Eccomi. la tesserata numero uno arriva finalmente in questo angolino prezioso della bottega. Reduce da influenza (il mio personalissimo club della sofferenza
) ho pensato a lungo a cosa lasciare in questo scaffale. Ci ho pensato a lungo perché, come tesserata numero uno, ne sentivo quasi la primogenitura.
La prima cosa che mi è venuta in mente è che questo luogo dell’anima ha un che di rivoluzionario. Dai, diciamo la verità: chi di noi oggi, nella vita reale, avrebbe in giro con una spilletta che recita “Club della sofferenza”? Oggi, in tv, nelle città, tutto deve essere felice e facile. Abbiamo pillole per tutti i tipi di dolori e per tutte le intensità. La sofferenza è fra le vergogne più orrende che possano capitare. Perciò tutti i messaggi che avete lasciato qui, ispirate dal nostro, beh, sono messaggi rivoluzionari e hanno qualcosa di eroico.
D’altra parte, l’idea del club della sofferenza è nato proprio quando si parlava di eroi. In quella discussione si parlava di eroi romantici e delle affinità con Severus. E se è vero che Severus è eroe romantico è pur vero che non soffre come Werter il Goethe, compiaciuto della sua stessa sofferenza e convito che chi più soffre più ama. Anche perché Severus non soffre solo per Lily.
Sono d’accordo con tutte voi. Severus odierebbe questo posto! E odierebbe anche la nostra pretesa di poter guardare dentro il suo dolore, e capirlo e lenirlo.
Perché la sofferenza di Severus non è una sofferenza da vittima. Non è una sofferenza che cerca protezione o consolazione. Non è una sofferenza che ristagna, cancerogena, in un’anima solitaria.
La sofferenza di Severus è una sofferenza sempre inquieta. Che si domanda sempre del passato, che si arrovella del futuro. Una sofferenza che affina il cuore e lo rende così sensibile da saper battere, in silenzio e nel nascondimento, anche per chi ostenta di odiare. Una sofferenza che spinge all’eroismo della morte. Una sofferenza che diventa cura per i suoi stessi errori.
Inizialmente non avevo compreso fino in fondo il commento di Albus a proposito del “rimorso” di Severus. Quel commento mi era sembrato così freddo e vuoto davanti all’enormità del dolore di Piton. Inopportuno ecco.
Ma il Rimorso, allora, già ricuciva l’anima lacerata di Severus.
Non voglio parlare di una sofferenza cristiana, che pure avrebbe il suo perché.
Voglio solo dire che se Severus per noi è tanto grande, tanto sincero e tanto umano, è perché ha profondamente sofferto e soprattutto perché ha fatto della sofferenza lo strumento per allargare la vastità dei suoi sentimenti e delle sue emozioni. Non ha avuto paura di sprofondare nel dolore. Non ha voluto nessuna forma di narcosi. Al contrario, ha affrontato il dolore, e ogni giorno l’affronta, perché ogni giorno affina la sua anima. Attraverso il dolore ha scoperto le profondità della propria anima . Attraverso la sofferenza e i reconditi stati di pena per se stesso ha scoperto fino a che punto era disposto ad amare e a vivere.
Allora, quanto è rivoluzionario quest’uomo, che porta su di sè il dolore per uscirne più puro eppure più umile? Quanto vale, allora, tutto il dolore di Severus? Ha bisogno di essere consolato? Ha bisogno di essere sbandierato? Ben lontano dal bavero, Severus porta dentro di sé la parte più vera dei suoi sentimenti; rannicchiato in un angolo del suo cuore, in un luogo preciso dell’anima.