Il Calderone di Severus

Metrica e figure metriche, Lezione sul verso, divisione in sillabe (dittongo e iato), figure metriche e licenze poetiche

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Frassa
view post Posted on 17/11/2010, 22:39




Indice della lezione

1 - Introduzione - il verso - conteggio sillabe e figure metriche
2 - Definizione di verso
3 - Come si contano le sillabe
4 - Dittonghi, trittonghi e iato
5 - Figure metriche (di vocale)
6 - Figure metriche (di accento)
7 - Licenze poetiche




Introduzione

Wikipedia dice: "La metrica è la struttura letteraria di un componimento poetico, che ne determina il ritmo e l'andamento generale: la critica letteraria, analizzando una parte significativa della produzione poetica di una certa cultura stabilisce dei canoni, delle categorie ricorrenti e significative, che classificano la composizione dei versi e delle strofe."

Prima precisazione: non capita mai che la critica cominci a lavorare con secoli di distacco, su una produzione che ormai può considerarsi finita; nella maggior parte dei casi il canone viene a costituirsi contemporaneamente alla produzione e la figura del critico coincide con quella del poeta. Per fare qualche esempio riferito alla nostra illustre tradizione, si attribuisce a Jacopo da Lentini, XIII secolo, l'invenzione del sonetto (dunque la sua canonizzazione; vedi discussione sulle tipologie di componimento poetico) e Francesco Petrarca svolse una vera e propria opera di purificazione e irrigidimento del canone, tanto che in tutto il Canzoniere non è possibile trovare un solo endecasillabo che non abbia la quarta o la sesta sillaba accentata (vedi trattazione sulle tipologie di verso e l'endecasillabo). Poiché la classificazione si forma insieme alla produzione letteraria, le categorie che vengono individuate diventano contemporaneamente delle norme di composizione: i poeti in lingua italiana a partire dal Duecento e almeno fino a tutto il Rinascimento si esprimono esclusivamente in endecasillabi e settenari, perché in quel periodo comporre poesie significa esprimersi secondo il canone stabilito.

Ma da cosa nasce questa esigenza di stabilire dei canoni e delle norme di composizione? Noi ora, eredi in questo del Romanticismo, tendiamo a vedere tutte queste norme come una forzatura limitante il genio creativo del poeta. Chiaramente nel Trecento non c'era nessuna lobby di avversari della poesia che stabilisse regole per dar fastidio ai poeti e frenare le loro capacità (:D), anzi, come abbiamo detto, erano i poeti stessi a ricercare queste regole e a sistematizzarle. Qual è il fine di questa operazione? Come dice wikipedia, la metrica determina il ritmo e l'andamento generale del componimento. Per capire l'importanza del ritmo in poesia bisogna guardare le sue origini e la sua natura.

La poesia nasce in culture e in epoche diverse, spesso prima ancora della scrittura, come fenomeno inscindibile dalla musica. La prima forma d'arte che si sviluppa è sempre quella del canto, che sia canto popolare contadino o raffinatissimo canto di corte regia. È evidente che nel canto la coincidenza fra parola e musica è piena, in quanto la musica è data interamente dalla parola e la parola si esprime unicamente attraverso la musica; forma e contenuto sono inscindibili. Si inventano poi gli strumenti musicali (cetra e flauto nella cultura greca arcaica) che fungono da accompagnamento al canto; da qui si sviluppa lo studio della musica in sé che diventa quindi indipendente dalla parola. Simmetricamente si approfondisce lo studio del linguaggio, specie con la nascita della scrittura che obbliga a codificarlo per chiarezza; i componimenti orali si trascrivono per comodità (esempio: poemi omerici) e si ha un progressivo e lentissimo passaggio dall'oralità alla scrittura (l'argomento sarà approfondito meglio nella sezione Antiche culture).

Ciò che noi oggi chiamiamo poesia è l'estrema conseguenza di questo processo: dai testi di antiche canzoni composte e tramandate oralmente si arriva all'idea di un testo composto su carta, che rifletta le regolarità individuabili nei vecchi canti, privati dal tempo della musica che in origine li accompagnava e che non si è potuta trascrivere.
Tuttavia, come si è detto, la musica NON si identificava con l'accompagnamento, che era solamente un'aggiunta, ma era profondamente connaturata al testo e alle parole stesse: questa componente musicale permane nei testi trascritti e nella poesia, che si configura dunque come l'arte che congiunge l'effetto provocato dai significati delle parole (aspetto semantico) a quello provocato dai loro suoni (aspetto fonetico) e dal ritmo che esse conferiscono alla lettura (aspetto ritmico o metrico).

Ecco dunque la funzione della metrica: le norme di composizione servono ad aiutare i poeti nella ricerca di un ritmo che conferisca musicalità al testo e nella scelta del ritmo più adatto alle sensazioni ricercate. Poi chiaramente, per questioni storiche, queste norme che dovrebbero essere di aiuto si sono irrigidite tanto da diventare effettivamente dei limiti: è intuitivo che un poeta con una grande sensibilità ritmica potrà comporre versi anche senza avvalersi del canone e senza che perciò la musicalità ne risenta, anzi pescando di volta in volta la più appropriata fra quelle infinite sfumature ritmiche che la metrica tradizionale non può certo prevedere né sistematizzare. La "ribellione" romantica non è pertanto del tutto ingiustificata, anzi si può dire che abbia restituito alla metrica il suo valore proprio, combattendo il vecchiume che l'aveva svuotata: ciò che conta è il ritmo, la metrica può fornire delle regole che aiutano a trovarlo ma non si tratta mai di leggi sacre! Che poi i romantici abbiano esagerato e siano arrivati a disprezzare Petrarca perché insincero, è un altro discorso...

Il verso

L'unità metrica di base è il verso, che si fa coincidere con la riga.

La metrica italiana, diversamente da quella latina e greca, è detta accentuativa: ciò significa che il ritmo è conferito essenzialmente dalla successione degli accenti principali (o ritmici) all'interno del verso. Nelle letterature classiche ciò che contava era la durata o quantità delle sillabe (metrica quantitativa) e in corrispondenza degli accenti è da credere che si alzasse il tono della voce (accento acuto) o lo si abbassasse (accento grave), come in una cantilena; l'accento circonflesso, che poteva trovarsi solo su sillabe "lunghe" (cioè di durata doppia rispetto alle sillabe brevi), prevedeva un innalzamento e un successivo abbassamento del tono della voce sulla medesima sillaba. Questo uso dell'accento è detto accento musicale; il nostro è invece un accento dinamico, il che significa che le sillabe accentate vengono pronunciate con una maggiore intensità di voce.

Il canone prevede 10 tipologie di verso, che riporto da wikipedia:

* il bisillabo o binario o bisillabico, verso che ha un accento ritmico sulla prima sillaba;
* il trisillabo o trisillabico, verso che ha un accento ritmico sulla seconda sillaba;
* il quaternario o quadrisillabo, o quadrisillabico, verso con accenti sulla prima e sulla terza sillaba;
* il quinario o pentasillabo, verso in cui gli accenti ritmici cadono sulla prima o seconda sillaba e sulla quarta;
* il senario verso con gli accenti ritmici sulla seconda e sulla quinta;
* il settenario verso che ha il primo accento ritmico mobile, che può cadere su una qualsiasi delle prime quattro sillabe, mentre il secondo accento è fisso sulla sesta sillaba;
* l’ottonario verso con gli accenti sulla terza e sulla settima sillaba;
* il novenario o enneasillabo: da qui in poi sono necessari tre accenti ritmici anziché due soltanto, per l'accresciuta lunghezza dei versi: gli accenti ritmici del novenario cadono sulla seconda, quinta e ottava sillaba;
* il decasillabo verso con accenti sulla terza, sesta e nona;
* l’endecasillabo, con un solo accento obbligato, sulla decima sillaba, mentre gli altri due possono presentarsi in varie posizioni, e uno può addirittura mancare.

Come si può notare il nome di ogni verso rimanda, per tradizione, al numero di sillabe che generalmente lo compongono, ma, come si è detto e come si nota dalle definizioni, ciò che conta non è il numero di sillabe ma la posizione degli accenti e più precisamente dell'accento ritmico principale, che è SEMPRE L'ULTIMO DEL VERSO. La nomenclatura ha questa struttura perché in italiano esistono parole tronche (con l'accento sull'ultima sillaba, come città), piane (sulla penultima, come cappello, ermellino, pianoforte, busta), sdrucciole (sulla terzultima sillaba: fragola, carica), bisdrucciole (sulla quartultima: càpitano, tienitelo), ma la grande maggioranza delle parole è piana; di conseguenza, un verso che ha l'ultimo accento sulla sesta sillaba avrà, nella maggior parte dei casi, sette sillabe totali, perché l'ultima parola sarà spesso piana; di qui il nome del settenario, che indica il verso con l'accento principale sulla sesta. La conseguenza che se ne può trarre è che esistono anche settenari di sei o di otto sillabe, endecasillabi di dieci, undici, dodici, tredici sillabe e così via: per classificare un verso non bisogna contare le sillabe che lo compongono ma numerarle e guardare su quale sillaba cada l'ultimo accento ritmico. Per comodità chiameremo tronchi, piani, sdruccioli, bisdruccioli, trisdruccioli e quadrisdruccioli anche i versi, basandoci sull'accentazione dell'ultima parola che li compone: "Nel mezzo del cammin di nostra VIta" sarà un endecasillabo piano, "la terra al nunzio STA" un settenario tronco e così via.

Conteggio delle sillabe (e figure metriche)

Abbiamo visto che per studiare metricamente un verso bisogna guardare su quali sillabe cadano gli accenti ritmici, dopo aver opportunamente numerato le sillabe. Tuttavia la scansione sillabica in poesia è molto diversa da quella grammaticale e riflette maggiormente la pronuncia effettiva delle frasi. Vediamola.

La prima differenza è che l'unità di base da analizzare non è la singola parola, bensì il verso: si può notare con un piccolo sforzo di immaginazione e di sensibilità che le parole, così chiare e distinte le une dalle altre sulla carta, al momento della pronuncia si fondono fra di loro, perché la spaziatura è solo un carattere grafico, o meglio un non carattere, cui non corrisponde assolutamente nulla nella pronuncia. Per altro questa mancanza di separazione nel parlato è uno dei primi ostacoli che si incontrano nell'affrontare una lingua straniera oralmente: sebbene ne conosciamo la grammatica, fatichiamo a capire che cosa ci stiano dicendo se non riusciamo a distinguere le singole parole!

Questo effetto di "confusione" fra le parole è dovuto al fenomeno della sinalefe, una figura metrica che ricalca bene il parlato comune: se ad una parola che termina in suono vocalico ne segue un'altra che comincia con un suono anch'esso vocalico, l'ultima sillaba della prima parola si fonde con la prima sillaba della seconda parola. Vediamo un esempio per capire meglio: nel verso dantesco "Tanto gentile e tanto onesta pare" il sintagma "tanto onesta" viene pronunciato come un'unica parola e le due sillabe adiacenti al carattere di spaziatura si pronunciano con un'unica emissione di voce; perciò conteranno come una sillaba sola, esattamente come se fosse scritto "tantonesta".
La scansione in sillabe del verso riportato sarà per tanto "Tan - to - gen - ti - le e - tan - to o- ne - sta - pa - re", con l'accento ritmico principale (ultimo) sul -pa- di "pare", che è la decima sillaba; perciò il verso può dirsi endecasillabo. Si noti per altro che un'altra sinalefe si è verificata al verso 5, infatti nella pronuncia più spontanea possibile del verso la "e" congiunzione non viene neppure pronunciata, fondendosi con la sillaba che la precede.
Un fenomeno grammaticale che dimostra quanto la sinalefe sia ricorrente a nostra insaputa è l'elisione: "quella anatra" diventa "quell'anatra", proprio perché le due sillabe interessate vengono realizzate e percepite come un'unica emissione di voce, dunque come un'unica sillaba.

Nonostante quanto detto sulla sinalefe, sarebbe errato credere che essa intercorra ogniqualvolta due vocali si incontrino alle estremità interne di due parole adiacenti: esistono infatti casi ben precisi in cui il fenomeno non avviene e le sillabe rimangono effettivamente separate e vengono percepite come distinte. Questo fenomeno, inverso alla sinalefe, si chiama dialefe e si verifica quando le due vocali in questione sono separate da un segno di interpunzione, o quando una delle due è accentata, o talvolta quando l'intervento della sinalefe potrebbe modificare il significato delle parole, assorbendo per esempio un monosillabo; wikipedia riporta ad esempio un altro verso dantesco, "d'infanti?e di femmine e di viri", dove il fenomeno della dialefe ha mantenuto disgiunte la parola "infanti" e la parola "e".

Sebbene queste figure ricalchino la pronuncia reale e spontanea, il poeta ha una certa libertà nel loro uso, che può anche forzare leggermente la pronuncia, come si nota nell'esempio precedente: verrebbe spontaneo pronunciare il verso con la sinalefe, assorbendo la congiunzione "e" nella parola "infanti" (come per altro succede all'altra congiunzione "e" che segue "femmine"), ma Dante ha qui imposto la dialefe che obbliga a scandire meglio quella porzione di verso, rallentando per altro l'andamento generale. Ma come si fa, durante la lettura, a capire come pronunciare le sillabe che si trovano in questa posizione, se unitariamente o separatamente? Se il poeta è abile, la lettura dei versi precedenti avrà instillato in animo al lettore un certo ritmo proprio di quel componimento e al lettore verrà decisamente spontaneo unire o separare le sillabe per conservare quel ritmo; una pronuncia errata provocherà una evidente stonatura ed una caduta ritmica che il lettore non potrà non notare. In fase compositiva è bene rileggere sempre e scandirsi mentalmente o, meglio, vocalmente le sillabe, controllando che venga spontaneo suddividerle come nelle proprie intenzioni; se ho scritto un verso con dialefe e mi viene spontaneo pronunciarlo invece con sinalefe, sballando completamente il ritmo (l'aggiunta o la sottrazione di una sillaba ha sempre effetti importanti, può trasformare un settenario in ottonario), vuol dire che la mia dialefe era una forzatura eccessiva per far rientrare il verso nel metro scelto, dunque ho sbagliato e sarebbe meglio riscrivere il verso diversamente.

Viste la sinalefe e la dialefe, passiamo alle altre due figure metriche che saranno oggetto di questo compendio: la sineresi e la dieresi.
Il concetto non è troppo diverso da quello già visto: è possibile trovare, in una singola parola, due vocali accostate; a seconda che esse vengano comunemente pronunciate con una sola emissione di voce oppure con due emissioni distinte, ci troveremo davanti a un dittongo (feudo) o a uno iato (leone). La sineresi è definibile come la figura di fusione di uno iato, analoga in ciò alla sinalefe, mentre la dieresi equivale allo spezzamento di un dittongo.
Talvolta infatti l'andamento ritmico della frase, che in poesia prevale sempre su quello della singola parola, può indurre a pronunciare con una singola emissione di voce quello che normalmente sarebbe uno iato e quindi richiederebbe due emissioni di voce distinte; wikipedia riporta come esempio di sineresi "Questi parea che contra me venisse", sempre di Dante, in cui "parea", parola composta comunemente da tre sillabe (pa-re-a) si pronuncia come se fosse composta da due soltanto (pa-rea).
La dieresi, figura opposta, interviene quando l'andamento o le intenzioni dell'autore costringono a separare gli elementi di un dittongo in due sillabe diverse; l'esempio di wikipedia, ancora tratto da Dante, è "la somma sapïenza e ’l primo amore", dove "sapienza", che normalmente ha tre sillabe, si pronuncia come se fosse composta da quattro. Per evitare errori di lettura è buona norma segnalare la dieresi con il simbolo grafico adeguato.
Come per la sinalefe e la dialefe, il poeta ha un certo margine di libertà nell'applicazione di queste figure, ma la sua scelta non è mai arbitraria e bisogna sempre evitare le forzature eccessive che renderebbero errata la lettura.

Per il conteggio delle sillabe di un verso, necessario alla sua classificazione e alla sua corretta composizione, è dunque necessario tener conto della sinalefe, della dialefe, della dieresi e della sineresi.

Seguiranno alcuni esempi di scansione metrica. Purtroppo è difficile spiegare questi fatti di pronuncia per iscritto...provate a battere il piede per terra mentre pronunciate un verso di qualche autore della letteratura italiana o di questo forum e cercate di entrare nello spirito giusto!

Edited by Ida59 - 4/6/2018, 14:36
 
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view post Posted on 18/11/2010, 13:59
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Bellissima lezione, Frassa, grazie!

Grazie a questa precisazione in particolare
CITAZIONE
In fase compositiva è bene rileggere sempre e scandirsi mentalmente o, meglio, vocalmente le sillabe, controllando che venga spontaneo suddividerle come nelle proprie intenzioni; se ho scritto un verso con dialefe e mi viene spontaneo pronunciarlo invece con sinalefe, sballando completamente il ritmo (l'aggiunta o la sottrazione di una sillaba ha sempre effetti importanti, può trasformare un settenario in ottonario), vuol dire che la mia dialefe era una forzatura eccessiva per far rientrare il verso nel metro scelto, dunque ho sbagliato e sarebbe meglio riscrivere il verso diversamente.

ora ho le idee molto più chiare su sinalefe, dialefe, sineresi e dieresi.

Una domandina sciocca.
Per dieresi si intendono anche i due puntini che si mettono sulle vocali (molto usati per il tedesco e, se non ricordo male, quando una vocale ha la dieresi non può formare un suono unito ad un'altra - eu si pronuncia oi, ma ëu si pronuncia eu) e tu stesso li hai usati per rendere bene la pronuncia di sapïenza. Significa che la dieresi (segno grafico-fonetico dei due puntini sulla vocale) è nato per segnalare la dieresi nel verso?

Domanda da ignorante.
Come faccio a capire se mi trovo davanti a un dittongo o a uno iato? Ok, in teoria dovrei capirlo dal suono della parola, ma quando devo andare a capo in parole che hanno due vocali contigue ho sempre dei problemi. Esistono regole precise?
Tanto per fare un esempio: "teoria" come si divide in sillabe? Te-o-ri-a oppure te-o-ria oppure teo-ria?


Edited by chiara53 - 25/5/2015, 17:26
 
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Frassa
view post Posted on 18/11/2010, 19:22




Grazie Ida, mi fa molto piacere!

Per la dieresi è esattamente come dici tu, il segno grafico di dieresi (i due puntini) indica appunto il fenomeno fonetico della dieresi.

Sulla divisione in sillabe ti confesso che sono messo grossomodo come te, anzi peggio! Proprio perché sono abituato alla suddivisione della poesia, che è diversa, più spontanea e più adatta alle esigenze di musicalità (appunto è possibile sciogliere i dittonghi e accorpare gli iati), la divisione grammaticale mi riesce particolarmente difficile!
Per questo motivo sono andato a cercare la regola su internet e l'ho trovata su www.itisgalileiroma.it/aula/italian..._e_trittong.htm
La riporto qui di seguito:

Sillabe con dittonghi e trittonghi. Lo iato

Quando una a, una e oppure una o (dette vocali "forti") si incontrano con una i o una u (dette vocali "deboli"), si crea un dittongo. Anche l'incontro di due vocali "deboli" genera un dittongo .

Nel dittongo le vocali non devono essere mai divise tra due sillabe:

a-ria, spe-cie, uo-vo, au-to, fiu-me, fiu-to

Il trittongo si forma dall'unione di tre vocali: due "deboli", una "forte" .

Come nel dittongo, anche nel trittongo le vocali che lo costituiscono non possono essere mai separate:

a-iuo-la


Se nel gruppo di vocali la "debole" è accentata, non si ha dittongo: si genera invece uno iato. Anche l'incontro di due vocali "forti" genera uno iato.

Nello iato le vocali fanno parte di sillabe differenti:

zì-o, pa-ù-ra, ma-e-stra, po-e-ta


Secondo lo schema, "teoria" dovrebbe suddividersi te-o-rì-a

Edited by Ida59 - 8/12/2010, 16:41
 
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view post Posted on 20/11/2010, 11:02
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CITAZIONE (Frassa @ 18/11/2010, 19:22) 
Secondo lo schema "teoria" dovrebbe suddividersi te-o-rì-a

Waaaoooo! Era stata la mia prima scelta!!!

Grazie mille, Simone!
Posso copia-incollare questa tua lezione da qualche parte anche nell'Aula di scrittura?


Edited by Ida59 - 6/7/2015, 14:59
 
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Frassa
view post Posted on 21/11/2010, 12:58




certamente, dove vuoi! non c'è copyright :D
 
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view post Posted on 31/12/2010, 10:23
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Vorrei fare qualche precisazione riguardante le figure metriche (di vocale).
Frassa ha spiegato molto bene e chiaramente cosa sono quindi farò solo qualche esempio.


Sinalefe (o fusione delle vocali dal greco sy`n, "con" e alèipho, "ungere", nel senso di "rendere scorrevole" )
Nel conteggio delle sillabe di un verso la vocale finale di una parola si fonde con la vocale iniziale della parola successiva.

la | scia | teˆo | gne | spe | ran | za, | voi | ch'in | tra | te (D. Alighieri)
1 | - 2 -| - 3 - -| - 4 - | - 5 - | - 6 | - 7 | - 8 - | - 9 - | 10 | 11

In un verso è possibile trovare più di una sinalefe:

voi | ch'a | scol | ta | teˆin | ri | me | spar | seˆil | suo | no (F. Petrarca)
1 - | - 2 - | - 3 - | 4 -| - 5 - - | 6 | - 7 | - 8 - | - 9 - | - 10 | 11

Ricorda che la sinalefe può avvenire anche tra tre vocali successive appartenenti a parole diverse; inoltre non si tiene conto della lettera “h” se si trova tra le vocali.

Me | ri | gia | re | pall | li | doˆeˆas | sor | to (E. Montale)
1 - | 2 | - 3 | 4 - | - 5 |- 6 | - 7 - - -| - 8 - | - 9

cheˆhaˆin |ci | ma | coc | ciˆa | guz | zi | di | bot | ti | glia (E. Montale)
- - - 1 - - - | 2 | 3 - | 4 -| - 5 - - | 6 - | 7 - | 8 | 9 - | 10 | 11


Dialefe (o separazione delle vocali; dal greco dialèipho, "separare')
È il contrario della sinalefe. Di regola si applica la sinalefe, ma a volte il poeta può scegliere di tenere separate le vocali adiacenti per ottenere il numero di sillabe voluto. Spesso una delle vocali adiacenti è tonica.

E | tu | che | se' | co | stì | a | ni | ma | vi | va (D. Alighieri)
1 | 2 -| - 3 | - 4 | - 5 | - 6 | 7 | 8 | 9 - | 10 | 11

Co | min | ciò | il | po | e | ta | tut | to | smor | to (D. Alighieri)
1 | - 2 - | - 3 -| 4 | - 5 | 6 | 7 | - 8 -| 9 | - 10 -| 11


Sineresi (dal greco syn, ''con '' e airèo, ''prendo'', ''unisco'')
Due o tre vocali all'interno della stessa parola, che costituiscono uno iato e dunque dovrebbero formare sillabe diverse, vengono contate come una sillaba sola.

Que | sti | pa | rea | che | con | tra | me | ve | nis | se (D. Alighieri)
1 - | - 2 - | - 3 | 4 - | - 5 - | 6 - | - 7 | - 8 - | 9 |- 10 | 11

ed | og | gi | nel | la | Troa | de in | se | mi | na | ta (u. Foscolo)
1 - | - 2 | 3 | 4 - |- 5 | - 6 - | - 7 - - |- 8 |- 9 |-10 | 11

La divisione in sillabe della parola parea dovrebbe essere pa | re | a. Poiché il verso è inserito in una poesia costituita da soli endecasillabi, se ne deduce che è presente la sineresi pa | rea.
Lo stesso discorso vale per il secondo esempio; tro | a | de diventa troa | de; è presente inoltre la sinalefe de | in.


Dieresi (dal greco diàiresis, ''divisione'')
Due vocali che dovrebbero costituire dittongo si pronunciano invece separatamente per scelta del poeta e costituiscono due sillabe differenti. Spesso la dieresi viene indicata con il segno grafico di due puntini sulla prima delle due vocali, chiamato anch'esso dieresi.
Ad esempio il termine visione dovrebbe essere costituito da tre sillabe: vi | sio | ne, perché io è dittongo; si può però scegliere di rendere la parola quadrisillaba grazie alla dieresi: vi | sii | o | ne.

O | Bë | a | tri | ce, | dol | ce | gui | da e | ca | ra ! (D. Alighieri)
1 -| 2- | 3 | 4 -|- 5 -| 6 - | - 7 | - 8 | - 9 - |- 10| 11

in questo caso è presente la dieresi in Bëatrice, ma c'è anche una sinalefe in guidaˆe.

ma | vi | sï | o | ne ap | par | ve | che | ri | ten | ne (D. Alighieri)
1 - |- 2| - 3| 4 | - 5 - - | 6 - | - 7 | - 8 - | 9 |- 10 | 11

in questo caso è presente la dieresi in visione, ma c'è anche la sinalefe visioneˆapparve.


Come ho già detto prima la spiegazione di Frassa era perfetta, però magari con qualche esempio in più rendo un pochino più chiari concetti che io ho faticato a capire; chiedo scusa comunque per l'intrusione.
Ho tratto tutto dal mio libro di scuola "Interminati Spazi: antologia per il biennio "B" Poesia, teatro, altri linguaggi, temi" editore Paravia.

Edited by Ida59 - 6/7/2015, 14:59
 
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view post Posted on 12/1/2011, 15:43
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Informazioni tratte da Poetare

Le figure metriche finora illustrate (sinalefe-dialefe-sineresi-dieresi), sono dette Figure di Vocale, cui va aggiunta anche l'Episinalefe.
Tra le figure metriche rientrano anche le Figure di accento.



Episinalefe: si ha quando la vocale dell'ultima sillaba di un verso si fonde con l'iniziale del verso seguente.

Esempi:
... pei bimbi che mamma le andava
a prendere in cielo.
(G. Pascoli, La figlia maggiore, 7-8)

... in mezzo a quel pieno di cose
e di silenzio, dove il verbasco
(G. Pascoli, La figlia maggiore, 18-19)




Figure di accento



Sistole: si verifica quando l’accento tonico di una parola si ritrae verso l’inizio di questa:

… la notte ch’io passai con tanta pièta (Dante, Inferno, I, v 21) - invece di pietà -
… quando verrà la nimica podèsta (Dante, Inferno, VI, v 96) - invece di podestà -


Diastole: fenomeno contrario alla sistole, indica lo spostamento dell’accento verso la fine della parola:

… abbraccia terre il gran padre Oceàno (U. Foscolo, Dei Sepolcri, v 291) - invece di Ocèano -
… calvi gravati di carni lugùbri - invece di lùgubri -
e gli astori co’ resti dei colùbri (G. D’Annunzio, Alcyone, Ditirambo IV, vv 359-360)

Edited by Ida59 - 6/7/2015, 14:59
 
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view post Posted on 26/1/2011, 10:47
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Una volta incasellati i versi a suon di sillabe ed elaborate le figure metriche di vocale e di accento, talvolta i poeti si son trovati in difficoltà a far quadrare l'arido conteggio delle sillabe con la loro lirica volontà di comporre quel verso dalla determinata lunghezza... così nacquero le licenze poetiche!
Cominciamo ad esaminarne alcune


Tratto da Poetare.


Licenze poetiche




Pròstesi (o pròtesi): si ha quando si aggiunge una lettera o una sillaba in principio di parola, per eufonia:
ispumeggiano i frantoi (G. Carducci, Faida di Comune, v 74)
Narran le istorie e cantano i poeti (G. Carducci, Mito e verità, v 1)



Anaptissi (o epèntesi): si ha quando si inserisce una vocale fra due consonanti, così da formare una sillaba in più:
Ciascun rivederà la trista tomba (Dante, Inferno, VI, v 97) - invece di rivedrà -
… d’un altro Orfeo la cetera (V. Monti, Al signor di Montgolfier, v 31) - invece di cetra -
Niun fantasima di luce (G. Carducci, In Carnia, v 61) - invece di fantasma -
…di quella maramaglia, io non lo nego… (G. Giusti, Sant’Ambrogio, v 26) - invece di marmaglia -



Paragoge (o epìtesi): consiste nell’aggiungere una sillaba alla fine di una parola:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi (G. Leopardi, Le ricordanze, v 41)
… eversor di cittadi il mite ramo (G. Carducci, Colloqui con gli alberi, v 4)



Afèresi: indica la caduta o soppressione di una sillaba o di una lettera in principio di parola:
(am)mainaste or or la vela (G. Carducci, Faida di Comune, v 118)
… tu pria che l’erbe inaridisse il (in)verno (G. Leopardi, A Silvia, v 40)
… dell’ultimo orizzonte il (s)guardo esclude. (G. Leopardi, L’infinito, v 3)

Edited by Ida59 - 6/7/2015, 14:59
 
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view post Posted on 5/2/2011, 15:47
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Terminiamo le licenze poetiche tratte da Poetare.


Sincope: consiste nella caduta di una o più lettere all’interno di una parola:
allor che all’opre femminili intenta (G. Leopardi, A Silvia, v 10) - invece di opere -
… quello spirto guerrier ch’entro mi rugge (U. Foscolo, Alla sera, v 14) - invece dii spirito -
veniano a conversar (G. Carducci, Avanti! Avanti!, v 108) - invece di venivano -


Apocope: indica la caduta di una o più lettere alla fine della parola:
… lo fan d’ozi beato e di vivande (U. Foscolo, Dei Sepolcri, v 61) - invece di fanno -
… per lo libero ciel fan mille giri (G. Leopardi, Il passero solitario, v10) - invece di cielo -


Tmesi: si tratta della divisione in due parti di una parola, delle quali la prima è posta alla fine del verso e l’altra all’inizio o nel mezzo del verso successivo:
… - Orlando, fa che ti raccordi
di me ne l’orazion tue grate a Dio;
né men ti raccomando la mia Fiordi… -
ma dir non poté ligi, e qui finio.
(L. Ariosto, Orlando furioso, Canto XLII, Ottava XIV)

… ché mi si rompono i ginocchi. Salva-
mi
dalla brama del veloce fuoco…
(G. D’Annunzio, L’oleandro, vv 239-240, Alcyone)

Ella prega: un lungo alito d’ave-
marie
con un murmure lene...
(G. Pascoli, Sorella, vv 21-22, Myricae)
 
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view post Posted on 14/5/2018, 10:12
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I ♥ Severus


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Come si definisce il verso.



La caratteristica più evidente del discorso poetico consiste nel fatto che si sviluppa in versi, regolati da alcune norme.
Il metro della poesia italiana è accentuativo: si fonda cioè su versi che, entro un numero definito di sillabe, alternano sillabe forti e sillabe deboli.
Ma attenzione: un verso non si definisce quinario, perché ha cinque sillabe, o endecasillabo perché ha undici sillabe; e nemmeno ottonario, perché ne ha otto. Il computo delle sillabe di un verso tiene conto anzitutto dell'accento tonico della parole finale.
Per esempio, considerate questi settenari di Alessandro Manzoni, sono la prima strofa di un coro famoso dell'Adelchi:


Sparsa le trecce morbide
sull'affannoso petto
lenta le palme, e rorida
di morte il bianco aspetto,
giace la pia, col tremolo
sguardo cercando il ciel.


tav010



Solo nel v.2 le sillabe sono proprio sette; nel v.1 le sillabe sono otto, nel v.6 le sillabe sono sei: ma entrambi questi ultimi versi si considerano settenari: perché l'ultima parola del v.1 è sdrucciola; e l'ultima parola del v.6 è tronca. Notate però che in tutte queste parole finali l'accento coincide con la sesta sillaba del verso.

Possiamo dunque dire che un settenario si definisce come tale, non perché è un verso di sette sillabe, ma perché ha sempre un accento sulla sesta sillaba.

Analogamente si può dire per tutti gli altri versi italiani: un quadrisillabo ha sempre un accento sulla terza sillaba; un quinario ha sempre un accento sulla quarta sillaba; un senario ha sempre un accento sulla quinta sillaba, ... un endecasillabo è tale perché presenta sempre un accento sulla decima sillaba.


Tratto da www.luzappy.eu
 
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I ♥ Severus


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Come si contano le sillabe di una parola.



Le parole sono costituite da una o più sillabe, ossia da segmenti fonici pronunciati con una sola emissione di voce. Una sillaba contiene sempre almeno una vocale (a-mo-re), preceduta da una o più consonanti (ma-re; tre-no ; stra-da) o seguita da una consonante (al-to).

L'italiano distingue inoltre tra le vocali quelle forti e quelle deboli:

sono vocali forti: a - e - o
sono vocali deboli: i - u


In una sillaba vi possono essere anche due o tre vocali che costituiscono dittongo o trittongo. Costituisce dittongo: l'incontro di una vocale debole priva d'accento con una vocale forte, oppure l'incontro di due vocali deboli.

ATTENZIONE: non sempre l'incontro di due vocali dà dittongo, si può avere anche iato. Se nell'incontro tra vocale debole e vocale forte, la debole è accentata, allora non si ha dittongo, ma iato; iato è sempre l'incontro di due vocali forti. Infine ricordate che l'unione di due vocali deboli con una forte dà origine al trittongo. Possiamo riassumere queste nozioni così:

tav020



Tratto da www.luzappy.eu
 
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