E quella sua frase sarcastica non era stata detta solo per irridere, no. Severus sapeva leggere l’animo umano come pochi, proprio come Albus. Aveva percepito il suo disagio, ne era certa. Le aveva offerto una consolazione, lui, a modo suo, distogliendola dagli altri pensieri che le avevano fatto piangere il cuore.
Lei non aveva saputo fare nemmeno quello, a suo tempo.
Al diavolo la sconfitta a Quidditich, al diavolo la loro abitudinaria schermaglia tra ripicche Grifondoro e sarcasmo Serpeverde.
Lui era lì, vivo e questo contava più di ogni altra cosa.
E vederne il piccolo sorriso ironico, senza alcuna nube ad offuscarlo, era un altrettanto miracolo.
Al diavolo anche il suo proverbiale spirito combattivo, almeno per quella notte.
Sorrise e pianse, Minerva, per quell’uomo a cui voleva bene come una madre, ma a cui non aveva saputo dare affetto quando era stato il momento più adatto.
Sorrise e pianse e gli argentati raggi lunari ne accarezzarono delicatamente lacrime e sorriso.
L’astro notturno proseguì il proprio giro nel cielo, osservando attraverso le finestre di un imponente castello un’anziana strega curvata dal pianto venire dolcemente abbracciata da un giovane mago dal nero mantello.

Edited by pingui79 - 15/2/2013, 21:54
 
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