Il Calderone di Severus

Sfida N. 9 FF: Se Severus non fosse mai morto

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view post Posted on 7/5/2013, 12:31
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Sei stata esagerata. Mi accontentavo di un " sì, ho visto ok" :lol: :lol: :lol:
Entro l'anno???????? :angry: :blink:
 
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view post Posted on 7/5/2013, 13:18
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CITAZIONE (chiara53 @ 7/5/2013, 13:31) 
Sei stata esagerata. Mi accontentavo di un " sì, ho visto ok" :lol: :lol: :lol:

No no... a commento lungo ci vuole risosta lunga e dettagliata dove serve. ;)

CITAZIONE
Entro l'anno???????? :angry: :blink:

E se mantengo l'impegno ritieniti fortunata! :woot:
 
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view post Posted on 16/5/2013, 11:18
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Winterreise

Capitolo IX

Irrlicht


In die tiefsten Felsengründe
Lockte mich ein Irrlicht ihn: […]

Bin gewohnt das Irregehen,
‘ s führt ja jeder Weg zum Ziel:
Uns’re Freuden, uns’re Wehen,
alles eines Irrlichts Spiel!

(Verso il fondo più profondo dei campi
Mi attirava un fuoco fatuo:[…]

Abituato ad andare ramingo,
ogni strada mi porta alla meta:
le nostre gioie, i nostri dolori,
tutto gioco di un fuoco fatuo! [1])


Londra, 7 gennaio 2002


La musica risuonava stridente. Una nenia dissonante eseguita da un suonatore d’organetti male in arnese. Ygraine si girò un istante ad osservarlo, mentre varcava i cancelli della scuola. C’era qualcosa di inquietante in quella musica, una melodia di morte, forse, una melodia dolce e dissonante come un fuoco fatuo che si insegue finendo in un precipizio.
La giovane donna scosse leggermente il capo. Con ogni probabilità era solo una suggestione totalmente irrazionale dovuta alla preoccupazione.
La maestra, durante la telefonata in cui l’aveva pregava di andare a prendere Rebecca a scuola, non ne aveva specificato le cause ed Ygraine temeva che alla nipote fosse accaduto qualcosa di terribile.
Non appena entrò nell’edificio, notò la bambina in lacrime, poco distante da una donna. La giovane fece qualche passo avanti, prima di fermarsi, quando Rebecca le corse incontro, abbracciandola.
«Sono felice che sia arrivata, signorina Ainsworth.» disse la maestra, avvicinando a zia e nipote. «Mi creda quando le dico che non avrei voluto dover arrivare a tanto, ma era l’unica soluzione.»
Rebecca nascose il volto contro il cappotto della zia. Non voleva sentire quello che la maestra aveva da dire.
Non voleva.
Era troppo doloroso.
«Cosa è accaduto di preciso?» domandò Ygraine, accarezzando lievemente il capo della nipote, tentando di calmarla.
«Mi piacerebbe saperlo, signorina Ainsworth. Quello che è certo è che sua nipote è decisamente turbata.» rispose l’altra donna. In quel momento si sentiva terribilmente fuori posto, quasi che non fosse veramente adatta per quel lavoro che tanto amava. Eppure, quel giorno, durante l’intervallo, i bambini le erano sfuggiti di mano. O forse aveva giudicato male la situazione. «Rebecca stava giocando con degli altri bambini. Isabel, una di loro, sostiene che sua nipote e Matthew hanno iniziato a litigare. Da quel momento in poi, le versioni sono discordati, ma il bambino ha detto che Rebecca l’ha graffiato. Sicuramente ha dei leggeri graffi sul viso. E sua nipote è sconvolta. È unicamente per questo che ho deciso di mandarla a casa, per oggi. Signorina Ainsworth, immagino che parlerà lei con i genitori di Rebecca. Se potesse dir loro di contattarmi per un colloquio, gliene sarei grata.»
«Certamente. Parlerò con mio fratello e mia cognata, appena li vedrò.» disse unicamente Ygraine, stringendo più forte Rebecca che stava singhiozzando violentemente.
La giovane donna, tenendo stretta a sé la nipote, uscì dalla scuola, fermandosi solo quando si trovo oltre i cancelli.
Il suonatore d’organetti era ancora là, intento a suonare la sua triste melodia, che aveva un che di dolce e inquietante allo stesso tempo.
«Rebecca…» mormorò la donna abbassando lo sguardo sulla bambina che si era un po’ staccata da lei ed ora le teneva la mano, stringendola con forza. «and…»
«Non voglio andare a casa, zia.» biascicò Rebecca, fissandosi le scarpe. La voce era rotta da singhiozzi, che sembravano però quietarsi, gradualmente. «Possiamo andare al museo, quello dove hai cantato il venerdì prima delle vacanze?»
Ygraine si voltò verso la nipote, osservandola. Le pareva leggermente più calma rispetto a qualche istante prima e, forse, andare in un ambiente neutro avrebbe giovato a Rebecca. Oppure lei stessa credeva che andare a casa non fosse la soluzione migliore per la nipote. Le sorrise, prima di annuire e guidarla verso la fermata della metropolitana più vicina.
Il suonatore di organetti si mosse non appena zia e nipote iniziarono ad allontanarsi. Trascinandosi dietro l’organetto prese a camminare lentamente, senza una meta precisa, mentre canticchiava tra sé una melodia dissonante e straziante.
Una melodia che ghiacciava il sangue nelle vene a coloro che gli passavano accanto.
Pareva una melodia di morte.
E così sembrò ai passanti quando l’uomo si fermò in un parco.
Il vento freddo di quella giornata di gennaio pareva trasportare le note dell’organetto.
E forse risuonava ovunque tra i refoli d’aria gelida che spazzavano la captale inglese. Ad Ygraine, non appena giunse di fronte alla Tate Britain, parve di sentire ancora la musica inquietante che aveva risuonato davanti alla scuola.
Con ogni probabilità era solo la preoccupazione per Rebecca a farle avere quelle strane sensazione. Scosse leggermente il capo, scacciando quei pensieri, mentre entrava nel museo. Tenendo sempre la nipote per mano si diresse verso la sala dei Preraffaelliti.
Alla bambina pareva che quello che era accaduto a scuola fosse diventato qualcosa di lontano nel tempo, forse perché quel museo pareva essere fuori dal tempo. Oppure era semplicemente perché era presente il signor Piton.
Non sapeva darsi una risposta, ma fu felice quando la zia la portò verso il quadro con la signora del giglio.
Una felicità che fu subito seguita dalla più grande inquietudine. Temeva il momento in cui sarebbe tornata a casa. Era certa che papà e mamma si sarebbero arrabbiati moltissimo. E non sapeva nemmeno se la zia avrebbe capito.
«Com’è morto veramente lo zio?» chiese improvvisamente rompendo il silenzio, mentre si sedeva sul divanetto, poco distante dal signor Piton.
Ygraine sussultò alle parole di Rebecca, chiedendosi cosa fosse accaduto veramente a scuola. O forse quella domanda non aveva nulla a che fare con quegli eventi. Lanciò un’occhiata verso il signor Piton, ma l’uomo pareva perfettamente immobile, intento ad osservare il quadro di Rossetti. Tentò di aggrapparsi alle domande che si era posta altre volte su quell’uomo, forse per trovare qualcosa da dire alla nipote, forse per non pensare alla notte in cui Tristan si era tolto la vita.
«Lo sai, Rebecca.» decise infine di dire, dopo essersi inginocchiata davanti alla nipote, in modo da poterla fissare negli occhi. «Una malattia l’ha portato via per sempre.»
«Non è vero, zia. So che non è vero…» biascicò la bambina, cercando una risposta nel volto della zia.
Ma notò unicamente che la donna si era fatta mortalmente pallida.
Le voci di zia e nipote non erano altro che un mormorio nella vasta sala del museo, tanto che nessuno dei visitatori parve fare caso a loro. Giunsero però, poco più di un sussurro ai margini della sua mente, alle orecchie di Severus, i cui occhi erano fissi, come ogni giorno, sul volto immobile di Lily, un volto che lo chiamava come un fuoco fatuo, con la promessa di un perdono che non avrebbe mai potuto ottenere, non importava quando grande fosse il suo rimorso, perché certe macchie erano indelebili. Non importava quanto si sfregasse, il sangue rimaneva sempre sulle mani. Avrebbe potuto anche ideare una Pozione che potesse pulire ogni cosa, ma non il sangue che gli macchiava le mani, non la lordura che aveva nell’anima.
«Rebecca…» mormorò la donna, con voce che sembrava pronta a spezzarsi. «Non volevamo aggiungere altra sofferenza… la verità è più dolorosa ancora.»
Ygraine avrebbe voluto trovarsi ovunque tranne che in quel luogo. Non toccava a lei rivelare la verità a Rebecca, ma a suo fratello e a sua cognata. Non avrebbero dovuto mentire fin dall’inizio. Non importava quali ragioni spingessero Gawain, quali timori inespressi l’avessero portato a prendere quella decisione.
«Allora è vero, zia? È vero che lo zio si è ucciso?» biascicò la bambina mentre alcune lacrime silenziose le colavano lungo le guance.
«Rebecca…»
«Ed è vero che l’ha fatto per colpa mia… perché non mi sopportava più?»
«Ovviamente no, Rebecca.» rispose con sicurezza Ygraine, stringendo le mani tremanti della nipote. «Tristan ti ha sempre amata, Rebecca, con tutto se stesso.»
Le parole, appena mormorate, da zia e nipote distolsero per un attimo Severus dall’errare dei suoi pensieri e dal fuoco fatuo di un perdono promesso ed irraggiungibile.
C’era qualcosa di inquietante nell’ultima domanda della bambina, quella stessa bambina che gli aveva sorriso il giorno in cui aveva sentito cantare sua zia. Era una domanda colma di solitudine, quella solitudine in cui so potevano maturare decisioni terribili. Uccidersi come aveva fatto lo zio della bambina. Dannarsi l’anima come aveva fatto lui.
Ed improvvisamente gli parve che, alle parole di Rebecca, si sovrapponessero frammenti di quelle melodie udite tempo prima. Era come se fossero giunti ad aggiungersi ai suoi pensieri, aumentando il loro rincorrersi e richiudersi su se stessi, in quel circolo di colpa e mancata redenzione che era il suo presente e che sarebbe stato il suo futuro.
«Però Matthew ha detto che l’ha fatto perché sono insopportabile.» mormorò Rebecca dopo diverso tempo, tirando su col naso. «Ha detto che glielo hanno detto i suoi genitori. Ed i genitori di Matthew sono amici di mamma e papà, quindi deve aver detto la verità.»
Ygraine lanciò un’occhiata verso il signor Piton, che pareva essere ancora intento a fissare il quadro, quel quadro che catalizzava sempre la sua attenzione. Non sapeva nemmeno perché si fosse voltata verso di lui. Forse sperava in un aiuto, in una parola che potesse aiutare Rebecca.
«Matthew ha voluto dirti qualcosa di falso, Rebecca.» ribatté Ygraine, sorridendo rassicurante alla nipote. «Tristan ha compiuto una scelta quella notte… una scelta che non ha nulla a che fare con te.»
«Allora perché si è ucciso, zia? Perché non è rimasto con noi?» domandò Rebecca con voce tremante.
Voleva credere alle parole della zia. Era quello che si era detta anche lei subito, ma dopo, mentre aspettava che qualcuno la venisse a prendere, aveva iniziato a credere che quello che aveva detto Matthew fosse vero.
«Non lo so, Rebecca. Nessuno di noi, né io, né i nonni, né i tuoi genitori, lo sa. So soltanto che non ha compiuto quella scelta per colpa tua. Tristan adorava giocare con te, stare con te, raccontarti le sue storie colme di immaginazione.» rispose Ygraine, senza riuscire a trovare una risposta migliore.
Nemmeno lei era mai stata in grado di comprendere fino a che punto l’anima di Tristan fosse colma di sofferenza, così colma di sofferenza da decidere di togliersi la vita. Sperava però che quelle poche parole potessero risollevare l’animo della nipote.
«Allora perché Matthew l’ha detto? Stavamo giocando… poi… non volevo, zia, davvero non volevo, ma quando ha detto che lo zio si è ucciso perché… ero così arrabbiata.» biascicò, la voce interrotta dai singhiozzi.
Ygraine abbracciò la nipote, prima di dire alcunché. Alcuni dei visitatori lanciarono un’occhiata di disapprovazione nella sua direzione, ma la giovane quasi non ci fece caso.
Si sentiva assolutamente inutile ed impotente, in quel momento. Avrebbe voluto trovare qualcosa da dire a Rebecca, qualsiasi cosa, ma le venivano in mente frasi che sarebbero sembrate troppo fredde e misurate alle orecchie della nipote.
Non poteva far altro che abbracciarla.
«Credi che sia una bambina cattiva, zia?» domandò Rebecca, la voce soffocata dalla stoffa del maglione della donna.
Eppure quella domanda arrivò perfettamente chiara a Severus. In quel momento riusciva a vedere chiaramente cos’era accaduto. Una lite tra bambini, una frase malvagia in bocca ad uno di loro e la magia dell’altra che era esplosa spinta dalla rabbia e dalla disperazione. E v’era qualcosa di incredibilmente ironico nelle parole della bambina.
Era certo che non vi fosse malvagità in lei, ma solo un potere che non sapeva controllare. Rebecca era innocente, mentre lui aveva ucciso con la magia, con un potere che sapeva controllare alla perfezione.
Ed era il sangue che gli macchiava le mani ad allontanarlo dalla normalità.
Dal perdono.
«No, Rebecca. Eri soltanto arrabbiata, perché Matthew ha detto qualcosa che forse non pensava nemmeno realmente.» rispose rassicurante Ygraine, lasciando andare per un attimo la nipote, per poi sedersi sul divanetto.
«Non ricordo nemmeno perché abbiamo cominciato a litigare… e poi… non volevo, zia. Non riesco nemmeno a capire… Matthew dice che l’ho graffiato, ma io non ricordo di averlo fatto.» mormorò la bambina, facendosi più calma, osservando la zia. «Mi capitano cose strane, zia. A mamma e papà non l’ho detto.»
«A cosa stavate giocando? Sei sicura che…»
«Mi capitano cose strane, zia, davvero. Come quel giorno a scuola, prima delle vacanze. Il ghiaccio si è sciolto all’improvviso ed io stavo… c’era una coccinella intrappolata nel ghiaccio ed io speravo fosse ancora viva ed il ghiaccio si è sciolto. E non è normale.»
Le parole spezzate della bambina arrivarono chiarissime a Severus, che per un istante distolse lo sguardo dal quadro. Rebecca era seduta accanto alla zia e sembrava essere terribilmente preoccupata e spaesata. In lei non v’era la spavalderia di Lily, quel giorno al parco, quando stava mettendo alla prova i propri poteri. V’era unicamente preoccupazione per essere diversa dagli altri, per fare cose che non riusciva a comprendere.
Una preoccupazione accentuata dalla magia che era esplosa come conseguenza della sua rabbia, quel giorno.
«E la coccinella era viva?» domandò Ygraine, senza sapere che altro fare.
Le parole della nipote la preoccupavano. Forse Rebecca aveva veramente una fantasia troppo sviluppata, come sosteneva Gawain, forse era veramente troppo simile a Tristan. Ma era un pensiero terribile. Non voleva immaginare che Rebecca, una volta cresciuta, potesse rivolgere contro se stessa un coltello da cucina.
Forse c’era una spiegazione molto più semplice e banale.
Una spiegazione che a lei sfuggiva del tutto.
«No. Forse il ghiaccio avrebbe dovuto sciogliersi prima.» mormorò Rebecca, sentendosi improvvisamente sollevata perché la zia non le aveva detto che le sue erano fantasie assurde. Era certa che papà le avrebbe considerate tali. Sembrava che papà avesse paura di qualcosa che lei non riusciva a capire. «Credi che mamma e papà si arrabbieranno molto stasera?» domandò subito dopo, improvvisamente preoccupata.
«Non lo so, Rebecca. Ma sono certa che capiranno.» rispose Ygraine, per quanto non ne fosse affatto sicura.
Sapeva che Gawain non voleva che si parlasse di Tristan, come se preferisse dimenticare il fratello. Viveva nel terrore che Rebecca fosse come Tristan, troppo sensibile, troppo fantasiosa, troppo lontana dalla vita reale per poterla sopportare. E quella paura lo stava allontanando dalla figlia. Ygraine lo poteva percepire e non poteva farci nulla. Era come se Gawain avesse sempre vissuto nel terrore che i racconti di fantasia, quei racconti che studiava loro padre, potessero attrarre tutti loro come dei fuochi fatui e perderli in luoghi terribili e cupi.
Ed il suicidio di Tristan non aveva fatto che incrementare quelle paure.
Rebecca annuì soltanto e poi si fece silenziosa.
Lanciò un’occhiata al quadro della signora con il giglio, prima di sbirciare in direzione del signor Piton, chiedendosi se in quell’uomo cupo si trovasse la risposta alle sue domande. Una risposta che nemmeno la zia aveva. Era una domanda sciocca, lo sapeva, ma per un istante le parve sensatissima.
Ygraine seguì lo sguardo della nipote posarsi sull’uomo seduto di fianco a loro. E solo in quel momento si rese conto che probabilmente lo avevano terribilmente disturbato con il loro chiacchiericcio.
«Signor Piton,» mormorò «temo che le nostre chiacchiere le abbiano arrecato disturbo e di questo mi scuso.»
L’uomo si voltò verso la giovane che lo stava fissando con espressione calma, per quanto il suo volto fosse ancora velato di preoccupazione. Era certo che se la cantante avesse saputo quanto macchiata fosse la sua anima, non avrebbe mai sentito la necessità di scusarsi, perché nessuno avrebbe dovuto porgere le proprie scuse ad un assassino.
Anche la bambina lo stava osservando e gli sorrideva con fare di scusa.
Un sorriso che non aveva ragione di essere, perché rivolto a qualcuno che non poteva trovare perdono, perché troppo aveva errato nel passato.
Aveva compiuto una scelta terribile, seguendo il fuoco fatuo della conoscenza e della rivalsa, un fuoco fatuo che l’aveva portato sull’orlo dell’abisso per poi farvelo precipitare.
Era caduto nell’abisso della colpa, un abisso sul cui fondo non v’era altro che un fiume colmo del sangue delle sue vittime.
Un abisso dal quale non poteva sperare di sollevarsi.
Non importava quanto gli promettesse il volto di Lily.
Non v’era perdono per lui.
Ma la bambina, ignara dei suoi pensieri, continuava a sorridergli.
«Nessun disturbo.» disse soltanto.
Rebecca gli parve stranamente sollevata, quasi lieta della sua risposta così breve e secca.
«Ne sono felice, signor Piton.» disse la donna, accennando un sorriso gentile. «Vorrei ripagare, però, in qualche modo il disturbo che le abbiamo arrecato questa volta e qualche tempo fa. Le andrebbe un tè?»
Le parole della donna colsero Severus di sorpresa. Non v’era nulla di normale in loro, per quanto fosse una domanda normalissima.
Ma non era normale che fosse rivolta a lui.
Se la signorina Ainsworth avesse saputo quante vite innocenti aveva spento, non gli avrebbe di certo posto quella domanda.
Ma il giovane soprano non sapeva nulla di lui.
E così sua nipote.
E v’era qualcosa di stranamente allettante in quella prospettiva.
Era come un fuoco fatuo.
O semplicemente una nuova maschera da indossare.
La maschera della persona qualunque.
Qualcuno che lui non era mai stato. Qualcuno che non aveva ucciso, che aveva l’animo ancora intatto.
Assaporare per un istante la normalità, per afferrare ancora meglio quanto fosse profondo l’abisso in cui era precipitato.
Vivere per un istante nel presente, in modo tale da poter riprecipitare nel cerchio continuo del suo passato, quel passato in cui viveva veramente.
Il passato che era il suo futuro ed il suo presente.
Era solo un ulteriore modo per riflettere, come aveva riflettuto ascoltando la donna cantare.
Perché le sue colpe emergevano sempre e comunque.
Erano tracce indelebili che lordavano la sua anima.
«Accetto l’invito.» disse soltanto, osservando la donna e la bambina.
Un visitatore, dall’altro lato della sala, li osservò per qualche istante, per poi uscire rapidamente, quando li vide alzarsi in piedi. Si incamminò per il corridoio centrale, fermandosi ad ammirare una statua. Ma notò Piton, la donna e la bambina avviarsi verso le scale che conducevano alla caffetteria del Museo. Mantenne gli occhi fissi sul punto da cui erano spariti alla vista, poi si allontanò ed uscì dall’edificio.
Un suonatore d’organetti male in arnese si trovava poco lontano dai cancelli d’ingresso.
Una melodia dissonante ed inquietante riempì l’aria di quella giornata di gennaio.
Una melodia di morte.


[1] Wilhelm Müller, Irrlicht (Fuoco Fatuo), vv. 1-2; 5-8.
 
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view post Posted on 16/5/2013, 20:58
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I ♥ Severus


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Winterreise, Capitolo IX, Irrlicht – di Alaide

È incredibile, ma ad un certo punto mi sono resa conto che la storia di Rebecca, di cosa fosse accaduto a scuola, riusciva a distrarmi da Piton… forse perché lui steso ne era distratto.
Sì, proseguendo nella lettura mi sa proprio che mi sono distratta dai ricorrenti pensieri di dolore di Severus perché lk’autrice ha voluto così… (complimenti).
Ok, ci ho impiegato un po’ di tempo, ma sono certa che è il fuoco fatuo il filo rosso del capitolo, come avevo supposto dall’inizio leggendo il lieder. Però il suonatore di organetto mi aveva messo il dubbio (tra l’altro, torna anche alla fine, con la sua melodia di morte: porta sfiga!). Mi piace ritrovare i soliti pensieri di Severus che si mescolano e si sovrappongono ai sorrisi negati della sfida settimanale dei sorrisi per Severus.
CITAZIONE
Era come un fuoco fatuo.
O semplicemente una nuova maschera da indossare.
La maschera della persona qualunque.
Qualcuno che lui non era mai stato. Qualcuno che non aveva ucciso, che aveva l’animo ancora intatto.

Oooh… le maschere! Sì, un altro intimo aspetto di Severus che adoro!
CITAZIONE
Assaporare per un istante la normalità, per afferrare ancora meglio quanto fosse profondo l’abisso in cui era precipitato.
Vivere per un istante nel presente, in modo tale da poter riprecipitare nel cerchio continuo del suo passato, quel passato in cui viveva veramente.
Il passato che era il suo futuro ed il suo presente.

Una maschera di normalità dietro cui nascondere la sofferenza dell’eterno passato che lo incatena ai suoi rimorsi… povero Severus, amore mio!
CITAZIONE
«Accetto l’invito.» disse soltanto, osservando la donna e la bambina.

Mi ha stupito l’inattesa offerta, che accellera la storia, e ancor di più mi ha stupita l’accetttazione.
CITAZIONE
Un visitatore, dall’altro lato della sala, li osservò per qualche istante, per poi uscire rapidamente, quando li vide alzarsi in piedi. Si incamminò per il corridoio centrale, fermandosi ad ammirare una statua. Ma notò Piton, la donna e la bambina avviarsi verso le scale che conducevano alla caffetteria del Museo. Mantenne gli occhi fissi sul punto da cui erano spariti alla vista, poi si allontanò ed uscì dall’edificio.

E questo chi è? Non certo uno qualsiasi. Non lo evidenzieresti così, altrimenti…


Edited by Ida59 - 24/7/2015, 22:09
 
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view post Posted on 16/5/2013, 21:54
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CITAZIONE (Ida59 @ 16/5/2013, 21:58) 
È incredibile, ma ad un certo punto mi sono resa conto che la storia di Rebecca, di cosa fosse accaduto a scuola, riusciva a distrarmi da Piton… forse perché lui steso ne era distratto.
Sì, proseguendo nella lettura mi sa proprio che mi sono distratta dai ricorrenti pensieri di dolore di Severus perché lk’autrice ha voluto così… (complimenti).
Ok, ci ho impiegato un po’ di tempo, ma sono certa che è il fuoco fatuo il filo rosso del capitolo, come avevo supposto dall’inizio leggendo il lieder. Però il suonatore di organetto mi aveva messo il dubbio (tra l’altro, torna anche alla fine, con la sua melodia di morte: porta sfiga!). Mi piace ritrovare i soliti pensieri di Severus che si mescolano e si sovrappongono ai sorrisi negati della sfida settimanale dei sorrisi per Severus.

Wow! Non riesco a credere di essere riuscita a distrarti da Severus (però è vero anche lui era distratto). Grazie per i complimenti.
C'è un motivo per cui il suonatore d'organetti suona una melodia di morte e perché viene ripetuto in questo capitolo.

CITAZIONE
Mi ha stupito l’inattesa offerta, che accellera la storia, e ancor di più mi ha stupita l’accetttazione.

Di solito - mi succede in quasi tutte le storie lunghe - do delle improvvise accelerate per poi rallentare nuovamente.

CITAZIONE
E questo chi è? Non certo uno qualsiasi. Non lo evidenzieresti così, altrimenti…

Sulla sua identità taccio, ovviamente. Ma certamente è un personaggio importante... dovrebbe agire nel prossimo capitolo.
 
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view post Posted on 23/5/2013, 11:09
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Winterreise

Capitolo X

Rast


Nun merk' ich erst, wie müd' ich bin,
Da ich zur Ruh' mich lege:
Das Wandern hielt mich munter hin
Auf unwirtbarem Wege.
Die Füße frugen nicht nach Rast,
Es war zu kalt zum Stehen;
Der Rücken fühlte keine Last,
Der Sturm half fort mich wehen.

In eines Köhlers engem Haus
Hab' Obdach ich gefunden;
Doch meine Glieder ruh'n nicht aus:
So brennen ihre Wunden.
Auch du, mein Herz, in Kampf und Sturm
So wild und so verwegen,
Fühlst in der Still' erst deinen Wurm
Mit heißem Stich sich regen!

(Ora mi accorgo di quanto sono stanco,
ora che mi metto a riposare;
andare in giro mi ha sostenuto
su strade impervie.
I piedi non cercano riposo,
c'è troppo freddo per stare fermi;
la schiena non sente fatica,
la tempesta mi ha spinto avanti.

Nella casa di un carbonaio
ho trovato riparo;
ma le mie membra non hanno riposo:
così bruciano le loro ferite.
Anche tu, cuore mio, in battaglia e tempesta
così selvaggio e ardito,
senti solo nella quiete il tuo tormento
che si sveglia con morsi di fuoco!) [1]


Londra, 7 gennaio 2002


Harry osservava il vento scuotere le foglie al di là delle vetrate del caffè Babbano in cui era seduto. Il Natale era passato senza che avesse avuto il coraggio di tornare a bussare alla porta della casa di Piton. E poi il tempo era scivolato lentamente, facendo sì che un anno lasciasse spazio ad un altro anno. Ma lui non aveva avuto nemmeno il coraggio di mandare un biglietto ed augurare buon anno all’uomo.
Forse avrebbe potuto inviare un gufo il giorno del compleanno di Piton.
O avrebbe potuto andare a bussare ancora una volta alla sua porta, ma le due volte che già aveva provato, aveva trovato l’uscio chiuso.
Forse non sarebbe mai stato in grado di parlare con Piton.
Forse non era altro che un vigliacco che non riusciva a fare ciò che desiderava.
Dire un grazie.
Almeno quello.
Voleva fare ben altro, ma non voleva illudersi, dicendosi che avrebbe potuto parlare con Piton di tutto ciò che desiderava ardentemente. Forse gli sarebbe bastato ringraziarlo. Forse gli sarebbe bastato che l’uomo aprisse la porta per poi chiudergliela in faccia quando si fosse accorto che era lui. Forse gli sarebbe bastata una risposta, anche terribilmente dura e aspra, ad una delle lettere che aveva mandato per invitarlo al pranzo di Natale. Anche un “non mi seccare, Potter” scritto rapidamente su un foglio di scarto.
Qualsiasi cosa.
Ma non il silenzio.
E la sua incapacità di riuscire a tornare a bussare all’uscio della casa di Spinner’s End.


La caffetteria del museo era silenziosa e quasi vuota quel giorno di gennaio. Quando Ygraine prese posto, insieme a Rebecca e al signor Piton, soltanto una copia di turisti orientali era seduta ad un altro tavolo.
Severus, nel sedersi, si rese conto improvvisamente di quanto la sua mente ed il suo animo fossero stanchi per il loro lungo girare in circolo, rincorrendo pensieri ricorrenti. Si sentiva come qualcuno che avesse dovuto percorrere miglia e miglia in mezzo alle intemperie, sospinto dal vento che imperversava anche in quel momento all’esterno del museo.
O forse quella stanchezza era dovuta effettivamente al percorso che aveva scelto.
Era l’inverno che regnava nella sua anima a spossarlo, quell’inverno che non poteva finire se non tramite il disgelo portato da un perdono che non sarebbe mai arrivato.
Il continuo rincorrersi ed inseguirsi dei suoi pensieri, colmi di rimorso e sensi di colpa, colmi di volti che lo incatenavano al passato e alle sue scelte sbagliate, lo spossava nella mente e nello spirito.
Forse era anche per quello che aveva accettato l’invito della signorina Ainsworth. Non solo per seguire un fuoco fatuo che l’avrebbe fatto precipitare ancor più nell’abisso della consapevolezza dell’impossibilità di un perdono, non importava quanto agognato.
Rimasero in silenzio fino a quando non ebbero il tè davanti. Ygraine non sapeva cosa dire a quell’uomo silenzioso. E qualsiasi cosa le venisse in mente, la riteneva quanto mai fuori luogo e molto simile ad una domanda indiscreta.
«Sono felice che abbia accettato l’invito della zia, signor Piton.» disse improvvisamente Rebecca che pareva decisamente più calma, rispetto a quando era entrata al museo.
Sicuramente le parole della zia l’avevano calmata, sicuramente lei stessa si era tranquillizzata leggermente, ma era convinta che la presenza del signor Piton avesse un che di confortante, forse proprio nel suo essere una figura silenziosa.
Severus sorseggiò lentamente il tè, mentre osservava la bambina che lo fissava con quell’immensa fiducia che già gli aveva mostrato il giorno in cui gli aveva chiesto il fazzoletto e quando l’aveva invitato ad ascoltare il concerto della zia.
Era una fiducia che contrastava pienamente con quello che era, con quei pensieri che spossavano la sua mente e che parevano morderla anche in un momento come quello di assoluta quiete.
«Signor Piton,» riprese a dire Rebecca, senza dare la possibilità alla zia o all’uomo di parlare. «Crede possibile che… voglio dire, secondo lei è possibile fare delle cose senza rendersene conto?»
La bambina sapeva che era una domanda che non avrebbe dovuto porre, con ogni probabilità. Eppure, come quando era ancora nella sala del museo, credeva che il signor Piton potesse avere in qualche modo la risposta alle sue paure e preoccupazioni.
Severus posò la tazza sul piatto, facendo ondeggiare leggermente il tè che la riempiva per metà. Le parole di Rebecca lo rimandarono per un istante ad un momento passato, quando forse era ancora innocente, mentre osservava Lily sperimentare con una magia che non sapeva di possedere. Si rivedeva mentre si faceva avanti e le rivelava la verità.
Per un brevissimo istante gli occhi marroni di Rebecca gli parvero verdi come quelli di Lily, ma fu la loro espressione che lo fece tornare bruscamente alla realtà. O forse furono le parole che aveva ascoltato, quando zia e nipote avevano parlato al piano superiore, a farlo ripiombare nel presente.
Rebecca non assomigliava a Lily bambina. Lily non era spaventata da quello che poteva far accadere senza sapere come.
Rebecca ne era invece angosciata.
E sua zia pareva condividerne, seppure forse per ragioni diverse, l’angoscia.
Gli occhi di Ygraine Ainsworth era colmi di preoccupazione in quel momento in cui li fissava sulla nipote. Forse stava ripercorrendo la conversazione di poco tempo prima, forse si stava rendendo conto che c’era effettivamente qualcosa di diverso nella bambina.
«Dipende da cosa intendi.» decise di dire Severus.
Non sapeva cosa rispondere alla domanda della bambina.
Avrebbe potuto rivelarle la verità, offrirle una spiegazione.
Avrebbe potuto ripetere esattamente quello che aveva già detto a Lily quel giorno lontano in cui lui forse era ancora innocente, in cui credeva ancora che un futuro, se non felice, per lo meno migliore del presente che conosceva allora fosse possibile.
«Ci sono delle volte in cui faccio accedere delle cose, ma non lo faccio realmente io.» tentò di spiegare la bambina, lanciando un’occhiata alla zia che pareva avere lo sguardo fisso sul signor Piton. «Come il ghiaccio che si scioglie all’improvviso per liberare una coccinella che avevo notato e che volevo liberare. Ma era troppo freddo perché il ghiaccio potesse sciogliersi.»
Non aggiunse altro.
Si limitò a fissare l’uomo con assoluta fiducia.
Una fiducia che non chiedeva nulla in cambio, si disse Severus. Nemmeno una risposta alla domanda. Gli donava semplicemente una fiducia incondizionata che egli sapeva malriposta.
Rebecca non sapeva nulla di lui. L’avrebbe saputo forse, una volta entrata a tutti gli effetti a far parte del Mondo Magico, quando qualcuno l’avrebbe nominato come l’unico Preside entrato in carica dopo aver assassinato il suo predecessore.
E allora, come era giusto che fosse, quella fiducia sarebbe scomparsa dagli occhi della bambina.
Eppure in quel momento quella fiducia era presente.
Una fiducia che non era stata presente nello sguardo di Lily la prima volta che le aveva parlato.
Una fiducia che lo spinse a prendere una decisione.
«C’è una spiegazione a quello che ti sta accadendo.» iniziò a dire lentamente. La bambina lo fissava ancora con fiducia. La zia si era fatta attenta e pareva leggermente sollevata, quasi che fosse certa che lui stesse per trovare la chiave di un mistero insolubile. «Una spiegazione che con ogni probabilità potrà sembrarti poco credibile in un primo momento.»
Ygraine attendeva, quasi con ansia, che l’uomo continuasse a parlare. Sperava con tutto il cuore che la spiegazione che il signor Piton aveva da dare potesse far star tranquilla Rebecca, allontanare da lei la paura che aveva percepito quando era andata a prenderla a scuola. Si fidava istintivamente dell’uomo ed era certa che, qualsiasi cosa dicesse, per quanto assurda potesse sembrare, fosse assolutamente fondata.
«Ho iniziato a nutrire sospetti circa la natura delle cose inspiegabili che ti accadono dal giorno in cui mi hai chiesto il fazzoletto.» continuò Severus.
Ricordava, con rimpianto e amarezza, quando si era rivolto bruscamente a Lily. Ricordava che si era preparato un discorso complesso, molto simile a quello che stava pronunciando in quel momento, ma ogni parola era stata dimenticata quando aveva finalmente avuto l’occasione di parlare con Lily. Era un bambino, allora. Era forse ancora innocente. E sapeva ancora sognare.
«Esiste una spiegazione a quei fiori che hanno cambiato di colore, così come esiste una spiegazione alla coccinella liberata dal ghiaccio.» Severus notò che la signorina Ainsworth lo stava ascoltando con attenzione e, osservandola più attentamente, si accorse che la donna pareva riporre in lui la stessa fiducia accordatagli dalla nipote.
Fiducia nelle parole di un assassino.
«Esiste un mondo parallelo a quello che conosci.» continuò Severus.
«Come in uno dei racconti di zio Tristan? Un mondo con cavalieri e dame?» domandò Rebecca, interrompendo di colpo l’uomo, continuando a fissarlo con assoluta fiducia.
Ygraine sorseggiò rapidamente il tè, come a volere celare il nervosismo che l’aveva colta in quel momento. Era più che certa che il signor Piton stesse dicendo qualcosa di vero e fondato. Per quanto non lo conoscesse realmente, sapeva istintivamente che poteva riporre in lui la più completa fiducia. Era stato così quella volta in cui aveva lasciata sola la nipote nel museo quando lei era uscita insieme a quella donna detestabile.
Ed in quel momento sapeva che l’uomo stava dicendo la verità. Anche se questa avrebbe potuto essere sconvolgente. Già l’idea di un mondo parallelo era inquietante.
«Non propriamente.» rispose l’uomo, fissando la bambina che era in preda, lo notava perfettamente, alla più viva curiosità, una curiosità che non ne eclissava la fiducia assoluta. «Vi sono però maghi e streghe.»
«Lei è un mago, signor Piton?» lo interruppe nuovamente la bambina, senza mettere minimamente in dubbio quello che l’uomo stava dicendo. «Ed io… quello che ho fatto è stato perché anch’io lo sono?»
Rebecca era certa che quella fosse la risposta giusta, che quello poteva spiegare quello che le stava accadendo, perché se il signor Piton era un mago, allora lei doveva essere una strega. Questo poteva veramente spiegare come avesse fatto a liberare quella coccinella dal ghiaccio.
L’uomo annuì solamente e Rebecca si sentì decisamente sollevata. Aveva una spiegazione a quello che le stava accadendo. Una spiegazione che però non era certa che potesse piacere alla zia. O a mamma e papà.
Si voltò verso Ygraine. La donna stava osservando quel poco di tè che rimaneva nella sua tazza, quasi stesse cercando una risposta dal liquido ambrato. V’era qualcosa di incredibile nelle parole del signor Piton, ma Ygraine era certa che quella fosse l’unica spiegazione possibile. Era certa che quanto aveva detto l’uomo a Rebecca fosse l’assoluta verità. Quello che la preoccupava, in quel momento, era il giorno in cui Gawain l’avesse saputo. Il fratello aveva già paura di perdere Rebecca perché la credeva troppo simile a Tristan. Cosa sarebbe accaduto quando avrebbe scoperto che la figlia apparteneva ad un altro mondo?
Si voltò per un istante verso la nipote e vide che la stava fissando.
Le sorrise e notò che Rebecca parve rilassarsi ulteriormente.
Severus non perse un solo movimento di zia e nipote. Gli era parso chiaro fin da subito che la bambina aveva creduto alle sue parole. Quello che non era riuscito a capire era il parere della donna, ma, a quanto pareva, era dello stesso avviso di Rebecca.
Entrambe si erano fidate ciecamente di lui.
E c’era qualcosa di estremamente sbagliato nel loro fidarsi di lui.
Ancora di più considerando che quella fiducia era apparsa fin dall’inizio così profonda da non pretendere nulla in cambio.
Nemmeno la risposta che aveva dato.
Ed in quel momento vide i volti di coloro che aveva ucciso apparire nel tè che restava nella sua tazza. Era come se le sue colpe si fossero materializzate ancora più tormentose, era come se vi fosse un fuoco che lo divorava dall’interno del suo animo spezzato e perduto per sempre.
In quella tazza vedeva la totale assenza di perdono per chi, come lui, aveva versato il sangue di troppi innocenti.
«Ma come ho fatto… cioè, voglio dire, ho capito che è stata la magia a farlo, ma come ho fatto ad usarla se non sapevo di averla?» domandò improvvisamente Rebecca, selezionando una delle tante domande che aveva in mente.
L’uomo prese in mano la tazza di tè e ne bevve il contenuto. Era come se stesse bevendo le sue colpe, come se, in quel momento di pausa dal suo errare, in quel momento di apparente normalità, in quel momento in cui indossava una nuova maschera, le sue colpe bussassero alla sua mente con maggior fervore, facendo a brani la sua anima.
«Tutti i bambini che hanno poteri magici non riescono a controllare la loro magia, soprattutto quando provano emozioni o desideri molto forti» rispose con voce misurata. «Viene loro insegnato quando raggiungono gli undici anni. Esiste una scuola che ti contatterà quando sarà il momento.»
«E…»
«Rebecca, non sommergere il signor Piton di domande.» la interruppe Ygraine, sorridendo lievemente alla bambina, estendendo il sorriso anche all’uomo. «Temo che sia ora, per noi, di lasciare il museo.» aggiunse poco dopo. L’ultima cosa che voleva era arrivare a casa dopo che sua cognata era rientrata dal lavoro. La loro venuta al Museo doveva restare un segreto. Era certa che suo fratello non l’avrebbe mai perdonata se avesse saputo che non aveva portato Rebecca immediatamente a casa. «Signor Piton, non so davvero come ringraziarla.»
L’uomo non disse nulla.
Non v’era nulla da dire se non che nessun assassino meritava un ringraziamento, né quella fiducia assoluta.
Né la gentilezza con cui la donna gli si rivolse poco dopo, per chiedergli se fosse possibile incontrarsi di nuovo.
Né il sorriso felice che gli rivolse Rebecca quando egli accettò, fedele alla nuova maschera che stava indossando.
Si sarebbe fermato ancora.
Avrebbe fatto un’altra sosta nel suo continuo peregrinare nelle colpe del suo passato.
Per un attimo avrebbe interrotto il suo viaggio.
Ed in quella quiete, le colpe sarebbe giunte più forti di prima a rincorrersi nella sua anima, a farla a brani come belve affamate.


Gawain non riusciva a credere alle parole che gli stava dicendo la sorella, dietro la quale pareva volersi nascondere Rebecca, quasi sua figlia avesse paura di lui.
Forse era quello ad angustiarlo maggiormente.
Come poteva la bambina aver paura di lui?
Non le aveva mai fatto mancare nulla. Forse non era quello che si sarebbe definito un genitore affettuoso, ma amava sua figlia con tutto se stesso.
E temeva terribilmente per il suo futuro.
«Avresti dovuto mandarci subito a chiamare.» stava dicendo Margaret che era rientrata solo pochi minuti prima di lui, per trovare la figlia decisamente tesa e preoccupata. «Quello che è successo è decisamente grave, Ygraine.»
«La maestra ha detto che vuole parlare con voi.» disse la giovane, lanciando un’occhiata all’orologio per accertarsi di non partire in ritardo per la prova generale di Contes d’Hofmann. «Da quel che ho capito, nemmeno lei sa bene cosa sia accaduto. Può essere che Rebecca non abbia fatto assolutamente nulla.»
Mentre parlava, Ygraine sapeva che stava mentendo, ma era certa che la cognata ed il fratello non fossero affatto pronti per sentire ciò che il signor Piton aveva rivelato loro al Museo.
«Rebecca, immagino tu possa dirci cosa è accaduto.» disse Gawain osservando la figlia che sembrava voler evitare di guardarlo in volto.
«Ho litigato con Matthew, come ha detto la zia. So che non avrei dovuto fare nulla, ma mi sono arrabbiata.» riuscì a mormorare la bambina, senza aggiungere altro.
Sapeva che papà non sarebbe stato affatto contento della sua risposta. Ma era quanto più possibile si avvicinava alla realtà, senza nominare la magia.
«Dovrai scusarti con Matthew. Di solito andate d’accordo.» constatò Margaret, senza fare cenno a quello che Ygraine aveva spiegato.
Non voleva parlare del cognato suicida. Era un tacito accordo tra lei e suo marito.
Tristan andava nominato il meno possibile.
Era l’unico modo a cui entrambi avevano pensato. L’unico modo per dimenticare quello che era accaduto, per mettere da parte le loro paure circa Rebecca.
In quel momento la bambina sembrava perfettamente con i piedi per terra, ma quante volte l’aveva vista fantasticare, quante volte l’aveva vista raccontare o scrivere storie fantasiose come quelle del cognato.
Margaret sapeva che suo marito, più ancora di lei, temeva che Rebecca potesse essere troppo simile a Tristan. Ed era qualcosa che andava evitato perché né lei, né Gawain volevano che la figlia compisse in futuro la stessa scelta dello zio.
Era un pensiero orribile.
Una possibilità forse remota, ma era una possibilità ben presente nella loro mente.
«Lo farò, mamma.» disse unicamente Rebecca, lanciando un’occhiata alla zia che pareva fissare il fratello e la cognata con preoccupazione, ma quando si voltò verso di lei le sorrise lievemente, come per dirle che tutto andava bene.
Ma non era affatto vero.
Nulla nell’atteggiamento di suo fratello e sua cognata circa Tristan andava bene.


Gran Bretagna, 8 gennaio 2002


Il vento sibilava, quella sera di gennaio, sopra l’Inghilterra.
Sibilava sopra la capitale, facendo ondeggiare i rami spogli di Saint-James’s Park.
Sibilava sopra la campagna del Kent. Sibilava in tutte le direzione, spazzando i campi e le strade che incontrava lungo il suo cammino.
Era un vento gelido.
Gelido come i morti che da tempo giacevano nelle loro tombe, si disse Severus, osservando il vento sibilare al di fuori di una finestra della casa di Spinner’s End.
Vedeva, tra i refoli d’aria, i volti di chi aveva ucciso.
I volti di chi non era riuscito a salvare.
E ad ogni folata che squassava le imposte, si sentiva spossato per quel continuo viaggio nell’inverno senza fine della sua anima.
Un viaggio che sarebbe finito unicamente quando la morte avrebbe voluto accoglierlo.
Un viaggio che non conosceva requie, nemmeno nei momenti di quiete come quello di ieri e come quello che avrebbe vissuto l’indomani, quando avrebbe incontrato nuovamente la zia e la bambina.
Non importava con quanta gentilezza gli parlassero.
Egli non la meritava.
Non importava con quanta fiducia la donna e Rebecca lo guardassero.
Egli rimaneva un assassino.
Un uomo privo di perdono che osservava il vento giocare con le sue colpe.
E gli pareva che tra i refoli le sue colpe volassero oltre Spinner’s End, sorpassando la cittadina dove era nato e dove, forse un giorno, sarebbe morto, portando con sé nella tomba le sue colpe imperdonabili.
Ed il vento continuava a fischiare oltre la finestra della casa di Spinner’s End, continuava ad imperversare su tutta l’Inghilterra.
Sibilava al di fuori delle finestre della casa di Gawain Ainsworth.
Ygraine sedeva allo scrittoio della sua stanza con in mano una lettera anonima.
Doveva trattarsi di uno scherzo di cattivo gusto, si disse, quando la rilesse.
Ti guarda dal Mangiamorte.
Quattro parole scritte a computer, prive di firma.
Non riusciva nemmeno a capire chi potesse scrivere qualcosa così privo di senso, né a chi potesse riferirsi.
Per un istante si chiese se non fosse una lettera di Dominique.
Considerò attentamente l’idea. Era vero che il baritono aveva inventato quella sorta di gioco, in cui si lanciavano degli indovinelli, composti da una sola frase, da cui dedurre il titolo di un’opera, ma di solito Dominique era più arguto ed aveva la buona creanza di firmarsi. D’altronde era decisamente troppo lontano dallo stile dell’amico ed era decisamente troppo facile vedere in quelle parole il Don Carlo [2].
Forse era uno scherzo dello stesso Dominique, anche se ne dubitava. Ad ogni modo l’avrebbe contatto l’indomani per accertarsene.
Oppure, più probabilmente, si trattava qualcuno che aveva sbagliato indirizzo.
Osservò nuovamente quelle quattro parole, poi mise lettera e busta in un cassetto, senza accorgersi che l’involucro non era stato affrancato.
C’era qualcosa di strano in quella frase, si disse, poco dopo, alzandosi in piedi. Forse avrebbe dovuto rivolgersi alla polizia, dire che le era arrivata una strana lettera, ma scacciò l’idea della mente. Doveva trattarsi uno sbaglio di indirizzo, come aveva supposto fin dall’inizio, anche se non riusciva ad immaginare chi mai potesse mandare lettere con sopra scritte parole che non esistevano.
Scosse leggermente il capo, dicendosi che in quel momento era meglio dimenticare qualsiasi lettera e concentrarsi piuttosto sulla prima del dieci.
Ma non riuscì a pensare alla parte di Antonia, né provò l’eccitazione e la paura che la caratterizzavano nei giorni precedenti la prima andata in scena. Le tornò alla mente, piuttosto quanto il signor Piton aveva detto al Museo, il giorno precedente. Come allora, credeva ad ogni sua parola. E c’era qualcosa di rassicurante nel sapere che i problemi della nipote avevano una spiegazione razionale, per quanto questa potesse sembrare incredibile.
Era certa che Tristan, fosse stato ancora in vita, sarebbe stato terribilmente eccitato dall’idea che esisteva un mondo parallelo al loro, fatto di magia.
Era altrettanto certa che Gawain e Margaret non avrebbero accettato con facilità la notizia. Si chiedeva se le paure del fratello e della cognata non sarebbero centuplicate di fronte alla verità circa la bambina. Sperava con tutto il cuore che così non fosse, ma ne dubitava.
E temeva quel giorno che, presto o tardi, sarebbe arrivato. Forse avrebbe dovuto essere lì, accanto a Rebecca. Ma sapeva che non poteva fare promesse alla bambina, non con il suo lavoro che la portava a non avere veramente una residenza stabile.
Si avvicinò alla finestra per chiudere le tende e poter così riposare, anche se era certa che avrebbe tentato di analizzare ulteriormente il problema, prima di addormentarsi.
Osservò gli alberi scossi dal vento. Le parve per un istante di vedere un suonatore di organetti male in arnese aggirarsi per la piazza, ma si accorse ben presto di essersi sbagliata.
Tutto era deserto e silenzioso, fatta eccezione per l’ululare glaciale del vento.
Eppure ad Ygraine parve che vi fossero delle note celate nel vento.
Delle note spettrali.

[1] Wilhelm Müller, Rast (Sosta), intera poesia
[2] Nel Don Carlo di Verdi, alla fine del duetto tra Filippo II e Rodrigo, marchese di Posa, alla fine del II atto, il re di Spagna si rivolge al marchese con le seguenti parole: Ti guarda dal Grande Inquisitor.
 
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view post Posted on 23/5/2013, 18:07

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Ohhh... e adesso abbiamo accentuato ancora di più l'elemento del mistero! Chi sarà mai colui che spedisce lettere anonime? Quasi sicuramente è lo spettatore incontrato nel capitolo precedente.
Ed è preoccupante, per me, perchè osa definire Severus un Mangiamorte.

Mi è piaciuto molto il dialogo tra i tre al bar, il desiderio della piccola di essere rassicurata circa quello che lei è, l'ansia della zia e quella velata preoccupazione che ha radici nel passato, nel suicidio di Tristan. E le semplici spiegazioni di Severus, così semplici da essere immediatamente accolte con la totale fiducia di zia e nipote.

Ora la curiosità aumenta ancora di più.

Però, Leonora, almeno un tè in santissima pace fallo concedere al povero Severus! Nemmeno quello può bere senza sentirsi in colpa... capperi! :cry: Piango io per lui.

Al prossimo capitolo. :)
 
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CITAZIONE (pingui79 @ 23/5/2013, 19:07) 
Ohhh... e adesso abbiamo accentuato ancora di più l'elemento del mistero! Chi sarà mai colui che spedisce lettere anonime? Quasi sicuramente è lo spettatore incontrato nel capitolo precedente.
Ed è preoccupante, per me, perchè osa definire Severus un Mangiamorte.

Mi è piaciuto molto il dialogo tra i tre al bar, il desiderio della piccola di essere rassicurata circa quello che lei è, l'ansia della zia e quella velata preoccupazione che ha radici nel passato, nel suicidio di Tristan. E le semplici spiegazioni di Severus, così semplici da essere immediatamente accolte con la totale fiducia di zia e nipote.

Ora la curiosità aumenta ancora di più.

Però, Leonora, almeno un tè in santissima pace fallo concedere al povero Severus! Nemmeno quello può bere senza sentirsi in colpa... capperi! :cry: Piango io per lui.

Al prossimo capitolo. :)

Lo speditore di lettere anonime verrà svelato tra diverso tempo, ovviamente. E fai bene a preoccuparti (e aggiungo, non solo perché osa definire Severus un Mangiamorte).
Sono felice che ti sia piaciuto il dialogo alla caffetteria del museo! Magari in futuro, ma in un futuro molto futuro, scriverò una scena in cui Severus beve un tè ed il tè rimane un semplice tè.
Spero di arrivare presto con il prossimo capitolo che è in corso di scrittura (me ne manca circa la metà).
 
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view post Posted on 30/5/2013, 17:07
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Eccomi qui con il capitolo 16.
AVVISO: questo capitolo ha una parte VM18!
Quindi il capitolo sottoriportato sarà censurato secondo le regole vigenti in MS.
Pertanto, il capitolo per intero lo troverete nella sezione vietata a questo link. Capitolo 16


Capitolo 16: Mia

Severus Piton sedeva sulla poltrona della sua stanza. Il fuoco scoppiettava allegro nel camino di pietra.
Osservava la foto di Lily; sulle labbra aveva ancora il sapore di Hermione.
Alla fine aveva ceduto a quei sentimenti che prepotenti avevano distrutto ogni sua barriera, si era arreso a quella passione che aveva, invano, cercato di reprimere nell'angolo più oscuro del suo cuore. Invece Hermione era arrivata anche lì, aveva fatto luce nel suo animo oscuro, nel suo cuore impuro. L'aveva cercato nel buio in cui era precipitato, l'aveva preso per mano e l'aveva guidato verso la luce di una nuova vita. Verso il calore del suo amore.
Credeva che si sarebbe sentito in colpa verso Lily e tutto quello che rappresentava.
Si era sbagliato.
- E' stato bello amarti. - mormorò all'immagine di carta che lo osservava con curiosità – E' stato bello e terribile nello stesso tempo. Ma ora sono pronto ad andare avanti. - si alzò, la fotografia di Lily sorrise come se avesse capitole sue parole – Questa volta non voglio solo stare a guardare. Voglio vivere Lily. So che mi capirai. E mi capirà anche Potter se non gli restituisco questa foto. – si portò la foto alle labbra e le diede un lieve bacio – Avrai sempre un posto nel mio cuore. Ti ho amato tanto. Ma sento che è arrivato il momento di andare avanti. Tu avevi scelto la tua strada, ed ora io scelgo finalmente la mia.
Con un gesto veloce gettò la foto nel camino. Le fiamme la bruciarono velocemente sotto lo sguardo del mago. Mentre l'ultima fiamma divorava il volto sempre sorridente di Lily, Severus si perse per l'ultima volta nel suo sguardo smeraldo.
Si sentiva libero.
Un sorriso sereno gli increspò le labbra sottili.
- Addio.

* * * *



L'acqua calda scendeva lungo la schiena della strega, il vapore acqueo aveva riempito il piccolo bagno.
Hermione teneva la testa abbassata permettendo all'acqua di bagnarle il collo e scaldarla.
La giornata era stata lunga e faticosa, lei e Severus avevano ispezionato ogni centimetro delle barriere magiche, rafforzando alcuni punti e aggiungendo nuovi incantesimi. Era stato un lavoro lungo, estenuante e il freddo pungente di quella grigia giornata le era entrato fin nelle ossa.
Quando avevano finito il cielo era scuro, le nuvole avevano iniziato a diradarsi mostrando stralci di cielo blu già puntinato dalle stelle. L'ora della cena era passata da un pezzo ed era affamata.
Ma passare il pomeriggio con lui era stato bellissimo.
Si sentiva euforica, leggera come una piuma.
Si era sentita addosso lo sguardo dell'uomo per tutto il tempo, si erano scambiati delicati baci e alcune leggere carezze. Poche parole, solo qualche lieve sorriso.
Si sentiva eccitata.
Era felice per la prima volta dopo aver capito di essere innamorata di Severus Piton. Ed era passato così tanto tempo che non ricordava più cosa voleva dire essere veramente felice.
Quando sentì i muscoli rilassarsi sotto il getto di acqua calda emise un lieve sospiro, lasciò che l'acqua portasse via tutti i ricordi più brutti e le sensazioni negative.
C'era ancora una guerra da combattere e lei sapeva che il peggio doveva ancora arrivare, ma almeno non si sarebbe più sentita sola.
Chiuse il rubinetto e uscì dalla doccia. Avvolse il corpo con un asciugamano blu e tolse la condensa dal vetro dello specchio.
Si vedeva diversa. Aveva sempre le occhiaie ed era stanca, ma nei suoi occhi era riapparsa quella scintilla di vita che era sparita quando Severus se n'era andato lasciandola sotto quel portico con il cuore spezzato e le lacrime che le inondavano il viso.
Sentiva una piccola parte della vecchia Hermione tornare in vita.
Non sapeva cosa avrebbe riservato il futuro per loro e non era il caso di pensarci ora, non sapeva se potevano considerarsi una vera coppia. Severus ci aveva messo molto tempo ad accettare i sentimenti che nutriva nei suoi confronti ed affrontare quel genere di discorso poteva essere troppo al momento.
Avrebbe vissuto quel rapporto giorno dopo giorno.
Amare Severus Piton non era mai stato facile, ma, almeno, ora sapeva che non era una battaglia persa già in partenza.
Mentre si stava asciugando i capelli con un altro asciugamano ripensando al pomeriggio e alle sue delicate dita che le accarezzavano la guancia, sentì dei rumori provenire dalla stanza accanto. Lasciò cadere la spugna e prese la bacchetta che aveva appoggiato sulla panca assieme ai vestiti puliti. Reggendo l'asciugamano con una mano e la bacchetta con l'altra aprì la porta del bagno e si guardò attorno.
Accanto ad una pila di libri alta quando due elfi domestici Severus stava esaminando un tomo dalla copertina grigia e gli angoli consumati. Era senza mantello, leggermente appoggiato alla scrivania ingombra di rotoli di pergamena, piume d'oca e boccette di inchiostro vuote.
Hermione si rese conto che era la prima volta che lui metteva piede nella sua stanza.
La sua disordinata stanza.
Solitamente era ordinata e meticolosa, ma negli ultimi giorni era stata troppo impegnata ad odiare il mondo per rassettare.
Si sentì arrossire.
- Cosa ci fai qui?
Severus alzò lentamente lo sguardo dal libro incatenando immediatamente i suoi occhi.
- Non é la tenuta ideale per un duello. - sentenziò lanciando una rapida occhiata all'asciugamano che la copriva.
- Mi hai spaventato. - rispose lei abbassando la bacchetta e tornando in bagno per rivestirsi, lasciando la porta leggermente aperta e delle impronte bagnate sul pavimento di pietra.
- Ho bussato, - spiegò il mago rimettendo a posto il libro in cima alla pila – ma non hai risposto. La porta era aperta.
- Ero sotto la doccia, - fece lei uscendo dal bagno con addosso il pigiama - Non avrei sentito entrare nella stanza neppure un troll.
Severus sollevò un sopracciglio notando l'abbigliamento, niente veste di sera scura, niente spalline sottili da spostare per baciare la pelle della spalla. Niente tessuto quasi impalpabile che frusciava melodioso mentre scivolava a terra. Ma spesso tessuto che nascondeva le forme del suo corpo. Ogni forma.
Forme che lui aveva iniziato a vedere di sfuggita in quella notte e che desiderava vedere ancora.
Si rese conto che era bella e desiderabile anche così.
- Non avevo programmato la tua visita. - si giustificò lei notando il suo sguardo fisso sul pigiama – Altrimenti avrei optato per qualcosa di più femminile e avrei messo in ordine.
Il mago distolse lo sguardo velocemente.
- Ho portato la cena.
Hermione notò sul basso tavolo davanti al camino un vassoio di tramezzini e una caraffa. Il suo stomaco brontolò affamato.
Arrossì ancora.
- Scusa...- mormorò andando a sedersi - ma sto morendo di fame.
Il mago prese posto accanto a lei, mangiarono in silenzio e in pochi minuti finirono i tramezzini e il succo di zucca nella caraffa.
La strega sorrise e appoggiò la testa sullo schienale della poltrona.
- Così va molto meglio, grazie.
Severus non rispose, era intento a fissare la fiamme del fuoco, sembrava perso nei suoi pensieri.
Hermione lo osservava incantata, era quasi in imbarazzo eppure fino a qualche giorno prima lei era stata mezza nuda sotto di lui, lo aveva spogliato, aveva sospirato il suo nome con passione. Ma non erano mai stati in una situazione così intima.
- Severus...- lo chiamò lei piano sfiorandogli un braccio – c'è qualcosa che non va?
- I tuoi libri... - disse lui senza distogliere lo sguardo dal camino.
- Cos'hanno i miei libri?
- Alcuni non dovrebbero essere in mano tua.
Hermione gli raccontò dell'incantesimo di appello dopo il funerale di Silente, gli raccontò di quello che aveva letto sugli Horcrux senza paura di reprimere un brivido disgustato.
- Mi sono stati utili, comunque. Senza di loro non avrei mai capito come distruggerli. Speravo che ci fosse scritto qualcosa su quello che sta succedendo a Harry ora, ma non ho trovato una spiegazione logica.
Severus annuì, i suoi occhi riflettevano le fiamme del camino, Hermione lo fissava incantata, indecisa se allungarsi per baciargli una guancia o restare a fissarlo in silenzio.
- Hermione, - disse lui dopo un lungo silenzio - voglio che mi racconti tutto quello che è successo dopo il funerale di Silente. Ogni cosa.
- Perché?
Severus le prese una mano e si voltò a fissarla. Aveva l'espressione più seria che gli avesse mai visto.
- Tu sei entrata nella mia oscurità. Ora io voglio entrare nella tua.
Sotto quello sguardo deciso ed infuocato la strega non ebbe nulla da obbiettare. Sospirò e iniziò il suo racconto.

* * * *



Harry Potter sedeva nell'aula di incantesimi. Era tetra e silenziosa.
Il suo animo era tetro e silenzioso.
Tutto il castello era tetro e silenzioso.
Aveva passato il pomeriggio con Ron ripassando gli incantesimi più elementari. Il suo migliore amico se l'era cavata, ma con le fatture e gli incantesimi più complessi aveva ancora diverse difficoltà, se non migliorava doveva chiedergli di raggiungere Bill e Fleur a Villa Conchiglia. Non voleva avere anche la sua vita sulla coscienza.
Forse poteva chiedere a tutti di andarsene, di lasciarlo solo ad attendere che Tom arrivasse.
Sapeva che nessuno l'avrebbe fatto. Sarebbero rimasti con lui fino alla fine.
Quel pensiero gli faceva gelare il sangue nelle vene.
In pensiero di Lord Voldmeort in viaggio per ucciderlo, invece, non gli metteva agitazione. Quando aveva capito che quella sanguinosa guerra stava per avere fine tirò un sospiro di sollievo.
Erano arrivati alle ultime battute, gli ultimi incantesimi, poi tutto sarebbe finito.
In un modo o nell'altro.
Era un pensiero rincuorante.
Era così stanco di quell'attesa che aveva iniziato a credere che non sarebbe mai arrivato quel giorno. Aveva iniziato a pensare che avrebbe passato tutta la sua vita chiuso in quel castello, in attesa di una battaglia che non sarebbe mai arrivata.
Abbassò il capo sul foglio di pergamena che aveva davanti.

Le ultime volontà di Harry James Potter.


Non aveva molto da lasciare agli altri a dire il vero, ma voleva che le cose fossero in ordine nel caso... nel caso...
- Cosa stai facendo qui da solo?
La voce improvvisa di Ginny lo fece sussultare sulla sedia. Abbassò lo sguardo sulla pergamena, ma se la ritrovò alle spalle in pochi attimi. Lo stava abbracciando posandogli un delicato bacio sulla tempia.
- Riflettevo. - le disse accarezzandole le braccia che lo cingevano con dolcezza.
Poteva sentire lo sguardo di Ginny muoversi sul foglio, sentì i suoi muscoli irrigidirsi.
- Harry... - mormorò con un filo di voce – perchè?
Il mago sospirò e si voltò verso la sua ragazza.
- Potrei morire, Ginny.
La giovane strega si staccò da lui come se l'avesse appena presa a schiaffi.
- No. - disse con decisione.
- Ginny...
- Ho detto di NO!
Il mago si alzò.
- Sì, invece. Tutti potremmo morire.
- Non morirà più nessuno. - disse con decisione Ginny, aveva lo sguardo deciso e combattivo che aveva sempre amato – Nessuno.
- Voglio mettere le cose a posto nel caso dovesse succedere. - continuò imperterrito ignorando le proteste e le lacrime che stavano illuminando il suo sguardo fiero – I miei galeoni voglio darli alla tua famiglia. La Firebolt voglio che l'abbia Ron, non so ancora cosa lasciare ad Hermione... non credo che ci sia qualcosa nel mio baule che possa servirle, ma vorrei lasciarle comunque qualcosa.
Ginny si gettò tra le sue braccia, aveva le guance umide anche se si stava sforzando di non piangere.
- Harry... ti prego... basta...
Il mago la strinse immergendosi nel suo profumo, in quel dolce profumo che sapeva avere solo Ginny.
- Ho anche una cosa per te. - le disse con un sorriso cercando di scioglierla dal suo abbraccio.
- Non la voglio. - rispose la strega con il volto premuto contro il suo petto.
Con gentilezza Harry riuscì a liberarsi dalla presa ferrea delle braccia di Ginny, le stava sorridendo con dolcezza ed infinito amore. Mise una mano in tasca dei jeans e le mostrò poi il pugno chiuso.
- Quando me ne sono andato...- iniziò a spiegare – sono andato a Godric's Hallow.
- Lo so. Piton ti ha trovato al cimitero.
- Prima di andare al cimitero sono andato nella mia vecchia casa.
- Pensavo che quel posto fosse inaccessibile.
- Lo credevo anch'io, ma quando ho provato ad aprire il cancello non ho avuto nessuna difficoltà. Credo che Silente sapesse che, prima o poi, sarei andato a vederla. Può averla incantata in modo che fosse accessibile solo a me. Volevo vedere se avevo qualche ricordo di quel posto, qualche sensazione...
Harry abbassò lo sguardo.
- Hai trovato qualcosa? - gli chiese timidamente Ginny.
Il giovane mago chiuse per un attimo gli occhi cercando di non ricordare la sensazione di vuoto che aveva provato entrando nella sua vecchia casa. La malinconia che aveva in cuore quando si era seduto sulle scale dove era morto suo padre. O le lacrime che aveva versato sulla soglia della sua cameretta semidistrutta, dove era morta sua madre.
O le voci che sentiva nella sua testa, le urla.. le suppliche… e il sibilo metallico di Voldemort.
- Sono entrato nella camera dei miei genitori, una parte é esplosa perché era vicino alla mia, ma... - aprì il pugno mostrando alla sua ragazza un semplice anello in oro bianco con un piccolo diamante – non so se é un anello di valore. E, forse, non é l'anello giusto, ma é l'unica cosa che resta di mia madre, Ginny. – fece una piccola pausa fissando ancora l’anello, come se potesse dargli li coraggio di continuare a parlare - Voglio darlo a te. Voglio darti la cosa più preziosa che possiedo, perché tu sei la persona più preziosa per me.
Ginny spostava lo sguardo dall'anello al suo viso. Tremava.
- Ha... Harry... - balbettò.
- Voglio sposarti, Ginny. - disse tutto d'un fiato il giovane, sentiva il cuore esplodere in petto da quanto batteva, ci pensava da quando aveva recuperato quell'anello dal pavimento polveroso della camera dei suoi genitori – Quando questa guerra sarà finita, quando le nostre vite saranno normali. - sollevò lo sguardo incontrando l'espressione stupida di lei - Vuoi sposarmi Ginevra Molly Weasley?
La strega fece un sorriso tremante mentre il volto veniva, di nuovo, inondato dalle lacrime. Si tuffò nel suo abbraccio mettendogli le braccia attorno al collo, raggiungendo in fretta le sue labbra dandogli un bacio salato.
Il bacio fu lungo, passionale.
- Sì, - alitò sulle sue labbra quando si separarono di pochi millimetri – voglio sposarti Harry James Potter.
Harry sorrise mettendole l'anello al dito, le baciò delicatamente il dorso della mano e poi il palmo.
Poi l'avvicinò a se e tornò a torturarle le labbra.

* * * *



Raccontare era stato più facile di quello che aveva immaginato.
Con lo sguardo fisso sulle fiamme e le dita intrecciate a quelle di Severus, aveva raccontato tutto quello che era accaduto dopo la morte di Silente. Ogni decisione presa da sola o con gli altri.
Ogni sensazione. Ogni paura.
E più raccontava, più voleva raccontare liberando la sua anima tormentata; sentendosi più leggera ad ogni parola che riusciva a pronunciare.
Severus era silenzioso accanto a lei. Sentiva il suo sguardo addosso, le stringeva di più la mano quando i ricordi diventavano troppo dolorosi o tristi.
Quando aveva iniziato a raccontare le torture di Bellatrix, gliela strinse così forte che aveva paura che si staccasse, ma non si era lamentata perché quella presa ferrea era quello di cui aveva bisogno. Un ancora che la riportasse alla realtà, che le ricordasse che non era nel salotto di Villa Malfoy.
Iniziò a raccontare di Ron, del suo modo dolce di amarla, della sua convinzione di riuscire a ricambiare i suoi sentimenti come meritava, sentendo lo sguardo di fuoco di lui sulla nuca. Sentendosi stupida e vergognandosi, forse per la prima volta, di quello che gli aveva fatto.
Fu un racconto lungo, straziante, tormentato dagli incubi e dai ricordi, ma riuscì a non piangere.
Quando ebbe finito calò un lungo silenzio interrotto solo dal crepitare delle fiamme nel camino. Severus non disse nulla, lasciò la sua mano e l'abbracciò avvolgendola con le sue braccia e il suo profumo.
Hermione sgranò gli occhi per quel gesto affettuoso e del tutto inaspettato, appoggiò la nuca sul suo torace, ignorando i bottocini che sfregavano sul cuoio capelluto. Sentì le braccia di lui avvolgerla in caldo abbraccio e le sue labbra baciarle i corti capelli.
Chiuse gli occhi cullata dal calore del suo corpo, dal suo profumo e al ritmico suono del cuore che e sembrava leggermente più veloce del solito.
Restarono così per parecchi minuti, senza dirsi nulla, lasciando che fosse quell'abbraccio a parlare al posto loro. Era strano avere certi atteggiamenti con Severus, eppure, nonostante tutto, le sembrava di essere a casa.
- E' molto tardi. - disse infine il mago sciogliendola dal suo protettivo abbraccio.
Lei sorrise e si alzò dal quel comodo giaciglio che era il suo petto. Si alzarono dal divanetto e si guardarono negli occhi.
Hermione vide una strana luce nello sguardo di lui, una luce che non sapeva bene come definire, ma, nello stesso tempo, la chiamava. Invocava il suo nome con disperato desiderio. Pensò, di nuovo, che era stupido sentirsi in imbarazzo dopo tutto quello che c'era stato tra di loro, eppure non riuscì a reprimere il lieve rossore che sentì salirle sulle guance.
Si mordicchiò un labbro. Sentiva che aveva bisogno di lui, del suo calore, delle sue labbra e del suo corpo, ma, improvvisamente, non aveva il coraggio di chiedergli di restare.
Severus le prese il mento due dita e si chinò su di lei.
- C'è un modo più dolce per torturare queste labbra. - le sussurrò con voce roca e sensuale a pochi millimetri dalle sue labbra - Il bacio della buonanotte.
Le assaporò piano, lentamente, passando la punta della lingua sul loro contorno prima di chiederle il permesso di entrare. Permesso che gli concesse senza esitazioni, appoggiando le mani sul suo torace, le dita che sfioravano i bottoncini della casacca nera, gli occhi chiusi, la mente e la bocca piena di lui e del suo sapore.
Era un bacio diverso da quelli che si erano scambiati in precedenza. C'era dolcezza, ma anche rovente passione e il desiderio di andare oltre quel sensuale, ma inappagante sfiorarsi di labbra e scontri di lingue. Sentì le mani di Severus aperte sulla sua schiena, innaturalmente immobili; era come se si sforzasse di non andare oltre.
Si separarono di pochi centimetri, Hermione strinse la sua casacca e lo avvicinò un po' a se. Mai sazia di lui.
- Resta...- sussurrò sul suo volto, sentiva il suo cuore e il suo corpo vibrare, urlare il suo nome – resta con me. Stanotte e per tutte le altre notti.
Le labbra sottili del mago si incurvarono in un lieve sorriso mentre si chinava di nuovo sulle sue labbra, questa volta lasciando perdere la dolcezza di poco prima entrando nella sua bocca quasi in modo rude, una mano era risalita sulla sua nuca, mentre l'altra era scesa alla base della schiena e stava spostando la felpa del pigiama alla ricerca della sua pelle bollente.
Hermione si accorse che stavano indietreggiando, mentre le sue dita avevano iniziato a sbottonare la casacca, bottoncino dopo bottoncino reprimendo il forte desiderio di prendere quella stoffa e strapparla.

Da qui inizia la parte hot. Mi spiace per voi... XD
Per fare un breve riassunto: Severus ed Hermione si amano con passione.
Severus scopre che il corpo della strega ha diversa cicatrici, ma non gli importa perché per lui é bella e perfetta così. Con i suoi pregi e, soprattutto, con i suoi difetti!


I loro respiri si fondevano, mentre i loro corpi, ancora uniti, si rilassavano.
Si guardarono negl'occhi e sorrisero.

* * * *


Harry fissava il tetto del soffitto dell'aula di incantesimi.
Lui e Ginny si erano amati sul pavimento, stendendo a terra i loro mantelli per ripararsi dal freddo della pietra.
Lei dormiva accoccolata sul suo petto.
Lui non riusciva a dormire. La guardava e voleva imprimersi ogni immagine di quella strega testarda e combattiva che non l'aveva mai abbandonato, anche dopo che lui l'aveva lasciata per andar a cercare gli Horcrux.
L'anello brillava sull'anulare, aveva preso la decisione giusta. Forse era troppo giovane per sposarsi, ma desiderava una famiglia, una vita normale e Ginny era la persona giusta con cui affrontare la normalità di una vita coniugale.
Ginny era la sua ancora di salvezza dall'oscurità che sentiva inghiottirlo sempre di più verso Voldemort, allontanandolo da tutti.
Sorrise mentre lei borbottava qualcosa nel sonno.
Forse stava sognando la loro famiglia, la loro casa fuori Londra, i loro chiassosi figli.
Era una bella visione, un bel futuro in cui sperare.
E lui voleva crederci.
Ma quella vita spensierata e normale gli sembrava lontana.
Troppo lontana.

* * * *



Si era addormentato nel giro di pochi minuti.
Se fosse stata una situazione normale, in un mondo normale e se loro fossero state persone normali, forse, se la sarebbe presa.
Ma la situazione non era normale, il mondo non era normale e loro erano tutto tranne che persone normali.
Così si era limitata a fissarlo dormire tranquillo, nel suo letto, dopo aver fatto l'amore.
Sembrava che non dormisse da molto tempo, forse da anni.
E anche lei sentiva la stanchezza della giornata. Sapeva che se chiudeva gli occhi si sarebbe addormentata di colpo, ma la tentazione di fissarlo per tutta la notte sembrava più forte.
Gli scostò una ciocca di capelli neri dalla fronte. Severus non si mosse.
Era insolito vederlo così tranquillo e rilassato, senza quella ruga profonda che gli solcava la fronte, o lo sguardo cupo perso in mille ragionamenti.
Era bello. Ed era bello pensare che fosse lei a renderlo così tranquillo.
Sentiva ancora il calore del suo corpo su di lei, in lei.
Sospirò iniziando a sentire il sonno appesantirle le palpebre. Sentiva che quella notte sarebbe stata tranquilla, che gli incubi che l'avevano tormentata per mesi non sarebbero più tornati.
Ed era merito di Severus.
Aprì la bocca per sussurrargli quelle due parole che lui, probabilmente, non le avrebbe mai detto. Quelle due parole che urlava il suo cuore e che sentiva sulle labbra e sulla punta della lingua pronte ad uscire.
Ti amo.
Invece fece un respiro profondo e li ricacciò indietro con un sorriso.
Non c'era bisogno di dirle.
Lei sapeva di amarlo.
Lui sapeva di essere amato.
Questo era la cosa più importante.
Lanciò un’occhiata al fuoco nel camino, le fiamme si stavano spegnendo e la legna era quasi del tutto consumata. Si accoccolò a lui e aspettò che l’oscurità della notte gli inghiottisse.
Quando l’ultima fiamma morì nella brace appoggiò la testa sul cuscino e sospirò riempiendosi del suo profumo.
Il mago si mosse appena tra le lenzuola, avvertì un braccio cingerla in vita e avvicinarla di più al suo corpo.
Non importava se quelle due parole sarebbero rimaste per sempre sulle sue labbra. Si amava con il cuore, non con le parole.
E il cuore di Sevrus era suo.
Nell’oscurità Hermione sorrise e, finalmente, chiuse gli occhi.
 
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view post Posted on 6/6/2013, 21:39
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Winterreise - Capitolo X – Rast, di Alaide

CITAZIONE
senti solo nella quiete il tuo tormento
che si sveglia con morsi di fuoco!

Aaaah…bè, cominciamo bene, non c’è che dire: tomento infuocato anche nella quiete!
CITAZIONE
Severus, nel sedersi, si rese conto improvvisamente di quanto la sua mente ed il suo animo fossero stanchi per il loro lungo girare in circolo, rincorrendo pensieri ricorrenti. Si sentiva come qualcuno che avesse dovuto percorrere miglia e miglia in mezzo alle intemperie, sospinto dal vento che imperversava anche in quel momento all’esterno del museo.

Non ho la minima difficoltà a crederlo!
CITAZIONE
Le parole di Rebecca lo rimandarono per un istante ad un momento passato, quando forse era ancora innocente, mentre osservava Lily sperimentare con una magia che non sapeva di possedere. Si rivedeva mentre si faceva avanti e le rivelava la verità.

… lungo sospiro…
CITAZIONE
quando qualcuno l’avrebbe nominato come l’unico Preside entrato in carica dopo aver assassinato il suo predecessore.

Un modo davvero tremendo per riferirsi a se stesso.
CITAZIONE
Ricordava, con rimpianto e amarezza, quando si era rivolto bruscamente a Lily. Ricordava che si era preparato un discorso complesso, molto simile a quello che stava pronunciando in quel momento, ma ogni parola era stata dimenticata quando aveva finalmente avuto l’occasione di parlare con Lily. Era un bambino, allora. Era forse ancora innocente. E sapeva ancora sognare.

E ora può finalmente utilizzare quel discorso a lungo prepara rato.

Sulla rivelazione del mondo della magia e la reazione di Igraine… ecco, mi chiedo cosa penserei io al suo posto. È vero che la nipote le ha detto di aver fatto cose sprane e le parole di Piton ne danno una ragionevole spiegazione, ma credo che io avrei preteso qualcosa di più, una piccola dimostrazione, come minimo…
CITAZIONE
Era come se le sue colpe si fossero materializzate ancora più tormentose, era come se vi fosse un fuoco che lo divorava dall’interno del suo animo spezzato e perduto per sempre.

Ed ecco il lied che colpisce a fondo, starziante.
CITAZIONE
L’uomo prese in mano la tazza di tè e ne bevve il contenuto. Era come se stesse bevendo le sue colpe, come se, in quel momento di pausa dal suo errare, in quel momento di apparente normalità, in quel momento in cui indossava una nuova maschera, le sue colpe bussassero alla sua mente con maggior fervore, facendo a brani la sua anima.

Un’immagine assolutamente tremenda!
CITAZIONE
Ed in quella quiete, le colpe sarebbe giunte più forti di prima a rincorrersi nella sua anima, a farla a brani come belve affamate.

Quale tremenda e rassegnata consapevolezza!
CITAZIONE
Gran Bretagna, 8 gennaio 2002

Il giorno prima del suo compleanno. Non so bene perché, ma mi attendo qualcosa di brutto.
CITAZIONE
Ti guarda dal Mangiamorte.

Ma che senso hanno queste parole inviate a una Babbana, che non è in grado di capirle?
CITAZIONE
Era certa che Tristan, fosse stato ancora in vita, sarebbe stato terribilmente eccitato dall’idea che esisteva un mondo parallelo al loro, fatto di magia.

Già, Tristan… probabilmente è proprio questo il fattore che ha fatto accettare la cosa a Ignain senza fare altre domande…
CITAZIONE
Le parve per un istante di vedere un suonatore di organetti male in arnese aggirarsi per la piazza, ma si accorse ben presto di essersi sbagliata.

Meno male, perché quello porta sfiga!


Uno strano capitolo, dove razionalità e irrazionalità si incontrano e convivono sulle ali di una fiducia alimentata dal fantasma di Tristan e delle sue fantasiose storie.


Edited by Ida59 - 24/7/2015, 22:09
 
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Imparerò ad amarti - Cap. 16: Mia

CITAZIONE
- Sono entrato nella camera dei miei genitori, una parte é esplosa perché era vicino alla mia, ma... - aprì il pugno mostrando alla sua ragazza un semplice anello in oro bianco con un piccolo diamante – non so se é un anello di valore. E, forse, non é l'anello giusto, ma é l'unica cosa che resta di mia madre, Ginny. – fece una piccola pausa fissando ancora l’anello, come se potesse dargli li coraggio di continuare a parlare - Voglio darlo a te. Voglio darti la cosa più preziosa che possiedo, perché tu sei la persona più preziosa per me.

Ok, non me lo aspettavo, ma trovo questa scena tra Harry e Ginny davvero tenerissima e mi piace molto, da nodo alla gola.

Non so, non capisco. Come ti ho detto oggi a pranzo, c’è qualcosa che non mi piace in questi tuoi Severus e Hermione. È la prima volta che mi capita con una tua storia, ma non riesco ad immedesimarmi in loro: una Hermione troppo forte e “dura” e un Severus troppo remissivo. Mi fa male a dirlo, ma ho apprezzato di più la scena tra Harry e Ginny che non quella tra Severus e Hermione che, invece, avevo così a lungo atteso. Ho un terribile senso di amarezza e insoddisfazione…
:cry: :cry: :cry:

Edited by Ida59 - 24/7/2015, 22:09
 
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CITAZIONE (Ida59 @ 6/6/2013, 22:39) 
Aaaah…bè, cominciamo bene, non c’è che dire: tomento infuocato anche nella quiete!

Sentendo questo Lied cantato da Kaufmann l'immagine arriva poi ancora più diretta,

CITAZIONE
Sulla rivelazione del mondo della magia e la reazione di Igraine… ecco, mi chiedo cosa penserei io al suo posto. È vero che la nipote le ha detto di aver fatto cose sprane e le parole di Piton ne danno una ragionevole spiegazione, ma credo che io avrei preteso qualcosa di più, una piccola dimostrazione, come minimo…

Ho lasciato volutamente così vaga e rapida l'accettazione di Ygraine, che verrà meglio "studiata" nel prossimo capitolo. In quel momento lei ha deciso di fidarsi ciecamente di Piton ed i suoi pensieri vanno di conseguenza.

CITAZIONE
Il giorno prima del suo compleanno. Non so bene perché, ma mi attendo qualcosa di brutto.

Ma quanta poca fiducia in questa povera fanwriter... qualcosa di brutto potrebbe accadere, ma non in questo momento della storia.

CITAZIONE
Ma che senso hanno queste parole inviate a una Babbana, che non è in grado di capirle?

Il senso c'è, ma sarà comprensibile. Lo scopo di chi invia non è che lei capisca adesso.

CITAZIONE
Già, Tristan… probabilmente è proprio questo il fattore che ha fatto accettare la cosa a Ignain senza fare altre domande…

Tristan è sicuramente un fattore. È una presenza ingombrante su tutta la famiglia. Su di lei e Gawain che rifiuta di parlarne,

CITAZIONE
Uno strano capitolo, dove razionalità e irrazionalità si incontrano e convivono sulle ali di una fiducia alimentata dal fantasma di Tristan e delle sue fantasiose storie.

Ed era quello che volevo ottenere, un senso di stranezza, dove Tristan incombe sulle scelte di Ygraine.
 
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view post Posted on 7/6/2013, 09:45
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CITAZIONE
Non so, non capisco. Come ti ho detto oggi a pranzo, c’è qualcosa che non mi piace in questi tuoi Severus e Hermione. È la prima volta che mi capita con una tua storia, ma non riesco ad immedesimarmi in loro: una Hermione troppo forte e “dura” e un Severus troppo remissivo. Mi fa male a dirlo, ma ho apprezzato di più la scena tra Harry e Ginny che non quella tra Severus e Hermione che, invece, avevo così a lungo atteso. Ho un terribile senso di amarezza e insoddisfazione…


*sospiro*

Amen, me ne sono fatta una ragione parecchi capitoli fa. ^_^
Hanno fatto un percorso doloroso, entrambi.
Hermione é cresciuta in fretta, troppo in fretta, ma é la guerra, il dolore e un amore sofferto che l'hanno resa dura e spigolosa.
Ha lottato per lui con le unghie e con i denti e, per amare questo Severus, se non avesse avuto il pelo sullo stomaco come quello di un troll di montagna, lo avrebbe mandato a fare in culo al primo capitolo.
Severus é - era- un uomo distrutto, un automa che non voleva vivere, che non voleva più combattere, con una Lily ingombrante quanto un armadio a 22 ante
Non sono una coppia felice. Non sono una coppia romantica.
Non stanno vivendo in un mondo dove va tutto bene o dove tutto é finito bene.
E' un mondo cupo, doloroso e con una guerra in corso.
Per loro non c'é spazio per il romaticismo, non come per Ginny e Harry che stanno vivendo un amore felice nonostante tutto.
In questa storia, Severus ed Hermione, sono usciti così.

E, come ti ho già detto, so già che la storia continuerà a non piacerti, che la fine, probabilmente, la salterai perché é un genere che non ti piace.
Ripeto: amen, me ne sono fatta una ragione parecchi capitoli fa. ;)

Edited by ellyson - 7/6/2013, 13:09
 
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view post Posted on 7/6/2013, 11:42
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... solo, mi dispiace tantissimo, perchè questa storia nasce proprio da un mio "Imperio" di tanti anni fa e... insomma, ci tenevo! :(

Edited by Ida59 - 24/7/2015, 22:09
 
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view post Posted on 7/6/2013, 12:18
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CITAZIONE (Ida59 @ 7/6/2013, 12:42) 
...solo, mi dispiace tantissimo, perchè questa storia nasce proprio da un mio "Imperio" di tanti anni fa e... insomma, ci tenevo! :(

Eh lo so e dispiace anche a me che non rispecchi le tue aspettative. Ma il Severus si Maschera a pezzi era veramente conciato male (emotivamente parlando), e il mondo magico era praticamente sull'orlo dell'anarchia.
Hermione ha dovuoto rialzarsi dal pavimento (e non solo metaforicamente parlando) dove lui l'ha lasciata a piangere con il cuore spezzato.
Harry si é visto, nonostante l'Horcrux distrutto, ancora nella mente di Voldemort.
Insomma un bel casino, forse é uscita un po' più dark di quello che pensavo, ma non poteva oggettivamente uscire una FF ricca di speranze e amore con quei presupposti.

E' andata così... ce ne saranno altre in futuro che andranno meglio. ;)
 
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