Il Calderone di Severus

Les Liaisons Dangereuses (1985-86)

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norrispurr
icon12  view post Posted on 9/6/2009, 16:33




Tra i lavori teatrali del nostro Alan penso che quello che più ne evidenzia le doti seduttive sia "Les liaisons dangereuses", portato in scena a Broadway nel biennio 1986 - 1987 insieme a Lindsay Duncan, dove Alan interpreta la parte dell'affascinante ed irresistibile visconte di Valmont

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Intanto ho postato questo video che ho trovato su Youtube, e che spero gradirete.
La storia penso la conosciate tutte: nella Francia di fine '700 la marchesa di Merteuil trama insieme all'affascinante visconte di Valmont, suo ex amante, un intrigo finalizzato ad indurre all'adulterio Madame de Tourvel (che poi s'innamorerà perdutamente di Valmont) ed a sedurre l'ingenua Cècile (che dopo la morte di Valmont risulterà aspettare un figlio da lui). Valmont pagherà molto cara la sua perfidia, emendandosi allo stesso tempo: verrà infatti ucciso in duello da Danceny, di cui Cècile si è innamorata ed al quale la perversa marchesa di Merteuil ha rivelato la relazione tra Cècile e Valmont, un duello che Valmont affronterà pur consapevole di andare incontro a morte sicura.
Solo al leggere la trama di questa intrigante storia mi vengono i brividi: chi meglio di Alan avrebbe potuto interpretare il visconte di Valmont, con la sua voce di seta e quello sguardo che ti incatena lasciandoti senza alcuna difesa?
Chi non vorrebbe essere al posto di Cècile o di Madame de Tourvel?
E come hanno potuto affiadre a John Malkovic la parte di Valmont nel film girato nel 1988? Alan era perfetto per quella parte!
Attendo le vostre impressioni e commenti, sperando, visto che è la prima discussione che apro, di aver fatto tutto giusto (e se così non fosse correggetemi pure!).

Edited by Ida59 - 21/1/2021, 19:14
 
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view post Posted on 9/6/2009, 16:43
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Premettendo che Malcovich come attore mi piace abbastanza, credo che tu abbia perfettamente ragione. Quando dici visconte di Valmont dici Alan Rickman, è un personaggio che gli si cuce addosso e gli scende perfettamente :P :P :P lo adoro in questa parte :wub: la prima volta che l'ho visto ho pensato :gasp: :gasp: :gasp: :gasp: :gasp: :gasp: :gasp: :gasp: :gasp: :gasp: anzi in realtà non ho pensato molto :super bava: :super bava: :super bava: :super bava: :super bava:
 
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view post Posted on 9/6/2009, 17:42
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Oddio quant'è bello!!!! :rolleyes:
Scusate ma il visconte di Valmont di Alan è seducentissimo e qui lui è proprio al top della sua bellezza come uomo!!
Sì hai ragione Norris, trovo che nessuno meglio di mr. Rickman possa interpretarlo e non voglio nemmeno paragonarlo a Malkovich, attore di indubbio talento ma che, onestamente, come uomo non mi piace affatto e che non mi pare poi sia così affascinante come parecchi sostengono <_<

Purtroppo di questa interpretazione teatrale, con lui e Lindsay Duncan, non esistono registrazioni su DVD, o CD, o VHS almeno, insomma su qualcosa che si possa vedere maledizione! :angry:
Pare che una copia di registrazione sia conservata gelosamente in un archivio cinematografico di New York, di cui non ricordo il nome, a cui si può accedere solo come se si dovesse entrare al Pentagono! ;) :P

Qualche mese fa mi è capitato di assistere a una trasposizione teatrale abbastanza moderna della Liaisons al teatro Litta, qui a Milano, in cui i costumi rispettavano l'epoca e le scenografie erano assenti e sostituite da pochi elementi geometrici e in cui predominava il bianco e nero.
Gli attori erano molto bravi e Valmont decisamente efficace, ma io non ho smesso un secondo di immaginare Alan nei suoi panni, con quella redingote bianca svolazzante e come sarebbe stato il suo modo di atteggiarsi, di muovere le mani, lo sguardo... :sbava: :sbava:
Aahhhhhhh, quanto avrei dato per vederlo interpretare, all'epoca, il visconte di Valmont!!!
 
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norrispurr
view post Posted on 9/6/2009, 18:06




Non esistono copie? :o:
Questo non lo sapevo! :(
MA COME HANNO POTUTO!
In effetti io ho visto alcune immagini su Internet, e mi sono bastate per "testare" (se mai ce ne fosse stato bisogno!) il fascino di Alan, :wub: ma questo è un delitto! :furia:
Mi sa che ci attende una "Mission Impossible" in New York.
Chi vuol essere della partita? ;)

Edited by Arwen68 - 29/11/2017, 19:17
 
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view post Posted on 9/6/2009, 18:23
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Per quei filmati sono già pronta con il kit stile teste di cuoio

Edited by chiara53 - 26/2/2017, 18:41
 
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view post Posted on 9/6/2009, 18:32
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Muahahahahaha :lol: :lol: :lol: perfetto ragazze, allora posso annoverare anche voi nel manipolo di indomite "donnine" che daranno l'assalto agli archivi segretissimi newyorchesi che contengono le sacre registrazioni! ;) :P
 
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view post Posted on 9/6/2009, 18:37
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Annovera annovera :lol: sto già affilando le spade e pulendo i fucili :lol: :lol: :lol: :lol: :lol:
 
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view post Posted on 9/6/2009, 20:46
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I ♥ Severus


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AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAhhh!

Per un istante ho pensato che fosse un video dello spettacolo!!!

Ha ragione Ele, sembra esistere solo quella inarrivabile copia in quella biblioteca di NewYorK!




Vi lascio un regalo.

Si tratta della traduzione di un articolo del Guardian del 1998 fatta tantissimo tempo fa da Raffaella, Webmaster della lista AR_Italia, e che riguarda anche la seducente performance di Rickman in quella rappresentazione teatrale.


______

ANGELI CON LE CORNA
Di Suzie Mackenzie
The Guardian - Domenica 3 gennaio, 1998


Alan Rickman ha costruito la sua carriera interpretando cattivi sexy e sardonici, ma nella vita reale sembra un modello di lealtà, stabilità e monogamia. Quindi, cosa ne fa dei propri tormenti interiori un uomo che ammette di essere un patito dell'autocontrollo? Mette tutto nel suo debutto dietro la macchina da presa.

Ero presente nell'esatto momento in cui Alan Rickman diventò una star, anche se nessuno se ne accorse, nemmeno lui. Era la sera di giovedì 26 settembre 1985, il luogo l'Other Place, ossia lo studio della Royal Shakespeare Company a Sratford-on-Avon, e l'occasione era il debutto di "Le Relazioni Pericolose". Ovviamente adesso è facile vedere che sarebbe stato un successo. Ma allora gli adattamenti da romanzi non erano di moda; Christopher Hampton era una specie di scrittore indipendente; Howard Davies, il regista (e regista di "Private Lives", nota di Raffaella) stava abbandonando la Royal Shakespeare Company, e tutta l'impresa - u'opera settecentesca sui giochetti sessuali di un gruppo di viziati aristocratici pervertiti - aveva l'aria fin-de-siecle di un'ultima giocosa rappresentazione. E davvero "Le Relazioni Pericolose" era la produzione finale di una stagione senza brio: c'era stato un interesse eccessivo nell'aspetto esteriore delle altre opere teatrali, come se fossero state infettate dallo spirito di quel tempo.
Quella notte, gli elementi cospirarono per aiutare Rickman. Faceva freddo, era buoi e pioveva, quindi persino il minuscolo Other Place sembrava accogliente, un porto sicuro. Dentro c'era quell'atmosfera di attesa che si ottiene da un pubblico composto principalmente da altri attori. Ciò che Hampton aveva scritto era un'opera sullo stato delle cose. Laclos, scrivendo sette anni prima della Rivoluzione Francese, era testimone di una società, spinta dai propri appetiti, che si stava mangiando viva. Come Freud dopo di lui, Laclos riteneva che la sessualità fosse la sottostruttura dell'attività umana: attraverso le disonestà sessuali del Visconte di Valmont e della Marchesa di Merteuil si poteva comprendere la corruzione della sovrastruttura, ossia della società. Era un'opera politica, ma mascherata attraverso consumata eleganza - la mano d'acciaio nel guanto di velluto - qualcosa dell'essenza dello stesso Rickman.
Ciò che mi ricordo della performance di Rickman come Valmot è che il suo corpo sembrava avere giunture nei posti più inaspettati, in modo da renderlo capace di aprirsi e chiudersi a suo piacimento. Quella voce - ferma, cadenzata, grezza eppure musicale - veniva fuori da una bocca come una caverna, creando alternanze di suono e corpo. Era spaventoso. Spaventoso non perchè era immorale, ma perchè obbligava lo spettatore a desiderarlo. All'interno del vuoto morale che lo circondava - e che nulla poteva penetrare - era irresistibile.
La sera della prima rappresentazione Lindsay Duncan (coprotagonista di "Private Lives", nota di Raffaella), che interpretava la Marchesa di Merteuil, partner nel crimine di Valmont, disse queste famose parole: "Molta gente ha lasciato il teatro con una gran voglia di fare sesso, e la maggior parte di loro volevano farlo con Alan Rickman". Molta gente deve aver lasciato il teatro anche domandandosi dove mai la Royal Shakespeare company avesse nascosto un attore di quel calibro. Nella stagione 1985 i suoi due ruoli shakespeariani furono Jacques in "Come vi Piace" e Achille in "Troilo e Cressida". Anche adesso, dopo 12 anni, è incredibile pensare ai ruoli che potrebbe aver avuto - Amleto (che poi interpretò, su richiesta della produttrice Thelma Holt nel 1992), Prospero, Macbeth. E perchè il National (credo stia parlando della compagnia del National Theatre - nota di Raffaella) non lo scelse per interpretare Chekhov, o Ibsen. Sarebbe stato un favoloso giudice Brack.

Non era un bel periodo in quei grossi teatri sovvenzionati dallo stato. C'era una certa dose di machismo tra i registi, particolarmente alla Royal Shakespeare Company, e gli attori giustamente ne risentivano. Alle attrici andava un po' meglio, soprattutto se accettavano di sfruttare la tradizionale struttura di potere maschio/femmina. Moltissimi ottimi attori furono persi. Alcuni, per esempio Jonathan Pryce, semplicemente lasciarono il teatro classico per non tornarvi più. Kenneth Branagh, al Riverside, e Ian McDiarmid, all'Almeida, stabilirono le loro proprie compagnie come attori/impresari. Rickman quasi scivolò tra le maglie della rete; come dice: "Forse chi è al potere (nel mondo del teatro, suppongo - nota di Raffaella) dovrebbe guardare indietro e chiedersi se veramente è stata fatta la cosa migliore. Era un incredibile gruppo di attori". E forse è utile riflettere sul fatto che Trevor Nunn, l'uomo che dirigeva la Royal Shakespeare Company allora, è adesso l'uomo che dirige il National Theatre.

C'è un antico proverbio cinese che dice: "Se ti siedi sulla riva del fiume abbastanza a lungo, il corpo del tuo nemico potrebbe passarti davanti". Rickman aspettò quasi 20 anni il suo primo assaggio di successo. Aveva 42 anni nel 1985, quando il successo arrivò (ne aveva 39, nota di Raffaella). Anche allora, gli deve aver sembrato che il successo gli venisse strappato di mano troppo presto. La parte di Valmont nel film di Stephen Frears "Le Relazioni Pericolose" andò a John Malkovich - come dice Rickman: "Era sulla breccia in quel momento". Ora può accettarlo con filosofia. "Si deve vivere nel mondo reale. Non ho mai avuto nessuna possibilità di ottenere quella parte, lo so". Ma allora ne fu ferito. Non andò mai a vedere il film. "Perchè dovrei?". E fa notare che "Le Relazioni Pericolose" cambiò il corso della sua carriera. Quando il dramma fu trasferito a Broadway per la sua breve, affollatissima stagione di 20 settimane, il produttore Joel Silver lo vide, e stava proprio cercando un cattivo carismatico, tragicomico e sardonico da opporre alla star Bruce Willis in "Die Hard".

Qualcuno ha detto che il non aver ottenuto "Le Relazioni Pericolose" ha salvato Rickman perchè ha salvato il suo senso dell'umorismo. "die Hard" glielo restituì. Guardare Rickman in quel meraviglioso cartone animato di film fa comprendere come era irresistibilmente divertente. E si vede come riesce a regolare l'esatta temperatura a cui la macchina da presa reagisce. Non grida affatto - come Branagh - e il suo sfavillare non è rumoroso. I movimenti sono sfumati e ciò che fa con la coda dell'occhio è reminiscente dela grande Robert Mitchum. Quella di non riconoscere i grandi talenti nativi è una tradizione del teatro inglese, come se non potessimo capire quanto sono bravi prima che attraversino l'Atlantico. Gli americani non fanno questo errore. Il successivo film hollywoodiano di Rickman fu "Robin Hood Principe dei Ladri", con Kevin Costner.

In questi giorni tutti cercano Rickman: gli arrivano mucchi di offerte dalla Royal Shakespeare Company e dal National Theatre, ma fino ad oggi non ne ha accettata nessuna. Riesce ora a dividere il suo tempo tra cinema e teatro a suo piacimento. E' appena tornato da Los Angeles, dove ha girato il film "Judas Kiss" con la sua amica Emma Thompson. "Un thriller in cui lei interpreta un agente dell'FBI e io un detective, e tutti e due siamo di New Orleans". Rimarrà a Londra per la prima del suo film da regista, "L'Ospite d'Inverno", tratto da uno script che ha co-sceneggiato con Sharman MacDonald. Anni prima, al Bush Theatre, aveva aiutato la MacDonald a mettere in scena la sua prima opera.
Alan Rickman sta progettando un film tratto da "La Luna e Sei Soldi" di Maugham, adattato da Christopher Hampton (progetto mai andato in porto - dolente nota di Raffaella) ....e così via.
Quindi la lista delle persone con cui lavora è costante, è una persona leale. "Ho degli amici leali", dice. Ha una relazione con la stessa donna, Rima Horton, da quasi 30 anni.

a volte la gente descrive Rickman come scostante, altero, un "guru", ma invece di un vacuo intimidante oracolo, ho incontrato un uomo intelligente, cordiale, un uomo che ride parecchio. Non è una persona semplice, lo ammette anche lui ("Buona fortuna per l'intervista..."). E le sue prime parole, che seguono il mio solito "Piacere di conoscerla..." sono un: "Chiunque io possa essere" degno di Eyeore (personaggio di Winnie the Pooh, l'asinello viola dal temperamento malinconico. Strano, ma non è la prima persona che lo paragona a quel personaggio! Nota di Raffaella) . Ma è schietto. Cercherà di essere onesto, dice. Non può farci nulla se c'è una voce nella sua testa che controlla tutto quello che dice.

Per elencare alcune delle cose che odia: parlare di se stesso. "Che cos'hanno gli attori? Dio sa quanto mi annoio quando gli attori parlano di se stessi". Rispondere a domande personali. "Non credo sia giusto che tutti conoscano tutto di me". Da questo si potrebbe presumere che voglia tenersi isolato - ma il tema più ricorrente nella sua conversazione è l'orreore per l'isolamento. Odia i teatri non in città "perchè quando esci vorresti camminare in un posto pieno di vita". Odia le limousine che gli mandano a New York e a Hollywood perchè la prima volta che salì su una di esse "i finestrini neri salirono e compresi in un lampo di che cosa si trattava: di isolarmi il più possibile dall'essere umano più vicino - ed è un concetto terribile." Il problema, dice, è che troppo spesso il successo è misurato in termini di isolamento. "A Los Angeles è misurato dall'altezza del muro attorno alla tua casa, e dalla grandezza della casa all'interno dell'alto muro. Per me è come vivere la morte". Più successo ottieni, più forte è la pressione che ti rimuove dal mondo reale.
Il desiderio di privacy è un istinto totalmente diverso. La maggior parte delle persone è riservata, dice. "Se per <<riservato>> si intende il desiderio di controllare il modo in cui gli altri ti vedono". Ma per un attore la privacy è essenziale. "Recitare è come dare via qualcosa, consegnarsi a ogni ruolo che ti chiedono di interpretare. Non mi nascondo, non scappo, non cerco l'anonimato, ma mi riservo il diritto di non avere un'etichetta sulla fronte che dice chi sono. Perchè chi sono io può ostacolare il modo che hanno le persone di guardare innocentemente i personaggi che interpreto". E probabilmente ha ragione: è possibile avere troppe informazioni.

Mi ricordo una volta di aver sentito una registrazione di Elgar (non so chi sia - nota di Raffaella) che conduceva "Pomp And Circumstance Number Three". "Voglio che tu reciti questo", ridacchiò il vecchio, "come se tu non l'avessi mai sentito prima". Era una battuta, ma c'era anche qualcosa di vero. Come si fa a ottenere qualcosa di fresco - o, per usare le parole di Rickman, "innocente"? Quando recita Amleto, dice, e vede una giovane donna tra il pubblico che indossa una maglietta di "Truly, Madly, Deeply" e tra quel pubblico è anche presente Juliet Stevenson...c'è uno scontro tra due realtà. E' tutto fantasia, dice, i miti che seguono gli attori. "Non posso prendermi responsabilità per la fantasia delle persone. Non posso pensarci, non posso viverci e non mi ci voglio soffermare". Allora cosa vuole, gli chiedo "Voglio essere parte della catena di chi racconta storie", dice. Sa che non ci sono storie nuove, niente di nuovo sotto il sole; solo nuovi modi di raccontarle, di interpretarle, di dipingerle, di recitarle.

Ascoltandolo parlare della sua infanzia, rimango colpita all'inizio dalla sua familirità - amore, perdita - poi dalla sua unicità. Dico che non avevo pensato che amasse fare il resgista perchè vuole essere amato troppo. "Amato", dice, sorpreso come se io avessi inventato quella parola. "No, non ha nulla a che fare con l'amore". Perchè, me ne rendo conto dopo, l'amore occupa uno spazio particolare nella sua mente. Usa la parola solo due volte. Parlando della sua compagna, Rima. E di sua madre.

E' attraverso i contrasti che ricordiamo le cose. Un periodo felice è percepito come felice solo quando è distinto da tempi più oscuri. La sua prima infanzia, dice, fu un bel periodo nonostante la sua famiglia fosse povera e la casa ad Acton piccola e affollata di quella che diventò una famiglia di sei persone. I suoi genitori erano felici. C'era un certo scontro di culture: sua madre era una metodista gallese, suo padre un cattolico irlandese, e a volte c'erano porte che sbattevano e gente che piangeva. Ma non dubitò mai, da bambino, che (lui e i suoi fratelli) erano amati. E' chiaro su questo argomento: "Non eravamo esclusi, niente affatto". Ascoltando le persone, a volte è difficile non prevenire quello che stanno per dire. Pensavo avesse detto: "Siamo la somma della fortuna che abbiamo". Ma c'era qualcosa di sbagliato nel tono della sua voce, e quando ho chiesto di ripeterlo, mi sono accorta che aveva detto: "siamo quello che siamo, siamo la somma delle mancanze che abbiamo" (l'intervistatrice aveva capito "luck" - fortuna - invece di "lack" - mancanza. Nota di Raffaella). La sua mancanza, e non solo sua, ma anche dei suoi due fratelli e una sorella (è il contrario, due sorelle e un fratello, nota di Raffaella) e, ovviamente, della sua adorata madre, è la morte di suo padre per cancro ai polmoni, quando Rickman aveva otto anni e i suoi fratelli nove, sette e cinque. con la morte di suo padre tutto cambiò. "Cosa vuole che io dica? Sì, mi ricordo certe cose di lui, ma le memorie che ho di mio padre sono quelle di un bambino di otto anni. Sì, la sua morte è stato un forte colpo per quattro bambini al di sotto di dieci anni.". Gli chiedo se sente che suo padre sia un'assenza nella sua vita. "No", dice, facendolo sembrare una domanda più che una risposta "non lo puoi sentire". "Non lo puoi sentire", spiega, "perchè devi essere presente nella tua stessa vita. Non vuoi chiuderti fuori dalla tua stessa vita".
Ci sono momenti, dice, in cui il passato gli appare come una fotografia, un attimo immobile nel tempo. Un bambino in un'aula di scuola. Il preside che attraversa la classe, parla a bassa voce con l'insegnante mentre entrambi si voltano a guardare il bambino. "E sapevo cosa avrebbero detto. Mi avrebbero detto di andare a casa, dove mi avrebbero detto che mio padre era morto".
O il momento, dopo il funerale, a cui i bambini non parteciparono, quando vide sua madre per la prima volta da quando suo padre era morto. "alcuni amici ci portarono da lei. Dissero: "Guardate, ecco vostra madre" e noi tutti chiedemmo: "Dove?" Perchè non riconoscevamo quella donna vestita di nero da capo a piedi". Descrive una scena da "La Mia Infanzia" di Gorky in cui un bambino apre una porta e guarda in una lunga stanza. In fondo alla stanza siede una donna a petto nudo che indossa una gonna rossa. Nelle sua braccia culla il corpo di un uomo che ha delle monete sopra gli occhi. Suo marito. Il padre di Gorky. "Forse", dice Rickman , "la mia storia non è drammatica come questa. Ma, vede, ero abituato a vedere mia madre vestita di colori vivaci. Per me fo lo shock peggiore".

Probabilmente nessuno di noi si riprende dallo shock. Lo shock è come un cratere nella mente, e spendi il resto della tua vita tentando di non scivolare oltre il bordo. Sua madre non si riprese mai. Si risposò, ma il matrimonio durò tre anni. "tutto quello che posso dire è che non funzionò. C'era solo un amore nella sua vita". Sua madre diventò ferocemente protettiva nei confronti dei suoi figli, "come una tigre". Li trattava in modo imparziale, non c'erano favoriti.

E poi capita. Ottiene una borsa di studio per una scuola privata, Latymer Upper a Hammersmith. "Un mondo diverso, con regole diverse da quelle con cui sono cresciuto". E' bravo a scuola, diventa prefetto. Scopre che il distacco che lui chiama "la grazia del vero inglese" è più adatto al suo temperamento dell'inquietudine celtica. "Latymer fu come un soffio di aria fredda nel cervello". E improvvisamente si trova a volersi allontanare dalle proprie radici. "Vuoi scappare, sai che devi scendere a patti. Ti trovi che stai diventando middle class e devi occupartene. Ti senti colpevole e devi trovare l'altra faccia della medaglia. E poi arriva un po' di successo...". A dire il vero, il teatro non fu la prima scelta. Dalle superiori andò alla scuola d'arte. Voleva diventare un grafico e, con un gruppo di amici, mise su uno studio a Soho. "ci divertivamo parecchio, anche se non facevamo molti soldi". Poi, a 24 anni, si guardò intorno e pensò: "Sarà questo per il resto della mia vita?" e prontamente mandò tutto all'aria e vinse una borsa di studio per il RADA (l'Accademia Reale di Arte Drammatica inglese. Ma, per quanto ne so io, aveva 27 anni, non 24. Nota di Raffaella).
Guardando indietro, dice, il teatro, la recitazione era sempre stato il suo mondo. Non era nemmeno un desiderio conscio. "Per me, è stato semplicemente trovare il posto in cui funzionavo a piena potenza". Si trattò di scoprire se stesso. "Forse questo è il motivo per cui mi ci è voluto tempo per decidermi". E anche se non lo dice, recitare deve avergli fornito un modo per tornare alle sue radici. La gente descrive come, nei suoi primi anni, fosse legnoso, diffidente, poco a suo agio sul palco. Se recitare su un palco è l'arte di aprirsi in pubblico, per Rickman, che sa di essere un maniaco dell'autocontrollo - "chiedete a Juliet Stevenson" - il teatro era l'unico luogo dove poteva essere fuori controllo senza il caos emozionale a gettarlo oltre il baratro.

Non c'è mai stata gelosia o competitività, dice, da parte di nessuno nella sua famiglia. "Al contrario, ciò che ho ottenuto da loro è stato un feroce orgoglio. E io provo lo stesso per loro". Lo hanno sostenuto, particolarmente sua madre. "Anche lei aveva un talento incredibile. avrebbe avuto una carriera come cantante, in un altro mondo, e con una madre diversa".
Quello che vuole dire è che il talento non è sufficiente. Ciò di cui c'è bisogno, oltre all'impegno, sono le condizioni in cui il talento può esprimersi. Sua madre gli ha dato qualcosa di straordinario, di diverso dalla normale generosità di una madre nei confronti di un figlio. Lei stessa donna di talento, anche se frustrata nelle sue ambizioni, non gli ha portato rancore. Come regalo per il suo ottantesimo compleanno la ha portata a vedere "Il Fantasma dell'Opera". Era quello che lei voleva, un musical. dopo, ci fu un grande party, dove lei entrò "come la stella che era. Non ho mai vesto nessuno entrare in una stanza in quel modo". E' morta, mi dice, l'anno scorso, a metà del montaggio di "L'Ospite d'Inverno". Il suo lavoro è la sua autobiografia, dice. "Se la gente vuole sapere chi sono, è tutto nel mio lavoro".
C'era un periodo in cui era apertamente impegnato in politica, uno strenuo sostenitore del Partito Laburista, e pronto a dare voce alle sue idee. Meno adesso. "Amo sempre meno le dichiarazioni pubbliche - preferisco l'azione".

Così, se "L'Ospite d'Inverno" è autobiografico, nel senso stabilito sopra, non in senso letterale, cosa dice di Rickman? E' l'opera teatrale di Sharman MacDonald adattata per il grande schermo, dice. E' la sua visione, le sue parole. Ma chiaramente qualcosa deve averlo spinto a tornare su quest'opera dopo averla diretta a teatro. Non è un uomo che si ripete facilmente. Deve esserci stato qualcosa di nuovo, o qualcosa che gli è sfuggito, qualcosa che sentiva di poter portare un'altra volta.
La storia è una curiosa, sfaccettata meditazione sulla vita e sulla morte, come le sette età dell'uomo, vista attraverso le relazioni di quattro coppie: madre/figlia; ragazzo/ragazza; due bambini; due vecchiette. Non c'è la figura del padre - il padre è morto, ma, più interessante ancora, non c'è nessun uomo adulto. Chiedo a Rickman cosa lo ha attratto specificamente a questo materiale. All'inizio è esitante. Essere un regista, dice, è un lavoro in cui si imbrigliano i talenti altrui.
E' stato una sorprendente catena di casualità, una coalizione di molti diversi elementi nella sua vita. L'idea di un'opera teatrale gli venne da una storia raccontataglia dalla sua amica Lindsay Duncan, la cui madre era malata di Alzheimer. "La trovò un giorno in giardino, mentre potava le rose in stivaloni di gomma e indossando il suo cappello matrimoniale". Rickman mise in contatto la Duncan con la scrittrice Sharman MacDonald. "Gli anni passarono, stavo girando in America e l'Almeida Theatre mi chiese se volevo dirigere un'opera teatrale. sharman aveva finito "L'Ospite d'Inverno" e stava aspettando che avessi l'opportunità di dirigerlo". Nel ruolo della madre malata, Rickman ha scelto Phyllida Law, la madre di Emma Thompson. "La cosa straordinaria era che quella era la prima volta che Phyllida si trovava libera. Aveva curato la sua stessa madre che stava morendo". In qualche modo, e se credi in queste cose, dice, era come se quest'opera stesse aspettando lei.
e forse, aggiunge, ha a che fare con l'avere successo. "In questo mondo, in cui le persone passano l'una di fronte all'altra senza contatto, mi piace l'idea di soffermarmi su otto voci, isolate in una piccola città in un freddo inverno. Forse, dato che mi muovo in un mondo di lanci pubblicitari , film e viaggi in aereo, lo trovo rassicurante". C'è un punto nel film in cui, in ogni coppia, uno dei due tende una mano all'altro e viene rifiutata. Poi arriva il momento in cui quella mano è accettata. "E, sì, mi piace", dice, "sembra che afferri un po' il significato del perchè siamo qui".

Gli dico che trovo che la fine del film, con i bambini che camminano sul ghiaccio, terribilmente deprimente. Non voglio che muoiano. "E allora non muoiono", dice. La cosa interessante è che nella versione teatrale è inequivocabile - i dua bambini camminano nella nebbia e muoiono. Il finale del film è molto più ambiguo. Rickman dice di essere stato lui a prendere quella decisione. "La versione teatrale era troppo esplicita, troppo melodrammatica. Volevo che il finale del film fosse ottimistico, persino gioioso". "Ovviamente", dice rassegnato, "Mi identifico con il ragazzo il cui padre è morto". Ciò che sta accadendo a quel ragazzo è il risveglio della sessualità - un intero mondo di possibilità: il resto della sua vita gli si sta aprendo. C'è un bellissimo momento in cui la ragazza va a casa sua per fare l'amore con lui mentre sua madre è fuori, e gira apposta tutte le foto, il tempio di suo padre, come per liberare il ragazzo da ogni possibile colpa o dolore. Come dice Rickman, questo è un film sulle possibilità umane, che constatano che non possiamo raggiungere l'impossibile, alterare il passato. "Mentre cresciamo in età", dice, "aspettiamo tutti come su una spiaggia. Sono i giovani che entrano nel mondo che abbiamo plasmato per loro. Penso che il film parli di questo, l'ultima battuta è "Aspettami".

Ciò mi spinge a chiedergli perchè non ha mai avuto dei figli. Non è stata una scelta, dice, "Dovebbe ricordarsi che non sono l'unica persona coinvolta. C'è un'altra persona." Dice che avrebbe desiderao una famiglia. "a volte penso che, in un mondo ideale, avremmo tre bambini, di dodici, dieci e otto anni e noi saremmo ottimi genitori per loro". Ma quando gli dico che potrebbe scappare con una divetta di vent'anni, farsi una famiglia...."Ehmm, no" dice. Mai stato tentato? No.
Sto proprio pensando quanto sia incredibilmente sensibile ed equilibrato, quando improvvisamente cambia il tono del discorso. Di recente, dice, "qualcuno che conosce queste cose" lo ha informato che tutti i problemi e le indecisioni della sua vita sono dovuti al fatto che è del segno dei pesci, "Voglio nuovate in tutte le direzioni allo stesso tempo. Desidero il successo, corteggio il fallimento". Ma, anche peggio, dice, c'è il fatto che non ci sono elementi di terra nel suo segno. "E' tutto aria e acqua, nulla per tenermi giù". Sto ancora cercando di capire se fa sul serio, quando dice "Fortunatamente c'è l'elemento di fuoco. Deve venire da mia madre, che era sagittario". Così allora ha anche un tocco di follia.

dice che adesso, per la prima volta nella sua vita, gli sembra che tutte le sue energie si siano raggruppate compatte. "Così questa specie di carriera che ho sta assumendo una certa forma". E' ancora caotica, dice, "nel senso che non so cosa farò nella prossima mezz'ora. Ma si sta divertendo, girando film, viaggiando. Se il successo ti dà qualcosa, dice, è l'opportunità di fare ciò che vuoi. Quello che vuole è vivere fino a che sarà vecchio. "E ancora essere qua a recitare quando avrò settant'anni". Ma non ha ambizioni di spostarsi a Hollywood. Le cose che preferisce sono cose semplici: "Buoni amici, buon cibo, buon vino".

Ci sono delle persone che non conoscono Rickman e non lo amano. E persone che lo conoscono e lo adorano. Ciò perchè, mi dice un suo amico, è gentile e generoso, un vero gentleman. "Mi odierà per averlo detto, ma lui personifica tutti quei vecchi valori cristiani". E' anche molto spiritoso. Nei 12 anni successivi a "Le Relazioni Pericolose" si è guadagnato una reputazione per i cattivi sardonici e sexy - ha quasi creato un sottogenere. Ma menzionategli la parola "sesso" e sembra immediatamente in trappola. No, dice, non è mai stato nemmeno in modo remoto sessualmente vorace, qualsiasi cosa voglia dire...Poi, illuminandosi improvvisamente "ma forse sarò sessualmente vorace la prossima settimana". Il suo prossimo ruolo, mi dice, è in un film scritto da Kevin Smith, autore di "Clerks" e "In Cerca di Amy". Interpreta un angelo. "Lo sa", dice, "che gli angeli non hanno gentitali?". Per una qualche ragione, lo trova terribilmente divertente.
 
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norrispurr
view post Posted on 12/6/2009, 20:45




Grazie Ida; informatissima come sempre su ogni aspetto della vita e della carriera di Alan :)
 
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view post Posted on 14/6/2009, 12:03
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Pozionista abile

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Che bella l'intervista ad Alan!! :woot: :woot: :woot:

L'avevo quasi dimenticata anche se adesso so che la maggior parte delle cose che so su Alan è anche grazie a questa lunga intervista che avevo letto all'inizio della mia ricerca su tutto ciò che lo riguardasse!

Grazie per averla riproposta Ida, mi piacerebbe ripostarla anche su Lista AR, perchè sono sicura che le ultime iscritte non la conoscono e non sarebbe male che anche le "vecchiette" se la rispolverino! :D
E grazie anche a Severus Ikari per la segnalazione dell'interessante intervista al regista di LLD ;)
 
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view post Posted on 14/6/2009, 14:06
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I ♥ Severus


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Fai pure, Ele:la traduzione dell'intervista appartiene a Raffaella e non credo che Ikari abbia nulla in contrario se segnali il link che lei ha postato qui.
 
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norrispurr
view post Posted on 14/6/2009, 14:41




0e56f6b9178c6bc9baa30e0f1ad3d880


Ecco il poster della rappresentazione teatrale! Lui è bellissimo..........come sempre! :wub:
Ah, come vorrei essere al posto di Lindsay Duncan............in privato! :wub:

Edited by Arwen68 - 29/11/2017, 19:23
 
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view post Posted on 14/6/2009, 14:59
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Pozionista abile

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Perfetto Ida, fatto!! :)
 
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view post Posted on 14/6/2009, 21:02
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CITAZIONE
Fai pure, Ele:la traduzione dell'intervista appartiene a Raffaella e non credo che Ikari abbia nulla in contrario se segnali il link che lei ha postato qui.

no no, nessuna obiezione, segnala pure :D
 
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norrispurr
view post Posted on 15/6/2009, 09:31




Vorreste essere al posto di questa fortunata signora?

 
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256 replies since 9/6/2009, 16:33   6625 views
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