La scrittura alfabetica - L'unione fa la forza
E brave a tutte le partecipanti.
Per aiutarvi avevo detto “fuochino”, quando in realtà la parola migliore in quel caso era “acqua”, come qualcuna ha indovinato.
Ebbene sì, la lettera “m” ha proprio in sé l’acqua, le onde del mare che si propagano e che s’inseguono.
È un caso?
No, per nulla.
Ma andiamo con ordine, perché è necessario fare un passo alla volta per arrivare a questa acqua.
Esistono parecchie teorie su chi debba detenere il primato per la nascita della scrittura.
Fenici ed Egizi si contendono lo scettro, anche se alla luce degli ultimi studi sembra che la palma della vittoria spetti davvero ai primi, così si rinsalda il famoso detto “l’alfabeto fu inventato dai Fenici e poi passò ai Greci”.
Il problema è che non fu tutto così semplice, in realtà, perché per “Fenici” si possono intendere parecchie cose e le idee di molti che prima erano chiare ora potrebbero non esserlo più.
Per lungo tempo si è pensato che quella dei Fenici fosse una loro innovativa e libera invenzione, totalmente nuova e diversa dalle scritture che si trovavano in altre parti del mondo. Alla luce di nuovi studi e di ulteriori ricerche, è doveroso però ammettere che la questione dell’alfabeto è assai più complessa.
Il problema è questo: di quali Fenici si sta parlando?
Anticamente nell’area fenicia bisognava distinguere tra coloro che abitavano l’attuale Libano – i Fenici veri e propri – e coloro che risiedevano nell’attuale Palestina, associati ai Fenici ma comunque pur sempre differenti ed anzi posti sotto il controllo dell’Egitto.
Per praticità con quello che vedremo poi io qui li chiamerò “semiti”, ma il termine più esatto sarebbe “siri”.
Ebbene, tutto si gioca qui, in questo lembo di terra, attorno al quale nel terzo millennio a.C. gravitavano tre aree con i loro tre tipi scrittori: la Mesopotamia (che aveva adottato un sistema scrittorio sillabico cuneiforme, comprensivo di vocali); l’Egitto (che aveva ideato due tipi di metodi scrittori: uno, il geroglifico, una scrittura tipicamente monumentale e architettonica; l’altra, lo ieratico, una scrittura corsiva, usata dagli scribi in ambito sacerdotale); Creta (con la lineare A, una scrittura fonetica sillabica a cui ogni segno corrispondeva una sillaba, non ancora del tutto decifrata però).
In questo periodo dunque, nella terra semitica che c’interessa troviamo documenti sia in cuneiforme sia in geroglifico, considerando che questa zona era sotto diretto dominio sia dell’Egitto (in alcune zone) che della Mesopotamia (in altre).
E’ curioso notare come la terra di Palestina, fin dai primordi, abbia cercato di differenziarsi in tutto e per tutto dai due grandi imperi limitrofi, che proiettavano le loro ombre minacciose e grandiose su quel minuscolo lembo di pianeta che interessava ad entrambe per motivi strategici. Tra il III e il II millennio accade infatti che in questa zona, denominata semitica (da qui i “semiti” che prima ho introdotto), si tenti di trovare il modo di inventare un sistema grafico che potesse essere differente da quello dei grandi e scomodi vicini.
Singolarmente ciò che nasce sembra essere una clamorosa via di mezzo: una scrittura sillabica, simile alla lineare A, ma ispirata ai geroglifici e con il preciso intento di semplificarli.
Fin qui tutto chiaro, no?
Certo, tutto chiaro… ma asettico, non trovate?
Per almeno un altro millennio abbiamo altri tentativi di scrittura e di alfabeti e quasi certamente molti dei quali a noi mai pervenuti, eppure in tutto questo non troviamo traccia degli uomini che si lambiccarono – o ci arrivarono per puro caso – e che consegnarono alla storia l’invenzione più clamorosa.
Cosa avranno pensato gli scribi di quel secondo millennio a.C.? Si saranno ritenuti soddisfatti, o magari qualcuno di essi la notte, alla luce della lampada ad olio, cercava segni e simboli che potessero operare la grandiosa magia di trasformare suoni e pensieri in qualcosa di tangibile e concreto?
Per scoprirlo dobbiamo attendere il XV secolo a.C. ed andare nella penisola del Sinai, più precisamente a Serabit El-Khadim.
Lì entra in gioco la storia di uomini che cercarono di semplificarsi la vita e che effettivamente la cambiarono a tutti coloro che sarebbero giunti più tardi sulla terra.
Erano minatori semiti al servizio dell’Egitto. Loro compito consisteva lavorare nelle miniere di turchese.
Pur conoscendo la lingua della terra che li ospitava, non ne sapevano leggere i segni, cioè i geroglifici. Ma questo non li fermò dal desiderio di tracciare delle iscrizioni votive agli dei perché li proteggessero anche nelle viscere della terra ricca di gemme.
Nacque così la cosiddetta “scrittura protosinaitica”: riprendeva dalla scrittura egiziana geroglifica 25 segni, quelli monoconsonantici. Manteneva il rapporto tra significante significato, perché al significato egiziano del geroglifico sostituiva il significato in semitico, prendendo come valore la prima consonante del nome in rapporto al pittogramma.
Difficile da capire?
Proviamo a “vedere”, così tutto sarà più chiaro.
Il sistema di scrittura che ne uscì fu di soli 22 segni – davvero pochi, in confronto alle centinaia di geroglifici – e per giunta abbastanza facili da imparare soprattutto dai ceti più bassi della popolazione.
E i Fenici?
Beh… non abbiamo alcun dato per quanto riguarda la Fenicia vera e propria.
Iscrizioni scollegate tra loro, la maggior parte di esse su punte di freccia, mancanza di scavi ben documentati nella zona fenicia… tutto questo ci porta a dire che non furono esattamente i Fenici che intendiamo noi ad inventare l’antenato dell’alfabeto, ma altre popolazioni che gravitavano intorno alla loro area.
Tutti d’accordo?
Ma nemmeno per sogno!
Il grande problema, la disperazione degli storici e degli archeologi, è questo: non abbiamo abbastanza documenti che attestino che questa teoria sia la sola ed esatta.
O per meglio dire, ne possediamo, ma non ne sappiamo la datazione certa, di conseguenza, dei vari alfabeti a noi pervenuti – protosinaitico-palestinese, ugaritico, iscrizione sul sarcofago di Ahiram – non abbiamo la certezza di quale sia il primo che ha dato il via agli altri, sempre se c’è collegamento tra essi.
Forse un giorno la sabbia di quei deserti ci restituirà la risposta, antica di millenni, che attende solo di tornare alla luce.
Forse invece un dato certo non lo avremo mai, ed allora non ci rimarrà che rimanere comunque stupiti del fatto che in un periodo racchiuso in una manciata di secoli ci fu il tentativo di molti uomini di compiere quella meravigliosa magia di tradurre i pensieri in segni scritti e viceversa in modo più semplice possibile.
Gli studiosi ancora si stanno lambiccando e noi con loro.
E l’acqua?
Quella la vedremo nella prossima puntata, insieme al toro e alla casa.
E sono pronta a scommettere che da quel momento in poi le lettere che ci sono amiche lo diventeranno ancora di più.
Continua...***
Link e bibliografia:
http://net.lib.byu.edu/imaging/negev/origins.html
V. Brugantelli, Gli alfabeti semitici del secondo millennio.
G. Garbini, Introduzione all’epigrafia semitica.
G. Garbini, Introduzione alle lingue semitiche.