Prima di cominciare a parlare di cosa sia un'aria in sé, è necessaria una premessa, che spero possa risultare piuttosto chiara.
L'opera, per molto tempo, è caratterizzata da quelli che vengono chiamati generalmente
numeri (o anche pezzi chiusi, ma numeri è il termine più esatto). I numeri determinato le varie "parti" in cui è divisa la partitura operistica. Sono grandi o piccole sezioni che si concludono in maniera più o meno netta. Sono numeri le arie, i duetti, i terzetti, i finali e le introduzioni. Di solito in partitura si trova la dicitura n°1. Introduzione, n°2. Aria.
Per fare un esempio
Il Trovatore di Verdi, con libretto di Cammarano si divide in questo modo (la parola parte è alle avolte utilizzata al posto di atto - ma in definitiva è la stessa cosa - e alle volte, come in questo caso, gli atti hanno un titolo):
Parte prima, il duello
n°1 Introduzione
n°2 Cavatina (Leonora)
n°3 Scena, romanza e terzetto (Leonora/Conte di Luna/Manrico)
Parte seconda, la gitana
n°4 Coro e canzone (Azucena)
n°5 Racconto (Azucena)
n°6 Scena e Duetto (Azucena/Manrico)
n°7 Aria (Conte di Luna)
n°8 Finale secondo
Parte terza, il figlio della zingara
n°9 Coro
n°10 Scena e Terzetto (Azucena/Conte di Luna/Ferrando)
n°11 Aria (Manrico)
Parte quarta, il supplizio
n°12 Scena ed Aria (Leonora)
n°13 Scena e Duetto (Leonora/Conte di Luna)
n°14 Finale Ultimo
Ogni numero indica, quindi, un momento drammaturgico ben delineato (di solito in un numero succede qualcosa a livello interiore o a livello di trama) ed ha una fine che risulta, fino ad un certo periodo storico, ben delineata e netta.
I numeri, però, non esistono dall'inizio dell'opera e, ad un certo punto, i confini tra un numero e l'altro si deteriorano, fino a quando il numero in sé non va a sparire.
L'opera seria barocca (quindi del XVII secolo pieno e della prima metà del XVIII secolo) non prevede pezzi d'assieme (se non nel finale dell'ultimo atto) e raramente duetti, ancora meno terzetti. Essenzialmente il pezzo chiuso per eccellenza è l'aria.
L'aria barocca si situa dopo una sezione in recitativo ed è nel recitativo che viene portata avanti l'azione, mentre l'aria, il più delle volte (ma ovviamente esistono delle eccezioni), si sofferma sull'affetto (sentimento) espresso da quel momento dal personaggio. Si parla espressamente per esempio di arie di furore, di aria del sonno (quando il personaggio canta addormentato), di arie in catene (quando il personaggio è in prigione ed è in preda alla più grande tristezza).
L'aria barocca è generalmente strutturata, secondo quella che viene chiamata
aria col da capo, presentando quindi una struttura A - B - A1 (in cui quell'uno indica che vi sono delle varianti su A, pur mantendo essenzialmente la stessa melodia).
La parte B può essere più o meno contrastante con la parte A.
Come aria col da capo vi propongo l'aria "Già risonar d'intorno" (Aria di Varo del III atto) da
Ezio di Georg Frederich Haendel, libretto di Pietro Metastasio, interpretata da Ildebrando D'Arcangelo (basso-baritono)
Ho messo in corsivo la parte A e A1 e in sottolineato la parte B. (nel libretto normalmente la parte A1 non la si trova scritta, ma per farvi chiarezza ho pensato di proporvela), con alla fine di ogni sezione il minutaggio, in modo tale che, quando ascolterete avrete più chiaro dove finisce ed inizia una sezione.
Già risonar d’intorno
Al Campidoglio io sento
Di cento voci e cento
Lo strepito guerrier. (2:15)
Che fo’? si vada
E sia stimolo all’alma mia
Il debito d’amico
Di suddito il dover. (3:03)
Già risonar d’intorno
Al Campidoglio io sento
Di cento voci e cento
Lo strepito guerrier. Parallelamente all'opera seria, si sviluppa l'opera buffa, nella quale compaiono in maniera sempre più forte pezzi d'insieme, duetti e terzetti ed ovviamente arie dalla struttura piuttosto libera e più fluida (tranne quando, riprendendo i modi dell'opera seria, non ci si voglia burlare di questa).
E' quindi dall'opera buffa che, verso la fine del XVII, i vari numeri passano in maniera sempre più netta verso l'opera seria che prende una struttura sempre più simile a quella che vi ho messa in apertura di lezione.
Anche l'aria si evolve, assumendo, con Rossini, una struttura che carattizzerà l'opera italiana (la struttura dell'air francese è, come vi accennerò più sotto diversa) fino al Verdi degli anni 60-70 del XIX secolo.
Questa struttura prevede una divisione più complessa, anche perché diverso è il ruolo che sta assumendo l'aria. Se, come detto, nell'opera barocca essa serve a definire un affetto, nell'opera preromantica e romantica (con tutti i momenti di transizione, di cui Rossini è emblema, del caso) diventa anche azione. In poche parole nell'aria incomincia ad accadere qualcosa, ad essere portata avanti la vicenda.
La struttura è così composta:
Tempo d'attacco (generalmente in recitativo. Viene definita la situazione di partenza)
Cantabile (il personaggio esprime i propri sentimenti circa la situazione di partenza e quello che pensa di fare)
Tempo di mezzo (interviene un elemento che condiziona l'agire del personaggio o una riflessione che conferma il suo agire)
Cabaletta (il personaggio prende una risoluzione. Che sia quella di partenza o un'altra opposta varia da momento a momento.
Come esempio vi propongo un'aria (Urna Fatale [Aria di Carlo di Vargas del III Atto]) da
La Forza del Destino di Giuseppe Verdi, libretto di Francesco Maria Piave, interpretata da Dimitri Hvorostovskij (baritono).
Il tempo d'attaco è sottolineato, il cantabile in corsivo, il tempo di mezzo in grassetto e la cabaletta normale.
Morir!... tremenda cosa!...
Sì intrepido, sì prode,
ei pur morrà!... Uom singolar costui!...
Tremò di Calatrava
al nome!... A lui palese
n'è forse il disonor?... Cielo!... Qual lampo!...
S'ei fosse il seduttore?...
Desso in mia mano... e vive!...
Se m'ingannassi?... Questa chiave il dica.
(apre convulso la valigia, e ne trae un plico suggellato; fa per aprirlo)
Ecco i fogli!... Che tento!
(s'arresta)
E la fé che giurai?... E questa vita
che debbo al suo valor?... Anch'io l'ho salvo!...
E s'ei fosse quell'Indo maledetto
che macchiò il sangue mio?...
(risoluto)
Il suggello si franga,
(sta per eseguire)
niun qui mi vede...
(s'arresta)
No?... Ben mi vegg'io.
(getta il plico, e se ne allontana con raccapriccio) (2:24)
Urna fatale del mio destino,
va', t'allontana, mi tenti invano;
l'onor a tergere qui venni, e insano
d'un'onta nuova no 'l brutterò.
Un giuro è sacro per l'uom d'onore;
que' fogli chiudano il lor mistero...
Disperso vada il mal pensiero
che all'atto indegno mi concitò. (5:20)
E s'altra prova rinvenire potessi?...
Vediam.
(torna a frugare nella valigia, e vi trova un astuccio)
Qui v'ha un ritratto...
(lo esamina)
Suggel non v'è... nulla ei ne disse...
nulla promisi... S'apra dunque...
(eseguisce)
Ciel! Leonora!... Don Alvaro è il ferito!...
(con esaltazione)
Ora egli viva... e di mia man poi muoia...
CHIRURGO
(si presenta lieto sulla porta della stanza)
Lieta novella, è salvo.
(rientra)
CARLO
Oh gioia! oh gioia! (6: 28)
Egli è salvo!... Gioia immensa
che m'inondi il cor, ti sento!
Potrò alfine il tradimento
sull'infame vendicar.
Leonora, ove t'ascondi?...
Di': seguisti tra le squadre
chi del sangue di tuo padre
ti fe' il volto rosseggiar?
Ah felice appien sarei
se potesse il brando mio
amendue d'Averno al dio
d'un sol colpo consacrar!