Il Calderone di Severus

Architettura e urbanistica delle città greche, le Poleis, Archeologia - lezione 7

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view post Posted on 7/6/2014, 15:18
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Premessa




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La principale caratteristica della Grecia antica, ragione profonda di tutte le sue grandezze e le sue debolezze, fu che essa visse e, per un certo periodo prosperò, divisa in una miriade di città che costituivano altrettanti Stati.

Le concezioni derivanti da tale divisione erano così radicate nella coscienza greca che persino intelligenze illuminate come Aristotele erano incapaci di immaginare un’altra forma di organizzazione sociale adatta ad uomini degni di questo nome.

Per Aristotele esistevano due specie di esseri umani: quelli che vivono associati armonicamente in città e quelli che costituiscono mandrie selvagge e amorfe. Questi ultimi – sempre secondo Aristotele - sono nati per la servitù, per permettere agli altri (agli abitanti delle poleis) di vivere e dare a se stessi un’organizzazione ed uno stile di vita superiore.

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"Una lezione di Omero" di Lawrence Alma-Tadema



Bisogna ricordare che alla formazione di queste città-stato contribuitrono in gran parte le condizioni geografiche della Grecia.
Viaggiamo con la fantasia: immaginate in un vallata, dei pascoli sulle rive di ruscelli, dei boschetti sui pendi, dei campi, dei vigneti, degli uliveti capaci di sostentare al massimo alcune decine di miglia di abitanti, e poi una collinetta unico rifugio in caso di attacco nemico e un porto per qualche relazione esterna di commercio: eccovi pronta l’immagine di quello che era per un greco uno Stato autonomo e sovrano.

Questo minuscolo mondo poteva salvarsi solo basandosi sulla reciproca solidarietà e bastando a sé stesso.
Tuttavia, appena un greco usciva da quel microcosmo che era la sua polis si trovava in un paese straniero, dove vigevano leggi diverse. Sembra impossibile, ma l’animosità e le frizioni in epoca arcaica fecero scorrere sangue a fiumi con conseguenze terribili, e tutto per conquistare un palmo di terra o un boschetto in più. Solo con il tempo le rivalità si placarono, anche se a fatica.

Ma quando avvenne tutto questo? Quando nacque la Polis?

L’ipotesi più diffusa, anche in virtù degli studi di Victor Ehrenberg (1), è che la polis si sia formata nel corso dell’VIII sec. a.C., periodo durante il quale si sono verificati una serie di processi di aggregazione fisica e politica di unità isolate.
I primi greci, i cosiddetti Achei, non erano altro che pastori seminomadi, abituati a vagare attraverso le pianure della penisola balcanica con le greggi e non avevano mai costituito prima un qualsivoglia tipo di stato.
Quando questi gruppi (ghenos) si stabilirono sul suolo della Grecia si riunirono intorno allo stesso focolare e perpetuarono la stirpe. Tutti erano fratelli, tutti adoravano il medesimo dio.

Ricordiamo di quando Omero narra di cinquanta fratelli e dodici sorelle che vivevano insieme nel palazzo di Priamo con mogli, mariti e figli, ovviamente è a questo tipo di struttura arcaica che si riferisce.

Ciò che definì in origine l’identità della polis fu da un lato la religione, principale forma di espressione della cultura greca, caratterizzata non da un clero ma da pratiche rituali che scandivano la vita del cittadino; dall’altro il valore dell’ideologia comunitaria, accompagnata da un insieme di principi collegati al concetto di koinòn-koinonìa (comunità o cosa comune), che influenzano profondamente le decisioni e le scelte dei membri della società.

Da un lato, la Polis diventa immediatamente il centro della celebrazione delle attività religiose comuni alla popolazione del suo territorio, con i loro riti, le loro feste, e delle pratiche culturali che vi sono connesse, come gli agoni rapsodici.
Dall'altro lato, essa costituisce il luogo elettivo per lo sviluppo di attività economiche non direttamente legate all'agricoltura, come quelle commerciali e artigianali, a loro volta stimolate sia dall'incremento demografico, sia dalla dinamica indotta dagli inizi della circolazione monetaria.

Ben presto dunque la città diviene insieme il centro di governo politico-militare del territorio, la sede delle sue divinità comuni, il luogo del mercato e dell'interscambio fra prodotti agricoli e prodotti e servizi propri dell'attività urbana. Le sinergie che le hanno dato origine lasciano la loro traccia profonda nella composizione del corpo cittadino; il diritto di cittadinanza spetta, e continuerà a spettare per lungo tempo, solo a chi disponga di una proprietà terriera nell'ambito della zona circostante la polis; chi ne è privo (commercianti, artigiani) sarà accolto nella città con la condizione marginale di 'ospite straniero' (meteco).
Il 'popolo' della città comprenderà dunque, oltre all'aristocrazia dominante, la massa dei cittadini-proprietari; e, occorre aggiungere, 'in armi', perché ad esso è demandata la difesa della polis e del suo territorio.

Secondo Omero sono due sono i momenti essenziali nella fondazione di una polis:
dividere la terra nei lotti da assegnare ai cittadini;
dividere lo spazio urbano in pubblico (agorà), privato (case) e sacro (templi).

Studi e scavi archeologici hanno permesso di individuare nel solo mondo greco circa 1.000 poleis: 700 nella penisola greca e 300 nelle colonie del Mediterraneo, per un periodo di tempo che va dall’VIII secolo a.C fino all’epoca ellenistico-romana.

All’interno di questo numero eccessivo occorre sottolineare differenze notevoli sotto vari aspetti.
Prima di tutto le dimensioni e le caratteristiche geografiche dei territori occupati; per fare alcuni esempi le poleis hanno diverse estensioni: Atene circa 2.400 kmq, Corinto 880 kmq, Sparta ben 8.500 kmq. Queste insieme a poche altre (come Siracusa o Agrigento) avevano dimensioni eccezionali per l’epoca, ma ben il 75% delle altre “città” greche non superava i 100 kmq.
Nel caso delle poleis più grandi, la popolazione complessivamente poteva raggiungere anche centinaia di migliaia di individui, tra cui alcune migliaia erano cittadini; il resto era costituito da residenti stranieri (i meteci), dipendenti di vario genere (schiavi, impiegati nell’artigianato, edilizia, agricoltura), comunità subordinate da un punto di vista politico (i Perieci). Ma generalmente le poleis erano formate da alcune centinaia di individui, per lo più cittadini.

Nel corso di queste lezioni ci occuperemo dell’edilizia e delle strutture che fanno di una polis uno Stato vero e proprio: gli edifici pubblici.

(1) Victor Leopold Ehrenberg - Storico tedesco (Altona 1891 - Londra 1976). Allievo di W. Weber, fu prof. di storia antica nell'università tedesca di Praga dal 1929 al 1939. Rifugiatosi all'estero e naturalizzatosi inglese, ha insegnato storia antica nell'università di Londra.

Bibliografia e link:
www.treccani.it/enciclopedia
Polis, articolo di Mario Vegetti –Treccani Enciclopedia delle scienze sociali
www.antika.it/005674_polis-origine-e-struttura.html
Gustave Glotz, la Città Greca. ed. Giulio Einaudi - Torino



In questa discussione verranno trattati i seguenti argomenti


L’Acropoli, l’Asty e la Chore.
Luoghi di culto, le case degli dei: il Tempio. - Le origini
Luoghi di culto, le case degli dei: il Tempio. - Equilibrio e armonia.
Luoghi di spettacolo: il Theatron.
Luoghi di spettacolo: il Theatron - seconda parte
Luoghi d’incontro e confronto: l’Agorà e il Bouleuterion.
Palestre del corpo e della mente: il Ginnasio.
L’eterno sonno: le Necropoli.



Edited by chiara53 - 5/7/2018, 17:06
 
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view post Posted on 7/6/2014, 16:26
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Una lezione introduttiva davvero interessante e che risponde a domande che mi sono più volte fatta e che non avevano ancora avuto risposta.
I numeri indicati alla fine, poi, sono impresionanti!


Edited by chiara53 - 22/6/2015, 15:02
 
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view post Posted on 7/6/2014, 17:58
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CITAZIONE (Ida59 @ 7/6/2014, 17:26) 
Una lezione introduttiva davvero interessante e che risponde a domande che mi sono più volte fatta e che non avevano ancora avuto risposta.
I numeri indicati alla fine, poi, sono impresionanti!

Sì effettivamente 100 kmq rappresentano una superficie ridicola, le uniche che potevano assomigliare ad una delle nostre provincie erano Sparta ed Atene.
La provincia di Ancona - che è piccolissima - è di circa 2.000 kmq.

Edited by chiara53 - 22/6/2015, 15:03
 
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view post Posted on 7/6/2014, 20:41
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Ooh! Grazie per le specificazioni numeriche con i paragoni che rendono tutto più chiaro!

Edited by chiara53 - 22/6/2015, 15:03
 
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view post Posted on 7/9/2014, 13:30
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L’Acropoli, l’Asty e la Chore.




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Per raccontare come nacquero le poleis dobbiamo risalire indietro nel tempo.

Sull’origine della polis le opinioni degli storici sono discordi. Una delle ipotesi più accreditata si basa sull’aumento demografico verificatosi intorno all’anno 1000 a.C.; tale incremento fu determinato da un crescente uso del ferro, cosa che semplificò le attività relative all’agricoltura rendendole meno faticose e consentendo, con l’uso di arnesi più robusti, la lavorazione di una maggiore superficie di terra.
Quindi la popolazione, divenuta più numerosa e più ricca, non poteva più vivere in villaggi di difficile accesso, sperduti e in mezzo alle montagne, ma doveva organizzarsi sia per difendersi dagli attacchi esterni, sia per avere un luogo in cui accumulare l'eccesso di provviste per eventuali periodi di carestia.
E’ così che nacque una nuova struttura urbana: la polis.

In generale i casolari e i villaggi sorsero presso un’altura che, in caso di guerra, serviva da rifugio e dove il capo riuniva intorno a sé gli anziani per prendere decisioni comuni. Tali alture dovevano essere per lo più fortificate: le cosiddette fortificazioni erano costituite spesso da semplici palizzate di legno oppure da muraglie di pietra.
Ai piedi delle colline, stavano ammucchiate le capanne dove vivevano i contadini con gli artigiani e i mercanti che provvedevano ai loro bisogni.

Si trattava di agglomerati notevoli: più villaggi si congiungevano a formare una vera e propria città.

Quando la situazione era propizia il signore, appollaiato nel suo nido d’aquila, prelevava pedaggi dagli stranieri di passaggio e la popolazione affluiva numerosa per l’incrocio delle strade che consentivano scambi e commerci.

Per Polis s’intese, in un primo tempo, la città alta, mentre la città bassa era l’asty.(dal greco asty, la città per eccellenza)
Essa era costituita dai quartieri popolari formati da casupole, addossate l’una all’altra, e da viuzze fangose.
Non dimentichiamo che gli abitanti delle poleis trascorrevano gran parte della giornata fuori dalle abitazioni; per questo gli edifici pubblici erano ben curati, al contrario delle case private, che erano piccole e modeste. Esse erano principalmente ad un piano, scavate nella roccia o addossate alle colline. Le pareti che le costituivano erano sottili ed ogni casa ere provvista di un cortile interno.

Le strade principali, che univano i santuari, le porte della città e i templi avevano un aspetto monumentale ed erano lastricate con grande cura. Per il resto, la rete stradale era fatta di stradine piccole, che consentivano a malapena il transito dei pedoni e degli animali da soma. Questo perché le attività economiche (artigianato e commercio) e quelle residenziali erano concentrate in aree specifiche. Ad Atene ad esempio sorgeva il quartiere Ceramico, così chiamato per le numerose botteghe di ceramisti che lì si trovavano. Questo assetto urbanistico riduceva il traffico dei quartieri residenziali.

Nei poemi omerici si parla dell’asty come del luogo dove si incrociano le strade e dell’asty se ne loda, tutt'al più, la superficie e l’ampiezza. Mentre invece quando Omero parla della polis “elevata”: l’acropoli (da akros, sommo, alto e polis, città) abbonda in aggettivi. La chiama cinta di torri, munita di alte porte e, poiché racchiude il tempio dedicato alla divinità e il palazzo del re, essa è anche santa, ricca, splendida e piena d’oro.
In breve tempo le due parole polis e asty divennero una cosa sola, identificarono lo stesso complesso di abitazioni, lo stesso complesso urbanistico.

Per distinguere la polis bassa da quella alta, un’ulteriore cinta difensiva racchiudeva l’acropoli, cuore e focolare della città. Quello era il luogo più sacro, là dove bruciava il fuoco comune dedicato alla dea Hestia(qui troverete un capitolo dedicato a lei ), dove sorgevano il o i templi e dove solo i capi della città e gli alti magistrati e membri del consiglio potevano accedere in tempi normali.
Nel loro complesso le strutture urbanistiche e gli edifici monumentali della città situati nell’acropoli costituiscono uno degli esempi più significativi di quell’ideale di razionalità e armonia di quell’arte a "misura d’uomo" caratteristici della civiltà greca classica.

Esisteva dunque una doppia cinta di mura: una più estesa a difesa dell’asty ed una più piccola a difesa dell’acropoli, i cui bastioni erano eretti come ultima e maggiore protezione contro le aggressioni nemiche.
Nell’acropoli si rifugiavano in caso di estremo pericolo gli abitanti per l’ultimo soccorso e riparo, quando ogni altra protezione era caduta.

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Vista dell'acropoli di Atene


Per usare un sinonimo si può dire che l’acropoli era la cittadella fortificata per eccellenza, l’asty, che pure era cinta di mura, si può definire il centro urbano nel senso più ampio del termine.

Elemento imprescindibile per la vita e la crescita della polis era il territorio circostante posto sotto il suo controllo: la chora, (gr. regione) cioè la parte abitata fuori dalle mura: era il luogo dove i contadini coltivavano i campi e si dedicavano all’agricoltura e all'allevamento.
Anche se era fuori dalle mura, la chora non era meno importante dell’acropoli: infatti i greci avevano uno stretto rapporto con la terra e non svilivano in nessun caso il lavoro dei contadini.
Non dimentichiamo che l’economia delle città greche era basata sullo sfruttamento delle terre e sull’agricoltura. Quest’ultima costituiva l’attività maggiormente praticata dai Greci che, attraverso opere di bonifica, terrazzamenti e disboscamenti tentavano di risolvere il problema della mancanza di aree coltivabili; del resto una parte della chora era di proprietà dello stato.
L’agricoltura rappresentava una fonte di reddito fondamentale per i privati (i proprietari terrieri erano nella quasi totalità esponenti dei ceti elevati), ma anche per lo “stato”, infatti molte risorse venivano investite nelle attività di controllo dei confini, per evitare occupazioni abusive ed alcune terre demaniali venivano date in “affitto” ai privati.
Come dire… non abbiamo inventato niente, nemmeno l’affitto delle terre del Demanio dello Stato: le spiagge per esempio...

Alla prossima. ;)

Bibliografia e link
www.antika.it/005674_polis-origine-e-struttura.html
www.treccani.it/enciclopedia/acropo...Arte-Antica%29/
Emanuele Greco, La città greca antica, istituzioni, società e forme urbane, Roma, 1999.
Gustave Glotz, la Città Greca. ed. Giulio Einaudi - Torino


Edited by chiara53 - 5/7/2018, 17:10
 
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view post Posted on 7/9/2014, 15:13
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Ho letto e ho fatto un tuffo nel passato ripensando a quando frequentavo lezioni sull'urbanistica classica all'Università.
Ben scritto e chiaro, buon input per chi avesse voglia di approfondire l'argomento.
Brava Chiara! :)
 
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halfbloodprincess78
view post Posted on 7/9/2014, 15:41




CITAZIONE
Come dire… non abbiamo inventato niente, nemmeno l’affitto delle terre del Demanio dello Stato: le spiagge per esempio...

No, direi di no, anzi a volte mi sembra che invece di evolverci, rispetto ai popoli antichi, siamo tornati indietro.
 
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view post Posted on 7/9/2014, 18:33
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Wow non sono abituata a tanti lettori :lol: :lol:
Sono contenta se riesco a non annoiare, cerco di tenere sempre un tono leggero.
Non alla Severus , per capirci :lovelove: :D

Edited by chiara53 - 5/7/2018, 16:53
 
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view post Posted on 9/9/2014, 19:24
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I ♥ Severus


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Arrivo in ritardo, ma ci sono anche io, affascinata come sempre da queste spiegazioni che, tra storia e cultura, rendono comprensibili tante cose.
Grazie!


Edited by chiara53 - 22/6/2015, 15:45
 
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view post Posted on 1/2/2015, 16:42
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Luoghi di spettacolo: il Theatron



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Per cominciare questa chiacchierata dirò che Teatro, nonostante l’intuitiva semplicità del senso, è una parola dall’etimologia complessa.
Infatti in origine fu usata dai Greci per indicare non la gradinata dalla quale si contemplava lo spettacolo , ma piuttosto il pubblico che vi assisteva e solo in seguito Theatron (da “theàomai”, vedo) servì ad indicare l’intero l'edificio destinato alla rappresentazione.

Tutte le notizie che si hanno sull'origine della struttura del teatro greco vengono tratte dai resti archeologici, dalla pittura vascolare e, solo in parte, dagli scrittori del tempo; in tutte le fonti scritte l’origine della struttura architettonica viene fatto discendere dalla natura stessa delle rappresentazioni che vi si svolgevano.

Possiamo dire che in principio fu la piazza; in altre parole il primo teatro fu uno spiazzo intorno al quale gli spettatori si sedevano alla meglio per ascoltare poeti e cantori che eseguivano ditirambi (dal gr. dithyrambos, uno dei nomi dati a Dioniso, parola ricollegabile con thriambos tripudio, baccano, strepito).
I ditirambi erano un genere di poesia lirica corale, che celebrava originariamente Dioniso e il culto dionisiaco (trattò poi anche altri soggetti, estranei a Dioniso); i ditirambi, scritti in metri varî, erano cantati da un coro che danzava in cerchio, accompagnato dalla musica.
Si attribuisce a tale Arione di Metimna* (vissuto a cavallo del 600 a.C.) il merito di avere perfezionato questo genere poetico, creando uno schema metrico. Dai racconti di Erodoto sappiamo che costui ebbe un grande successo perfino all’estero, in Sicilia; e che si esibiva con corona d’alloro e costume di scena.

Fino all'epoca ellenistica (III-I sec. a.C.) il teatro è connesso al culto di Dioniso.
Durante le feste in onore del dio, che si svolgevano in primavera, gli abitanti di Atene formavano delle processioni che terminavano con un sacrificio, davanti all'altare del santuario della divinità, durante le quali eseguivano canti ditirambici.
L’area destinata alle rappresentazioni si evolve da semplice spiazzo per il pubblico a spazio delimitato (circolare o a trapezio), circondato da panche di legno, fino a divenire opera architettonica vera e propria nel corso del V- IV sec. a. C..
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Campanile di Giotto: Andrea Pisano - il Teatro o Carro di Tespi

La tradizione attribuisce le prime forme di teatro organizzato a Tespi, poeta e “attore” egli stesso, vissuto verso la metà del VI secolo a.C.
Tespi ebbe una sua compagnia girovaga, il cosiddetto Carro di Tespi, su cui trasportava attrezzi di scena, arredi, costumi e maschere e il cui significato venne poi traslato ad indicare una sorta di bazar nel quale può essere contenuto di tutto.

La figura di Tespi è avvolta nella leggenda.
Secondo il Marmor Parium**, Tespi avrebbe fatto rappresentare la prima tragedia nell’Olimpíade LXI (536 533 a.C.), in occasione delle Grandi Dionisie. Nativo d’Icaria, borgo dell’Attica famoso per un culto di Dioniso, la sua venuta ad Atene e l’attività di tragediografo sono collegate, secondo alcune testimonianze, all’impulso dato da Pisistrato al culto dionisiaco.
Tespi sul suo carro trainato da buoi innalzava un palco; due attori con i visi dipinti cantavano dei cori di argomento storico. Dopo qualche tempo Tespi vi aggiunse un terzo attore, il quale separatamente dai cori recitava dei versi: nacque così il ruolo dell’attore distinto dal coro.

Quello che è sicuro è che, agli inizi, lo spazio per le rappresentazioni veniva ricavato da luoghi preesistenti, magari in qualche modo recintati; con il progredire e il complicarsi dell'azione scenica il teatro divenne un'opera architettonica a sè stante, ma comunque e sempre a cielo aperto.

Il vero e proprio teatro a struttura stabile nasce in Grecia verso il IV sec. a.C. come luogo dove, spesso in occasione di feste pubbliche, avvenivano le rappresentazioni di tragedie e commedie.
Ovviamente Il teatro, inteso come ambiente o edificio adibito a qualsiasi tipo di rappresentazione, ha subito nel corso della sua storia una notevole evoluzione architettonica.

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Nel VI-V secolo a.C., la maggior parte del teatro è fatto di legno.
Di legno erano le panche per gli spettatori, gli ikria( dal gr. ikrion, legno, tavolato) , il cui insieme formava il koilon (dall’aggettivo greco koilos, concavo), l’auditorium, insomma la platea: questa fu prima trapezoidale e, solo più tardi, curvilineo, quando al legno, che si incendiava facilmente provocando parecchi incidenti, si sostituì la pietra.
Devo aggiungere che sulle panche sedeva un pubblico piuttosto agitato che partecipava agli agoni drammatici in modo piuttosto indisciplinato alzandosi in piedi per applaudire, gridare, protestare o battendo rumorosamente i calcagni contro le tavole per esprimere il proprio disappunto nei confronti di un attore. Non deve dunque meravigliare che queste costruzioni, già di per sè non particolarmente sicure, potessero crollare come ci informa la Suda (il lessico bizantino d'autore ignoto che ci è già capitato d’incontrare).
Ed ecco un altro motivo per cui i teatri divennero architettonicamente molto più stabili e furono costruiti in solida pietra.
Lo spazio piano dove il “coro” eseguiva le danze si chiamava orchestra ( dal greco orcheomai, io danzo), situata oltre l'orchestra da un lato doveva esserci una tenda o un baracchino per cambiare maschere e costumi, come quelli che vengono usati oggi per le rappresentazioni all’aperto: la skené, la scena, che serviva anche a creare uno sfondo all'azione degli attori, era fonoriflettente e fronteggiava il koilon, cioè gli spettatori.

Molti stavano in piedi, altri seduti sulle panche di legno, poste quasi sempre su di un pendio naturale scelto per permettere a tutti di vedere e ascoltare senza coprirsi la visuale e con un’acustica migliore.
Non esiste un corrispettivo di palcoscenico nel teatro greco più arcaico: l'azione scenica si svolgeva infatti nell'orchestra. Solo successivamente, con l'introduzione della skenè e con l'inizio dell'utilizzo di essa come elemento scenico, gli attori poterono servirsi di essa come di uno spazio utile all'azione teatrale. Questa risultava quindi divisa in due, proprio perché, mentre l'elemento verbale restava relegato alla skenè, il canto e la danza si svolgevano nell’orchestra.

Il teatro greco in pietra, i cui perfezionamenti strutturali furono legati al successo e allo sviluppo delle rappresentazioni drammatiche in Grecia e in Asia Minore, aveva forma a ferro di cavallo, delimitata ai due estremi da muri di sostegno, gli analemmata (dal gr. analemma, base).

Le parti in cui era distinta la struttura definitiva e resistente al tempo del teatro Greco (di cui esempi eccellenti sono quello di Taormina, Epidauro, Delfi e Atene, per citare i meglio conservati), sono sostanzialmente tre.

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Teatro greco di Epidauro


Il koilon, dove sedevano gli spettatori.
I sedili erano fatti in pietra: un piano superiore su cui sedeva lo spettatore, e uno inferiore leggermente curvo su cui poneva i piedi. La cavea era in genere costruita scavando o adattando un pendio naturale del terreno (i romani invece costruiranno tutto artificialmente)
La divisione in settori del koilon, ricalcava la gerarchia sociale, né più né meno di adesso.
La fila a diretto contatto con l'orchestra era riservata agli arconti, sacerdoti e strateghi, i “vip” diremmo oggi; nei settori superiori trovavano posto i membri dell’assemblea, cioè i personaggi importanti, ma senza esagerare; più in alto ancora i cittadini ed infine coloro che non erano in possesso della cittadinanza, gli stranieri, le donne e gli schiavi.
L'insieme della gradinata nei teatri come quello di Dioniso ad Atene o quello di Epidauro raccoglieva circa 17.000 spettatori, ed era attraversata da un gradino più largo degli altri, detto diàzoma ( da dià, attraverso e zonnymi, cingere), il quale aveva la funzione di dividere la gradinata in due sezioni, una nella parte superiore, una in quella inferiore. Per favorire ingresso, uscita e sistemazione ai posti, erano state ricavate delle scalette (klimakes, dal gr. klimax, scala) che dividevano in più spicchi la gradinata, in settori verticali di numero variabile, secondo l’ampiezza della cavea, detti kerkides ( da kerkis, cuneo).
Insomma per avere un’idea, basta pensare alla sala di un cinema che, pur non avendo sempre forma semicircolare, è tuttavia suddivisa esattamente come un teatro greco.
Per la serie: non abbiamo inventato niente!
L'accesso al teatro degli spettatori avveniva o dall’alto (come spesso oggi) o attraverso le parodoi ("passaggi laterali") accanto all’orchestra, spesso lievemente inclinate, arricchite da statue e dediche votive, utili agli attori e agli spettatori, chiuse da porte solo in età più tarda (III- II sec.a.C.).
Da quella di destra, per convenzione, entravano i personaggi provenienti dalla città, dall’altra di sinistra quelli che giungevano dalla campagna.


Il secondo elemento era l'orkhestra, cioè lo spazio centrale del teatro greco, quello riservato al coro ed era collocata tra il piano inferiore della cavea e la scena.
Essa era di forma circolare; presentava ai lati due ingressi (parodoi, dal gr. parà, accanto, odos, via, strada: passaggio), attraverso i quali il coro raggiungeva il suo posto e si allontanava alla fine dello spettacolo. Nel periodo più antico attraverso le parodoi entrava anche il pubblico.
L’orchestra era lo spazio destinato alle evoluzioni e spostamenti del coro***.
Nei teatri che si sono conservati e dai quali è possibile comprenderne la struttura, l’orchestra appare circondata per poco più della metà del perimetro dalla cavea, mentre tutto intorno correva un canale coperto che convogliava le acque defluenti dalla collina.
Il diametro dell’orchestra nei teatri maggiori era superiore ai venti metri e, al centro troneggiava l’altare di Dioniso a presiedere e proteggere le esibizioni teatrali.

Terzo elemento era la skenè, la scena che era situata ad un livello più alto dell'orchestra con la
quale comunicava mediante scale. La sua funzione originaria era soltanto pratica, cioè forniva agli attori un luogo appartato per prepararsi senza essere visti. Divenne poi sempre più complessa e abbellita da colonne, nicchie e frontoni. Dal 425 a.C. fu costruita in pietra e con maggiori ornamenti.

La scena, anche quando i teatri erano costruiti in pietra, aveva parecchi elementi lignei, per lo più con valore decorativo. Essi erano costituiti da pannelli di varia grandezza dipinti.
In seguito, alla fine del V secolo a.C., la skenè venne già pensata come vero e proprio edificio scenico.
Era provvista di una fossa profonda per gli scenari, di una pedana su cui recitavano gli attori e un fondale con tre porte.
Con il tempo la scena fu rialzata e spinta in avanti con un proscenio (palcoscenico rialzato), la cui fronte era di solito un porticato a colonne con tavole di legno dipinte. Quinte girevoli con decorazioni di paesaggi consentivano i cambiamenti di scena. Verso la fine del V secolo a.C. l'impianto scenico si fece più articolato e s'introdusse l'uso di macchine teatrali, scene rotanti, piattaforme mobili.
Le notizie riguardo le scene e le macchine, utilizzate nel teatro greco sono fornite da Aristotele, Polluce (sofista e grammatico greco del II sec. d.C.) e Vitruvio (trattatista latino). La scena greca si avvaleva di tre porte nella skené, una grande al centro per l'ingresso dell'attore principale, quella di destra per il secondo attore e quella a sinistra doveva rappresentare una prigione, un deserto o un tempio in rovina. C'erano numerose macchine teatrali che servivano a creare la scena e gli effetti speciali.

Per la scena c'erano dei prismi triangolari dipinti su ogni lato, girevoli, sistemati alle due entrate laterali. Per gli effetti c'erano le macchine per produrre suoni e fulmini, botole da cui spettri e spiriti facevano la loro apparizione, torri, piattaforme basse su rotelle, una carrucola con un gancio che serviva a sollevare e abbassare le divinità, gru per portare via in fretta i cadaveri, anche se nell'epoca più antica non potendosi mostrare le scene di violenza, esse venivano introdotte o raccontate da un messaggero.

Vi lascio con un’ultima notiziola: l'attore in Grecia, professione riservata esclusivamente ai maschi, era denominato, hypockrites ossia colui che finge.
Il termine deriva dal verbo hypokrinomai, il cui significato generale (“comunico un fatto interiore o segreto [dopo averlo ben vagliato]”) viene usato in due accezioni particolari: “interpreto” (specialmente sogni, oracoli, o altre manifestazioni della divinità) e “rispondo” (dopo aver attentamente esaminato i fatti).
Solo nel momento in cui la parola ispirata divenne, sulla scena, una tecnica artistica particolare, il suo significato si trasformò: hypokrites venne a designare unicamente l’“attore” in quanto interprete di caratteri e personaggi nella finzione scenica, cioè un simulatore, ed ecco da cosa deriva il significato della nostra parola ipocrita.

La prossima volta, se non vi siete troppo annoiati, vi parlerò dell’eccezionale acustica dei teatri greci, delle maschere, dei costumi di scena e di due tra i teatri più famosi: il teatro di Epidauro e quello di Taormina.



*Secondo la leggenda, Arione, apprezzato compositore e suonatore di cetra, si congedò dal tiranno di Corinto per vagare nel mondo allora noto e dimostrare a tutti la sua eccelsa bravura. Il successo non tardò a venire ed egli accumulò molte ricchezze che fecero gola ad alcuni marinai che lo stavano trasportando da Taranto in Sicilia.
Al largo, i marinai decisero di uccidere Arione e di derubarlo. A tal fine gli diedero la possibilità di scegliere la sua sorte tra il suicidio o l’affidarsi ai flutti del mare. Arione (su consiglio del dio Apollo,), decise di gettarsi in mare. Non prima, però di aver cantato una lode ad Apollo, accompagnato dalla sua cetra.
È a questo punto della leggenda che entrano in scena i delfini che, attratti dal canto, circondarono la nave. Non appena Arione si gettò in mare, non visto dai marinai, un delfino lo trasportò sul suo dorso fin sulla terra ferma, al santuario di Poseidone, in Grecia, dove il mammifero marino morì.
Arione ritornò presso la corte del tiranno di Corinto il quale, ascoltata la storia, ordinò di dare sepoltura al delfino e di erigere un monumento in suo onore.
Ma la leggenda ha ancora in serbo una sorpresa spettacolare: Apollo, per rendere immortale la bravura di Arione e la generosità del delfino che lo salvò, trasportò in cielo entrambi, trasformandoli in costellazioni (la costellazione della Lira e la costellazione del Delfino).

**Marmor Parium: E’ un’iscrizione risalente alla metà del III secolo a.C., incisa su una lastra di marmo che riporta numerosi avvenimenti della storia greca. Autore anonimo.

***Il coro (da coreuein, danzare)al tempo di Eschilo era composto da 12 coreuti, che divennero 15 con Sofocle. Era formato dai coreuti che cantavano e ballavano, guidati dal corifeo. Si può dire che fosse un vero e proprio personaggio che commentava le azioni. Non per forza, però, ciò che diceva aveva a che fare con la scena. Il coro raccoglieva l’umore della città e lo esprimeva. Al tempo di Eschilo il coro eseguiva il suo canto in armonia con la musica e con la danza. Anche quando non agisce, il coro è sempre presente, ma non blocca nè devia il corso dei fatti. Il coro dialogava con gli attori, commentava l’azione e guidava lo spettatore nella comprensione di ciò che accadeva.


Bibliografia e link:

<i>I greci a Teatro, di H.C. Baldry, ed. Laterza
La tragedia Greca, di A. Rodighiero, ed. il Mulino
La città greca, G.Glotz, ed Einaudi
Storia dell’arte classica. Arte greca, Giulio Quirino Giglioli, ed. Vallardi
http://doc.studenti.it/appunti/letteratura-greca/coro-
www.laboratoriosicsi.it/siti/melpomene/Architettura.htm
www.parodos.it/news/struttura_del_teatro_antico.htm
www.treccani.it/enciclopedia/teatro/
http://geomodi.blogspot.it/2012/02/storia-...fondimenti.html

Edited by chiara53 - 11/4/2023, 19:21
 
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Lezione bella e interessante, come sempre, su un argomento molto affascinante, poi, come il teatro, di cui ci spieghi anche la nascita del "luogo" della rappresentazione!
Ma sai che in questo momento sono qui che mi arrovello colla parola "ditirambo"? l'ho sentita di recente per la prima volta, senza comprenderne il significato, e sto impazzendo cercando di ricordarmi dove e quando!!!
Il "carro di Tespi", invece, lo conoscevo come espressione relativa agli esordi del teatro, ma non sapevo assolutamente che fosse così antica!!! Anche se, in effetti, avrei dovuto arrivarci visto che l'esistenza del teatro greco mi era più che nota!
Bella la spiegazione, di per sé ovvia ma da sola non ci ero arrivata, sulla costruzione dei teatri "fissi" in pietra su un pendio naturale, sia per questioni ovvie di visione sia di acustica. A volte noi "moderni" perdiamo il contatto col la banalissima realtà…
CITAZIONE
ed infine coloro che non erano in possesso della cittadinanza, gli stranieri, le donne e gli schiavi.

No comment sulla posizione delle donne…

17.000 spettatori è un numero ENORME! O nell'antica Grecia andavano TUTTI in massa a teatro, oppure le loro città erano molto ma molto più popolate di quello che mi immagino io!!!

CITAZIONE
Con il tempo la scena fu rialzata e spinta in avanti con un proscenio (palcoscenico rialzato), la cui fronte era di solito un porticato a colonne con tavole di legno dipinte. Quinte girevoli con decorazioni di paesaggi consentivano i cambiamenti di scena. Verso la fine del V secolo a.C. l'impianto scenico si fece più articolato e s'introdusse l'uso di macchine teatrali, scene rotanti, piattaforme mobili.
[…]
Per la scena c'erano dei prismi triangolari dipinti su ogni lato, girevoli, sistemati alle due entrate laterali. Per gli effetti c'erano le macchine per produrre suoni e fulmini, botole da cui spettri e spiriti facevano la loro apparizione, torri, piattaforme basse su rotelle, una carrucola con un gancio che serviva a sollevare e abbassare le divinità, gru per portare via in fretta i cadaveri...

Incredibile, davvero incredibile: tutto questo avveniva 2500 anni fa!!

CITAZIONE
…anche se nell'epoca più antica non potendosi mostrare le scene di violenza, esse venivano introdotte o raccontate da un messaggero

Perché non si potevano mostrare scene di violenza?

CITAZIONE
l'attore in Grecia, professione riservata esclusivamente ai maschi, era denominato, hypockrites ossia colui che finge.

Ma non i dire, solo gli uomini, non lo avrei mai immaginato…
Hihihi… bellissima l'etimologia della nostra parola "ipocrita"!

Noooooooooo! Non mi sono annoiata neanche un pochino ino ino!!!
E interessanti anche le note!

Brava Chiara, come sempre, e grazie!!!


Edited by chiara53 - 22/6/2015, 15:03
 
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CITAZIONE (Ida59 @ 1/2/2015, 18:11) 
Lezione bella e interessante, come sempre, su un argomento molto affascinante, poi, come il teatro, di cui ci spieghi anche la nascita del "luogo" della rappresentazione!
Ma sai che in questo momento sono qui che mi arrovello colla parola "ditirambo"? l'ho sentita di recente per la prima volta, senza comprenderne il significato, e sto impazzendo cercando di ricordarmi dove e quando!!!

Del ditirambo ne vorrei diffusamente trattare in Cultura Greca, riguardo alla nascita e allo sviluppo delle forme teatrali, per ora ti segnalo quanto ho trovato preparando questa lezione. L'etimologia popolare del termine ditirambo, naturalmente, è in collegamento con Dioniso. Infatti ‘ditirambo’ era anche un epiteto del dio, sia perché, secondo una leggenda, era stato allevato in una grotta ‘a due porte’, sia perché, secondo un’altra spiegazione, per nascere era dovuto passare per ‘due porte’, cioè prima l’utero della madre mortale, di Semele, e poi la coscia di Zeus (dis in greco significa per due volte; thura significa porta).
Da Treccani
Il ditirambo è una delle principali forme della poesia corale greca. Il nome è di etimologia incerta, forse pregreco (deriva dal sanscrito). Tra le spiegazioni moderne la più probabile è quella proposta dal Wilamowitz, secondo cui la parola significa "un divino canto trionfale".
[....]
Nelle letterature moderne il d. torna come componimento lirico di vario metro e dal ritmo concitato, per celebrare gli effetti letificanti del vino o un sentimento di gioia, di ebbrezza della vita.

CITAZIONE (Ida59 @ 1/2/2015, 18:11) 
17.000 spettatori è un numero ENORME! O nell'antica Grecia andavano TUTTI in massa a teatro, oppure le loro città erano molto ma molto più popolate di quello che mi immagino io!!!

Non tutti i teatri erano della stessa capienza, andavano dai 10.000 di Taormina fino ai 17.000 circa di Epidauro.
Comunque devi considerare che gli spettatori venivano dalle zone vicine e che non c'era un teatro in ogni città.
Le feste in onore di Dioniso e gli agoni tragici, richiamavano tantissima gente.
Niente televisione! Tutti a teatro dalle campagne e dalle città vicine... :D

CITAZIONE
Con il tempo la scena fu rialzata e spinta in avanti con un proscenio (palcoscenico rialzato), la cui fronte era di solito un porticato a colonne con tavole di legno dipinte. Quinte girevoli con decorazioni di paesaggi consentivano i cambiamenti di scena. Verso la fine del V secolo a.C. l'impianto scenico si fece più articolato e s'introdusse l'uso di macchine teatrali, scene rotanti, piattaforme mobili.
[…]
Per la scena c'erano dei prismi triangolari dipinti su ogni lato, girevoli, sistemati alle due entrate laterali. Per gli effetti c'erano le macchine per produrre suoni e fulmini, botole da cui spettri e spiriti facevano la loro apparizione, torri, piattaforme basse su rotelle, una carrucola con un gancio che serviva a sollevare e abbassare le divinità, gru per portare via in fretta i cadaveri...

CITAZIONE (Ida59 @ 1/2/2015, 18:11) 
Incredibile, davvero incredibile: tutto questo avveniva 2500 anni fa!!

Quanto a questo ne parlerò più diffusamente la prossima volta. E' davvero incredibile pensare a quali artifici ricorressero per gli effetti speciali.

CITAZIONE
CITAZIONE
…anche se nell'epoca più antica non potendosi mostrare le scene di violenza, esse venivano introdotte o raccontate da un messaggero

CITAZIONE (Ida59 @ 1/2/2015, 18:11) 
Perché non si potevano mostrare scene di violenza?

Non era etico, nè morale mostrare in pubblico la violenza, ma ci tornerò sopra in seguito trattando la tragedia.
I greci non erano splatter :lol: .

CITAZIONE
CITAZIONE
l'attore in Grecia, professione riservata esclusivamente ai maschi, era denominato, hypockrites ossia colui che finge.

CITAZIONE (Ida59 @ 1/2/2015, 18:11) 
Ma non i dire, solo gli uomini, non lo avrei mai immaginato…
Hihihi… bellissima l'etimologia della nostra parola "ipocrita"!

Noooooooooo! Non mi sono annoiata neanche un pochino ino ino!!!
E interessanti anche le note!

Brava Chiara, come sempre, e grazie!!!

Grazie davvero. Mi piace moltissimo cercare di non annoiare, anzi divertire i miei lettori affezionati. :wub:

Edited by chiara53 - 22/6/2015, 15:05
 
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Non solo hai tenuto desta la mia attenzione, ma ora mi hai anche incuriosito per le prossime!

Edited by chiara53 - 22/6/2015, 15:06
 
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Luoghi di spettacolo: il Theatron - seconda parte



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Il teatro di Epidauro



Come promesso eccomi a raccontarvi qualche altra curiosità a proposito della struttura del teatro greco.
Uno dei più grandi e meglio conservati è il teatro di Epidauro; quindi, descrivendolo, cercherò anche di spiegare come veniva “usato” e quali erano le caratteristiche analoghe esistenti in tutti gli altri i teatri della Grecia classica.
Ho scelto Epidauro perché è uno dei pochi teatri in cui i romani non abbiano apportato modifiche significative. La struttura è rimasta quella concepita quando fu costruito e l’utilizzo non lo ha snaturato proponendo spettacoli diversi da quelli teatrali.

L'antico teatro è senz'altro la costruzione più spettacolare nel santuario di Epidauro. Fu eretto attorno alla metà del IV sec. a.C.; infatti è questa l’epoca in cui gli edifici teatrali acquistarono una rilevanza, non solo per la propria funzione, ma anche dal punto di vista architettonico e assunsero una struttura compiutamente definita.
Il teatro di Epidauro fu costruito da Polykleitos di Argo (detto anche Il Giovane), architetto greco (sec. IV a. C.) dotato di una notevole personalità nella concezione delle strutture e nell'eleganza delle decorazioni; forse è identificabile con lo scultore omonimo del sec. IV a. C., cui potrebbero essere attribuite alcune opere note solo perché citate dalle fonti letterarie, che le dicono genericamente “di Policleto”, ma delle quali nulla è “sopravvissuto”.
L’unica sua opera che ci è stata restituita con certezza (oltre alla tholos, un piccolo edificio rotondo del Santuario) è appunto il teatro greco di Epidauro e, direi, non è poco!
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Pianta del teatro di Epidauro

Adagiato sulle pendici di una collina, questo sito archeologico incanta per la sua bellezza e proporzione.
La cavea è costituita da 55 file di seggi, dei quali 34 formavano la parte inferiore dell’auditorio e le restanti 21 erano il cosiddetto epithéatron , cioè una cavea superiore; (epitheatron significa appunto teatro di sopra). Spesso ciò accadeva nei teatri greci per ospitare più persone e veniva fatto continuando a costruire in altezza altri filari di sedili.
Esiste così la possibilità di distinguere tra un koilon o cavea superiore e uno inferiore
Queste due parti erano divise da un corridoio largo m 2 (diàzoma); un secondo corridoio correva alla sommità del teatro, sopra, dopo la 55° fila.
Le tre file più basse, quelle a contatto con l'orchestra, erano formate da seggi forniti di spalliera e, di essi, quelli della prima fila erano ancor più lussuosi, perché destinati alle autorità più importanti.
Nel senso verticale la cavea era tagliata da tredici scalette (kerkides), di cui la settima divideva esattamente a metà il teatro.
Spesso, come in questo caso, i settori della parte bassa non sono rispettati come numero nella parte alta. Nel teatro di Epidauro addirittura il numero delle scalette che suddividono i settori dalla trentaquattresima fila in su, raddoppia.
Il motivo è ovvio: per ragioni distributive e per far fare a tutti lo stesso sforzo nel cercare il posto.
La cavea (kòilon), infatti, non era di forma perfettamente semicircolare, ma si apriva leggermente a ventaglio migliorando la visibilità per gli spettatori ai lati; poteva contenere circa 15.000 persone o di più. L'orchestra del diametro di 20 metri era unita alla cavea da un corridoio largo in media due metri, ma era un po’ più larga ai lati per la forma non perfettamente semicircolare della cavea. Due porte assai ben decorate ornavano i passaggi laterali.

La descrizione fredda e puntuale che ho fornito non rende ovviamente la vitalità che percorreva il teatro durante gli spettacoli. Ma faccio ammenda e cerco di farvi entrare nel teatro di Epidauro durante le rappresentazioni.
Il pubblico era ammesso dietro pagamento di un modico biglietto (due oboli), il cui costo, per i cittadini poveri, era sostenuto dallo stato. Anche questo fatto non va interpretato come espressione di una prassi demagogica dello stato democratico, ma piuttosto come segno dell'essere il teatro classico ateniese non solo puro divertimento, ma solenne funzione pubblica ed educativa, alla quale ogni cittadino doveva essere posto in grado di partecipare.

Sulle gradinate, tuttavia, sedeva un pubblico piuttosto agitato che partecipava agli agoni drammatici in modo alquanto indisciplinato, alzandosi in piedi per applaudire, gridare, protestare o battendo rumorosamente i piedi per esprimere il proprio disappunto nei confronti di un attore.
Infatti, il pubblico era molto critico e, poiché le varie rappresentazioni erano in gara l’una con l’altra, ciò risvegliava la partigianeria per un attore o per l’altro, per un autore preferito rispetto ad un altro.
Il clima di vivace critica poteva esprimersi con… rumori spontanei, battimani, grida, fischi fino ad arrivare - come racconta Aristotele – a provocare disordini, a lanciare fichi, olive o addirittura sassi contro gli attori.
L’abilità tecnica o la mancanza di essa da parte di attori, autori o coro destava rabbia o approvazione da parte di un pubblico con occhio e orecchio critici.
Anche allora esisteva la richiesta di bis, in greco authis; se qualche verso o frase colpiva in modo particolare la fantasia degli spettatori veniva richiesta con energia un authis.

Insomma non regnava a teatro il silenzio solenne che ci si aspetta oggi durante una rappresentazione importante.
Una caratteristica comune a tutti i teatri greci è anche la perfezione dell’acustica ed il teatro di Epidauro è famoso anche per la sua eccezionale acustica. “Anche i suoni più deboli — un sospiro o il rumore di un pezzo di carta strappato — si odono chiaramente fin sulle ultime gradinate”, dice Spyros E. Iakovídis, docente di archeologia.
Quando visitano questo teatro, molti turisti si mettono al centro dell’orchestra e recitano poesie, cantano o anche sussurrano frasi ai loro amici seduti sulle gradinate più alte.
Tutti rimangono colpiti dal modo straordinario in cui il suono raggiunge ogni angolo di questa vasta struttura.

Vorrei spiegare brevemente il perché.
Il segreto dell’acustica dei teatri greci è riconducibile alla conformazione a semicerchio, che contribuisce a “trattenere” i suoni. Molta importanza hanno anche le gradinate e soprattutto la loro pendenza: le strutture di pietra opportunamente inclinate agiscono infatti da filtri acustici, indispensabili, vista la grande folla che occupava la cavea.
La buona o ottima acustica era il risultato della perfetta conoscenza di un principio fisico semplice, ma essenziale: il principio del riverbero delle onde sonore sui materiali adoperati dai costruttori, materiali che, normalmente, erano la pietra e il legno, e dall’angolazione di questi materiali rispetto alla sorgente sonora.
Questa conclusione deriva dagli studi compiuti da due note università.
Due ricercatori del Georgia Institute di Atlanta (Usa) hanno notato che i gradini in pietra “tagliano” le frequenze basse che disturberebbero l’ascolto, come appunto il brusio degli spettatori, rumori ambientali... ed altro provenienti dalle gradinate, ma preservano, invece, i suoni più acuti come le voci degli attori del coro o la musica degli strumenti. Le armoniche più basse provenienti dal palcoscenico e dall’orchestra, pur se penalizzate anch’esse, erano tuttavia “ricostruite” nell' orecchio dell' ascoltatore per la presenza dei tantissimi armonici elevati emessi dalle corde vocali degli attori e del coro.
Un diverso studio, condotto all’Università di Sheffield (Uk), ha messo invece in evidenza che l’acustica è tanto migliore quanto più il palcoscenico è elevato, i sedili ripidi ed il materiale con cui è costruito il teatro solido e compatto. Con questi accorgimenti, il suono viene riflesso più volte tra palcoscenico e gradinate, creando una sorta di riverbero che amplificava le voci degli attori come se si trovassero in un teatro al chiuso.
Risultato: ad Epidauro, dove queste caratteristiche sono rispettate al massimo, le voci sono perfettamente udibili a 60 metri di distanza.

Inoltre, per migliorare ancora l’acustica, sotto il piano ligneo del palco, vi era una cavità profonda all’incirca due metri e mezzo e lunga quanto tutta la skenè.
L'interno di questo ambiente veniva anche sfruttato per manovrare gli scenari dipinti, mentre una funzione esclusivamente acustica aveva l'altra cella sotterranea che si trovava al centro dell'orchestra.
Anche la larghezza limitatissima del palcoscenico difficilmente potrebbe spiegarsi senza attribuirla alla necessità che gli attori non si allontanassero mai troppo, durante lo spettacolo, dal fondo della scena, perdendo così l'effetto di rinforzo della voce, dovuto alla superficie riflettente alle loro spalle.
In particolare ad Epidauro, per compensare la maggiore altezza della cavea, fu necessario alzare il proscenio sopra il piano dell'orchestra. Gli spazi tra le colonne della skenè vennero tamponati con i "pinakes", riquadri di legno, che formavano, insieme con la pedana del palco, una vera e propria cassa di risonanza.
Tutto influiva sul rendimento acustico dell’ambiente: materiali costruttivi, angolazione e disposizione delle gradinate, nonché l’altezza del palcoscenico.

Ma poiché, oltre che ascoltare, si doveva anche poter vedere gli attori (erano solo tre, protagonista, deuteragonista, tritagonista) essi indossavano un lungo abito, spesso imbottito, ed un mantello, portavano calzature, con un'alta suola di legno, che li rendevano molto più alti, quindi più visibili agli spettatori più lontani. Allo stesso scopo gli attori indossavano gli onkos cioè delle parrucche innaturalmente elevate.
L’aspetto da vicino risultava eccessivo e ridondante, ma permetteva a tutti di capire di quale personaggio si trattasse anche da grande distanza.

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Riguardo alle maschere abbiamo notizie da Polluce (sofista e grammatico greco del II sec. d.C.). Da lui sappiamo come le maschere usate dagli attori Greci fossero molte, fatte di stoffa gessata, legno o sughero e, pare, avessero la capacità di amplificare la voce perchè l'apertura della bocca era a forma di cono per permettere alla voce di uscire come da un megafono. La scarsa resistenza dei materiali di cui erano fatte non ha permesso agli archeologi di ritrovarne che rare copie in argilla usate come ornamento.
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Naturalmente la maschera serviva a caratterizzare il personaggio, quindi era fatta in modo da indicare l'età, il ceto di appartenenza, lo stato d'animo e il carattere. In genere le storie erano composte da personaggi quasi fissi: un giovane, un vecchio, il servo, l'eroe o l'eroina, il suonatore, un messaggero, poi c'erano le divinità.

Per ben comprendere quanto fosse difficile il compito di un buon attore, pensiamo che se la maschera dava all'attore possibilità di rappresentare più parti, magari assai diverse l'una dall'altra, gli toglieva però l’aiuto dell'arte mimetica, cioè la varia espressione del volto: l'espressione restava sempre unica per ogni parte, cioè quella fissata nella maschera. Grandissimo studio doveva quindi l'attore mettere nell'arte del porgere; per dare espressione al personaggio doveva ricorrere alla gestualità.
La vastità del teatro all'aperto richiedeva non comuni doti di potenza e chiarezza di voce: infine la mancanza di quell'umile, ma essenziale, figura del teatro moderno che è il suggeritore, unita al fatto che l’attore interpretava diverse parti faceva sì che la memoria d'un grande attore dovesse essere d'una prontezza e d'una tenacia fenomenali.
In ultimo tratterò dell’uso degli effetti speciali usati a piene mani nel teatro drammatico greco e poi anche in quello comico.
I più importanti erano lo enkyklema e la mechanè.
Il primo era una sorta di piattaforma che, eseguendo un movimento circolare o rettilineo, girevole, serviva a rendere visibile al pubblico quanto avveniva in un interno (soprattutto i fatti di sangue che non venivano rappresentati davanti agli occhi dello spettatore*) e a consentire il passaggio da un esterno a un interno.
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La seconda era una macchina per volare, una specie di gru che, con un sistema di cavi e carrucole, serviva a tenere sollevato un personaggio e spesso anche a calare dall’alto una divinità (deus ex machina).
Gli dèi apparivano anche dal theologèion, in pratica una piattaforma nascosta in alto, sopra la parete di fondo.
Per le apparizioni dei fantasmi o delle ombre di morti si ricorreva ad una botola, posta nell’orchestra, cui si accedeva tramite un passaggio sotterraneo detto charòneioi klìmakes ("scale di Caronte").
Gli spettatori del teatro greco non dovevano rinunciare nemmeno ai rumori, grazie ad appositi strumenti che servivano a simulare tuoni, lampi, fiamme: il keraunoskopeion, ( dal gr. keraunos, fulmine e skopeo, osservo) o macchina per fulmini: essa era costituita da un prisma triangolare di legno fissato ad un perno centrale che permetteva la rotazione, forse era rivestita da una superficie metallica striata che riusciva a riflettere i raggi del sole, simulando i lampi; ed il bronteion( dal gr. brontè, tuono) , o macchina per il tuono: era costituita da un vaso di rame o da un recipiente di bronzo contenente alcune pietre, il suo movimento produceva un rumore che rimandava a quello dei tuoni. Veniva usata per indicare l’ingresso di un dio sulla scena oppure per rappresentare una tempesta o un peggioramento del clima.

Spero di avervi dato un’idea abbastanza chiara di che cosa fosse un teatro greco. Per quanto riguarda ciò che vi veniva messo in scena presto aprirò una nuova discussione nella sezione Cultura Greca e vi racconterò come nacquero e vennero rappresentate le opere dei grandi tragediografi Eschilo, Sofocle ed Euripide, di altri autori meno noti e la nascita e lo sviluppo della commedia.
Per adesso vi saluto e vi ringrazio per avermi seguito fin qui.


*In tutte le tragedie che sono giunte fino a noi la violenza e l’assassinio si svolgono fuori scena: il pubblico non vede duelli emozionanti, né spettacoli cruenti. Gli studiosi hanno cercato di spiegare questa sorta di pudore con qualche tabù religioso, oppure con difficoltà inerenti il numero limitato di attori (tre). Ma qualunque fosse l’origine di questa abitudine il fatto è che fu conservata, dimostrando la disposizione del pubblico ad affidarsi all’immaginazione più che alla visione, all’orecchio anziché all’occhio. Ciò che gli spettatori si aspettavano di vedere non era la violenza stessa, ma piuttosto le sue conseguenze, magari raccontate da un messaggero il cui racconto commoveva fino alle lacrime la folla.

Bibliografia e link
I greci a Teatro, di H.C. Baldry, ed. Laterza
La tragedia Greca, di A. Rodighiero, ed. il Mulino
La città greca, G.Glotz, ed Einaudi
Storia dell’arte classica. Arte greca, Giulio Quirino Giglioli, ed. Vallardi
www.rodoni.ch/OPERNHAUS/elektra/sofocle/edificioteatrale.htm
www.inftub.com/letteratura/Il-teatr...strutt11555.php
www.kairosteatro.it/ilteatrogreco.htm
www.treccani.it/enciclopedia/attori...ia_Italiana%29/
www.focus.it/cultura/arte/da-cosa-d...-teatri-antichi


Edited by chiara53 - 5/7/2018, 17:13
 
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view post Posted on 3/3/2015, 00:05
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Lezioni interessantissime e come sempre scritte con chiarezza. Sei un'ottima insegnante Chiara, prendi per mano il lettore e lo conduci alla scoperta o riscoperta di meraviglie artistiche senza annoiare.
Ho letto quindi con piacere queste due lezioni sul teatro greco facendo un tuffo nel passato.
Grazie :wub:
 
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28 replies since 7/6/2014, 15:18   8126 views
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