Il Calderone di Severus

Torna a casa, Mary Sue., Fan fiction in progress.

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Arwen68
view post Posted on 20/6/2015, 22:03 by: Arwen68
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Ecco il mio contributo a questa storia.

capitolo 9 - qualcosa di profondamente orribile che può capitare solo e soltanto a Mary, ma che la nostra eroina supererà grazie alle sue doti, e magari salvando qualcun altro, persino - eroicamente - qualcuno che le sta cordialmente odioso, manifestando così la sua superiore grandezza d'animo)

La carrozza partì trainata da due Thestral, portando via da Hogwarts e lontano da Draco una Palmihra Maria Angelique Pina Rosalba Claire Barbie Amethist Raven Athena Esmeralda Amulio Blanchefleur Eau de Toilette Rodriguez Smith-Hasakura Picasso Von Quaglien, detta Mary, traboccante di dolore.
Allontanarsi da Draco era costato uno sforzo enorme alla giovane ma, con la grande forza d’animo che le era propria, era riuscita a vincere la tentazione di buttarsi tra le sue braccia e chiedergli di accompagnarla in quel triste viaggio.
Il pensiero della tragica morte dell’adorato zio tornò prepotentemente a farsi strada nella sua mente. I suoi splendidi, cangianti occhi, ora di un grigio scuro simile al colore del cielo durante una tempesta sulla brughiera delle Highlands, si riempirono di lacrime, ma Mary le respinse coraggiosamente indietro: ora doveva essere forte più che mai!
Per tutta la durata del viaggio si trovò a dover gestire questo suo stato d’animo altalenante tra lo sconforto totale e l’indomita volontà di non lasciarsi annientare dalle avversità che il destino le aveva riservato.
Così fu una Mary compostamente addolorata ma volitiva quella che scese dalla carrozza una volta giunta a destinazione.
Ad attenderla, nel cortile del castello del suo amato e defunto zio, c’era Ponfy, il fido elfo di famiglia.
“Ben arrivata padrona!” La salutò il vecchio elfo mentre si inchinava profondamente.
Mary, creatura buona, gentile e sensibile per natura, sebbene con la morte nel cuore, gli sorrise, illuminando in tal modo la natura circostante con la luce interiore che proveniva dal suo animo puro.
L’elfo continuava a rimanere con il volto prostrato nel fango e così la giovane lo apostrofò con infinità gentilezza invitandolo ad alzarsi da terra:
“Orsù Ponfy, vecchio e fedele servitore della mia antica casata, alza dal vile e sudicio fango il tuo volto stanco e segnato dal tempo e conducimi alle mie stanze in questa enorme e solitaria magione."
La sua voce risuonò come musica alle stanche e vecchie orecchie dell’elfo domestico che, completamente conquistato dalla grazia della giovane, fu felicissimo di obbedire alla sua preghiera e di trasportare al castello le quindici valigie nelle quali la padrona aveva stipato il minimo indispensabile alle sue necessità.
Pur potendolo fare, Ponfy non usò la magia per spostare il bagaglio: aveva compreso l'enorme dolore della sua padrona e per solidarietà con quella splendida creatura aveva deciso di offrirle la fatica delle sue stanche e vecchie membra.

***


Il mattino seguente Mary fu svegliata dal canto di un'allodola posatasi sul davanzale della finestra.
Ormai desta, riandò con la mente agli avvenimenti del pomeriggio precedente quando, nello studio dello zio davanti alla brutta e odiosa cugina Anaritas, il notaio don Rafael Joachin Filippos Alfonsos Ferdinandos Emendosa della Valle aveva aperto il testamento dello zio rivelando che lei, è solo lei, era l'erede dell'immensa fortuna del caro estinto.
Un moto di profonda commozione si impadronì di lei a quel ricordo e copiose lacrime scesero a bagnarle le rosee guance. Era ricca, immensamente ricca, eppure non riusciva a gioire per ciò che aveva.
Come era vero pensò, mentre tirava fuori dall'armadio un tailleur pantalone griffato Armani, quel detto secondo cui i soldi non fanno la felicità!
Come era vero pensò, mentre si rimirava nello specchio aggiustandosi il polsino della giacca e passandosi una mano tra i capelli color del grano.
"Sono la donna più sfortunata della terra!" Esclamò al culmine dello sconforto, poi uscì dalla stanza decisa a fare una passeggiata ristoratrice nel bosco di sua proprietà, adiacente al castello.

Camminare nella natura le era sempre stato di enorme conforto. E conforto al suo immenso dolore stava cercando in quel bosco animato da piccole creature, come scoiattoli e uccellini che al suo passaggio le si avvicinavano, accompagnandola lungo il cammino.
Era immersa in tristi pensieri da un po' quando all'improvviso i suoi acutissimi sensi l'avvertirono che qualcosa non andava. Gli amichevoli animaletti del bosco, che le avevano tenuto compagnia fino a poco prima, erano spariti e tutto intorno a lei era sceso un silenzio innaturale carico di oscure minacce.
Si fermò al centro di una radura e si guardò intorno.
"Forse è meglio che torni indietro..." si disse con un lieve senso di inquietudine.
Girò sui tacchi 12 cm delle sue Chanel bianco giaccio e si avviò verso il castello ma, fatti pochi passi, si trovò il cammino sbarrato da una figura ammantata di nero con un’enorme cappuccio calato sulla testa e una scure di epoca elisabettiana tra le mani.
L’inquietante presenza si era materializzata da dietro un’enorme quercia e ora immobile attendeva la prossima mossa della sua vittima.
Ci volle poco all’acuta intelligenza di Mary per capire che non si trattava di una benevola apparizione ma, facendo appello a tutto il suo coraggio, la giovane si preparò a tenere testa all’oscura presenza.
“Chi sei e cosa vuoi da me?” Chiese arditamente.
Dall’inquietante apparizione provenne una risata agghiacciante.
“Chi sono non ha importanza. Cosa voglio? Voglio la tua testa!” Sibilò.
Per un istante Mary ebbe come la sensazione di qualcosa di familiare in quella voce evidentemente contraffatta.
Ma non c’era tempo per soffermarsi su questi dettagli! Bisognava agire!
Con lo sprezzo del pericolo che le era proprio, Mary allungò rapida la mano alla borsetta griffata Prada per prendere la bacchetta, quando si ricordò di averla lasciata in camera perché non entrava nella micro borsetta insieme all’indispensabile pochette dei trucchi.
A questo punto non rimaneva che una cosa da fare: fuggire!
Si volse rapidamente e cominciò a correre inseguita dall’oscura figura.
Corse a perdifiato finché non fu costretta a fermarsi non potendo proseguire oltre: correndo correndo era arrivata sul ciglio di un burrone.
Si volse e vide con orrore la figura ammantata venire verso di lei.
Se quella doveva essere la sua fine, pesò, l’avrebbe affrontata da eroina, senza piegarsi alla paura. Così si eresse in tutta la sua figura pronta a ricevere il colpo mortale dal suo inseguitore.
Ma proprio quando ormai la fine era vicina, la nera presenza inciampò nell’orlo del suo mantello e, causa lo slancio della corsa e la pesante scure che si portava dietro, non riuscendo a fermarsi finì oltre l’orlo del precipizio.
“Aiuto! Aiuto!” La straziante invocazione proveniva dal burrone.
Mary si sporse cautamente e rimase sconvolta da ciò che vide.
Scampata alla morte, la brutta e odiosa cugina Anaritas penzolava a circa mezzo metro dall’orlo del burrone aggrappata per una mano a una radice sporgente dal terreno.
“E così eri tu a volere la mia morte!” Esclamò la giovane con le lacrime agli occhi. Il suo animo buono e puro non riusciva a comprendere come il sangue del tuo sangue potesse arrivare a tanto.
“Aiutami ti prego!” Supplicò Anaritas.
Aiutarla? Per un attimo Mary pensò di lasciarla attaccata a quella radice per sempre, poi la sua natura dolce e gentile ebbe il sopravvento e sporgendosi cautamente le allungò una mano e la tirò su.
“Perché tanto odio?” Chiese quindi la dolce creatura.
“Perdonami! L’ho fatto perché sono stata sempre gelosa di te!
Quando poi ho visto che nostro zio ti aveva lasciato tutto, anche la residenza estiva a Ibiza… non ho capito più niente e volevo solo vendicarmi! Perdonami se puoi!” Anaritas si era buttata ai piedi della cugina piangendo copiosamente, affranta da un indicibile rimorso.
Chiunque altro al posto di Mary avrebbe fatto rinchiudere quella sciagurata ma il suo animo magnanimo la portò non solo a perdonare la cugina ma anche a donarle la tanto bramata residenza estiva a Ibiza.
Che poi, pensava Mary mentre ritornava al castello al fianco dell’ormai ritrovata parente, sarebbe bastato chiedere: a lei quella residenza estiva a Ibiza non era mai piaciuta.

***


Era il tramonto e la carrozza trainata da due Thestral sostava in attesa nel cortile del castello per riportare Mary a Hogwartz.
Tutto era pronto per il viaggio ma la giovane volle andare a visitare per l’ultima volta il roseto.
Da quell’angolo di giardino si godeva una vista spettacolare sul castello. Osservandola Mary comprese finalmente cosa le mancava per sentirsi felice.
“Draco! Voglio venire a vivere qui con Draco!” Esclamò.
Certo, c’era quel piccolo particolare della maledizione… come fare?
Però lei non era persona da lasciarsi scoraggiare per così poco!
Si chinò, afferrò una manciata di terriccio e, alzato il pugno verso il cielo infuocato del tramonto, si fece una promessa.
“Giuro su questa terra che non permetterò a una insignificante maledizione di impedirmi di raggiungere la felicità! Dovessi respingere da sola tutta la folla accalcata davanti a Harrods nel Black Wednesday o donare in beneficenza tutta la mia collezione di borse Louis Vuitton, troverò il modo di sciogliere l’anatema!”
Poi, guardando il Rolex d’oro che le fasciava divinamente l’esile polso, si rese conto di essere in ritardo. Gettò via la terra e corse verso la carrozza.
Salita a bordo vide con sommo orrore che le si era scheggiato lo smalto sull’unghia dell’indice della mano destra, rovinandole così una manicure di due ore.
Accidenti! Doveva assolutamente sistemarsi le unghie prima di giungere a Hogwarts!
A come fare per mantenere fede al giuramento ci avrebbe pensato poi.
In fondo domani sarebbe stato un altro giorno!

Edited by Arwen68 - 20/6/2015, 23:40
 
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