Il Calderone di Severus

Le donne di Roma

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pingui79
view post Posted on 25/10/2013, 20:30 by: pingui79

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Locusta l’avvelenatrice



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Lucusta (o Locusta), nata nella Gallia romana, passò alla storia come famosa avvelenatrice seriale, tanto che alcuni non esitano a definirla, erroneamente, la prima serial killer: in realtà forse il termine più adatto per lei è killer su commissione.

Di lei ci parlano gli storici Svetonio e Tacito, però c’è un “ma” che pesa: scrissero la sua biografia quando era già morta e non furono testimoni diretti dei fatti che narrano, ma semplici raccoglitori di notizie e talvolta… pettegolezzi, i quali – come si sa – passando di bocca in bocca spesso mutano la versione originaria dei fatti.

Il “si diceva”, quindi, è d’obbligo in alcuni episodi qui raccontati.

Locusta pare fosse originaria della Gallia, più precisamente delle campagne e dalla natura avrebbe appreso le molteplici proprietà di piante e fiori, tanto da imparare anche a confezionare, già da giovanissima, dei filtri mortali.

Di lei si narra che giunse schiava a Roma, ma che per la sua particolare dote di conoscere piante ed erbe – allora qualità molto apprezzata – saprà costruire la propria fortuna ed al tempo stesso la propria condanna. Non ci è dato sapere se poi essa fosse stata liberata o meno, ma siamo a conoscenza del fatto che possedesse un emporio sul Colle Palatino, quindi doveva sicuramente godere di una certa autonomia, cosa che fa ritenere che non avesse più su di sé il giogo della schiavitù.
Ma il velo che divide botanica, medicina e “stregoneria” è molto sottile. Pensare che fosse solo un’avvelenatrice significa sminuire l’indubbia enorme conoscenza che doveva possedere delle piante, giacché esse, specie se ridotte in polvere e mescolate ad altre sostanze, potevano facilmente divenire unguenti, profumi, filtri d’amore, oppure rimedi contro dolori vari. Non è difficile pensare, quindi, che la clientela della dama fosse non solo variegata, ma soprattutto molteplice.

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Del “prima” siamo poco a conoscenza.
È invece il “dopo” che ci dà maggiori notizie.
Quale “dopo”?
Ma l’incontro con la famiglia imperiale, ovviamente!

Tenetevi bene a mente questo nome: Agrippina.
A quanto pare si rivolse a Locusta per ottenere servigi e… veleni.

La storia non ufficiale ci narra che Locusta era stata imprigionata e aspettava di essere condannata a morte per uno dei suoi assassinii, quando Agrippina la salvò e le diede l'incarico che avrebbe cambiato la sua vita: uccidere l’imperatore Claudio.

Sul perché Agrippina, nipote ed al tempo stesso moglie di Claudio, volesse avvelenare il marito, rimando alla futura sezione di Storia che ben presto troverete su questi schermi. Però qualche anticipazione ve la possiamo fornire.
Agrippina era una donna colta, intelligente e molto, molto ambiziosa. Sposa di Gneo Domizio Enobarbo, ebbe da lui un figlio: Domizio. Si sposò una seconda volta, ma rimase vedova presto – ed assai ricca – ed il terzo marito fu proprio l’imperatore Claudio, il quale era stato convinto ad adottare il figlio di Agrippina e quindi a farlo entrare di diritto nella famiglia imperiale.
A questo mirava, infatti, la donna: far salire sul trono il ragazzo, a scapito di Britannico, figlio di Claudio e Messalina, la sua terza moglie. E non esitò a trattare il figlio come una pedina, pur di raggiungere i suoi scopi: convinse il marito a dare la figlia Ottavia in sposa a Domizio, consapevole d’infrangere una legge severissima, dal momento che Domizio ed Ottavia erano di fatto fratellastri. Così una prima parentela con la famiglia imperiale era stata combinata.

Tutto chiaro?
Se per qualche ragione vi gira la testa, la mia solidarietà nei vostri confronti è totale: la storia di Roma pullula d’intrighi di corte, di matrimoni, di guerre e di conquiste.

Dunque, Agrippina voleva uccidere il marito prima che questi si dichiarasse pubblicamente a favore di Britannico.
Da brava moglie, Agrippina conosceva il punto debole del marito: i funghi. Claudio infatti ne era ghiotto ed era cosa risaputa da tutti.
Qui Locusta entrò in scena, preparando un “condimento” speciale – e soprattutto letale – per quel piatto così appetitoso e si narra che fu Agrippina stessa ad invitare il marito a mandiare.
Claudio morì dopo sei ore dall’assunzione del veleno, a 64 anni, dopo aver regnato per quattordici anni.
Era il 13 ottobre del 54 d.C. e per tutte le ore dell’agonia Agrippina finse di disperarsi pubblicamente per la sorte del marito.

Il lavoro di Locusta, però, non era ancora terminato.
C’è ancora un trono da conquistare ed un ostacolo da rimuovere: Britannico, di nemmeno quattordici anni. Il suo fratellastro ne aveva tre in più ed aspirava all’Impero proprio come sua madre ed a quanto pare acconsentì all’eliminazione del rivale senza battere ciglio.
Sì, perché Lucio Domizio Enobarbo, una volta entrato nella famiglia imperiale dopo l’adozione, cambiò nome e divenne Nerone Claudio Germanico. Ai più è noto solo come Nerone e se ben calcolo questo primo nome basta ed avanza, vero?

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(Nerone ed Agrippina, bassorilievo)



Un omicidio esplicito sarebbe stato troppo difficile da mettere in atto, così si cercò una modalità per far apparire che il decesso avvenisse per cause naturali. Fu Agrippina a commissionarlo?
No, a quanto pare fu proprio Nerone, allora all’incirca diciassettenne.

E qui parte la dovizia di particolari nella narrazione della vicenda da parte di Svetonio: il primo tentativo di avvelenamento del ragazzino fallì e proprio Nerone, adirato, arrivò a schiaffeggiare Locusta rimproverandola dell'accaduto. La donna si discolpò adducendo che la dose leggera somministrata era dovuta all'intenzione di far sembrare la morte del fanciullo come un decesso naturale: Britannico era affetto da epilessia. Sembra che Nerone volle assicurarsi che il veleno fosse veramente efficace e agisse in brevissimo tempo. Locusta ne preparò allora uno in polvere, che sperimentò prima su una capra, poi su un maiale ed infine su uno schiavo la cui morte dopo poche ore diede finalmente soddisfazione alle aspettative del futuro imperatore.
Accanto a Svetonio interviene Tacito, che nei suoi Annales così afferma:

[…] poiché un servo appositamente addetto assaggiava i suoi (di Britannico n.d.r.) cibi e le sue bevande […] si ricorse a questo trucco. Si serve a Britannico una bevanda ancora innocua ma caldissima, che subì l’assaggio di verifica. Quando Britannico la respinse, perché troppo calda, gli fu versato in acqua fredda il veleno, che si diffuse in tutte le membra.

Ovviamente l’acqua fredda serviva per stemperare la bevanda caldissima ed in quel caso servì anche per avvelenare il giovane, dato che a nessuno venne in mente di assaggiare dell’acqua o di assaggiare nuovamente una bevanda stemperata già considerata sicura.

Riuscita nel suo obiettivo, Locusta ebbe da Nerone denaro e possedimenti terrieri. L’Imperatore la ricoprì di onori e parole grandiose, le donò una preziosa terra e le permise di aprire una scuola per insegnare i segreti delle piante. I veleni, da allora, vennero testati sugli animali, e talvolta sui criminali condannati a morte, nella nuova dimora dell’assassina, in un bel quartiere vicino al Palatino, dove vivevano molti cittadini potenti che iniziarono a frequentare la sua abitazione in cerca di un rimedio. Le loro richieste erano abbastanza di routine.
Tacito dirà che “l'imperatore era così affezionato a lei, che per paura di perderla, metterà vicino alla sua casa degli uomini che la sorveglieranno affinché non le succeda niente”.

Ma quando venne a mancare l’appoggio all’Imperatore da parte del popolo, anche la fortuna di Locusta svanì in pochissimo tempo. Sette mesi dopo il suicidio di Nerone, Locusta fu catturata, mostrata in catene per tutta Roma e condannata a morte dall'imperatore Galba, nel gennaio 69; l'esecuzione avvenne il giorno 9 gennaio, in occasione degli Agonalia, festa del dio Giano.

E qui si torna nuovamente alla leggenda, poiché non vi sono testimonianze se non un racconto del filosofi Apuleio, ma fosse anche un’invenzione il modo in cui essa finì la sua vita lascia comunque inorriditi, nonostante i crimini da lei commessi su ordine altrui.
Si sa, i Romani in quanto a supplizi non sembravano essere secondi a nessuno e molteplici – queste sì – sono le testimonianze antiche circa gli assurdi metodi di tortura che essi utilizzavano.
Apuleio narra che prima di venire uccisa la donna fu stuprata da una giraffa appositamente ammaestrata e venne poi dilaniata viva dai leoni. Quasi sicuramente fu veramente torturata e poi lasciata data in pasto alle bestie feroci; il particolare della giraffa, invece, è talmente fantasioso che oggi si ritiene essere fasullo.





Bibliografia e link:
Tacito, Annales.
Svetonio, Vite dei Cesari.
Colette Arnould, La stregoneria. Storia di una follia profondamente umana.
Piero Angela,Alessandro Barbero, Dietro le quinte della storia: La vita quotidiana attraverso il tempo.
Adam Ziólkowski, Storia di Roma (google.books)
www.totalita.it/articolo.asp?artico...zione=&rubrica=
www.isabelgiustiniani.com/2013/08/l...roma-del-i.html
www.romanoimpero.com/2009/06/claudio-41-54.html

Edited by chiara53 - 12/11/2013, 18:10
 
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